IL PECCATO D'ORIGINE DI ISRAELE:
IL SIONISMO VIOLENTO DI
VLADIMIR JABOTINSKY
L'ADAMO DEL MODERNO ISRAELE CHE CONTRIBUÌ
A TRASFORMARE LA PALESTINA IN UN INFERNO
"Si può trovare un senso all’insensata guerra di Israele contro Gaza solo capendo il contesto storico. La creazione dello stato di Israele nel 1948 fu causa di un’enorme ingiustizia verso i Palestinesi. I politici britannici mal tollerarono la faziosità degli Stati Uniti verso il neonato stato. Il 2 giugno 1948, sir John Troutbeck scrisse al ministro degli esteri che gli Statunitensi erano responsabili della creazione di uno stato canaglia guidato da «un gruppo di capi del tutto privo di scrupoli». Pensavo che questo giudizio fosse troppo duro, ma la brutale aggressione di Israele al popolo di Gaza, e la complicità dell’amministrazione Bush, ha riaperto la questione". di AVI SHLAIM - The Guardian (1) |
(a cura di Claudio Prandini)
i nostri tg e i nostri giornali non ci stanno dicendo tutta la verità!
Il Times: Israele bombarda Gaza con fosforo bianco. La BBC: lo fece già in Libano. [Riportiamo due articoli e un video. Il primo articolo è la traduzione della notizia data oggi dal Times, secondo cui bombe al fosforo bianco sono state utilizzate a Gaza City. L'ipotesi, basata su un'analisi di immagini dell'attuale guerra mossa da Israele su Gaza, appare in queste ore sui media di tutto il mondo. Non si tratta di un'ipotesi peregrina, se consideriamo il secondo articolo che pubblichiamo in traduzione: si tratta della notizia data dalla BBC sull'ammissione da parte di Israele, la prima nella sua storia, di avere utilizzato fosforo bianco nella guerra in Libano (qui la versione video della notizia data da "Democracy Now!"). La notizia, che ebbe risalto internazionale, non sortì il medesimo clamore in Italia. Il video proposto in calce, infine, surrogherebbe l'ipotesi dell'utilizzo di fosforo bianco a Gaza. Il fosforo bianco è bandito come arma in luoghi popolati dal Trattato di Ginevra. Qui, una descrizione dei suoi devastanti effetti] Leggere articolo qui sotto:
GAZA CON FOSFORO BIANCO
Nel frattempo anche dal Vaticano il Card. Martino afferma: "Gaza assomiglia sempre più ad un grande campo di concentramento". |
INTRODUZIONE
Appello di un ebreo a tutti gli ebrei che non
sono ostaggio della Lobby pro-israeliana
IL PRIVILEGIO DI ESSERE EBREO
Fonte web di Giuseppe Zambon
Noi possiamo dire la verità, condannare
l'ingiustizia, il nazionalismo ed il razzismo, sia di vecchio che di nuovo
stampo, senza per questo correre il rischio di venir tacciati di antisemitismo,
magari proprio dai nipoti di chi a suo tempo in Europa nulla vide e nulla disse.
Noi non vogliamo sentirci chiedere un giorno: "E tu dov'eri quando i militari
israeliani massacravano il popolo palestinese?"
Noi constatiamo con dolore e con rabbia che la maggioranza degli ebrei
israeliani, dopo aver subito secoli di oppressione e di feroci persecuzioni, si
sta comportando a sua volta verso la minoranza palestinese secondo i ben noti
canoni del peggiore nazionalismo.
In particolare ci offende il cinismo di chi in Germania (e non solo in Germania,
ndr) pretende di esprimere solidarietà con i carnefici à la Sharon, e questo in
nome di una pretesa solidarietà con le vittime della persecuzione nazista. In
realtà questi signori sono i legittimi rappresentanti di una classe politica
che, ieri come oggi, sempre predilige per opportunismo di stare dalla parte del
potere.
Se la solidarietà con gli
Ebrei fosse sincera, e non invece detatta dal servilismo verso gli Stati Uniti,
tale solidarietá avrebbe dovuto estendersi anche agli Zingari, ai Comunisti e a
tutte le altre vittime del nazismo; cosa che - tutti sanno - non è mai avvenuta.
Noi rifiutiamo di servire come alibi alle più aberranti politiche del potere
occidentale.
Noi individuiamo i responsabili del dramma che si sta consumando in Palestina:
1. in primo luogo nei razzisti e fascisti europei.
Solo alla luce dei crimini nazifascisti si spiega come il sionismo sia divenuto
un fenomeno di massa. Attraverso la creazione dello Stato di Israele i "buoni"
europei si sono contemporaneamente liberati della nostra "fastidiosa" presenza e
hanno contribuito a fondare, sovvenzionare ed armare un possente ed agguerrito
avamposto occidentale, a protezione dei propri interessi strategici ed
economici, contro la minaccia del nascente nazionalismo arabo.
Dal giorno alla notte, i "cattivi" ebrei sono diventati i "buoni" israeliani e
si è preteso di "risarcire" le vittime dei crimini nazisti a spese dei
palestinesi, aggiungendo così una nuova ingiustizia ai crimini del passato.
Peccato che poi gli europei si siano fatti sottrarre il proprio ruolo egemonico
dagli USA.
2. Gravissime responsabilitá ricadono anche sui neo-colonialisti israeliani, i
quali tentano di nascondere pudicamente la propria riprovevole collaborazione
con il "vitello d'oro" americano ed i loro sedicenti amici europei dietro alla
solenne promessa divina della concessione al popolo d'Israele delle terre "dal
Nilo all'Eufrate". E' sulla base di questa promessa che essi si arrogano il
diritto di rifiutare l'indipendenza ad uno Stato palestinese ridotto al 22%
della Palestina storica e minacciano di scacciare anche gli ultimi palestinesi,
portando così a termine una vergognosa operazione di pulizia etnica iniziata
cinquant'anni orsono.
Si tratta qui di una riedizione di pessimo gusto del tristemente noto "Gott mit
uns" !
Il profeta Michea ammonisce:
2,1 Guai a coloro che meditano l'iniquità e tramano il male sui loro giacigli:
alla luce dell'alba lo compiono perché in mano loro è il potere.
2,2 Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono
l'uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità.
2,3 Perciò così dice il Signore: "Ecco, io medito contro questa genía una
sciagura da cui non potranno sottrarre il collo e non andranno più a testa alta,
peché sarà quello tempo di calamità.
2,4 In quel tempo si comporrà su di voi un proverbio e si canterà una
lamentazione: "E´ finita!", e si dirà: "siamo del tutto rovinati! Ad altri egli
passa l'eredità del mio popolo; - Ah, come mi è stata sottratta! - al nemico
egli spartisce i nostri campi".
2,5 Perciò non ci sará nessuno che tiri la corda per te, per il sorteggio
dell'adunanza del Signore
3,9 Udite questo, dunque, capi della casa di Giacobbe, governanti della casa
d'Israele, che aborrite la giustizia e storcete quanto è retto,
3,10 che costruite Sion sul sangue e Gerusalemme con il sopruso;
3,11 i suoi capi giudicano in vista dei regali, i suoi sacerdoti insegnano per
lucro, i suoi profeti danno oracoli per denaro. Osano appoggiarsi al Signore,
dicendo: "Non è forse il Signore in mezzo a noi? Non ci coglierà alcun male."
3,12 Perciò, per causa vostra, Sion sarà arata come un campo e Gerusalemme
diverrà un mucchio di rovine, il monte del tempio un'altura selvosa.
Oserà ora forse qualcuno
accusare Michea di antisemitismo?
Noi crediamo di comprendere i motivi che hanno spinto chi, nel corso della
nostra storia, a cominciare da Sansone e giù giù sino agli eroi del ghetto di
Varsavia ha sacrificato la propria vita per affermare il diritto ad un'esistenza
degna di essere vissuta.
Noi condanniamo gli
attentati contro la popolazione civile, ma proprio perché abbiamo in passato
subito sulla nostra pelle discriminazione, persecuzione e sterminio, siamo anche
in grado di comprendere le ragioni dei cosiddetti attentatori suicidi
palestinesi: la stessa rabbia, la stessa disperazione, la stessa mancanza di
prospettive del nostro popolo al tempo in cui i nostri "amici" di oggi ci
rinchiudevano nei ghetti e ci internavano nei lager. Noi condanniamo invece
recisamente gli attentatori omicidi, e cioè coloro che, per imporre il loro
ordine, soffocarono con il lanciafiamme la rivolta del ghetto di Varsavia,
coloro che sganciavano tonnellate di napalm sulle capanne vietnamite nelle zone
liberate premendo un pulsante dal posto di guida dei propri aereoplani. Non è
qualitativamente diverso chi oggi cannoneggia da terra e dall'aria i lager di
Jenin e di Gaza
Noi sentiamo il dovere di accusare l'attuale politica del governo di Israele in
quanto inumana e quindi, di fatto, anche antisemita, e questo non solo perché
gli arabi sono anch'essi ovviamente dei semiti, ma anche perché:
1. La politica sionista verso gli arabi contraddice la tradizione di un popolo e
i principi di una religione che, nel corso dei secoli, hanno dato una sì alta
testimonianza di amore, di rispetto verso la persona umana.
Tale politica distrugge l'essenza stessa dell'ebraismo.
2. Persistendo nella
propria politica repressiva, Israele tradisce la nostra storia, rinnega il
ricordo della shoa che a noi aveva insegnato a ripudiare la violenza verso i
deboli e ad apprezzare la nobiltà di quei pochi che ci capivano e cercavano di
proteggerci.
Mai e poi mai avremmo potuto immaginare che il nostro popolo avrebbe potuto dar
vita, nel corso di una sola generazione, ad uno stato oppressore. Non possediamo
più l'innocenza della vittima; diventati da oppressi oppressori, non possiamo
più richiamarci in buona fede al ricordo dell'olocausto senza venir accusati di
volerlo strumentalizzare.
3. La stessa esistenza del
popolo di Israele viene messa in grave pericolo, e non già da un popolo
palestinese martoriato, umiliato e ridotto allo stremo, ma dalla stessa politica
di Israele.
Non sono soltanto gli arabi le vittime di una tale politica. Puntualmente,
ovunque nel mondo l'imperialismo abbia deciso di non intervenire direttamente a
sostegno di un potere corrotto di militari assassini o di spudorati razzisti,
ecco che Israele, efficiente e volonterosa manda "aiuti", vende armi, istruisce
le polizie, collabora con i servizi segreti, siano essi del Sudafrica razzista,
del Congo di Mobutu, o delle peggiori dittature caraibiche.
Ci siamo mai chiesti chi vorrà mai aiutare Israele quando, dopo aver seminato con continuità e perseveranza tanto odio e sparso tanto sangue nel mondo, dovesse venire a mancare la protezione economica, politica e militare degli USA, i nuovi "padroni del mondo"?
Ma nelle tenebre si è accesa una luce: quella dei pochi israeliani che hanno conservato la propria umanità, come Felicia Langer, Uri Avneri o i 500 riservisti dell'esercito israeliano che coraggiosamente proclamano, a dispetto di ogni inrimidazione e rappresaglia: "Noi ci rifiutiamo di continuare a combattere al di là dei confini del 1967 con l'obiettivo di dominare, affamare ed umiliare ed espellere un popolo intero".
Si tratta purtroppo ancora di una minoranza; essa però dà segni di crescita e ci offre perciò una grande speranza: quella che un giorno sarà possibile in Israele / Palestina una pacifica convivenza fra le religioni, ed i popoli, insomma fra tutti gli esseri umani.
il panorama di betlemme nella guerra israele-palestina
di qualche anno fa. Oggi tocca a Gaza sentire il tallone di Giuda
GLI EBREI E LA PALESTINA PRIMA
DELLA NASCITA DEL SIONISMO
ALLE RADICI DELLO STATO DI ISRAELE
E DELLA SUA IDEOLOGIA
Riassunto da: Massimo Massara, "La terra troppo promessa"
Gruppi molto piccoli di ebrei avevano continuato a vivere in Palestina anche dopo che la maggioranza della popolazione ebraica aveva abbandonato il paese disperdendosi ai quattro angoli della Terra:
Gaza, Hebron, Gerusalemme, Nablus, Haifa, Shafer Am, Tiberiade e, soprattutto, Safed e la zona circostante sono località nelle quali è accertata la presenza di nuclei di ebrei ininterrottamente almeno dal XIII secolo, cioè dall'epoca immediatamente successiva alla fine delle crociate.
Dagli inizi del XIX secolo la popolazione ebraica della Palestina era più che raddoppiata, passando da circa 10.000 individui nel 1800 a 24.000 nel 1880.
Tuttavia, questi ebrei si accontentavano di vivere in sostanziale buona armonia con la popolazione araba e non pensavano affatto a creare nel paese un loro Stato, tutto ed esclusivamente ebraico. Per loro il vivere in Palestina era una scelta religiosa positiva e qualsiasi idea di restaurazione di uno Stato ebraico era considerata con estremo sospetto come una manifestazione di pseudo-messianismo sacrilego.
Si trattava di un gruppo umano vivente in un quadro sociologico ancora medievale, caratterizzato da un estremo sottosviluppo culturale e intellettuale oltre che economico. La principale risorsa economica di questi ebrei erano le misere sovvenzioni inviate loro dai correligionari europei e da qualche ricco filantropo, che consideravano un pio dovere l'assistere materialmente i loro fratelli in Terra Santa. Questo aiuto non aveva solo carattere caritatevole ma simbolizzava anche un legame, esprimeva anche simpatia e autoidentificazione con quanti avevano deciso di passare la loro vita in Palestina dedicandosi allo studio e alla devozione. Tuttavia questa carità soffocava ogni spirito di iniziativa e favoriva un modo di vita improduttivo e parassitario.
Per quanto riguarda la condizione degli ebrei all'interno dell'Impero Ottomano è stato rilevato che "malgrado la sua decadenza nel XIX secolo, la Turchia restava fedele al suo atteggiamento liberale nei confronti degli ebrei i quali non avevano di che lamentarsi né del governo né della popolazione musulmana".
Una preziosa testimonianza in merito ci è stata lasciata nella sua corrispondenza diplomatica dal ministro degli Stati Uniti a Costantinopoli, Maynard. Nel 1877, Maynard ordinava ai consoli statunitensi nell'Impero Ottomano di "osservare attentamente la condizione degli ebrei all'interno dei loro distretti consolari e di riferire senza ritardo alla legazione ogni caso di persecuzione o di altro maltrattamento, richiamando su di essi in forma non ufficiale l'attenzione dei governatori o di altre autorità ottomane".
In un dispaccio del 27 giugno al segretario di Stato Evarts, Maynard faceva quella che è stata definita "un'accurata descrizione della situazione degli ebrei in Turchia, prima della prima guerra mondiale":
"Giustizia nei confronti dei turchi vuole che io dica che essi hanno trattato gli ebrei molto meglio di quanto abbiano fatto alcune potenze occidentali dell'Europa. Quando furono espulsi dalla Spagna essi trovarono asilo in primo luogo in Turchia, dove i loro discendenti vivono tuttora, distinguendosi dai loro correligionari per l'uso della lingua spagnola. Prevale l'impressione che sotto il governo turco il trattamento degli ebrei sia migliore di quello dei cristiani. Essi sono riconosciuti come una comunità religiosa indipendente, con il privilegio di avere le proprie leggi ecclesiastiche, e il loro rabbino capo gode, grazie alle sue funzioni, di grande influenza.
Prima dell'Hatti Sherif di Gulhane -il rescritto imperiale del 3 novembre 1839 con il quale il sultano Abdulmecit I inaugurava il periodo delle riforme dell'Impero Ottomano- gli ebrei (come del resto i cristiani, sia pure in misura minore perché protetti dalle potenze europee), pur godendo di una certa autonomia all'interno della loro comunità e pur non incontrando sostanzialmente ostacoli nella pratica della loro religione, erano considerati e trattati come sudditi di seconda categoria e non godevano della pienezza dei diritti riconosciuti ai musulmani. Nulla comunque di paragonabile alle discriminazioni e interdizioni che colpivano gli ebrei nei paesi europei.
On l'atti Sherif di Gulhane, che estendeva le riforme senza eccezione a tutti i sudditi della Porta, "a qualsiasi religione o setta essi appartengano", gli ebrei ottomani avevano ottenuto l'uguaglianza giuridica con gli altri abitanti dell'Impero.
L'Hatti Humayun promulgato dal sultano Abdulmecit I nel febbraio 1886 (alla vigilia della Conferenza di Parigi che avrebbe messo fine alla guerra di Crimea e avrebbe riconosciuto "la sublime Porta ammessa a partecipare ai vantaggi del diritto pubblico e del concerto europeo"), pose su basi giuridiche ancor più salde l'emancipazione della popolazione non musulmana. Le norme del decreto garantivano una completa libertà religiosa e l'eguaglianza di fronte alla legge e al fisco. In particolare venivano abrogate le due maggiori misure discriminatorie che per secoli avevano indicato l'inferiorità dei non musulmani: la tassa per la protezione e il divieto di portare armi. Queste importanti riforme incontrarono l'aspra reazione della popolazione musulmana che si scatenò con violenza inaudita contro i cristiani. L'agitazione anticristiana, caratterizzata da violenze d'ogni genere e da omicidi, culminò nei massacri di Aleppo (1850), Nablus (1856) e Damasco (1860). Va però rilevato che gli "umili e discreti ebrei", che avevano avuto la prudenza di non ostentare l'ottenuta eguaglianza in modo da provocare la suscettibilità dei musulmani, non vennero coinvolti nemmeno marginalmente in questi tragici disordini.
Certo non bisogna farsi un quadro troppo idilliaco dei rapporti tra arabi ed ebrei. Va rilevato tuttavia, che le prime significative manifestazioni di ostilità antiebraica (o più esattamente antisionista) si avranno in Palestina solo a partire degli anni 80 del XIX secolo, quando avrà inizio l'immigrazione sionista nel paese.
Fino a questa data, anche se non mancheranno episodi circoscritti di violenza individuale, gli ebrei subiranno quasi esclusivamente le molestie dei numerosissimi missionari delle varie confessioni cristiane (verso la fine del secolo a Gerusalemme la loro percentuale rispetto alla popolazione totale era incomparabilmente più elevata che in qualsiasi città del mondo), che, essendo proibito per legge far opera di proselitismo tra i musulmani, avevano scelto come campo di evangelizzazione la comunità dei seguaci della religione mosaica e suscitavano con il loro comportamento invadente aspre e interminabili dispute religiose.
Gli ebrei palestinesi, in prevalenza sefarditi, originari cioè del bacino del Mediterraneo, non costituivano un gruppo sociale omogeneo, ma erano frazionati sulla base della diversa origine nazionale, della lingua se ne parlava un vero mosaico: yiddish, arabo, ladino, tedesco, francese, inglese, persiano, georgiano) e delle congregazioni di carità di appartenenza. I vari gruppi conservavano la lingua e i costumi dei paesi d'origine, e poiché non comprendevano la lingua gli uni degli altri, per intendersi tra loro erano costretti a parlare l'ebraico biblico, prima ancora che Eliezer Ben Yehuda resuscitasse l'ebraico dopo oltre duemila anni di letargo. Sul miracolo della riesumazione della lingua ebraica e i suoi limiti si veda quanto ha scritto Arthur Koestler: " I genitori degli ebrei nati in Palestina nel XX secolo erano notoriamente poliglotti; essi sono stati invece educati a una sola lingua, ch'era in letargo da venti secoli quando è stata artificialmente riportata in vita".
Secondo una leggenda saldamente consolidata e ampiamente accettata, e perciò tanto più dura a essere sfatata, gli ebrei, scacciati definitivamente dalle legioni romane, per quasi duemila anni non avrebbero avuta altra aspirazione che tornare in Palestina per rifondarvi il loro Stato nazionale. Nulla di più falso.
Già dopo l'esilio babilonese, che coinvolse oltre al re di Giuda IoIachin e al profeta Ezechiele circa 10.000 dei più importanti ebrei, nonostante l'autorizzazione concessa nel 538 a.C. dal re di Persia Ciro a tornare nella terra dalla quale erano stati deportati, solo una parte di ebrei optarono per il rimpatrio in Palestina: 42360 secondo Esdra. Solo una piccola minoranza approfittò della concessione del permesso di tornare in Palestina e di ricostruire il Tempio e la città di Gerusalemme. La maggior parte, certamente i più ricchi e le famiglie più influenti, furono riluttanti ad abbandonare le loro case e le istituzioni per partire verso nuove avventure. Durante l'intero periodo successivo ebrei vissero in gran numero in tutta la Babilonia, a sud come a nord, sotto i loro dominatori persiani.
A dispetto di tutte le costruzioni fantastiche che sono state fatte in merito dai suoi apologeti, il sionismo è un fenomeno moderno che non affonda le sue radici nella millenaria storia ebraica : il sionismo, naturalmente, inteso come aspirazione politica al ritorno a Sion, nella "terra dei padri", dove solo avrebbe potuto realizzarsi il "destino" del popolo ebraico.
Dopo la prima dispersione (cattività babilonese), che era stata parziale e dalla quale, come si è visto, erano tornati solo una parte degli esiliati e dei loro discendenti, gli ebrei non furono più espulsi in massa dalla Palestina ma se ne andarono spontaneamente.
Contrariamente a quanto è stato sostenuto e si continua a sostenere, la conquista romana di Gerusalemme nel 70 non ebbe come conseguenza l'esilio dalla Palestina degli ebrei, che continuarono a costituire la maggioranza della popolazione in Giudea e in Galilea.
Nemmeno la rivolta antiromana di Bar Kokhba del 132-135 ebbe come conseguenza la cacciata dalla Palestina degli ebrei, che per tutto il II secolo continuarono a vivere in Galilea, in altre regioni della Palestina e nell'attuale Transgiordania. Ancora al tempo della conquista musulmana vivevano in Palestina consistenti gruppi di ebrei che ebbero una parte nel successo arabo contro i bizantini, così come, qualche anno prima, avevano favorito la conquista sassanide della Siria-Palestina.
Gli ebrei, quindi, non sono stati scacciati con la forza dalla Palestina, ma se ne sono andati spontaneamente per motivi economici o di altro tipo, finendo col fondersi con i popoli del bacino del Mediterraneo. "Non di rado l'emigrazione era il risultato di cause economiche come, ad esempio, i movimenti degli ebrei dalla Palestina verso l'Egitto a causa della carestia, o l'emigrazione moderna dall'Europa orientale verso l'America a causa delle difficili condizioni economiche. La tendenza generale del movimento ebraico fino al secolo XIX fu pressappoco la seguente: nella prima metà di questo periodo gli ebrei si spostarono dai paesi di cultura economica inferiore verso paesi di alta cultura economica, come l'Egitto e la Babilonia, mentre nella seconda metà di questo periodo emigrarono da paesi di alta cultura economica verso quelli di cultura economica bassa, come l'Europa orientale o l'Impero Ottomano, dove però erano al riparo dalle persecuzioni".
Dal canto loro, gli ebrei rimasti in Palestina si sono fusi con le altre popolazioni del paese finendo con l'arabizzarsi. Le ricerche etnologiche dimostrano, con buona pace dei sostenitori della "purezza" del popolo ebraico, che gli ebrei contemporanei discendono solo in minima parte dagli antichi ebrei, e sono nella stragrande maggioranza elementi giudaizzati, spesso nemmeno di origine semitica, originari del bacino del Mediterraneo e delle regioni meridionali dell'ex Unione Sovietica, per non parlare degli ebrei neri d'Etiopia, i falascia, solo di recente riconosciuti come ebrei a tutti gli effetti dalle autorità civili e religiose israeliane.
Per 18 secoli la storia della Palestina è rimasta estranea agli ebrei, non per una sorta di coatta cattività, ma per la sostanziale estraneità degli ebrei a questa terra.
David Duke, parlamentare americano, parla sul sionismo
LA NASCITA DEL SIONISMO
Il nazionalismo arabo e quello ebraico (sionismo) si sono venuti formando e si sono manifestati praticamente nello stesso periodo e, benchè siano nati a migliaia di chilometri l'uno dall'altro e in contesti totalmente diversi, erano destinati a incontrarsi e a scontrarsi tra di loro perché avevano in comune la terra sulla quale ritenevano che solo avrebbero potuto affermarsi e svilupparsi.
Esiste la tendenza diffusa a far risalire molto indietro nel tempo l'origine dello spirito nazionale arabo ed ebraico. Il sionismo affonderebbe le sue radici nientemeno che nell'età dei Profeti di Israele, mentre il nazionalismo arabo le affonderebbe nel califfato arabo-musulmano che si formò subito dopo la morte di Maometto nel VII secolo.
In realtà, sia il sionismo sia il nazionalismo arabo sono fenomeni recenti sorti e sviluppatisi nel quadro del risveglio delle nazionalità che ha caratterizzato la storia dei popolo a partire dal XIX secolo.
Teodor Herzl (1860-1904).
TEODOR HERZL
Il maggior artefice della rinascita ebraica e il maggior esponente del sionismo è stato un giornalista e scrittore nativo di Budapest, totalmente assimilato quando aveva cominciato ad occuparsi della questione degli ebrei: Teodor Herzl (1860-1904).
Solo dieci anni della sua breve vita furono dedicati alla causa sionista, ma in questi dieci anni egli seppe dispiegare un'attività così intensa e appassionata da dar corpo, da trasformare in un organismo politico moderno, con un preciso indirizzo teorico e pratico, quello che fino al suo irrompere sulla scena era stato piuttosto uno stato d'animo diffuso ma indistinto e un pullulare di gruppuscoli atomizzati e privi di un preciso punto di riferimento che non fosse una vaga attesa messianica.
L'incontro di Herzl con il sionismo avvenne casualmente nel 1894 quando era uno dei redattori capo dell'autorevole "Neue Freie Presse", uno dei maggiori giornali europei del tempo, e si trovava a Parigi come corrispondente del suo giornale quando esplose il "caso Dreyfuss" che assunse rapidamente un carattere violentemente antisemita.
Profondamente scosso dalla constatazione che l'ostilità antiebraica fosse tanto profondamente diffusa in Europa, Herzl maturò la convinzione che l'assimilazione degli ebrei fosse impossibile e che, quindi, l'unica soluzione concreta della questione che li riguardava fosse la creazione di uno Stato ebraico indipendente.
Convertitosi agli ideali sionisti pubblicò nel 1896 un libretto intitolato "Lo Stato degli ebrei. Saggio di una soluzione moderna della questione degli ebrei".
L' ideale politico di Herzl quale emerge dal suo scritto è l'ideale classista e antidemocratico di un piccolo-borghese mitteleuropeo amante dell'ordine (la polizia dello Stato degli ebrei avrebbe dovuto essere formata dal 10 per cento della popolazione maschile). E' estremamente indicativo il fatto che Herzl si rivolgerà alle masse dei diseredati ebrei dell'Europa orientale, per assicurare un seguito di massa al suo progetto, solo dopo che sarà fallito il tentativo di interessare al progetto sionista gli ebrei ricchi dell'Europa occidentale, con i quale egli si identificava profondamente.
Per Herzl la questione degli ebrei non era né sociale né religiosa, ma era una questione nazionale, perché gli ebrei, nonostante tutti gli sforzi di assimilarsi non vi riuscivano perché avevano perso l'assimilabilità sia perché continuavano ad essere considerati stranieri da tutti i popoli in mezzo ai quali vivevano. L'unica soluzione possibile della questione ebraica era dunque la creazione di uno Stato degli ebrei. Per la realizzazione di questo progetto Herzl contava sull'appoggio delle potenze europee, in particolare di quelle dove era più diffuso l'antisemitismo, alle quali faceva intravedere i vantaggi economici e sociali che avrebbero tratto dall'esodo massiccio degli ebrei.
Come territori dove creare lo Stato degli ebrei Herzl prendeva in considerazione l'Argentina e la Palestina. L'Argentina era uno dei paesi naturalmente più ricchi della terra, molto esteso, poco popolato e con un clima temperato. Quanto alla Palestina, scriveva Herzl, "è la nostra indimenticabile patria storica. Questo solo nome sarebbe un grido di raccolta potentemente avvincente per il nostro popolo. Se sua Maestà il sultano ci desse la Palestina, noi potremo incaricarci di mettere completamente a posto le finanze della Turchia. Per l'Europa noi costituiremmo laggiù un pezzo del bastione contro l'Asia, noi saremmo la sentinella avanzata della civiltà contro la barbarie. Noi resteremmo, in quanto Stato neutrale, in rapporti costanti con tutta l'Europa, che dovrebbe garantire la nostra esistenza. Per quanto concerne i Luoghi Santi della cristianità, si potrebbe trovare una forma di extraterritorialità in armonia col diritto internazionale."
Herzl, come i suoi predecessori non si poneva nemmeno il problema dell'esistenza di altri abitanti nei territori scelti per crearvi lo Stato degli ebrei. Come gli altri sionisti, a parte alcune rare e perciò tanto più lodevoli eccezioni, Herzl condivideva in pieno il pregiudizio eurocentrico secondo cui al di fuori dell'Europa ogni territorio poteva essere occupato dagli europei senza tenere conto alcuno dei diritti e delle aspirazioni degli abitanti. E' questo il peccato d'origine del sionismo che, sorto come movimento di liberazione nazionale del popolo ebraico, era costretto a cercarsi, in una prospettiva colonialistica, un territorio al di fuori dell'Europa perché nel Vecchio Continente non c'era un qualsiasi territorio che potesse essere rivendicato come proprio dagli ebrei.
La realizzazione degli obiettivi del sionismo era quindi condannata a compiersi a danno dei diritti nazionali di un altro popolo senza che, peraltro, la creazione di uno Stato degli ebrei portasse alla soluzione sionista della questione ebraica.
Di ciò si resero pienamente conto i teorici e i sostenitori del "sionismo spirituale", primo fra tutti Asher Ginzberg (Ahad Ha-am), il più lucido e profondo pensatore ebraico dei tempi moderni.
Il libretto di Herzl venne accolto con aspre critiche e ostilità negli ambienti ebraici. Alcuni critici lo considerarono un chimerico ritorno al messianismo medievale. Altri, come il gran rabbino di Vienna Moritz Gudemann, contestarono ""'elucubrazione del nazionalismo ebraico"" sostenendo che gli ebrei non costituivano una nazione e che in comune avevano solo la fede nello stesso Dio, e che il sionismo era incompatibile con l'insegnamento del giudaismo.
L'accoglienza fu fredda anche negli ambienti sionisti, in particolare in quelli dell'Europa orientale per i quali era essenziale la rinascita culturale degli ebrei.
La critica più severa e più pertinente fu quella di Ahad Ha-am, il maggiore esponente del sionismo spirituale secondo il quale nello Stato progettato da Herzl non era dato riscontrare nessuno di quei caratteri specificatamente ebraici, di quei grandi principi morali per i quali gli ebrei avevano vissuto e sofferto e per i quali ritenevano valesse la pena di operare per divenire di nuovo un popolo. Nonostante il poco incoraggiante esito del suo esordio sulla scena sionista nelle vesti di re-messia venuto a salvare e redimere il polo ebraico, Herzl si dedicò totalmente alla causa sionista facendosi instancabile ambasciatore del progetto di creazione di uno Stato degli ebrei presso il sultano, l'imperatore tedesco, il re d'Italia, il papa, i governanti britannici, e i potenti ministri che nell'impero zarista guidavano il movimento antisemita. Egli diede vita alla Jewish Society creando "l'Organizzazione Sionista Mondiale" che guidò fino alla sua morte. Nel 1987 egli organizzò a Basilea il primo congresso sionista mondiale e diede vita all'Organizzazione sionista mondiale, nella quale avveniva l'unificazione organizzativa e programmatica del sionismo orientale e di quello occidentale.
Gli sforzi principali per realizzare gli scopi del sionismo vennero fatti in direzione dell' Impero Ottomano. Herzl propose al Sultano Abdulhamid di risanare il debito pubblico ottomano in cambio della Palestina, ma la proposta venne rifiutata. Herzl si risolse allora di cercare altrove il territorio sul quale creare il focolare ebraico. Nel 1902 Herzl propose al governo di Londra la penisola del Sinai, la Palestina egiziana o Cipro. Il governo britannico, scarsamente entusiasta della prospettiva di un massiccio afflusso nel Regno Unito di ebrei dall'Europa orientale, soprattutto dalla Romania, decise di contribuire alla creazione della sede ebraica in un territorio del Mediterraneo orientale. Scartata per ragioni strategiche l'isola di Cipro, la scelta cadde sulla zona di ElArish, nella costa mediterranea del Sinai ma anche questo progetto cadde perché per approvvigionarlo d'acqua si sarebbe dovuto sottrarne in misura eccessiva da altre zone. Venne allora proposto l'insediamento ebraico nell'Africa orientale, in Uganda. Herzl presentò questa proposta al sesto congresso sionista e qui incontrò la decisa opposizione dei delegati dell'Europa orientale, soprattutto di quelli russi. Il progetto dell'Uganda venne definitivamente abbandonato nel corso del settimo congresso tenuto nel 1905, un anno dopo la morte di Herzl.
Vladimir Jabotinsky (1880-1940)
Un eroe per i sionisti israeliani
IL SIONISMO ARMATO:
JABOTINSKY E IL REVISIONISMO
Nel panorama complesso ed estremamente vario delle ideologie e dei movimenti sionisti, una posizione di eccezionale importanza è occupata dal sionismo revisionista, la tendenza di estrema destra, sciovinista e aggressiva, con venature non superficiali di fascismo, che ha avuto il suo massimo teorico e organizzatore nell'ebreo russo Vladimir Jabotinsky (1880-1940). E questo non solo per la notevole personalità del suo fondatore, ma anche perché, al di là di tutte le apparenze e le dichiarazioni contrarie, quella estremista di Jabotinsky ha finito con l'essere la linea vincente, e perché l'ideologia revisionista ha permeato più profondamente di qualsiasi altra la realtà dello Stato di Israele, fino a diventare l'ideologia ufficiale con la conquista del potere in Israele, nel 1977, da parte di Menachem Begin che di Jabotinsky è il maggior erede.
Il credo politico ed ideologico di Jabotinsky può essere riassunto nei seguenti punti: cessazione del mandato britannico sulla Palestina; creazione immediata di uno Stato ebraico sulle due rive del Giordano (quindi anche in Transgiordania); educazione nazionalistica e militarista della gioventù; antimarxismo, anticomunismo e antisovietismo di principio; conservatorismo economico; rifiuto della lotta di classe; mistica dello Stato; creazione di uno Stato autoritario e corporativo.
(La teoria e l'azione del sionismo armato e revisionista di Jabotinsky ebbero un ruolo fondamentale nella nascita e nello sviluppo dello stato d'Israele. Una delle prove è la così detta "Banda Stern", gruppo terrorista sionista - per i britannici - già attiva in Palestina durante il mandato britannico. Più specificamente, Stern credeva che la popolazione ebraica avrebbe meglio concretizzato i suoi sforzi combattendo i Britannici invece di appoggiarli nella Seconda guerra mondiale e che i metodi violenti avrebbero avuto un effettivo significato nella realizzazione di questi obiettivi. Egli faceva differenza fra i "nemici del popolo ebraico" (ad es. i Britannici) e quanti "odiavano gli Ebrei" (ad es. i nazisti), credendo che questi ultimi dovessero essere sgominati mentre i primi neutralizzati. A tal fine egli avviò contatti con le autorità naziste offrendo loro un'alleanza con la Germania in cambio dell'istituzione di uno Stato ebraico in Palestina... Yitzhak Shamir (che sarebbe più tardi diventato Primo Ministro di Israele), era conosciuto sotto il nome in codice di "Michael", che faceva riferimento a uno degli eroi di Shamir, Michael Collins. Collins era stato il fondatore dell'originaria IRA e un pioniere nell'uso delle tecniche di guerriglia... Per vedere tutta la storia della banda Stern e di come si formò lo Stato d'Israele vedere qui, ndr).
Bombardamento di Gaza - un massacro
I piloti di Israele, smargiassi
fra i cieli azzurri e limpidi
I frutti del sionismo armato
Gideon Levy (ebreo) 02 gennaio 2009
I nostri migliori giovani stanno attaccando in
questo momento Gaza. Bravi ragazzi provenienti da brave famiglie stanno facendo
brutte cose. La maggior parte di essi hanno uno sguardo convinto, deciso,
fiducioso e spesso pieno di alti principi, e così in un Sabato nero dozzine di
loro sono state inviate a bombardare alcuni obiettivi nella nostra "sponda
bersaglio" della Striscia di Gaza.
Era pianificato di bombardare la cerimonia dei diplomi dei giovani ufficiali di
polizia, giovani che avevano trovato una merce rara a Gaza : un lavoro; era
pianificato, e sono stati massacrati a dozzine.
Poi hanno bombardato una moschea, uccidendo cinque sorelle della famiglia
Balousha, la più piccola delle quali aveva 4 anni. Hanno bombardato una stazione
di polizia, colpendo una dottoressa lì vicino; ora giace in stato vegetativo
nello Shifa Hospital, zeppo di feriti e morti.
Hanno bombardato una università che noi in Israele chiamiamo il Rafael
Palestinese, cioè l'equivalente del centro Rafael * di ricerche avanzate per gli
armamenti di Israele, ed hanno distrutto i dormitori. Hanno sganciato centinaia
di bombe dai cieli azzurri senza incontrare alcuna resistenza.
* [ecco il link al sito del Rafael israeliano, una foto.. mille parole:
RAFAEL ndt]
In quattro giorni hanno ucciso 375 persone. Non hanno, nè lo potevano, fatto
distinzione alcuna fra uomini di Hamas e loro figli, fra un poliziotto addetto
al traffico ed un addetto ai missili Qassam, fra un deposito munizioni ed una
clinica, fra il primo ed il secondo piano di appartamenti in condomini
dormitorio zeppi di bambini.
Secondo quando riferito, almeno la metà degli uccisi sono civili innocenti. Non
ci stiamo lamentando della precisione dei piloti, non potrebbe andare
diversamente quando a colpire è un aereo ed il bersaglio è una sottile,
affollata, striscia di terra.
I nostri eccellenti piloti, ora sono degli smargiassi : come negli allenamenti
al volo, hanno bombardato senza la minima difficoltà, senza dover fronteggiare
nè una forza aerea nemica nè un sistema di difesa nemico.
E' difficile valutare cosa pensino ora e come si sentano, ma ciò sembra comunque
irrilevante; vengono valutati in base alle loro azioni ed in ogni caso,
dall'altezza di migliaia di piedi l'immagine a terra risulta irreale come una
macchia di inchiostro del Rorschach.
Agganci il bersaglio, premi il bottone, poi c'è una colonna di fumo nero... hai
fatto un altro "centro." Nessuno di loro vede gli effetti delle proprie azioni,
gli effetti dis-umani a terra.
Certo, la loro mente sarà certamente piena di orribili storie di Gaza - e loro,
di persona, non sono mai stati lì - ma è come se lì non vivesse un milione e
mezzo di persone che desiderano solamente poter vivere con un minimo di onore,
alcuni sono essi stessi giovani, coi loro sogni di studiare, lavorare, tirar su
una famiglia, ma privi della possibilità di realizzare i propri sogni, bombe o
non bombe.
I piloti pensano a loro, pensano ai figli dei rifugiati i cui genitori e nonni
sono già stati strappati alle loro vite ? Pensano alle migliaia di persone che
hanno reso disabili a vita in una zona dove non esiste un solo ospedale degno di
tal nome e mancano del tutto centri di riabilitazione ? Pensano all'odio che
stanno instillando non solo a Gaza ma anche in altri angoli del mondo con le
terrificanti immagini alla televisione ?
Non sono stati i piloti a decidere di muovere guerra, però loro sono i
responsabili che vengono subito dopo. La responsabilità vera va addossata a
quelli che hanno preso la decisione, ma i piloti sono i loro complici.
Quando tornano a casa sono accolti con quegli onori e quel rispetto che noi
riserviamo loro, e sembra non solo che nessuno cerchi di sollevare dubbi morali
su di essi, ma che vengano considerati dei veri eroi di questa guerra in corso.
Il portavoce dell'Esercito Israeliano [Israel Defence Forces, ndt], ha ormai
oltre l'apoteosi nell'elogiare, nei suoi resoconti quotidiani, il "meraviglioso
lavoro" che stanno facendo.
Naturalmente, anch'egli ignora completamente le immagini che giungono da Gaza,
eppure non si tratta di sadici funzionari di Polizia di Frontiera che picchiano
degli Arabi per le strade di Nablus ed il centro di Hebron, o di crudeli
cecchini sotto copertura che a bruciapelo sparano a sangue freddo alle loro
vittime.
Questi sono, come abbiamo detto, "la nostra meglio gioventù".
Forse, se solo facessero i conti con gli effetti del loro "meraviglioso lavoro",
almeno una volta potrebbero rammaricarsi per le loro decisioni e riconsiderare
gli effetti delle loro azioni.
Se dovessero andare anche solo una volta al Jerusalem's Alyn Hospital Pediatric
ed all'Adolescent Rehabilitation Center, dove Marya Aman, sette anni, è stata
ricoverata per quasi tre anni - è una quadriplegica [ senza gambe senza braccia
, ndt ], che porta avanti la sua sedia a rotelle, e la sua vita, spingendo con
il suo mento - potrebbero rimanerne sconvolti.
Questa dolcissima ragazzina è stata colpita a Gaza da un missile che ha ucciso
praticamente tutta la sua famiglia, questo l'operato dei nostri piloti.
Tutto ciò è tenuto ben nascosto agli occhi dei nostri piloti : loro stanno solo
facendo il loro mestiere, come si usa dire, stanno solo eseguendo degli ordini,
come se fossero delle macchine da guerra.
Negli ultimi giorni hanno svolto il compito in modo eccellente, ed i risultati
sono qui ben visibili davanti agli occhi del mondo : Gaza si lecca le ferite,
proprio come il Libano prima, e quasi nessuno si ferma un momento a chiedere se
tutto ciò sia necessario, o inevitabile, o se contribuisca alla sicurezza di
Israele od alla sua immagine morale.
I nostri piloti ritornano veramente a casa senza danni, o non stanno rientrando
dalle missioni diventati persone indurite, crudeli ed accecate?
Bambini di Gaza vittime della guerra
A Gaza i bimbi muoiono per la paura
Fonte web - Scritto il 04 gennaio 2009
Drammatica testimonianza di un sacerdote cattolico. Nella città devastata dall’esercito israeliano i più piccoli non reggono alla pressione dei bombardamenti e sono colpiti da infarto.
Padre Manuel Musallam, parroco di Gaza e direttore della scuola cristiana Holy Family, ha detto questa mattina: “Qui non si muore solo per i bombardamenti, ma anche per la paura e i bambini sono le prime vittime”. Il sacerdote ha reso noto che questa mattina una bimba di 12 anni, della famiglia Abu Ras, è morta di infarto nella propria casa ed ha aggiunto: “Non l’hanno potuta nemmeno portare in ospedale perchè è troppo lontano”.
Venerdì scorso un’altra studentessa della scuola cristiana Holy Family , Christine Ouadiah Turk era morta stroncata da un attacco cardiaco dopo un attacco aereo israeliano.
Padre Musallam ha voluto aggiungere: “I bambini stanno letteralmente impazzendo a causa dei bombardamenti, piangono e gridano continuamente. Sono in una condizione di stress costante”. Il preste è il preside dell’unica scuola cristiana di Gaza.
Ieri notte un ordigno è stato sganciato da un bombardiere di tel Aviv a circa 50 metri dalla chiesa e a 30 metri dal convento delle suore. Il religioso ha voluto ricordare che a Gaza è in corso una crisi umanitaria senza precedenti: “La gente usa la farina destinata agli animali per cucinare. L’altro giorno un panettiere si vergognava a darmi il pane perchè diceva che era troppo impuro per un prete”.
In città l’erogazione di energia elettrica è saltuaria, ma nella parrocchia di padre Musallam c’è un generatore elettrico a gasolio: “Molta gente viene qui per cucinare o per ricaricare il telefonino”. In nove giorni di assedio oltre a obiettivi militari sono state colpite diverse case, strade, caserme della polizia, uffici governativi e sette moschee.
“E’ vero, ci sono i miliziani qua ma la maggior parte degli abitanti di Gaza sono povere persone, innocenti. Anche i poliziotti uccisi i primi giorni. Loro lavoravano per Hamas ma non appartenevano a quel movimento. Anch’io sono sotto il governo di Hamas. Questo significa che sono un terrorista?”
UN ALTRO MEDIORIENTE È POSSIBILE
Creare una Comunità Economica Mediorientale tra Israele e i suoi
cinque paesi confinanti: Egitto, Giordania, Palestina, Siria e Libano. La road
map e la ricetta dei "due popoli-due stati" sono inattuabili: a lungo termine si
dovrà costruire un unico stato confederale con due cantoni palestinesi a
maggioranza araba nell'attuale Israele e due cantoni ebraici in West Bank
attorno ai due maggiori insediamenti israeliani. E Gerusalemme capitale
condivisa. Questa è la sola soluzione del conflitto mediorientale che a lungo
termine garantisca pace e stabilità nella regione. A sostenerlo è Johan Galtung,
fondatore dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace (PRIO) di Oslo,
esperto in risoluzione dei conflitti e mediatore per le Nazioni Unite nelle zone
calde del pianeta. In una serie di conferenze e dibattiti a Tel Aviv e a
Ramallah, Galtung ha recentemente esposto ai diretti interessati questa sua
originale proposta per la soluzione del conflitto. All'innalzamento di barriere,
oppone l'abbattimento della sovranità degli stati e la creazione di spazi comuni
di tipo autonomo e federale, a sovranità condivisa. Cerchiamo di capire in
profondità di cosa si tratta.
La proposta di Galtung si basa per prima cosa su un'attenta analisi dell'attuale
situazione in Medioriente, dominata dalle tre C: crisi (la guerra), complessità
(il retroterra politico e religioso) e consenso (che entrambe le leadership
devono ricercare). Sul versante israeliano come su quello palestinese, si
possono identificare inoltre tre correnti culturali che cercano di ottenere
l'egemonia sulle altre. In Israele:
1) Il "sionismo forte", che, nella versione teorizzata da Jabotinsky, vuole una
Israele allargata e religiosa e sostiene nei paesi arabi confinanti (e persino
nell'ANP di Abu Mazen) dei regimi fantoccio, permeabili al controllo israeliano.
2) Il "sionismo debole", che sostiene l'idea di Sion come casa di tutti gli
ebrei. Non uno Stato etnico, bensì il riconoscimento paritario di tutte le varie
popolazioni.
3) Il "sistema statale", che si basa su uno stato democratico privo di
connotazioni etniche o religiose.
Sul versante palestinese, le principali correnti sono:
1) Il "fondamentalismo coranico", che vuole la creazione di un califfato
islamico su tutto il territorio dal fiume giordano al mare.
2) Il "modello Ottomano", che prevede la convivenza delle varie popolazioni
fianco a fianco.
3) Il "sistema statale", analogo alla sua versione israeliana.
Il confronto tra queste diverse opzioni culturali si articola in nove possibili
combinazioni, che hanno segnato gli ultimi sessant'anni di storia mediorientale.
Ne possiamo citare alcune. Il sionismo forte e il fondamentalismo islamico si
alimentano a vicenda in una spirale di guerra permanente. Il sionismo debole, se
confrontato col fondamentalismo coranico, evolverà in uno stato a maggioranza
ebraica, in cui i palestinesi sono cittadini di seconda classe. Quando si
trovano a dialogare le due anime del "sistema statale", si dà allora la
possibilità della soluzione dei due stati, attualmente rappresentata nella road
map. Questa prospettiva si basa su varie risoluzioni dell'Onu e sulla proposta
di pace della Lega Araba. Tuttavia, da parte israeliana, questa proposta non
riscontra alcun consenso. Lo sproporzionato rapporto di forza tra lo stato
israeliano e la resistenza palestinese rende inappetibile questa soluzione alla
leadership sionista israeliana, che sul campo perderebbe il proprio vantaggio.
Un passo essenziale che Israele deve compiere a lungo termine, se vuole
stabilizzare e pacificare la regione, è l'evoluzione verso uno stato
plurietnico, ovvero riconoscere eguali diritti alle proprie minoranze.
Altrimenti, non è chiaro fino a quando la minoranza di arabi-israeliani potrà
continuare a subire la discriminazione, prima di esplodere come e peggio che nei
tumulti del 2000, contemporanei allo scoppio della Intifada di Al Aqsa.
Recentemente, si sta assistendo ad una nuova e forte presa di coscienza della
comunità palestinese in Israele, che chiede a gran voce il riconoscimento dei
diritti. Tuttavia, questo processo richiederà molto tempo. Al mondo ci sono
soltanto quattro esempi di paesi plurietnici, in cui tutte le minoranze godono
di pari diritti: India, Malesia, Belgio e Svizzera; ed è noto in questi casi
quanto ci sia voluto per raggiungere il traguardo. A breve termine, dunque, ci
si dovrà accontentare di uno stato ebraico di tipo etnico: il suo problema sarà
dunque avere dei confini sicuri. Ma la sicurezza può venire soltanto dalla pace.
Alla luce di questa analisi, entra in gioco la proposta di Galtung di una
Comunità Economica Mediorientale, mutuata per analogia dalla geniale intuizione
di Schumann della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio del 1951. Galtung
ama ripetere agli israeliani "Studiate la storia della giovane Comunità Europea,
potreste leggere il futuro dello stato d'Israele." Nell'Europa del secondo
dopoguerra, infatti, il modo efficace per fermare le mire espansionistiche
tedesche e assicurare pace al continente fu quello di creare una confederazione
di stati e inglobare la Germania all'interno di un soggetto più ampio. Negli
anni sessanta, prima della creazione della CEE nel 1968, la secolare idea della
superiorità della nazione tedesca capitolò definitivamente, per dissolversi
nello spazio del mercato comune. L'idea della CEE, inizialmente dileggiata come
una impraticabile utopia, si è rivelata una formidabile ricetta per garantire
pace e stabilità al continente.
La soluzione delle tensioni in Medioriente, dunque, potrebbe essere la creazione
di una entità sopranazionale di tipo orizzontale tra i sei stati confinanti. Il
primo passo è la creazione di uno Stato federale israelo-palestinese. La
soluzione "due popoli-due stati", come abbiamo già visto, sembra irrealizzabile.
Intanto poiché l'idea di Stato-Nazione moderno è ormai obsoleta e in progressiva
estinzione. In secondo luogo, perché la realtà sul campo rende impossibile tale
scenario: una grande minoranza palestinese in Israele e circa mezzo milione di
coloni israeliani insediati oltre la Linea Verde. In una soluzione federale, le
due minoranze godrebbero di larghe autonomie, all'interno dello stesso
territorio, con due cantoni ebraici in Palestina e due cantoni arabi in Israele.
Gerusalemme diventerebbe la capitale federale, una città amministrata in comune
su base internazionale e con libertà di movimento al proprio interno. Sarà
necessaria in un primo tempo una massiccia presenza di truppe internazionali per
garantire la sicurezza di entrambi i fronti. Un secondo passo sarebbe la
formazione di due entità sopranazionali sull'esempio del Benelux: da una parte
Israele, Giordania e Palestina, dall'altra Egitto, Siria, Libano, entrambi i
blocchi naturalmente più affini per la loro storia recente. Naturalmente, si
tratta di un processo graduale, proprio come i trattati economici graduali del
secondo dopoguerra europeo, dato che i paesi arabi si sentono ora fortemente
minacciati da Israele. Si arriverebbe infine ad una situazione ibrida, in cui ai
vari sistemi statali nazionali, controllati dai rispettivi governi, si
affiancherebbe un sistema funzionale, simile alla commissione europea, che
regola la cooperazione tra i vari soggetti, su base paritaria. Da questo punto
di vista, la soluzione intermedia "due popoli-due stati" sarebbe
controproducente, perché per arrivarci si creerebbero enormi tensioni tra le
rispettive minoranze.
Questa la proposta di Johan Galtung, che racconta di essere stato l'artefice di
un recente successo importantissimo, anche se passato sotto silenzio, la
mediazione tra il governo danese e la comunità islamica sulla questione delle
vignette di Maometto nel Febbraio scorso. In quel caso, il successo della
mediazione si è basato su tre punti. Il riconoscimento del proprio errore da
parte del governo danese, "Molto diverso dal chiedere scusa," afferma Galtung,
"perché chiedendo scusa si giustifica la rabbia dell'altro." In secondo luogo,
le due parti sono entrate nei dettagli di cosa rappresentasse un riconoscimento
adeguato dell'errore, dando il via al negoziato e alla riconciliazione. In terzo
luogo, discutendo le prospettive per la soluzione dei problemi della minoranza
musulmana in Danimarca si completa il processo di riconciliazione. Galtung
suggerisce di utilizzare lo stesso schema risolutivo nel caso del conflitto
israelo-palestinese. Come primo passo, Israele deve riconoscere ufficialmente la
Naqbah palestinese, cioè i massacri e la deportazione dei palestinesi che hanno
portato all'insediamento dello stato ebraico. Questo riconoscimento
rappresenterebbe già un grande passo nella soluzione del problema dei profughi
palestinesi, che a quel punto potrebbe essere contrattato nei dettagli. Un altro
esempio di questo approccio costruttivo alla soluzione dei conflitti, secondo
Galtung, è la linea politica di Zapatero in Spagna dopo la strage di Madrid del
2004. Invece di bombardare seduta stante Rabat, "o magari i suoi quartieri
meridionali...", ironizza Galtung pensando alla Beirut distrutta nelle recente
guerra, la Spagna decide di ritirare le truppe dall'Iraq, per evitare di essere
percepita come potenza occupante, regolarizza 500.000 immigrati clandestini, per
lo più marocchini, e riconosce ufficialmente la responsabilità spagnola della
cacciata dei musulmani dalla penisola nel quindicesimo secolo. Risultato: non si
è più parlato di terrorismo islamico in Spagna.
Galtung lascia il Medioriente con un pensiero di speranza: citando Desmond Tutu,
"se è riuscito il miracolo di risolvere l'apartheid in Sudafrica, allora anche
il conflitto mediorientale può essere risolto. A volte i miracoli accadono."
L'idea giusta può indicare la via e creare una speranza che si autoalimenta. In
fondo questo è il mestiere in cui si riconosce Johan Galtung: "I create some
scenario and hang it on the wall, hoping that it is so attractive that it just
says: Do me!." (Io creo qualche scenario e lo appendo al muro, sperando che sia
così attraente da dire: usami! ndr)
APPROFONDIMENTO
Livni, l’omicidio non è femminista
le voci del pacifismo israeliano contro la guerra... Dove c’e’ guerra, non c’è verità e soprattutto non c’è più diritto al dissenso. Le voci critiche vengono ignorate o tacitate. Ogni prospettiva viene falsata. Emergono soltanto le "verità" ufficiali, e persino le immagini trasmesse possono essere (...)
Stragi a Gaza: come i media occidentali
Il modello di costruzione delle news che ha
unificato i tg di Rai e
Mediaset nella copertura della
crisi di Gaza viene da lontano... Il
Glasgow Media Group, una rete di accademici e ricercatori britannici che si
occupa da oltre un trentennio di monitorare i media del Regno Unito, ha
pubblicato nel 2006 un interessante testo di analisi sulla copertura che i media
inglesi e scozzesi hanno dato al conflitto israelo-palestinese.
La guerra-lampo che snatura Israele
Di Gad Lerner
Nella Chiesa cresce
la fronda pro Palestina
L’equiparazione tracciata dal cardinale Renato Martino tra Gaza e i campi di concentramento ha rinfocolato la polemica ebraica con il Vaticano «antisionista» e ha suscitato la sdegnata protesta del governo israeliano: «La Santa Sede fa propaganda per Hamas». In realtà, nei Sacri Palazzi, il ministro di «Giustizia e Pace» non è l’unico a ritenere che non ci sarà pace in Terrasanta «finché non lo vorranno i padroni ebrei della finanza e della politica Usa.
L'ex Presidente USA Carter accusa Israele
«Hamas ha rifiutato la tregua dell’ONU», strepita la grancassa.
Effettivamente, in poche ore è avvenuto un fatto inaudito: gli Stati Uniti si
sono astenuti (anzichè porre il veto come al solito) in una risoluzione del
Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiede ai due contendenti di cessare il
fuoco, e la risoluzione è – incredibilmente – passata. Poi, «Hamas ha rifiutato»
questa tregua. Ha rifiutato anche Israele, ma con la scusa in canna. Ora si
capisce che l’astensione USA – che abbiamo creduto un segno di cambiamento
d’atmosfera a Washington – era solo un altro trucco, perchè Israele continui a
massacrare.
(1) COME ISRAELE HA PORTATO GAZA SULL’ORLO
Si può trovare un senso all’insensata guerra di Israele contro Gaza solo
capendo il contesto storico. La creazione dello stato di Israele nel 1948 fu
causa di un’enorme ingiustizia verso i Palestinesi. I politici britannici mal
tollerarono la faziosità degli Stati Uniti verso il neonato stato. Il 2 giugno
1948, sir John Troutbeck scrisse al ministro degli esteri che gli Statunitensi
erano responsabili della creazione di uno stato canaglia guidato da «un gruppo
di capi del tutto privo di scrupoli». Pensavo che questo giudizio fosse troppo
duro, ma la brutale aggressione di Israele al popolo di Gaza, e la complicità
dell’amministrazione Bush, ha riaperto la questione.
Il Lehi (IPA: /'lɛxi/,
ebraico acronimo per Lohamei Herut Israel, "Combattenti per la Libertà
d'Israele", più corrivamente noto come Banda Stern) fu un gruppo sionista che è
stato definito terroristico dai sui avversari e patriottico dai suoi
sostenitori. Esso operò nel corso del regime mandatario britannico ed ebbe come
obiettivo l'allontanamento di Londra dalla Palestina, per consentire
l'immigrazione senza restrizioni di Ebrei e la formazione di uno Stato ebraico.
Le autorità britanniche chiamarono tale gruppo "Banda Stern" (a causa del suo
primo comandante, Avraham Stern): un'etichetta che sottolineava la metodologia
terroristica del gruppo e che viene conservata da allora nelle varie
elaborazioni storiche.
LO STATO DI ISRAELE: la storia
Lo Stato d'Israele
(in ebraico: מדינת ישראל [?], Medinat Yisra'el; in arabo: دولة اسرائيل, Dawlat
Isrā'īl) è uno stato del Vicino Oriente che si affaccia sul Mar Mediterraneo.
Confina con l'Egitto a Sud, la Giordania a Est, il Libano a Nord e la Siria a
Nord-Est. La popolazione israeliana superava i sette milioni di abitanti nel
2006. È l'unico Stato a maggioranza ebraica al mondo (circa il 76,4% della
popolazione), con una consistente minoranza di arabi (in prevalenza di religione
musulmana, ma anche cristiana o drusa).[4] L'attuale stato d'Israele è sorto il
14 maggio 1948, alla scadenza del Mandato britannico della Palestina.
L'esilio degli ebrei? un mito.
La tesi di Shlomo Sand: è solo parte
dell'ideologia nazionalista e sionista. «La diaspora? Convertiti». Polemiche e
dibattiti, il libro è tra i più venduti. «L'esilio degli ebrei, un mito». Uno
storico scuote Israele. È come il sesso: non se ne parla davanti ai bambini.
Cari colleghi, voi lasciate che i piccoli imparino falsità: è ora di parlare di
sesso
GERUSALEMME — I bambini israeliani la imparano a memoria: «Dopo essere stato
forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso
tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno e nel
ripristino della sua libertà politica». È la Dichiarazione d'indipendenza,
insegnata nelle scuole da quando David Ben-Gurion la firmò il 14 maggio di
sessant'anni fa. Parole che un professore dell'università di Tel Aviv ha deciso
di smontare come «mitologia nazionalista». Il suo saggio è entrato in due
settimane nella classifica dei cinque più venduti, al primo posto tra i più
discussi e criticati.