SOMALIA

PIRATI E FILIBUSTIERI

DEL NOSTRO TEMPO

 

POTENZE STRANIERE USANO LA PIRATERIA

 SOMALA PER I PROPRI SCOPI INCONFESSABILI

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

 

I PIRATI SOMALI (1)

 

 

 

 

I PIRATI SOMALI (2)

 

 

 

 

intervista a Mario ALBANO, per 4

mesi ostaggio dei pirati somali

 

 

 

 

 

Pirati, corsari e flibustieri

 del XXI secolo

di Thierry Meyssan - Luglio 2010

Fonte web

La pirateria a largo della Somalia fa correre i maggiori rischi alle navi che collegano il Mediterraneo all’oceano Indiano. Ufficialmente il fenomeno sfugge a tutti i controlli e le grandi potenze sono state costrette a dislocare la loro marina militare nella zona per scortare le navi mercantili. Tuttavia, in certi porti somali, si possono vedere navi catturate, sapientemente attraccate in fila, in attesa del loro riscatto, senza che i pirati debbano temere le navi da guerra che incontrano a largo. A seguito di una lunga inchiesta, Thierry Meyssan svela gli accomandatari di questo nuovo business.

La pirateria marittima si concentra, oggi, in tre regioni del mondo: il distretto di Malacca, il golfo di Guinea e il corno d’Africa. Tuttavia, si tratta di situazioni, tra loro, molto diverse.

Il 30% del traffico marittimo mondiale passa per il distretto di Malacca, dove le popolazioni povere dell’Indonesia e della Malesia devono fare i conti con l’arrogante opulenza della città-stato di Singapore. I pirati sono delle canaglie, organizzati in bande che si spostano velocemente e non possiedono che armi bianche. Il più delle volte si accontentano di montare a bordo per derubare l’equipaggio. Dal 2006, i tre Stati costieri, a seguito dell’amichevole richiesta del Giappone, tutto per paura di veder sbarcare l’armada statunitense, si sono organizzati per una sorveglianza aerea e marittima che ha portato i suoi frutti (operazione occhio nel cielo). Ormai, la situazione sembra stabilizzata.

Il Golfo di Guinea non è una zona di traffico commerciale ma di sfruttamento di petrolio e gas. Le piattaforme in mare e le navi appoggio sono diventate i bersagli delle gangs e degli insorti del Movimento per l’emancipazione del delta del Niger. Si tratta di gruppi estremamente violenti, che fanno leva sulla cattura spesso omicida, di ostaggi. A volte sono sostenuti dai Iiaw, le cui terre sono state saccheggiate dalle compagnie petrolifere e dove la rivolta del 1999 è stata soffocata nel sangue dalle truppe di Chevron-Texaco. Più spesso queste gangs sono temute dalla popolazione che terrorizzano. Conducono attacchi indifferenziati sia per terra che per mare, contro stranieri e nativi. La Nigeria non riesce ad arginare questa criminalità che si espande in Camerun e Guinea Equatoriale. Di fronte al crescente pericolo, alcune multinazionali come la Shell hanno deciso di lasciare la zona. La produzione nigeriana di idrocarburi si è abbassata di un quarto, con conseguenze facilmente immaginabili sulle finanze dello Stato.

Solo la situazione del Corno d’Africa è divenuta una questione strategica mondiale. Innanzitutto perché il distretto di Bab el-Mandeb (La porta del lamento), tra lo Yemen e Gibuti, è una tappa obbligata tra il Mediterraneo, il canale di Suez, il mar Rosso a nord e l’oceano Indiano a sud. 3,5 milioni di barili di petrolio vi transitano ogni giorno. Poi perché la zona di pirateria si è progressivamente estesa al golfo di Aden e alla costa somala, di modo che non si tratta più solo di una strettoia nella quale gli stati costieri dovrebbero ristabilire una polizia marittima, ma una zona molto vasta, principalmente in alto mare, in acque internazionali. Ciò che all’inizio era - e continua ad esserlo in molti casi- un’attività opportunistica di pescatori affamati, ha dato il via ad un business assai lucrativo. Molte navi sono state catturate con l’equipaggio , mentre degli intermediari hanno chiesto ingenti riscatti agli armatori. Questo grosso fenomeno di banditismo si è sviluppato in funzione degli sviluppi politico-militari in Somalia ed è servito a giustificare il dispiegamento di una armada occidentale dalle pretese neo-coloniali.

 

Il caos somalo

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Nel suo film "Black Hawk Down" (La Caduta del Falco Nero), Ridley Scott mette in scena la sconfitta degli Stati Uniti davanti a un signore della guerra somaliano durante l’operazione "Restore Hope".

Il lettore si ricorderà della lunghissima guerra civile che ha devastato il Corno d’Africa a partire dal 1974. In definitiva, se l’Etiopia e l’ Eritrea si sono stabilizzate, la Somalia continua ad essere in preda al caos. Il paese è diviso tra clans. L’anziana colonia britannica di Somaliland e il Puntland formano due semi stati, dalle frontiere incerte, che si fanno occasionalmente guerra, essendo entrambe appoggiate dall’Etiopia. [1] La loro formazione è stata incoraggiata dalle Nazioni Unite che pensavano così di ricostruire la Somalia procedendo per gradi. L’AMISOM, la forza di pace dispiegata dall’Unione africana grazie a contingenti ugandesi e burundesi, difende il governo provvisorio, sola autorità riconosciuta dalla comunità internazionale. Ma il presidente Sharif Ahmed è riuscito al massimo a farsi obbedire in qualche quartiere di Mogadiscio. Nella capitale si continua a combattere. Le milizie di Ahlu Sunna wal Jama’a proteggono i confratelli sufi, [2] quelli di Al-Shabaab (braccio armato dei “tribunali islamici”) vogliono imporre una interpretazione rigorosa della Shari’a. [3] Centinaia, forse migliaia, di gruppuscoli armati si creano, si alleano e si sciolgono a seconda dei momenti. L’ONU ha promulgato un embargo sulle armi, che nessuno rispetta e tenta di venire in soccorso della popolazione, malgrado le frequenti sottrazioni dell’aiuto alimentare mondiale.

In questo contesto infernale, la pirateria è riapparsa nel 2000. All’epoca, le tensioni regionali costringevano gli etiopi a concentrare il loro commercio marittimo a Gibuti. Le loro navi furono le prime prede. Gli attacchi avvenivano solo nel distretto di Bab el-Mandeb. Ma gli aggressori che si consideravano come belligeranti e non come pirati- furono allontanati dalle forze statunitensi, israeliane e francesi che stazionavano a Gibuti.
Per fronteggiare il deterioramento della situazione a Puntland, altri pirati attaccarono le navi che intercettavano a largo delle loro coste, per approvvigionarsi. Il fenomeno fu considerevolmente ridotto tra il 2005 e il 2006. Da una parte perché lo tsunami del 26 dicembre 2004 devastò le coste e distrusse i porti nell’indifferenza della comunità internazionale che non aveva occhi che per le spiagge turistiche della Tailandia. Dall’altra parte, perché i tribunali islamici, per breve tempo al potere a Mogadiscio, dichiararono la pirateria illegale secondo i dettami della Shari’a.
E’ solo a partire dal 2007 che le cose presero una piega piuttosto grave. Sostenendo una coalizione eteroclita dei capi di guerra contro i Tribunali islamici, la CIA e l’Etiopia rinfocolarono i conflitti tra i clan che cominciavano ad affievolirsi. A favore del disordine nel quale il paese ricadeva nuovamente, due centri, ben presto strutturati in organizzazioni criminali, si specializzarono nella pirateria. La prima imperversa nel golfo di Aden e la seconda, in acque internazionali, molto distanti da Mogadiscio. [4]

E’ chiaro che questi due gruppi non hanno nulla a che vedere con i pirati precedenti. Mentre all’inizio del 2000 e in certi casi ancora oggi, gli arrembaggi erano sia l’estensione in mare di un conflitto a terra, sia delle razzie effettuate da pescatori affamati, questa volta, si tratta, di crimine organizzato con ramificazioni internazionali.

 

Il sovra-spiegamento militare

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Per la prima volta nell’età moderna,  assistiamo allo spiegamento della marina cinese al largo dell’Africa.

All’indomani degli attentati dell’11 settembre, gli Stati Uniti mobilitarono i loro alleati, indipendentemente dalla NATO, per impadronirsi dell’Afghanistan. L’operazione “Giustizia infinita”, rinominata Enduring Freedom (Libertà duratura), comprendeva- oltre all’occupazione dell’Afganistan- anche Filippine, il largo del Corno d’Africa e nel Sahara.
Per quanto riguarda la regione che ci interessa, la Forza congiunta d’intervento 150 (Combined Task Force) ha riunito alternativamente una quindicina di contingenti stranieri per appoggiare la V flotta USA. Con il pretesto della lotta al terrorismo, l’obiettivo era quello di mettere in sicurezza la via del petrolio: persico/distretto d’Ormuz/golfo di Aden/ distretto de Bal el-Mandeb/Mar Rosso/Canale di Suez.
Percorrendo le stesse acque, la Forza 150 si è occasionalmente confrontata con i pirati, ma non faceva parte della sua missione combatterli.

Nel 2007, la Francia fornì una scorta alle navi del Programma alimentare mondiale e a quelle del AMISOM. Naturalmente, Parigi diede notizia sulla protezione delle provviste umanitarie passando, invece, sotto silenzio quella dei carichi militari dell’Unione Africana.

Nel 2008, questa missione è stata prolungata dall’Unione europea in quella che costituisce la sua prima azione navale: operazione Atalanta. Questa volta le istruzioni sono state estese alla difesa degli interessi europei – in senso ampio - contro i pirati [5].

Assai preoccupato di vedere gli europei organizzarsi militarmente, il Pentagono riprese le cose in mano proponendo un’azione della NATO, con la vocazione di assorbire la difesa europea. Questa è l’operazione Allied Provider, ribattezzata Allied Protector. Nei documenti interni, gli analisti dell’alleanza notano che la lotta contro la pirateria non è assolutamente una necessità militare, ma che è un’eccellente occasione per dare un’ immagine positiva della NATO all’opinione pubblica. [6]

Questa affluenza di forze statunitensi, europee ed atlantiche, ha spinto Russia (settembre 2008), India (ottobre 2008), Cina (ottobre 2009) e Giappone ( gennaio 2009) a mobilitare le loro navi da guerra nella regione. Questa concentrazione comporta gravi rischi. Anche un Gruppo di contatto sulla pirateria a largo delle coste della Somalia (CGPCS) è stato predisposto sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Punta a chiarire le regole giuridiche della lotta contro la pirateria. In oltre, delle riunioni così dette “Prese di coscienza condivise e prevenzione dei conflitti” SHADE sono state organizzate nel Bahrein, per iniziativa del Pentagono, tra gli ufficiali di collegamento delle diverse marine coinvolte al fine di evitare che la non conoscenza delle reciproche intenzioni susciti scontri.

Di sfuggita, il lettore noterà che la presenza della marina militare cinese così lontana dai suoi porti di attracco sia una novità. E’ stata incoraggiata da Washington che credeva, all’inizio della crisi finanziaria mondiale, di poter creare un G2 e spartirsi il mondo con Pechino. Ma alla fine potrebbe giocare un ruolo nella rivalità cino - americana in Africa. [7]

Comunque sia e malgrado un tentativo cinese al momento della pirateria del De Xin Hai (ottobre 2009), Pechino e Mosca non desideravano integrare le loro flotte in una forza multinazionale di lotta contro la pirateria. Il fatto è che, storicamente, il Regno Unito e gli Stati Uniti seguono il progetto di un Impero marittimo universale, di cui hanno posato le basi firmando la Carta Atlantica (1941). Inoltre, il Pentagono con la sua iniziativa di sicurezza contro la proliferazione (PSI, 2003), poi con il partenariato marittimo globale (GMP,2006) ha proposto di associare tutti gli stati che lo desiderano, ad un vasto piano di messa in sicurezza delle rotte marittime, di cui sarebbe, ben inteso, il capo progetto.

Visto il dispositivo attuale, le navi dei piccoli paesi hanno poche possibilità di essere protette dalle grandi navi. Gli armatori più accorti, hanno installato a bordo, dei sistemi di rivelazione ottica Sea on line, ben più efficaci dei radar. Le telecamere a infrarossi sorvegliano i bordi delle navi 4-5 km a largo e allertano l’equipaggio in caso di avvicinamento, anche di piccole imbarcazioni. [8]

Altri fanno ricorso a guardie private che piazzano sulle loro imbarcazioni, per difenderle. Questa pratica inquieta i grandi sindacati di armatori perché suscitano una scalata di violenza con i pirati.

Altri ancora ingaggiano armate private. Così la società Blackwater, ora chiamata XE, ha acquistato nel 2007 la vecchia nave dei guardia costa statunitense MV McArthur. Si è equipaggiata di due elicotteri Boeing MH6 Little Bird, di tre imbarcazioni connesse ultra rapide e imbarcato 35 mercenari. Scorta su richiesta le navi civili “sensibili”.

Dal canto suo, la società francese Secopex ha acquistato 11 navi da scorta da 24, 36 e 50 metri di lunghezza. Ognuna imbarca un commando di 9 persone: due tiratori scelti e 7 uomini equipaggiati di mitragliatrici automatiche. [9]

 

Crimini senza castighi

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Come giudicare i pirati arrestati?

Del resto, anche se il governatore fantoccio somalo ha chiesto aiuto alla comunità internazionale e anche se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato 4 risoluzioni (1816,1831,1846 e 1851) per legittimare l’opzione militare contro i pirati e autorizzare i marinai Stranieri ad inseguirli nelle acque territoriali e fino su territorio somalo, le regole giuridiche restano incerte.

Cosa fare dei pirati una volta arrestati? Se ci si rifa’ alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione di Montego Bay), entrata in vigore nel 1994, fermare i pirati e’ una azione di polizia , anche se e’ conseguita con mezzi militari. L’arresto deve avere luogo in presenza di ufficiali di polizia giudiziaria e le prove devono essere prodotte di fronte alla giurisdizione competente per essere giudicati equamente.

Semplicemente: nessuno sa qual e’ la giurisdizione competente. La maggior parte delle legislazioni nazionali si impediscono di giudicare gli stranieri quando non hanno commesso infrazioni su territorio nazionale. Nella pratica, si è spesso costretti a rilasciarli, o trasferirli verso uno Stato con il quale si è stipulato un accordo ad hoc. Così, gli occidentali orientano spesso i pirati fatti prigionieri verso il Kenya che condanna gli esecutori e si astiene dal cercare i committenti.

E’ per questo che il Cremlino ha proposto di creare una giurisdizione internazionale per i crimini commessi in alto mare. Questa volta sono gli Anglosassoni che non ci stanno, sempre in ragione del loro progetto imperiale marittimo.

 

I corsari del presidente statunitense

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Pistris: i commando corsari degli Stati Uniti.

Nel 1826, Simon Bolivar tentò di pacificare le relazioni tra nazioni latino americane proibendo la “guerra della corsa”, cioè la capacità degli Stati di ricorrere ad armatori privati per difendere i loro interessi su mare, per condurre guerre. Il Libertador non fu ascoltato.

Fu necessario aspettare che gli occidentali e gli Ottomani vincessero le truppe dello Zar Nicola I in Crimea, perché la Dichiarazione di Parigi (1856) fissasse il diritto marittimo. Le lettere di marca furono abolite, gli stati rinunciarono ad arruolare gruppi armati privati; un sistema che il protettorato ottomano d’Africa del nord aveva largamente usato e contro il quale i presidenti Thomas Jefferson et James Madison avevano condotto vittoriosamente le due guerre contro i gli Stati barbareschi (1801-05, 1815).

Nel frattempo, Stati Uniti, Spagna e Messico rifiutarono di firmare questa dichiarazione, poiché la dottrina capitalista liberale poggia sul fatto che anche la guerra può essere privatizzata. Tanto più che a quell’epoca i giovani Stati Uniti non si immaginavano capaci di intrattenere una flotta militare atta a rivaleggiare con le grandi potenze.

Riattivando questa vecchia pratica, il rappresentante Ron Paul ha tentato di far adottare per tre volte dal Congresso la September-11 Marque and Reprisal Act of 2001. Non era necessaria, considerando che il Congresso aveva già votato la guerra contro il terrorismo e appoggiandosi sull’art. 1, sezione 8 della Costituzione degli Stati Uniti, il Dipartimento di Stato ha emesso lettere di marca a società militari private per scacciare il terroristi dall’oceano Indiano. E, come si sa, dal punto di vista di Washington, tutta la pirateria e’ una forma di terrorismo potenziale. [10]

Secondo una pubblicazione del ministro francese della Difesa, la prima di queste lettere di marca è stata concessa nel 2007 alla società Pistris Inc. “Ha abilitato ad armare due navi di 65 metri di lunghezza che sono collegate a satelliti militari di osservazione. Sono dotate ciascuna di un elicottero armato, di imbarcazioni annesse ultra rapide capaci di raggiungere la velocità di 50 nodi e che imbarcano un equipaggio di 50 uomini tra cui dei commandos. La società Pistris possiede il suo campo di esercitazione militare, nel Massachussetts”. [11] Delle barche sono state installate su un lago artificiale dove vengono simulati dei combattimenti, mentre un’enorme macchina agita le acque per ricreare le condizioni delle onde marine.

 

I pirati della costa

Prima di descrivere le organizzazioni pirata, conviene rimuovere un elemento di confusione. Quando lo stato somalo è crollato, i pescatori francesi, spagnoli e giapponesi ne hanno approfittato per saccheggiare i banchi di tonno e gamberetti nelle acque territoriali somale. A volte, hanno comprato delle così dette “autorizzazioni” dai signori della guerra e poi dal sedicente governo provvisorio.
Consapevoli che lo spopolamento sconsiderato della madraga impoverisce il mare, alcuni pescatori somali hanno abbordato le navi intruse e le hanno saccheggiate a titolo di rimborso. Nel contesto di caos politico del paese e in assenza di guardia coste nazionali, questi fatti rivelano una forma di autodifesa. Non sono considerati, per la legge, come pirateria, visto che si sono svolti in acque territoriali somale.

Ciò che qui ci interessa, è l’attività criminale condotta in alto mare. Questa presuppone navi adattate per avventurarsi in mare aperto. All’inizio, i pirati assalivano un grosso bastimento che intercettavano nelle vicinanze. Poi lo utilizzavano per raggiungere l’alto mare e attaccare una preda più grande. Oggi hanno la loro flotta.

La scelta dei bersagli dipende prima di tutto dall’altezza della nave sull’acqua, dalla velocità e dalla dimensione. Più la nave è bassa, lenta e grande e più è vulnerabile. I porta- containers sono indifendibili come un castello, dal momento che l’equipaggio non può vedere tutti gli accessi. Le tonnare ugualmente perché hanno una rampa di accesso posteriore.

“Una volta catturata la nave, l’accomandatario indica al capo dei pirati dove andare ad ormeggiare; il traduttore monta allora a bordo per condurre la negoziazione. La durata media di un sequestro e’ di circa 60 ore. L’atmosfera a bordo è più o meno tesa ma non ci sono mai stati morti, fatta eccezione forse per una volta.
I pirati sanno bene che se cominciano ad eliminare degli ostaggi, la situazione cambierà di proporzione e che rischiano di attirarsi contro la popolazione e le autorità religiose.
Così si sa che i pirati applicano una sorta di codice d’onore: i ruoli sono chiaramente ripartiti e il capo dei pirati annota tutte le spese sostenute. La pratica del credito e’ usuale e i debiti sono rispettati. Al momento del versamento del riscatto, ciascuno recupera il suo dovuto. Esiste anche un sistema di ammende per far rispettare l’organizzazione della vita sociale a bordo delle navi.
I pirati stanziano dei campi temporanei in prossimità delle zone di attracco delle imbarcazioni attaccate. Non sono sempre situate vicino a villaggi, cosa che lascia pensare che non siano sempre accettati di buon grado dalla popolazione, soprattutto se il contesto dei clan non e’ favorevole. Dopo l’attacco, una delle difficoltà e’ quella di gestire e nutrire gli ostaggi. Da qui la creazione di una mini economia alimentare per un maggior importo dei riscatti. La pirateria crea lavoro: le popolazioni delle coste fanno venire i loro parenti ed amici del centro del paese per farsi aiutare nelle attività di attacco e di custodia ( delle imbarcazioni prese in ostaggio).
Il riscatto è generalmente versato in contanti, contati a bordo e poi spartiti tra i soggetti che ne hanno diritto e tutti i partecipanti all’operazione. La spartizione del riscatto avviene un po’ come nella pesca: 50% per la manodopera, vale a dire gli uomini che hanno condotto l’azione (che possono arrivare fino a 80 persone), 30% al committente, 15% per l’interprete, i commercianti e più globalmente gli intermediari e 5% è riservato alle famiglie dei pirati morti. [12]

 

Il Puntland, nuova isola della Tortuga

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I presidenti non riconosciuti del Puntland:  Adde Muse a sinistra (2005-08) e Faroole a destra (dal 2009). Il governo del Puntland incassa il 30% sul prezzo del riscatto versato ai pirati locali.

Nel XVII secolo, i Caraibi furono teatro di un conflitto tra imperi cristiani, che favorirono i pirati. Si organizzarono in seno ad una società segreta, violenta ed egualitaria, “i Fratelli della costa” che si impadronivano dei territori, i loro “13” paradisi. La loro capitale era l’isola della Tortuga, dove prosperavano sotto la discreta protezione del re di Francia. La stessa struttura esiste oggi in Somalia. Il gruppo di esperti dell’ONU evoca nuove organizzazioni criminali concorrenti, di cui tre sono le principali. [13]

La più celebre è diretta da Abshir Abdillahi, detto “Boyah”, parente del presidente del Puntland,
Abdirahman Mohamed, detto “Faroole”. Ha 44 anni, è originario di porto d’Eyl, che ne ha fatto la sua base principale. Rivendica una milizia di oltre 500 uomini e dalle 25 alle 60 catture di navi in alto mare. Tra le sue prede conta la chimichiera giapponese Golden Nori ( 28 ottobre 2007, riscatto: 2 milioni di dollari) e lo yatch di lusso Le Ponant (4 aprile 2008, riscatto 2 milioni di dollari). I riscatti ottenuti rappresentano somme astronomiche in rapporto al salario annuale medio dei somali- tra i più poveri del mondo-: 282 dollari l’anno.

Lo stato autonomo di Puntland, è la versione moderna dell’Isola della Tortuga. Il governo di Bossaso (la capitale del Puntland) vanta di intrattenere relazioni con Germania, Djibouti, Emirati, Spagna Stati Uniti, Etiopia, Kenia e Banca mondiale. [14] Dichiara un budget di 30 milioni di dollari, poca cosa rispetto alle entrate delle organizzazioni di pirati. Nulla di stupefacente che Boyah abbia beneficiato della protezione del governo del Puntland, del presidente Faroole, del ministro degli interni, del generale Abdullahi Ahmed Jama, detto “Ikajiir”, e del ministro della sicurezza interna, generale Abdillah Sa’iid Samatar. Secondo le dichiarazioni rilasciate al Garowe Online (agosto 2008) e’ a loro che versava il 30% dei riscatti riservati agli accomandati.

Boyah ha annunciato, a maggio 2009, di volersi ritirare dagli affari con 180 dei suoi uomini. Sembra che uno dei suoi parenti, Mohamed Abdi Garaad, gli abbia succeduto. La sua milizia comprende oggi 800 uomini divisi in 13 gruppi. Come risaputo, è responsabile del sequestro della portarinfuse giapponese Stella maris ( 20 luglio 2008, riscatto di 2 milioni di dollari), e delle navi mercantili malesiane Bunga Melati Dua (18 agosto 2008, riscatto: 2 milioni di dollari), la tedesca BBC Trinidad, riscatto 1 milione di dollari (21 agosto 2008) e quella iraniana Iran Deyanat (21 agosto 2008).Ha anche commesso azioni maldestre attaccando il porta container statunitense Maersk Alabama (8 aprile 2009), scatenando l’intervento muscoloso della V flotta USA.

Un’altra gang si trova nella provincia contesa del Sanaag. E’ comandata da Fu’aad Warsame Seed, detto Hanaano. E’ una piccola milizia di una sessantina di uomini, che dispongono di un ingente equipaggiamento militare. Ha sequestrato lo yatch tedesco Rockall (23 giugno 2008, un milione di dollari), il chimichiere turco Karagol ( 12 novembre 2008), due navi da pesca egiziane Mumtaz 1 e Samara Ahmed (10 aprile 2009) e il rimorchiatore italiano Buccaneer (11 aprile 2009). Hanaano è protetto dal ministro degli interni Ikaljiir di cui finanza le attività politiche. Sfortunatamente è stato arrestato dagli yemeniti mentre tentava una nuova operazione nelle loro acque territoriali, il 15 ottobre 2009. Il governo di Puntland negozia la liberazione.

 

Il paradiso di Xaradheere et  d’Hobyo

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Ubicazione delle azioni pirate durante il primo trimestre del 2010 (fonte: Ufficio marittimo internazionale).

Al centro della Somalia, un’altra organizzazione è stata creata da Mohamed Hassam Abdi, detto Afweyne e che attualmente sarebbe diretta dal figlio Abdiqaadir. Ha base nei porti di Xaradheere et d’Hobyo e , per darsi una legittimità, si auto proclama “Guardia coste della regione centrale”.

Il suo bilancio conosciuto è impressionante: il Semlow (26 juin 2005), La nave cinese Feisty Gas (10 aprile 2005, riscatto 315 000 dollari), il Rosen (25 febbraio 2007), il cargo danese Danica White (2 giugno 2007, riscatto 1,5 milioni di dollari), la tonnara spagnola Playa de Baskio (20 aprile 2008, riscatto 770 000 euro), la nave malesiana Bunga Melati (18 agosto 2008, riscatto 2 milioni di dollari), il greco Centauri (17 settembre 2008), il cargo greco Captain Stefanos (21 settembre 2008), il cargo ucraino Faina (25 settembre 2008, riscatto 3 milioni di dollari), il chimichiere filippino Stolt Strength (10 novembre 2008), la tonnara cinese Tian Yo no 8 (15 novembre 2008) , il super tanker saudita Sirius Star (15 novembre 2008, riscatto 15 milioni di dollari !), l’Indian Ocean Explorer (2 aprile 2009), il porta-container tedesco Hansa Stavanger (4 aprile 2009, riscatto 2 milioni di dollari), la draga belga Pompei (18 aprile 2009, riscatto 2,8 milioni d’euro), il greco Ariana (2 maggio 2009, riscatto 3 milioni di dollari), la nave da pesca spagnola Alakrana (2 ottobre 2009, riscatto 2,3 milioni d’euro), il porta container singaporegno Kota Wajar (15 ottobre 2009, riscatto 4 milioni di dollari), la portarinfuse cinese Xin Hai (19 ottobre 2009, riscatto 4 milioni di dollari), e recentemente… il tanker russo Moscow University (5 aprile 2010, nessun riscatto)

 

Pirati o filibustieri ?

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Il 23 settembre 2009, il Colonello Khadafi prende le difese del suo amico "Afweyne" alla tribuna delle Nazioni Unite.

Se facciamo riferimento al precedente storico dei Fratelli della costa nei Caraibi del XVII secolo, i pirati avevano potuto insediarsi nei loro 13 paradisi perché rendevano discreti servizi agli Stati. Erano in realtà dei filibustieri, cioè erano occasionalmente incaricati dalle autorità politiche di missioni inconfessabili. Non potrebbe essere diversamente oggi.

Lo stato maggiore russo ha preso in considerazione un’operazione multinazionale per ripulire il Puntland e i porti di Xaradheere e d’Hobyo. Gli anglosassoni hanno vivacemente respinto questa proposta. E a ben vedere: i dirigenti politici di questi territori sono alleati della CIA, del M16 e del Mossad contro gli islamici di Al-Shabaab. Per dargli una colorazione africana, il sostegno massiccio degli anglosassoni passa per Addis Abeba (Etiopia) dove il Dipartimento di Stato sta costruendo la piu’ grande ambasciata del mondo, dopo quella di Bagdad (Iraq).

Secondo il settimanale britannico The Spectator, i capi dei pirati del Puntland sono stati ricevuti in amicizia a bordo delle navi da guerra USA per prendere il caffè. [15]

Per “trattare” quelli del Xaradheere e d’Hobyo che non hanno accesso ai servizi di un quasi stato come il Puntland, gli anglosassoni hanno scelto una copertura dalle forti tinte.

I diplomatici che ascoltavano l’interminabile discorso di Mouamad Khadafi all’Assemblea generale dell’ONU (23 settembre 2009) hanno teso a sbadigliare e sono andati alla buvette aspettando che finisse. Hanno sbagliato. Nel corso della sua arringa contro il funzionamento dell’ONU, il capo di stato libanese ha moltiplicato le digressioni. Una di queste è consistita nel prendere la difesa dei pirati somali assimilando le organizzazioni criminali attuali a dei pescatori in disgrazia – il che, come abbiamo visto è falso-. [16] Il colonnello Gheddafi ha ricordato l’accoglienza solenne riservata a “Afweyne” e ai suoi luogotenenti , a Tripoli, l’1 settembre 2009.

La Libia intende giocare un ruolo in Africa, ma può pretenderlo realmente solo da quando si è pubblicamente riconciliata con gli Stati Uniti (che avevano portato il colonnello Gheddafi al potere). Attualmente, l’Africa è

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Pronto, qui Ehud Olmert.

diventato un campo chiuso dove gli Stati Uniti affrontano la Cina, i primi subappaltando le loro azioni segrete a Israele, i secondi facendo appello ai servizi iraniani.

Secondo il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, i capi dei pirati di Puntland arrestati nelle sue acque territoriali ricevevano gli ordini dal telefono satellitare del gabinetto del vecchio israeliano Ehud Olmert, dichiarazioni largamente riprese dalla stampa araba ma ignorate dalla comunità internazionale.

I pirati somali sanno rendere i servizi quando servono, e vogliono per i loro affari il resto del tempo. Di colpo non ci si sorprende più che continuino a scorrazzare come se nulla fosse in mezzo a tante navi da guerra. Ci si può anche domandare se le informazioni raccolte durante le riunioni di “presa di conoscenza condivisa e di prevenzione dei conflitti “ SHADE organizzate nel Bahrein, dal Pentagono, non siano trasmesse ai pirati per evitargli incontri fatali.

 

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[1] The political development of Somaliland and its conflict with Puntland, di Beruk Mesfin, Institute for Security Studies (Afrique du Sud), septembre 2009.

[2] Siti internet ufficiali d’Ahlu Sunna wal Jama’a : Shaaficiyah.com (in inglese) e Ahlusunna.org.

[3] Sito internet officiale d’Al-Shabaab.

[4] Sullo spostamento geografico dei pirati : Piracy : The Motivation and Tactics, di Nicole Stracke e Marie Bos, Gulf Research Center, 2009.

[5] Combating Somali Piracy : the EU’s Naval Operation Atalanta, Camera dei Lord UK-(ref. HL 103, 14 aprile 2010).

[6] Piracy : threat or nuisance ?, di Alessandro Scheffler, NATO Defense College, Roma (ref. Research Paper 56, febbraio 2010).

[7] China’s Participation in Anti-Piracy Operations off the Horn of Africa : Drivers and Implications, édité di Alison A. Kaufman, Center for Naval Analysis, USA, (réf. MISC D0020834.A1/, juillet 2009). China and Maritime Cooperation : Piracy in the Gulf of Aden di Gaye Christoffersen, Institut für Strategie- Politik- Sicherheits- und Wirtschaftsberatung, 2010.

[8] Sito internet di Sea Vision.

[9] « La piraterie profite aux sociétés privées de sécurité », di Marie-France Joubert, France 24, 26 novembre 2008.

[10] Per esempio : The Maritime Dimension of International Security. Terrorism, Piracy, and Challenges for the United States, par Peter Chalk, Rand Corporation, 2008.

[11] « Le retour de la guerre de course », di Jean-Paul Pancracio, Bulletin d’études de la marine, numéro 43, décembre 2008, Centre d’enseignement supérieur de la Marine, Ministère de la Défense, Paris. L’autore cita « Washington lâche des corsaires dans l’océan Indien », di Philippe Chapleau, Ouest France du 3-4 novembre 2007.

[12] La Piraterie maritime, rapport d’information de la Commission de la defense nationale et des forces armées, Assemblée nationale, France (ref. 1670, 13 mai 2009). Rapporteur : Christian Ménard.

[13] Troisième rapport du Groupe de contrôle sur la Somalie établi en application de la résolution 1853 (2008) du Conseil de sécurité (ref. S/2010/91), 10 mars 2010.

[14] Sito internet ufficiale dello Stato autonomo di Pount.

[15] Enquête d’Aidan Hartley, The Spectator du 6 dicembre 2008.

[16] « Discours de Mouammar Khadafi à la 64e Assemblée générale de l’ONU », Réseau Voltaire, 23 settembre 2009.

 

 

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