ANCHE IL CREATO È IN FIBRILLAZIONE

ma i governi e la nasa tacciono

 

Ghiacci polari che si sciolgono, neve su Marte, esagoni su Saturno e triplici macchie su Giove. CHE COSA STA ACCADENDO E DI CHI LA COLPA?

DEL SOLE DIVENTATO TROPPO CALDO O DELL'ARRIVO DI UN PIANETA "INVASORE" CHE OGNI 3600 ANNI FA LA SUA COMPARSA nel NOSTRO sistema solare, PORTANDO SCOMPIGLIO NEL DELICATO EQUILIBRIO DEI PIANETI? I GOVERNI E la nasa sanno che il "pianeta x" È in viaggio verso il nostro sole, ma TACCIONO PER EVITARE IL PANICO DA APOCALISSE.

SONO FORSE GIUNTI I TEMPI DEL CAMBIAMENTO profetizzati DA SAN PAOLO?

 

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto (Rom 8,19-22)

Che sia questo il tempo del trionfo del cuore immacolato di Maria, promesso a Fatima?

Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte. Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell'uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria. (Mt 24,29-30)

 

 

INTRODUZIONE

Mai negli ultimi 1150 anni il Sole ha emesso tanta energia come ai giorni nostri. In particolare ricercatori dell’Earth Institute della Columbia University americana, analizzando i dati raccolti da 6 diversi esperimenti con satelliti di NASA, NOAA ed ESA, hanno recentemente evidenziato un aumento dell’ordine di circa 0,05 per cento per decennio, a partire dal 1978, della TSI, sigla che corrisponde alla Total Solar Irradiance, ovvero l’energia elettromagnetica che la Terra riceve dal Sole su tutte le lunghezze d’onda.

Ma può bastare il Sole per spiegare un così evidente aumento di temperatura anche nei pianeti ai confini del Sistema Solare? Forse sì e forse no! Qui esamineremo due ipotesi: a) l'influenza del sole sull'aumento della temperatura nel sistema solare (terra compresa); b) l'avvicinamento al sistema solare di un corpo celeste (conosciuto dalla NASA ma non rivelato) che ogni 3600 anni compie la sua orbita intorno al sole. Questo corpo celeste sarebbe il famoso decimo pianeta o Nibiru, secondo la mitologia sumerica, situato al di là del sistema solare e grande più o meno come Giove e che ora starebbe tornando.

Il suo ritorno, previsto verso il 2012, avrà l'effetto di portare un certo scompiglio nel nostro ordinato sistema solare o se preferite un'altra immagine sarà un po' come se un elefante entrasse in un negozio di porcellana, per quanto egli cercasse di stare attento qualche tazzina(*) potrebbe ugualmente cadere. Non per niente nell'antica civiltà sumerica lo chiamavano "Nibiru", il pianeta del cambiamento!

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(*) Per effetto della sua potente forza gravitazionale il pianeta x potrebbe, durante la sua corsa, aver agganciato a sé piccoli asteroidi o meteore i quali, a loro volta, potrebbero essere catturati al loro passaggio dalla forza gravitazionale dei pianeti del sistema solare, Terra compresa. Anche l'Apocalisse di san Giovanni parla di una "stella" ardente che cade al suolo al suono della terza tromba... (Ap 8, 10)

 

 

È il nostro sole l'unico responsabile della febbre del Sistema Solare,

 oppure bisogna cercare anche oltre i confini dei nove pianeti conosciuti?

Là dove un pianeta sta tornando dopo un viaggio di 3600 anni... 

 

 

La febbre climatica del Sistema Solare

Ghiacci polari che si sciolgono, neve su Marte, esagoni su Saturno e triplici macchie su Giove. Il 2012 si avvicina ma per la scienza è tutto normalissimo, anzi inspiegabile. 

Fonte web
 

Ci sono stati molti momenti salienti nella storia dell’umanità: il 1945 verrà ricordato per le esplosioni atomiche di Nagasaki e Hiroshima, il 1963 per l’omicidio di Kennedy, il 1969 per la conquista della Luna (forse) e il festival di Woodstock. Il 1979 per il trattato SALT II di non proliferazione nucleare, il 1981 per l’attentato a Woityla.
E il 2008? Lungi dall’essere annoverato come l’anno della ripresa economica dell’Italia, ancora alle prese con problemi vecchi e privilegi del tutto nuovi della casta dirigente, ormai ingiudicabili persino dalla legge, quest’anno verrà ricordato per l’estate in cui il Polo Nord si sciolse.
Per carità, i Poli perdono ghiaccio ogni estate, in percentuale, e i più sereni d’animo si affretteranno a dire che noi “catastrofisti” siamo sempre pronti a gridare al lupo per ogni bazzecola. Eppure, tutte le principali testate scientifiche si sono ritrovate, loro malgrado, a dover diffondere una notizia tanto inattesa quanto imbarazzante: la scorsa estate, mentre noi cercavamo refrigerio tra gli ombrelloni della riviera o in un sorso di granatina alla menta, per la prima volta nella storia documentata il Polo Nord si è ritrovato completamente libero dai ghiacci, che loro malgrado si sono ritirati dai cocenti e onnipresenti raggi solari sulle lontane coste del Canada.

Quest’estate i giornali titolavano così:
“L'Artico può essere circumnavigato, è la prima volta in 125mila anni”
L’articolo spiegava che per la prima volta a memoria d'uomo sarà possibile circumnavigare l'intero Polo Nord. «Foto satellitari scattate due giorni fa mostrano che lo scioglimento dei ghiacci verificatosi la settimana scorsa ha finalmente aperto contemporaneamente sia il favoleggiato Passaggio a Nord-Ovest che il passaggio a Nord-Est. A dimostrarlo sono immagini scattate da satelliti NASA. Il Passaggio Nord Ovest, nel territorio canadese, si è aperto nello scorso fine settimana, mentre l'ultima lingua di ghiaccio che ostruiva il Mare di Laptev, in Siberia, si è disciolta qualche giorno dopo.»

Un evento clamoroso che, se da un lato corona il sogno secolare di generazioni di esploratori, navigatori e viaggiatori, dall'altro rappresenta un preoccupante segnale dell'accelerarsi del processo del riscaldamento globale. Negli scorsi decenni, in varie occasioni si è verificata la situazione dell'apertura dell'uno o dell'altro passaggio ma mai era accaduto che entrambe le due misteriose porte dell'artico si dischiudessero simultaneamente. Questo è solo l'ultimo segnale della crisi dell'intero ecosistema artico. Solo poco tempo fa, il National snow and ice data center (NSIDC) statunitense aveva informato che quest’anno l'estensione globale del ghiaccio artico è prossima a battere il record negativo, dello scorso anno, di 4,14 milioni di chilometri quadrati: un valore inferiore di oltre un milione di metri cubi al record precedente, fissato nell'estate 2005. In due anni, i ghiacci del Polo Nord si sono ritirati per un'estensione grande quattro volte l'Italia.

L’estate del 2008, i turisti sono stati fatti evacuare dal Parco Nazionale Auyuittung, nell'Isola di Baffin, la grande isola del Nunavut canadese situata a occidente della Groenlandia, a causa dello scioglimento dei ghiacci: "Auyuittung", in lingua inuit, significa "terra che non scioglie mai"... E sempre estiva è la notizia che nove orsi polari, rimasti senza habitat, sono stati visti nuotare in mare aperto, dopo un immenso crollo nel ghiacciaio Petermann, in Groenlandia, in un'area che si riteneva ancora immune dagli effetti del global warming.
Ma è la simultanea apertura del Passaggio Nord Ovest, intorno al Canada, e del Passaggio Nord Est, intorno alla Russia, a costituire un vero e proprio choc. Non accadeva, secondo i climatologi, da almeno 125mila anni. Dall'inizio dell'ultima era glaciale erano rimasti entrambi bloccati: nel 2005 si era aperto solo il Passaggio Nord Est, l'estate seguente era accaduto il contrario.

«I passaggi sono aperti, è un evento storico, ma con il quale dovremmo abituarci a convivere nei prossimi anni», ha confermato il professor Mark Serreze, uno specialista di mari ghiacciati del NSIDC, sottolineando però che le autorità marine dei Paesi interessati potrebbero essere riluttanti ad ammetterlo, per evitare di essere citate a giudizio dalle compagnie di navigazione, le cui imbarcazioni dovessero incontrare ghiaccio e subire danni.

Gli armatori però sono tutt'altro che disinteressati. Il “Beluga Group” di Brema, ad esempio, ha già fatto sapere che manderà navi dalla Germania al Giappone via Passaggio Nord Est, con un taglio netto di 4000 miglia nautiche, quasi 7.500 km , rispetto alla rotta tradizionale. E il premier canadese Stephen Harper ha già fatto sapere che chiunque volesse attraversare il Passaggio Nord Ovest dovrebbe fare riferimento ad Ottawa: un punto di vista, questo, che non piace agli USA, che considerano quella parte di Artico acque internazionali.
I climatologi però rimarcano che simili dispute potrebbero essere irrilevanti, se il ghiaccio continuasse a sciogliersi al ritmo attuale. In tal caso, infatti, sarebbe possibile navigare direttamente attraverso il Polo Nord, completamente liberato dai ghiacci. Evento questo, che fino a poco tempo fa si riteneva possibile che dal 2070. Ora, però, molti studiosi indicano il 2030 come l'anno entro il quale l'Oceano Artico sarà completamente fluido in estate, mentre uno studio del professor Wieslaw Maslowski, della Naval Postgraduate School di Monterey, California, arriva a concludere che già dal 2013 il mare sarà completamente aperto da metà luglio a metà settembre. Il "punto di rottura", l'evento che ha ulteriormente accelerato il processo di scioglimento, è costituito dalla perdita-record di massa ghiacciata, dello scorso anno: le masse solide sono scese a un livello che non si attendeva fino al 2050, mandando all'aria tutti i calcoli prodotti fino a quel momento.

Pianeti in tempesta

Naturalmente queste notizie sono preoccupanti, specie per chi ha letto diverse antiche profezie su di un possibile cataclisma situato cronologicamente attorno al 2012, o per tutte quelle numerose persone che da tempo hanno dei sogni ricorrenti su di un’onda titanica che sommerge persone e città. Ma a chi afferma, come l’ex-quasi Presidente USA Al Gore, che i cambiamenti climatici sono unicamente colpa del nostro inquinamento, andrebbe spiegato che il fenomeno dei cambiamenti di clima non appartiene solo alla Terra, ma appare - con un bizzarro crescendo rossiniano - in tutti i pianeti del nostro Sistema Solare.

È di poco fa la notizia, alquanto sconcertante, della neve su Marte. Fino a ieri gli scienziati della NASA o gli esperti di astronomia di tutto il mondo, alla domanda se su Marte fosse possibile una bella nevicata, vi avrebbero risposto di no, accompagnando la loro affermazione scientificamente sicura al 100% con una smorfia di compatimento e l’atteggiamento superiore di chi spiega al nipotino un po’ lento nell’apprendere le cose fondamentali della vita. Pochi giorni fa, lo shock. Nevica su Marte, evento ripreso sia dalle sonde orbitali che da quelle sul suolo marziano, come la Phoenix. L ’evento è circoscritto a poche zone, e la neve si è sciolta prima di toccare terra, ma l’evento, stimato come “assolutamente impossibile” dagli astronomi, ha lasciato tutti di stucco. 
«Non si è mai visto niente del genere su Marte prima d'ora - ha dichiarato Jim Whiteway, docente di ingegneria spaziale dell'università di York, a Toronto (Canada) - ora siamo alla ricerca di possibili segni lasciati in passato dalla neve sul terreno». Il primo passo è stato cercare le tracce di antiche nevicate marziane nei campioni di terreno analizzati dal laboratorio Tega (Thermal and Evolved Gaz Analyzer) a bordo di Phoenix: i dati, rileva la Nasa , mostrano la presenza di carbonato di calcio e particelle simili a terra argillosa. «Sulla Terra la maggior parte dei carbonati e dell'argilla si sono formati solo in presenza di acqua liquida. Questo - secondo l'esperto - potrebbe confortare l'ipotesi di precipitazioni anche sul suolo di Marte». 

Insomma gli scienziati “ufficiali” e accademici sono sempre pronti a smentire le ricerche di frontiera di chi cerca di trovare spiegazioni innovative e alternative a quelle ufficiali, salvo poi rimanere letteralmente senza parole e senza spiegazioni di fronte all’imprevisto. Persino sul sito della NASA, al riguardo, oltre una stringata spiegazione degli eventi, appare solo un laconico «Le analisi sono ancora in corso».

Tre cicloni su Giove

Intanto, adesso sono tre le Macchie Rosse di Giove. Quanti si sono interessati al gigantesco pianeta Giove, avranno certo sentito parlare della Macchia Rossa, un immenso vortice che viene osservato fin dal 1665 (la scoperta è attribuita al nostro Cassini, fors'anche preceduto l'anno prima dall'inglese Hooke) nell'atmosfera di questo mondo e che si presenta con apparenze cangianti, a seconda del livello che raggiunge tra i fitti strati nuvolosi che avviluppano la mostruosa palla planetaria di idrogeno e di elio che è Giove. La macchia può presentarsi più o meno nettamente delineata, talvolta si decolora e quasi sparisce, altre volte appare di un rosa-arancione più o meno carico. In dimensioni supera di tre volte il diametro della Terra, in cifre sono circa 40 mila chilometri. Sul perché si sia formata e continui a cambiare apparenze non è facile rispondere : la Macchia probabilmente è il frutto del continuo sfioramento fra le grandi bande che solcano il pianeta, al confine fra quella sudequatoriale e la "zona" più chiara che la affianca: da questo deriverebbe pure il suo moto di rotazione, che non è uniforme e si accompagna a una certa "deriva" della Macchia in longitudine, in un'atmosfera che è tutta in movimento.
La macchia è alimentate sia dal calore che Giove riceve dal Sole che da quanto ne risale dal suo stesso interno, in cui predominano largamente composti di idrogeno e di elio, i due gas più leggeri.

In ogni caso, nel 2006 il telescopio spaziale "Hubble" individuò una seconda formazione lenticolare non lontano dalla Macchia Rossa e di dimensioni sensibilmente minori, che ricevette il nome di Red Spot Jr. Ma recenti osservazioni ne hanno messo in evidenza pure una terza, segnalata da Andrei Cheng dell'università John Hopkins: come è possibile che nell'arco di pochi anni siano apparsi questi oggetti la cui formazione chiama in gioco notevoli energie? E come si verifica tutto ciò? Il clima di Giove sta cambiando, forse è tutta l'atmosfera del pianeta che si scalda, come avviene oggi sulla Terra, dove si registra un notevole aumento di intensità e di numero degli uragani. C'è un perché di queste variazioni climatiche del gigantesco Giove? Forse le nuove macchie ci aiuteranno a capirlo, e non si esclude che possano fondersi, dando luogo a una macchia grandissima, come quelle talvolta apparse e osservate a lungo su Saturno, altro pianeta su cui si scatenano tali uragani. Quanto alle colorazioni rossastre, vengono attribuite a vapori di zolfo.

I vortici polari di Venere

Ma le anomali climatiche non riguardano solamente Marte: già nel Novembre del 2006 la navicella europea «Venus Express» svelò dei giganteschi vortici atmosferici che si avvitavano intorno ai poli del pianeta Venere. Secondo alcuni ricercatori, i fenomeni sono interessanti in sé, ma diventano ancora più interessanti se messi a confronto con fenomeni analoghi che avvengono sulla Terra. La «planetologia comparata» è una delle tante nuove discipline scientifiche che l’esplorazione dello spazio ha reso possibile.
L’atmosfera di Venere compie un giro intero del pianeta nell’arco di quattro giorni. La sonda della Nasa Pioneer Venus 25 anni fa scoprì il vortice polare Nord. Le immagini erano a risoluzione molto bassa, ma nel 2006 Venus Express ci mostrò particolari minutissimi. La cosa singolare è che questo ciclone Nord aveva due «occhi»: due tornadi in uno. Quando la sonda europea nell’aprile 2006 è arrivata in vista di Venere, subito gli scienziati dell’Esa sono andati a vedere se il polo Sud di Venere avesse un ciclone simile: e in effetti ce l’ha. Questi vortici polari, presenti anche su Giove, Saturno, Urano e Nettuno, sia pure con diversa intensità, sono la chiave per capire come funzionano le atmosfere di questi pianeti. Ogni vortice risente, naturalmente, della Forza di Coriolis, una componente trasversale dovuta alla rotazione del pianeta. E poiché la velocità di rotazione varia molto da pianeta a pianeta (per esempio Giove ruota molto rapidamente e Venere molto lentamente), la Forza di Coriolis contribuisce al diverso aspetto dei vortici polari.

«Siamo però ancora lontani - dice Pierre Drossart, astronomo dell’Osservatorio di Parigi - dall’aver compreso la genesi dei vortici polari di Venere: qui la Forza di Coriolis è debolissima, e certamente ciò ha a che vedere con i due lobi in cui si suddivide il ciclone, formando i suoi due “occhi”. Il meccanismo preciso tuttavia ci sfugge».

Agli scienziati il meccanismo di questi cicloni “sfugge”. Si tratta di una meccanica del sistema solare che Maya e antichi Sumeri avevano compreso benissimo, ma quando qualche ricercatore indipendente prova a farlo notare agli accademici, questi sostengono che è impossibile per dei selvaggi aver trovato soluzioni che a loro sfuggono. Un ottimo esempio in questo senso sono i Dogon. I Dogon sono una popolazione che vive vicino Mandiagara, 300 Km a sud di Timbuctu, nel Mali. Due antropologi, Marcel Griaule e Germaine Dieterlen, li hanno studiati dal 1931 al 1952, e hanno descritto una cerimonia associata con la stella Sirio, che si tiene ogni 60 anni. Griaule e Dieterlen sostengono che i Dogon hanno diverse conoscenze sul sistema di Sirio che non è possibile ottenere se non con mezzi "moderni". In particolare conoscono l'esistenza di una stella compagna (Sirio B, indicata dalla freccia accanto alla luminosissima Sirio A), che ruota attorno a Sirio con un periodo di 50 anni, e che è composta di materia incredibilmente pesante. Sirio B è visible solo con un telescopio di discrete dimensioni, e la sua massa è stata determinata con tutto l'armamentario teorico dell'astronomia dell'inizio del secolo. Griaule e Dieterlen non fanno nessuna ipotesi su come i Dogon siano venuti a conoscere questi fatti. La storia ha avuto però un "boom" con un libro di Robert Temple, in cui questi ha ipotizzato che i Dogon conoscessero questi fatti da almeno 500 anni, e che li avessero appresi da esseri anfibi provenienti da Sirio. Altri "studiosi" ipotizzano che le conoscenze derivassero dagli egizi, e che questi ultimi avessero telescopi in grado di vedere Sirio B. Ad ogni modo, selvaggi 1, scienziati 0.

L’esagono di Saturno

Sempre nel novembre 2006 è la notizia di insoliti tornadi su Saturno. Nei giornali dell’epoca si stigmatizzava come le immagini della sonda NASA-ESA Cassini avessero permesso di individuare una gigantesca tempesta, grande due terzi del diametro terrestre, e che occupa 8000 km del Polo Sud di Saturno. La tempesta rappresentava una assoluta novità osservativa su pianeti che non siano la Terra ; aveva caratteristiche molto simili a quelle di un uragano anche se, come disse il dott. Andrew Ingersoll, membro della squadra Cassini, «Assomiglia ad un uragano, ma non si comporta come un uragano - Qualunque cosa sia, stiamo cercando di mettere a fuoco l'occhio di questa tempesta per scoprire perchè è là».
Anche in questo caso, gli scienziati non sanno cosa pensare, né hanno idea dell’origine del bizzarro comportamento climatico dei pianeti.

Passa un anno e nel Marzo del 2007, sempre la sonda Cassini mostra le incredibili immagini di un nuovo uragano su Saturno, talmente grande da includere tutto il proprio polo nord. Ma la cosa incredibile è che questa volta la formazione ciclonica è di forma esagonale!
«È una cosa  molto strana, il ciclone ha una forma geometrica assolutamente precisa presentando 6 lati praticamente di proporzioni perfettamente identiche», affermò allora Kevin Baines, esperto atmosferico e membro del team che curava lo spettrometro ad infrarossi della sonda Cassini al Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena. «Non abbiamo mai visto niente del genere su nessun altro pianeta. Anzi, la densa atmosfera di Saturno è dominata da onde che plasmano le nubi  in modo circolare e celle convettive che fanno lo stesso lavoro, per cui è forse il pianeta del sistema solare in cui meno ti potresti aspettare l’apparizione di una formazione ciclonica in forma di una precisa figura geometrica a sei facce.  Eppure è lì».

In che mani siamo? I sedicenti scienziati della NASA e dell’ESA che sono convintissimi di aver compreso ormai quasi tutto del nostro Sistema Solare e del ciclo vitale  dei pianeti, ora balbettano frasi sconnesse, tutti allo stesso modo, scioccati da comportamenti planetari per loro assurdi. Eppure gli antichi sapevano che i pianeti sono paragonabili a degli esseri viventi, con dei loro ritmi vitali, e che ogni cosa nell’universo è collegata, specie i pianeti e le stelle. Per gli indiani d’America, ogni cosa, pianta, persona, animale e corpo celeste formano un tutt’uno. E i cambiamenti previsti dalle profezie Maya per il 2012 stranamente stanno collimando con un cambiamento climatico contemporaneo di tutti i pianeti del sistema solare. Forse un caso, forse un’evento isolato e scientificamente spiegabile. A tutt’ora, però, la scienza non sa dare risposte, né formulare teorie. A noi rimane solo di osservare il cielo con fiducia, aspettando il sorgere di un nuovo Sole.

«Allora, io ero la, sulla più alta delle montagne, e tutto intorno a me c'era l'intero cerchio del mondo. E mentre ero la, vidi più di ciò che posso dire e capii più di quanto vidi; perché stavo guardando in maniera sacra la forma spirituale di ogni cosa, e la forma di tutte le cose che, tutte insieme, sono un solo essere. E io dico che il sacro cerchio del mio popolo era uno dei tanti che formarono un unico grande cerchio, largo come la luce del giorno e delle stelle, e nel centro crebbe un albero fiorito a riparo di tutti i figli di un'unica madre ed in un unico padre. E io vidi che era sacro... E il centro del mondo è dovunque.»
- Alce Nero (Nicholas Black Elk) Oglala dei Teton Dakota, una delle divisioni più potenti della grande famiglia Sioux.

 

 

Ecco come in pochi anni (1996 - 2000) l'attività solare è enormemente aumentata, causando quello che viene chiamato effetto serra nella terra, ma riscontrabile anche in tutti gli altri pianeti del sistema solare. Queste immagini provengono dalla sonda SOHO.

 

 

 

PRIMA IPOTESI

 

Temperature in crescita:

tutta colpa del Sole(?)

Fonte web

Su Marte non si trovano certo grandi metropoli asfissiate dallo smog e brulicanti di gente. E difficilmente individueremo raffinerie di petrolio quando ci spingeremo a esplorare i gelidi Plutone e Tritone, luna ghiacciata di Nettuno. Neanche è immaginabile aspettarsi su Giove autostrade affollate di vetture avvolte nei fumi dei tubi di scappamento. Eppure questi pianeti, come la Terra, si stanno surriscaldando! Le ultime immagini di Giove scattate dal telescopio Hubble nel maggio 2006 hanno difatti testimoniato la crescita sulla superficie del gigante gassoso di una nuova macchia rossa, simile alla tanto celebre Grande Macchia Rossa, e ribattezzata perciò Giovane Macchia Rossa (Red Spot Jr.). Fu osservata per la prima volta nel 2000, ma negli ultimi 6 anni le sue dimensioni sono notevolmente aumentate.

Le evidenti anomalie cromatiche visibili su Giove sono in realtà dei giganteschi vortici atmosferici che si spingono fin oltre la copertura nuvolosa che avvolge il pianeta. Secondo ricercatori dell’Università della California il veloce e abnorme sviluppo della Giovane Macchia Rossa è indizio di grandi sconvolgimenti climatici in atto su Giove, associati negli ultimi anni a un rapido e intenso riscaldamento, anche di 5 °C, di alcune regioni del pianeta.

Ma c’è anche un altro spettacolare vortice che di recente ha attirato l’attenzione degli astronomi. Su Saturno la sonda Cassini ha fotografato in prossimità del Polo Sud un enorme e insolito uragano, con venti a oltre 550 chilometri orari e un diametro di circa 8000 chilometri, cioè più della distanza che separa Roma e Pechino, mentre il muro di nubi che ruota attorno all’occhio del ciclone si innalza all’interno dell’atmosfera fino a oltre 70 chilometri di quota.

COME DA NOI: PIU’ CALDO, URAGANI PIÙ VIOLENTI

Le caratteristiche di questa tempesta, secondo studiosi del California Institute of Technology di Pasadena, potrebbero indicare uno sviluppo simile a quello dei cicloni tropicali sulla Terra: sarebbe cioè la grande disponibilità di calore (nel caso del gelido Saturno, temperature sensibilmente meno fredde rispetto al normale) ad alimentare l’uragano. Del resto sia il telescopio Keck di Mauna Kea sia la sonda Cassini avevano recentemente registrato un riscaldamento di circa 2 °C proprio nella regione del Polo Sud di Saturno.

Il surriscaldamento planetario però non si è fermato ai corpi celesti relativamente più vicini a noi, ma sembra aver raggiunto anche quelli più lontani, perennemente avvolti nel gelo siderale. Come testimoniato da ricerche del Massachusetts Institute of Technology, su Plutone dalla fine degli anni ’80 a oggi la pressione atmosferica è più che triplicata, a causa del graduale innalzamento delle temperature (circa 2 °C) che ha spinto parte dell’azoto surgelato in superficie a evaporare e passare in atmosfera. Su Tritone, invece, il fenomeno è stato ancora più marcato: dal 1989, anno del passaggio della sonda Voyager, la temperatura è passata da circa 200 a 193 gradi sotto zero, tanto che anche la sua atmosfera sta diventando di anno in anno sempre più densa. Se nel caso di Plutone l’aumento delle temperature si può in parte spiegare con la sua lunga orbita di rivoluzione, che lo porta a fare un giro intero attorno al Sole nel corso di 248 anni terrestri e che proprio nell’ultimo decennio lo ha spinto nel punto più vicino alla nostra stella, più difficile è invece trovare una spiegazione al surriscaldamento della luna di Nettuno.

E come se non bastasse, ora è giunta notizia che su Marte, dopo le voragini osservate nelle calotte polari, indizio di un recente scioglimento, la sonda Mars Global Surveyor ha fotografato tracce di erosione del suolo che potrebbero essere prova dell’occasionale scorrimento di acqua. Insomma stiamo assistendo a un riscaldamento che sembra interessare tutto il Sistema Solare.

IL RESPONSABILE? IL SOLE, MA IN MODO INSOLITO

Ma se l’uomo, almeno in questo caso, non ha colpe, chi è il responsabile del riscaldamento interplanetario? Il maggior indiziato sembra essere il Sole. In effetti siamo spesso erroneamente portati a credere che l’attività della nostra stella sia costante nel tempo, o almeno che subisca variazioni solo su tempi assai lunghi, mentre in realtà l’energia che essa emette verso lo spazio in tutte le direzioni subisce nell’arco di anni e decenni variazioni periodiche percentualmente assai piccole ma comunque in grado di influenzare il clima della Terra. I venti e tutti i principali fenomeni atmosferici si alimentano attraverso il calore che, sotto forma di radiazione elettromagnetica, arriva dal Sole: una quantità di energia che, nel punto in cui raggiunge la nostra atmosfera, è mediamente quantificabile in circa 1367 Watt per metro quadro.

E sono proprio le cicliche variazioni dell’energia emessa dal Sole che, tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo, hanno spinto l’Europa e il Nord America verso un periodo estremamente freddo, noto come Piccola Era Glaciale e culminato tra il 1645 e il 1710 in una fase caratterizzata dall’assenza di macchie solari (nota come Minimo di Maunder) durante la quale il calore che giungeva sulla superficie terrestre era inferiore rispetto a oggi di una quantità tra lo 0,2 e lo 0,7 per cento. Nel corso dell’ultimo secolo invece l’attività del Sole è andata progressivamente crescendo e ha così contribuito all’aumento delle temperature sulla Terra. E mai negli ultimi 1150 anni il Sole ha emesso tanta energia come ai giorni nostri. In particolare ricercatori dell’Earth Institute della Columbia University americana, analizzando i dati raccolti da 6 diversi esperimenti con satelliti di NASA, NOAA ed ESA, hanno recentemente evidenziato un aumento dell’ordine di circa 0,05 per cento per decennio, a partire dal 1978, della TSI, sigla che corrisponde alla Total Solar Irradiance, ovvero l’energia elettromagnetica che la Terra riceve dal Sole su tutte le lunghezze d’onda.

Ma può bastare il Sole per spiegare un così evidente aumento di temperatura anche nei pianeti ai confini del Sistema Solare? Forse sì, soprattutto alla luce di una recente ricerca di Adriano Mazzarella, responsabile dell’Osservatorio Meteorologico dell’Università di Napoli Federico II. Secondo questa ricerca, oltre alla radiazione elettromagnetica, cioè luce e calore, anche le particelle cariche emesse dal Sole assumono un ruolo importante nell’influenzare il clima terrestre. I gas a temperature altissime della parte più esterna dell’atmosfera solare, la corona, fuggono in parte verso lo spazio, dando origine al vento solare: getti turbolenti di particelle cariche, per lo più protoni, elettroni e nuclei di elio che si propagano a gran velocità in tutte le direzioni. Questo flusso, interagendo con il campo magnetico terrestre, dà origine non solo a fenomeni spettacolari quali le aurore polari, ma è anche causa di serie difficoltà nelle comunicazioni: il 29 ottobre 2003, per esempio, il Sole sparò miliardi di tonnellate di particelle elettricamente cariche verso la Terra a una velocità di oltre sei milioni di chilometri l’ora. L’impatto di questa grandinata di particelle sul campo magnetico terrestre diede origine alla più grande tempesta geomagnetica mai misurata sulla Terra, responsabile tra l’altro di un black out della rete Gps che durò diverse ore.

TRE FENOMENI PER L’EFFETTO SERRA TERRESTRE

La ricerca di Adriano Mazzarella ha ora evidenziato una serie di cicli ricorrenti, lunghi 60 anni, in una serie di parametri atmosferici e geofisici, utilizzando i dati dal 1868 a oggi: la turbolenza del vento solare, la durata del giorno misurata tramite la differenza tra la durata teorica del giorno, 86.400 secondi, e quella calcolata astronomicamente, la temperatura dell’aria dell’emisfero settentrionale e l’intensità delle correnti occidentali, misurata tramite il dislivello di pressione atmosferica tra le latitudini di 35° Nord e 55° Nord.

Ma come si legano fra loro questi parametri? L’analisi del ricercatore ha prodotto una spiegazione basata su fenomeni a cascata. Un graduale aumento della turbolenza del vento solare, attraverso perturbazioni del campo geomagnetico, potrebbe influenzare i movimenti all’interno del nucleo terrestre, dove si originano le linee di flusso del campo magnetico. A causa delle interazioni tra nucleo esterno, che è fluido, e mantello terrestre, che circonda il nucleo esterno ed è solido, ciò potrebbe riflettersi in una diminuzione della velocità di rotazione della Terra. Se la Terra ruota più lentamente aumenta però la durata del giorno, sia pure di decimi di millisecondo, e questo processo è a sua volta in grado di causare un’accelerazione delle correnti atmosferiche che fluiscono prevalentemente lungo i paralleli, dette correnti zonali.

Poiché l’energia cinetica del sistema Terra-atmosfera nel suo complesso deve rimanere costante, se il Pianeta rallenta il suo moto di rotazione le masse d’aria devono quindi muoversi più velocemente. Correnti zonali più intense rendono però più difficili gli scambi di masse d’aria dalle basse verso le alte latitudini e viceversa, e quindi viene rallentata anche la propagazione del calore accumulato nella fascia tropicale verso i poli: il risultato è una diminuzione della temperatura media del Pianeta. Viceversa, nei periodi in cui la turbolenza solare tende a diminuire, la velocità di rotazione aumenta, la durata del giorno diminuisce, le correnti zonali si fanno più deboli e, grazie a una più efficace distribuzione del calore, le temperature medie del Pianeta crescono.

Ma allora, se negli ultimi anni la turbolenza solare è aumentata, perché la Terra non si raffredda? In realtà tra aumento o diminuzione della turbolenza solare e conseguenti variazioni della durata del giorno c’è uno sfasamento di qualche anno e lo stesso avviene nel passaggio che porta all’aumento o diminuzione delle temperature. Considerando tali ritardi, un graduale aumento della turbolenza del vento solare diviene responsabile di una diminuzione della temperatura dell’aria a livello planetario dell’ordine di circa 0,2 °C ma con un ritardo di 25-30 anni, seguita poi nei 25-30 successivi da una diminuzione delle temperature pressoché eguale.

Queste variazioni però si sommano al costante riscaldamento del nostro Pianeta imposto sia dall’effetto serra di origine umana, sia dall’aumento di calore emesso dal Sole: ci sono quindi periodi in cui la turbolenza del vento solare contribuisce ad accelerare il riscaldamento del Pianeta, e altri in cui invece tende a frenarlo. In particolare, poiché la diminuzione della turbolenza solare dei decenni passati ha fatto sì che negli ultimi anni la durata del giorno sia andata diminuendo, con un conseguente indebolimento dell’intensità media delle correnti zonali, nel prossimo futuro ci attendono probabilmente altre annate di caldo record. (....)

 

 

Zecharia Sitchin a colloquio con Robert S. Harrington

circa la possibile esistenza del Pianeta X

 

La NASA pubblicamente afferma di aver fotografato una supernova per giustificare la presenza di un oggetto inusuale all'interno del nostro sistema solare e ormai avvistabile da un qualsiasi telescopio terrestre. In realtà è il "Pianeta X" che sta arrivando.

 

 

SECONDA IPOTESI

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Ritorno di Nibiru

IL PIANETA X

 

Se questa ipotesi fosse confermata, cioè il passaggio nel sistema solare di un corpo celeste grande come Giove, potrebbe spiegare molti dei fenomeni che si stanno verificando nel sistema solare stesso, compreso l'aumento della temperatura globale. Il passaggio di questo pianeta sconvolgerebbe l'equilibrio dell'intero sistema solare.

 

Fonte web

 

Scoperte fatte a partire dagli anni ‘80 indicherebbero che il famigerato Decimo Pianeta non solo sarebbe stato scoperto ma verrebbe monitorato nel più stretto riserbo. L’esistenza ed avvicinamento del misterioso corpo celeste rientrerebbe nei massimi livelli di segretezza dell’Intelligence USA, di gruppi occulti di potere...

Come è noto, grazie alle informazioni fornite da alcuni quotidiani statunitensi, nel 1983 il telescopio orbitale denominato IRAS – (Infrared Astronomical Satellite - Satellite Astronomico ad Infrarosso) (1) avrebbe scoperto un planetoide delle dimensioni di Giove nella direzione di Orione ben oltre il nostro sistema solare. Il misterioso corpo celeste provocò perplessità tra gli astronomi che non furono in grado di stabilire se fosse effettivamente un pianeta, una cometa gigante, o una vicina protostella che non s’era riscaldata abbastanza da diventare una stella, o una galassia distante così giovane da essere ancora in fase di formazione. “Tutto ciò che posso dirvi è che noi non sappiamo cosa sia”, disse Gerry Neugebauer, lo scienziato del programma IRAS per il Jet Propulsion Laboratory della California e direttore dell’Osservatorio Palomar presso il California Institute of Technology. Quella dell’IRAS, secondo diversi studiosi in primis Zecharia Sitchin, fu una scoperta determinante nell’ambito della ricerca di Nibiru (Pianeta dell’Attraversamento) perché sancì l’ennesimo ed effettivo interessamento (anche se mai avallato con dichiarazioni ufficiali) dell’establishment scientifico al famigerato Decimo Pianeta allora noto principalmente grazie agli studi e i testi del noto sumerologo. Ennesimo interessamento perché in realtà già in precedenza l’ente spaziale americano aveva chiaramente lasciato intendere di essere sulle tracce di Nibiru.

In effetti il 17 giugno 1982, la NASA in un comunicato stampa dell’Ames Research Center riconobbe ufficialmente la possibilità dell’esistenza di  “qualche genere di oggetto misterioso” oltre i pianeti estremi del nostro sistema solare. Diversi articoli rilasciati dalla stampa dell’epoca confermarono che gli scienziati stavano cercando davvero il Decimo Pianeta o Pianeta X. Una conferma in tal senso giunse con l’articolo pubblicato il 19 giugno dal New York Times intitolato “Spacecraft May Detect Mystery Body in Space” dove si accennava alle sonde Pioneer 10 e 11 e a delle persistenti anomalie nelle orbite di Urano e Nettuno che suggerivano la presenza di un qualche corpo misterioso che si ipotizzava potesse essere ubicato oltre i pianeti estremi del nostro Sistema Solare. Sempre nel 1982, precisamente il 28 giugno la rivista Newsweek si occupò del Pianeta X in un articolo intitolato “Does the Sun Have a Dark Companion?” (Il Sole ha un Compagno Oscuro?). L’articolo riportava che il Decimo Pianeta davvero orbiterebbe (come in un sistema binario) intorno a due Soli (uno è il nostro Sole), ma noi non saremmo in grado di vedere l’altro astro perché sarebbe una “stella oscura”.

L’articolo riportava che: “Un compagno oscuro potrebbe produrre la forza non visibile che sembra trascinare Urano e Nettuno, accelerandoli fino ad un certo punto nelle loro orbite e trattenendoli mentre passano... la migliore scommessa è una stella oscura che orbiti ad almeno 50 miliardi di miglia oltre Plutone... È molto probabilmente o una Nana Bruna(2), o una stella di neutroni. Altri suggeriscono sia un decimo pianeta... siccome una stella compagna trascinerebbe gli altri pianeti, non soltanto Urano e Nettuno”. Ma il 1983, come accennato inizialmente, è stato l’anno in cui si è avuta una vera è propria svolta soprattutto grazie alla divulgazione di sensibili informazioni nell’ambito del programma IRAS che alcuni media portarono a conoscenza dell’opinione pubblica. Il 30 dicembre venne pubblicato un interessante articolo sulle pagine del quotidiano americano Washington Post che si occupò del Decimo Pianeta (dedicando all’argomento uno spazio già nella prima pagina) in un pezzo di Thomas O’Toole intitolato “Mystery Heavenly Body Discovered “ (Scoperto Misterioso Corpo Celeste). L’articolo riportava che: “Un corpo celeste probabilmente grosso come il gigantesco pianeta Giove e forse così vicino alla Terra da poter far parte di questo sistema solare è stato trovato in direzione della costellazione di Orione da un telescopio orbitante denominato IRAS”. Posso solo dire – dichiarò Gerry Neugebauer a capo dell’IRAS – che non sappiamo di che cosa si tratti”.

“Quando gli scienziati dell’IRAS – continua l’articolo – hanno visto per la prima volta questo corpo misterioso, e hanno calcolato che potrebbe distare solo 80 miliardi di chilometri, si è ipotizzato che potrebbe essere in fase di avvicinamento rispetto alla Terra,....Il corpo misterioso è stato captato due volte dall’IRAS. Il secondo rilevamento è avvenuto sei mesi dopo il primo, è suggerisce che il corpo non si fosse quasi mosso dalla sua posizione nel cielo. Questo dato – disse James Houck membro del team scientifico dell’IRAS – suggerisce che non si tratta di una cometa, perché una cometa non sarebbe così grossa come risulta dalle nostre osservazioni, e si sarebbe probabilmente spostata di più”. “E’ possibile – come sottolineato dal quotidiano americano – che si tratti del decimo pianeta che gli astronomi hanno invano cercato”. L’articolo del Washington Post proseguiva nello spiegare che questo oggetto misterioso non è era stato mai visto da telescopi ottici sulla Terra o nello spazio, ma la sua firma di calore infrarossa fu individuata due volte dall’IRAS quando questi analizzò il cielo settentrionale tra gennaio e novembre del 1983. La seconda osservazione infrarossa del corpo, che è così freddo che non emana luce, evidenziò che il corpo sembrò non essersi spostato in sei mesi. Questo suggerì che l’oggetto non era una cometa, dal momento che probabilmente si sarebbe mosso. L’articolo spiegava anche che il telescopio infrarosso dell’IRAS, capace di scoprire oggetti molto freddi, calcolò che il corpo celeste era così freddo che la sua temperatura era di circa 273° C sotto zero...

A riprova delle importanti rivelazioni fatte da Maynard e dell’effettiva fondatezza di alcune di esse nel 2003 l’astrofisico James McCanney rilasciò alcune sbalorditive dichiarazioni nel corso di un’intervista rilasciata a Rick Martin della rivista americana ‘The Spectrum’ che in seguito venne ripresa dalla rivista australiana Nexus la cui omologa versione italiana sarà pubblicato nel 2004 (v. “Quello che nasconde la NASA” - Nexus n°51). McCanney fondamentalmente ribadisce che esisterebbe un vasto programma di copertura che coinvolgerebbe enti quali la NASA, la CIA, l’NSA e lo stesso Vaticano in merito all’esistenza e al prossimo avvento del Decimo Pianeta...

Come già emerso in precedenza dalle affermazioni di Maynard quando l’IRAS rilevò Nibiru (Pianeta X) nel 1983 la NASA stabilì che si stava avvicinando da Sud e ciò arrecò apprensione in quanto i più avanzati telescopi terrestri erano collocati nell’emisfero Nord. Una conclusione quella fatta dall’ente spaziale americano a cui inevitabilmente giunse il prof. Robert Harrington (citato da McCanney) nel 1988. In effetti, nell’estate di quell’anno, come giustamente evidenziato da Sitchin, vennero pubblicati una serie di articoli su pubblicazioni scientifiche in cui veniva condivisa da diversi scienziati non solo l’esistenza del Pianeta X (sulla scorta dei calcoli delle perturbazioni planetarie ecc) ma l’ipotesi del Dott. Harrington secondo la quale sarebbe inclinato di 30° sull’eclittica ed avrebbe un semiasse maggiore di circa 101 UA, o un asse maggiore di oltre 200 UA.

Avrebbe una massa pari ad almeno quattro volte quella della Terra e con un’orbita simile a quella della cometa di Halley per cui trascorrerebbe parte del suo tempo sopra l’eclittica (nei cieli settentrionali) e la maggior parte sotto di essa (nei cieli meridionali). Non a caso il team di ricerca dell’Osservatorio Navale (ndr. che è una sezione della Marina Militare USA) giunse all’inevitabile conclusione che la ricerca si sarebbe dovuta condurre principalmente nell’emisfero sud ad una distanza di circa 2,5 volte oltre Nettuno e Plutone. Nell’ottobre 1988 Harrington divulgò le sue scoperte in un documento intitolato “La posizione del Pianeta X” pubblicato sull’Astronomical Journal e nel quale era presente uno schizzo dei cieli con indicazioni di dove si sarebbe potuto trovare (al momento) il Decimo Pianeta sia nei cieli settentrionali sia in quelli meridionali. In seguito alla pubblicazione del documento Harrington  in base ai dati che nel frattempo erano stati raccolti dal Voyager 2 - che aveva raggiunto Urano e Nettuno rilevando perturbazioni costanti, piccole ma ben evidenti, nelle loro orbite – concluse che il Decimo Pianeta doveva trovarsi nei cieli meridionali.

Tra l’altro il 16 gennaio del 1990 Harrington riferì all’American Astronomical Society di Arlington in Virginia che l’Osservatorio Navale aveva ristretto le ricerche del Pianeta X ai cieli meridionali ed annunciò l’invio di un team di astronomi in Nuova Zelanda presso l’Osservatorio Astronomico di Black Birch. Inoltre affermò che in seguito ai dati ottenuti dalla Voyager 2 era convinto che il Decimo pianeta fosse cinque volte più grande della Terra e circa tre volte più distante dal Sole rispetto a Nettuno e Plutone. Sfortunatamente Harrington morì prematuramente nel gennaio 1993 non prima però di fornire allo stesso Sitchin importanti conferme di persona in un incontro avuto con lui nel agosto del 1990 all’Osservatorio Navale di Washington e confermato in un’intervista fatta al noto studioso dal giornalista Luca Scantamburlo e pubblicata sul numero di Ago/Sett 2006 della rivista “UFO Notiziario”.

“Primo, - afferma Sitchin - egli mi disse che il mio libro, Il Dodicesimo Pianeta, era giusto sul lato della sua scrivania per tutto il tempo, ed egli lo consultava ogni qualvolta aveva bisogno di una risposta alle domande sulla ricerca del “Pianeta X”. Secondo, egli disse e mostrò attraverso degli schizzi orbitali comparabili che il “Pianeta X” ed il “mio” pianeta, che i Sumeri chiamavano Nibiru ed i Babilonesi Marduk, sono unici e lo stesso. E terzo, egli descrisse il pianeta – le sue dimensioni, il suo essere abitabile con un’atmosfera etc”. Tra l’altro alla successiva domanda in cui si citava proprio il documento di Harrington sul Pianeta X del 1991 dove egli stesso suggeriva che poteva essere visibile nei Cieli Meridionali nella regione del Centauro e dell’Idra, Sitchin rispose: “Sì. Egli mi mandò uno schizzo, segnando con la sua calligrafia dove dovrebbe concentrarsi la ricerca; l’ho pubblicata nel libro Genesis Revisited (L’Altra Genesi, Piemme 2004). Ciò che disse concordava con le predizioni bibliche che riguardano il ritorno del pianeta.”.  Ora, quanto finora esposto risulta rilevante e chiarificatore per gli argomenti che verranno riportati d’ora in avanti e che potrebbero essere utili alla comprensione dell’affaire Decimo Pianeta. In seguito alla missione IRAS del 1983, in particolar modo dalla seconda metà degli anni ’80, in vari parti del mondo sono stati costruiti nuovi e avanzati telescopi nell’emisfero settentrionale ma molti, guarda caso, concentrati in varie aree geografiche nell’emisfero meridionale...

Come accennato in precedenza il 16 gennaio 1990 il prof. Harrington dichiarò all’American Astronomical Society ad Arlington in Virginia che l’Osservatorio Navale degli Stati Uniti aveva ristretto la ricerca del Decimo Pianeta ai cieli meridionali. Tali esternazioni così come gli studi di Harrington, e non solo, vengono definiti dallo stesso Sitchin nel suo volume “L’altra Genesi” decimante esaltanti. Principalmente perché la scienza attuale avrebbe scoperto quanto era già noto ai Sumeri ossia l’esistenza di in un altro pianeta nel sistema solare ma soprattutto perché confermerebbero anche i dettagli inerenti la sua orbita e le sue dimensioni...

 

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(1) L'Astronomia infrarossa (IR) studia la radiazione con lunghezza compresa fra una frazione di millimetro e circa 8,000 Angstrom, ove inizia la radiazione visibile. In questo intervallo sono visibili sia sorgenti termiche, come le stelle più fredde, che sorgenti non termiche come gli AGN. Sono inoltri fortemente visibili le polveri presenti in tutte le galassie a spirali.

(2) In astronomia, le Nane Brune sono un tipo particolare di stelle di piccola massa (meno di 0,08 volte la massa del Sole, corrispondente a 70 masse gioviane), che non brillano grazie alla fusione dell’idrogeno in elio nel loro nucleo, ma si limitano a contrarsi lentamente. Per questo motivo a volte sono considerate solo dei grossi pianeti. Nei primi stadi della loro vita, la maggior parte delle nane brune in effetti genera un po’ di energia grazie alla fusione del litio e del deuterio, elementi molto facili da fondere e che sono infatti assenti dalle stelle normali (che li bruciano immediatamente). La presenza del litio è un forte indizio che un oggetto di piccola massa sia una nana bruna. Le nane brune continuano a brillare nel rosso e soprattutto nell’infrarosso dopo che hanno finito il deuterio. La sorgente di energia per il loro brillare è semplicemente il calore rimasto dalla combustione del deuterio e del litio, che però si riduce lentamente. Le atmosfere delle poche nane brune conosciute hanno temperature che variano da 2.300 a 700 gradi C. Si conoscono solo poche nane brune, e molte neppure certe. Si pensa che siano stelle molto comuni, ma la loro osservazione è resa difficile dalla loro bassissima luminosità, che le rende invisibili già a piccole distanze.
 

 

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Nuovi cambiamenti climatici nel sistema solare

Una nuova e interessante teoria si fa avanti: Giove, potrebbe diventare un secondo Sole!!?


Il decimo pianeta

«(ANSA) - LOS ANGELES, 30 luglio 2005 - Il sistema solare avrebbe un decimo pianeta. Lo sostiene un'équipe di scienziati statunitensi. Gli studiosi hanno annunciato ieri di aver scoperto, gravitante a 15 miliardi di chilometri dalla Terra, 2003-UB313. "Tirate fuori le penne e cominciate a riscrivere i manuali scolari" ha scherzato Brown, capo dell'unita' di astronomia planetaria di Pasadena..... 

21.12.2012 - La fine di un mondo

Profezia Maya, Nostradamus, antichi egizi: tutti puntano ad un'unica data: 21 dicembre 2012. Che succederà? Tratto dal programma "Voyager"....

 

I Sumeri, Nibiru e il Diluvio Universale

I segni premonitori di una  terribile catastrofe, in procinto di colpire la Terra e Marte, vengono colti e riportati dai Sumeri: “…Nei giorni di Lamech ( il padre di Ziusudra, che è assimilabile al biblico Noè )…gli stenti sulla Terra aumentavano sempre più…

 

ANOMALIE NEL SISTEMA SOLARE: LA SMOKING GUN DEL PIANETA X?
 

Come tutti dovrebbero sapere la nostra stella, il Sole, è soggetta ad un particolare ciclo: il cosiddetto “ciclo solare” associato alle variazioni dei brillamenti (in inglese flares) e delle macchie solari. I brillamenti sono “eruzioni improvvise di forte luminosità”....
 

 

Hercolubus ( Pianeta Rosso )

È IL SOLE CHE STA SURRISCALDANDO I PIANETI O C'È DELL'ALTRO?

Si avvera dunque la profezia del pianeta che si avvicina alla Terra? Da premettere che il precedente avvistamento del pianeta aveva scatenato grandi polemiche negli ambienti scientifico-astronomici ma dopo più approfondite indagini la NASA aveva dovutoarrendersi all'evidenza dei fatti. Nei giorni seguenti, la notizia veniva data dai telegiornali di tutto il mondo, con foto e ricostruzioni computerizzate di quel sistema. Il 2 maggio 2005 anche in Italia veniva trasmessa la notizia sulle tre reti televisive nazionali TG1, TG2 e TG3.