IL PICCOLO POPOLO

DEI SAMARITANI...

ESISTE ANCORA!

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

TRA STORIA E ATTUALITà

 

 

 

 

Celebrazione del rito della Pasqua dei Samaritani

 

 

 

LA STORIA

 

di VALENTINA COLOMBO

I Samaritani sono una comunità interna all'Ebraismo originata dagli Ebrei dell'antica Samaria che non furono deportati dal conquistatore assiro del regno d'Israele, Sargon II, nel 722 a.C Dopo il ritorno dall'esilio babilonese. i Giudei non permisero ai Samaritani di partecipare alla ricostruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme, Di conseguenza nel IV sec. a.C. i Samaritani costruirono un santuario indipendente ai piedi del monte Gerizim, presso l'attuale Mablus, circa 40 km a nord di Gerusalemme, 1 membri dell'esigua comunità, che vivono ancor oggi perlopiù a Nablus, sede del sommo sacerdote, e a Holon, presso Tel Aviv, si autodefiniscono Bene Yisra'el (Figli d'Israele') o Sbamerim, ('Osservanti). La loro unica autorità scritturale è il Pentateuco, scritto in alfabeto "samaritano", direttamente discendente dal primitivo alfabeto ebraico. Usano l'ebraico per la liturgia, l'arabo per la comunicazione quotidiana.

Nel Nuovo Testamento si narra che la samaritana si sorprende quando l'ebreo Gesù incontrandola al pozzo le rivolge la parola; samaritane sono le persone che si rifiutano di offrire ospitalità a Cristo perché diretto alla "nemica" Gerusalemme; probabilmente si tratta di una provocazione la scelta di Gesù di un samaritano come simbolo dì carità. Un'ostilità quella nei confronti dei Samaritani condivisa nell'antichità da ebrei, assiri, egizi, macedoni e romani.

Sichem al tempo di Gesù era nel territorio dei samaritani ed è uno dei luoghi più ricordati nella Bibbia: Abramo vi pose il suo primo altare (Gen 12,6-7), quando nel lontano diciottesimo secolo a.C. venne dal nord della Siria. Qui a Sichem Giacobbe acquistò un terreno, vi scavò un pozzo ed eresse un altare (Gen 33). Qui dopo un anno dall'ingresso nella Terra Promessa Giosuè fece rinnovare l'Alleanza sinaitica a tutto il popolo venuto dall'Esodo (Gs 24). Qui ancora è la tomba venerata di Giuseppe, il patriarca riportato dall' Egitto.

E proprio qui a Sichem c'è il pozzo di Giacobbe, profondo 40 metri: lì Gesù si sedette ad attendere la Samaritana. È uno dei luoghi più significativi; si scende a bere quest'acqua con l'emozione di trovarsi davanti a Gesù e di partecipare al suo dono che ci offre...!

Già nel IV secolo un santuario in forma di croce copriva il pozzo, così al tempo Crociato. Gli zar della Russia iniziarono una grande basilica sopra il pozzo; la rivoluzione bolscevica del 1917 la lasciò a metà. Ora si sta completando la chiesa.

Nel IV e V secolo d.C. il numero di questa popolazione che si definisce "il più antico e meno numeroso popolo al mondo" ammontava a 1.200.000 persone residenti in molte città e villaggi della terra di Israele, dalla Siria meridionale all'Egitto settentrionale.

Le persecuzioni hanno drasticamente ridotto la comunità samaritana che nel 1917 era rappresentata da sole 146 persone.

Ciononostante, nel corso della storia, i Samaritani non hanno mai perso uno status unico al mondo. Posseggono un proprio alfabeto, la scrittura antico‑ebraica, quella precedente a quella quadrata adottata dagli ebrei dopo l'esilio; vengono educati in accordo a un'unica e millenaria tradizione storica, che risale al ritorno del popolo di Israele nella propria patria.

1 Samaritani sono guidati da quattro principi di fede: un unico Dio, il Dio dì Israele; un unico profeta, Mosè figlio di Amram; un unico libro sacro, il Pentateuco nella loro scrittura ‑ di cui una copia manoscritta si trova presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano ‑ ovvero la Torá tramandata da Mosè; un unico luogo sacro, il Monte Gerizim.

A ciò va aggiunta anche la credenza nel Taheb figlio di Giuseppe, «un profeta come Mosè‑ che apparirà nel giorno della Vendetta e della Ricompensa alla fine dei mondo.

I Samaritani festeggiano solo le sette festività nominate nella Torá: la Pasqua ebraica; la festa degli Azzimi; la festa delle Settimane (Shavuoth); il primo giorno del Settimo Mese; il giorno dell'Espiazione (Yom Kippur); la festa dei Tabernacoli (Sukkoth); la festa della Torá.

A differenza degli Ebrei, i Samaritani non festeggiano Hanukká e Purim. Il nuovo Anno viene festeggiato quattordici giorni prima della Pasqua, e la vigilia di Pasqua è caratterizzata dal sacrificio degli agnelli e capretti sul monte Gerizim.

Oggigiomo la comunità samaritana è concentrata in due zone: metà della comunità vive per tutto l'anno a Kiryat Luza sul Monte Gerizim e di questa metà un piccolo numero si trasferisce nell'antico villaggio samaritano di Nablus nei mesi invernali; l'altra metà vive nel quartiere Neve Marka a Holon, presso Giaffa, comunità fondata nel 1954/55.

A capo della comunità samaritana v'è il Grande Sacerdote, discendente di Aronne, fratello di Mosè.

1 Samaritani circoncidono i figli maschi all'ottavo giorno dopo la nascita. Ragazzi e ragazze che completano la lettura della Torá sono considerati «conoscitori della Torá» (status essenzialmente simile, a parte l'età dei ragazzi, all'ebraico Bar Mitzvá).

Le coppie samaritane si uniscono seguendo tre stadi: il consenso, in cui la donna e i suoi genitori esprimono il consenso alla proposta fatta dall'uomo e dai suoi genitori; la promessa di matrimonio in cui due testimoni vengono inviati dalla donna al fine di testimoniare il consenso; il matrimonio in cui viene firmato e letto il contratto (ketubbá) e vengono fissati i termini del matrimonio. Solo il primo stadio può essere dissolto senza divorzio. 1 morti sono sepolti nel cimitero presso Kiryat Luza sul Monte Gerizim oppure nella parte samaritana del cimitero di Kiryat Shaul a Giaffa.

Essere samaritano richiede di vivere in terra d'Israele, senza lasciarne i confini storici oppure mantenendovi la residenza se si vive fuori di essa, di partecipare al sacrificio di Pasqua sul Monte Gerizim, di rispettare il Sabato come è scritto nella Torá; la scrupolosa osservanza delle leggi della purità e impurità come sta scritto nella Torá. Chiunque non osservi uno solo di questi doveri non può continuare a vivere all'interno della Comunità.

Nel 1948 la comunità samaritana contava 250 persone: 192 a Nablus e 58 a Giaffa. Nel 1969 ne contava 414: 227 uomini e 187 donne.

Il I gennaio 1996 la comunità contava 583 persone (286 a Kiryat Luza e Nablus; 297 a Neve Marka, Holon): 315 uomini e 268 donne, di cui 238 persone sposate, 190 celibi e 122 nubili, 7 tra vedovi e divorziati; 26 tra vedove e divorziate.

 

Celebrazione del rito della Pasqua

 

 

 

 

MAURIZIO BLONDET RACCONTA LA

SUA ESPERIENZA CON I SAMARITANI

 

Fonte web

 

Anni fa, un salesiano italiano in Palestina mi annunciò: «Domani porto i ragazzi della scuola a vedere il rito dei samaritani; perché non viene anche lei?». 
Ero fortunato a trovarmi lì nei giorni della Pasqua samaritana: festa mobile e inaccertabile, perché indicata da un calendario segreto noto solo ai loro sacerdoti.
E poi la gita sul monte Garizim: quel «monte» cui allude la Samaritana, «I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte, e voi dite che è a Gerusalemme che bisogna adorare».
Il sognato monte Garizim si rivelò una collina non solo pelata, ma affollata di casermoni ultra-popolari, grigi e brutti, dove vivono i samaritani stessi.
La comunità, ridotta si dice a 500 persone, è anche poverissima da sempre.
E non c’è un tempio: solo, in uno spazio fra i casermoni, un recinto di rete metallica ne teneva il luogo.
Dentro già vi si affollavano i capifamiglia intenti a scavare dei fossatelli e ad accendere un grande falò.
Si poteva seguire tutto, arrampicandosi un po’ più in alto o dai balconi circostanti, da cui osservavano le donne samaritane e ospiti vari.
Molti spettatori e telecamere, perché il fatto è da sempre un evento turistico.
Gli spettatori ebrei osservavano con un’attenzione tesa: perché quello è l’esatto rituale che avveniva nel tempio di Gerusalemme, e che molti oggi sperano di poter ripetere nel solo luogo dove il sacramento può essere valido, la roccia di Abramo, sulla spianata delle moschee.
I samaritani, cordiali, consentono di vedere.
E’ vietato agli estranei solo entrare nel recinto; ci possono stare solo i maschi di fede samaritana.
La modesta rete verde di metallo plastificato, da giardino, delimita davvero un «templum», uno spazio sacro.
Il rito ha qualcosa di primordiale, selvaggio visivamente e soprattutto olfattivamente.
Ogni capofamiglia, spesso aiutato dai suoi bambini e ragazzi, con un coltellaccio consunto dalle affilature, sgozza un grosso agnello; ne fa colare il sangue nei fossatelli mentre l’animale si agita convulso; poi rapidamente lo scuoia e getta il vello nel fuoco.
E’ questo ciò che si diceva l’olocausto, l’abbruciamento completo della pelle, col suo pelo e col suo grasso; non della carne, che poi la famiglia mangerà (una parte va ai sacerdoti).
Come si capisce, l’aria era piena di quell’afrore tremendo che la Bibbia dice «grato alle narici di Dio».
E qui gli agnelloni sacrificati erano una ventina; si può immaginare cosa fosse l’odore nel tempio, dove se ne immolavano centinaia.

Ma ecco arrivano tre suorine di Madre Teresa, giovanissime, sorridenti, col loro sari e i sandali.
Cosa fanno i maschi intenti a quegli atti sanguinosi?
Sorridono, salutano e fanno entrare le suore «dentro il recinto».
Quelle si siedono come fosse la cosa più naturale del mondo sugli sgabelli messi lì per loro.
Ma non è naturale.
Si tratta di cristiane, ma soprattutto di donne.
E i samaritani seguono strettamente i precetti biblici sull’impurità femminile.
Una donna è impura per sette giorni dopo le regole, per 40 dopo il parto di un maschio, per 80 di una femmina (eh sì..), e in quei giorni è vietato toccare persino il loro letto e gli oggetti che usano.
Eppure ho visto i samaritani scavalcare questa regola ferrea nella loro Pasqua.
Forse, ho fantasticato io, perché vedranno nelle suorine persone «come gli angeli del cielo, dove non ci si sposa né si è sposati».
Forse perché avendo ordinato Madre Teresa alle sue suore di dedicarsi ai «più poveri fra i poveri», e i samaritani sono i poverissimi in Israele, la gratitudine diventa naturale.
Certo, nessuno al mondo, qualunque sia la sua fede, può dire «il Dio di Madre Teresa non è il mio», senza condannare se stesso.
Ma evidentemente i samaritani mantengono una «libertà» di fronte alla Legge, la sanno superare in nome dell’amicizia e della gratitudine, e della comune umanità.
Nessun ebreo farebbe altrettanto.
E’ evidente che loro leggono la legge in modo meno formale.
Lo disse un loro saggio all’abate Henry Grégoire, che nel 1804 si fece apostolo dei samaritani e loro protettore contro le angherie dei vicini.
Salameh, il saggio, spiegò perché non si mettevano i filatterii, ossia quelle scatolette contenenti passi della Scrittura che gli ebrei, quando pregano, si fissano con lacci sulla fronte e sul braccio. «Mi domandi perché non ci mettiamo bracciali alle braccia e ornamenti tra gli occhi? Sappi che noi non facciamo come i giudei, sia la loro razza maledetta. Noi mettiamo i precetti nei nostri cuori, e li leggiamo giorno e notte durante tutta la vita». (1)
Gesù deve aver colto questa loro capacità di sentire la Legge «nel cuore» quando, nella nota parabola, dice del passante che aiuta lo sconosciuto ferito che è un Samaritano, mentre gli uomini della Legge ebraica passano senza alzare un dito.
E per questo parla con la Samaritana al pozzo.
Dice sì che «voi adorate quello che non conoscete, noi (giudei) quello che conosciamo», ma dice anche che «d’ora in poi» non si adorerà il Padre sui monti, ma «in spirito e verità».
Fa dei samaritani i primi, tra gli «altri», i goym, chiamati alla nuova Alleanza.

I Samaritani non sono goym, sono ebrei.
Lo riconoscono gli ebrei stessi, anche se il Talmud li chiama invariabilmente Cuthei, infedeli o apostati.
Tanto che hanno dato ai samaritani la cittadinanza israeliana senza esitare.
Ma resta contro di loro il disprezzo secolare (e ricambiato).
I samaritani sono poveri perché sono discriminati.
Come spiegò Joseph Kessel, etnologo e viaggiatore, negli anni ‘20 i samaritani salutarono con gioia l’arrivo dei primi sionisti, per un motivo molto umano: nella loro piccola comunità, dove i maschi erano superiori alle femmine, speravano di sposare i loro figli con le donne ebree, del loro sangue. Ma nessuna ebrea, anche atea socialista, li ha voluti sposare.
«L’anno scorso c’è stata un’eccezione», scrive Kessel: «Una prostituta di Tel Aviv si è congiunta in matrimonio con un Chomrone [epiteto insultante dei samaritani]. Per la tribù fu una gioia senza eguali. Non si è più ripetuta».
Le cose sono cambiate di recente, dopo le scoperte della biologia molecolare e del DNA.
I rabbini che vogliono ricostruire il Tempio e ripetere il rito interrotto da duemila anni, non riescono più a stabilire chi fra loro sono i sacerdoti, necessari perché il rito sia valido: le famiglie sono estinte, o i loro lignaggi ereditari confusi.
I samaritani invece hanno ancora sacerdoti discendenti dai ceppi biblici, e ciò è attestato dalle genealogie conservate nelle famiglie.
«Il loro patrimonio genetico è rimasto intatto», scrive Léon Poliakov, ed è questo che interessa. Approfonditi studi (2) sono stati intrapresi sulle linee genetiche, patrilineari e matrilineari, dei Samaritani, prelevando il loro DNA.
Una volta identificata la linea ereditaria giusta, il samaritano portatore del gene sacerdotale viene congiunto con una donna ebrea.
Il figlio che nasce da madre ebrea essendo ebreo per la Legge, incarna - secondo questi fanatici  tecno-biologici - un vero sacerdote ebreo, capace di compiere lo sgozzamento dell'agnello pasquale in modo sacramentalmente valido.
Il samaritano usato per la «monta», diciamo così,  resta poi discriminato e ripudiato.
E’una storia che si ripete.

La descrive il Libro di Esdra (Ezra), che narra il ritorno degli ebrei dall’esilio di Babilonia, grazie all’editto di Ciro il Grande, imperatore dei persiani, del 536 avanti Cristo : «Il Signore […] mi ha comandato di edificargli una casa in Gerusalemme. Chi tra voi appartiene al suo popolo? Salga pure in Gerusalemme e costruisca la casa del Signore Dio d’Israele». (Esdra, 12)
Era una facoltà che si concedeva, non un ordine.
A quanto si intuisce dal racconto, la maggior parte degli ebrei cosiddetti «esiliati» e deportati non si affrettarono a tornare, non stavano poi tanto male nell’odiata ma ricca Babilonia. (3)
Fu necessario che Ciro (o la mano che scriveva i suoi editti) aggiungesse misure di esazione fiscale a carico di chi rifiutava di tornare alla terra promessa.
«Tutto il resto del popolo [che resta] nei luoghi dove dimora fornisca oro, argento, beni e bestiame» a coloro che tornavano.
Probabilmente non bastò: i due condottieri che guidarono il «ritorno», Ezra e Neemia, dovettero farsi assegnare truppe armate persiane per scortare i «volontari del rimpatrio».
Sembra una deportazione a rovescio, «manu militari».
Ma insomma qualche migliaio di ebrei ritornano, e cominciano a ricostruire il tempio.
Appena li vedono, si fanno avanti i samaritani: loro sono ebrei che per qualche motivo sono rimasti lì, e vanno tutti gioiosi verso quei loro confratelli, ed entusiasti si offrono di partecipare all’opera.
«Vogliamo costruire insieme a voi, giacchè anche noi invochiamo il vostro Dio, e gli offriamo sacrifici fin dai giorni di Assaradon, re di Assiria, che ci condusse qui!».
E che cosa rispondono i capi ebraici?
«Non tocca a voi e noi insieme edificare un tempio al nostro Dio! Noi soli edificheremo!».
Una rispostaccia.
Ezra chiama subito questi samaritani che si offrono di unirsi ai suoi «i nostri nemici» (Esdra, 4,1). Lui e l’altro capo, Neemia, passano subito a ristabilire la purezza razziale, obbligando i ritornati a ripudiare le mogli che avevano preso da altre etnie.
Vietarono l’accesso degli stranieri alla città.
Neemia, zelantissimo, si scagliò contro «alcuni giudei che avevano sposato donne asdodite, moabite e ammonite… io li svergognai, li maledissi, ne picchiai alcuni, strappai loro i capelli» (Neemia, 13, 23).
Esdra si incaricò di leggere al popolo la Legge durissima a cui d’ora in poi avrebbero dovuto obbedire: «E tutto il popolo pianse quando sentì le parole della Legge», perché sanciva pesanti obblighi e la separazione da tutti gli altri popoli.
S’intende che Neemia, così zelante, mica se ne restò nella terra santa ad obbedire alla sua Legge. Compiuta la sua missione, se ne tornò alla corte di Ciro, di cui era consigliere (e probabilmente il capo della lobby che aveva fatto firmare a Ciro il suo editto).
Per amore d’Israele poteva strappare capelli e imporre ripudii, ma non vivere lì.

Secondo alcuni storici, Ciro favoriva la costruzione di templi di qualunque, fede per i popoli soggetti, per un motivo pratico.
I tempi e i santuari erano centri di raccolta monetaria e di esazione fiscale, molto utili all’impero, in qualche modo delle esattorie.
Infatti il tempio di Gerusalemme servì anche come esattoria dei persiani: aveva al suo interno una fonderia per fondere le monete d’oro e d’argento, offerte dei pii fedeli; questi, in realtà, dovevano cambiare le monete profane con una moneta «sacra», lo shekel, emessa dal Tempio e il cui tasso di cambio era definito dai sacerdoti.
Un tasso piuttosto favorevole al Tempio-esattoria e banca (Gesù rovesciò i tavoli dei cambiavalute).
Sarà per questo che Ezra e Neemia respinsero così di malagrazia  il cordiale aiuto dei Samaritani?
I valori monetari, se condivisi con più persone, diminuiscono.
Non così i valori spirituali.
Ecco perché i Samaritani sono simpatici.

 

Note
1)
 Léon Poliakov, «Les Samaritains», Parigi 1991, pagina 106.
2) Basta mettere su Google «Samaritans DNA» per accedere ad una quantità di questi studi sul genoma. Gli autori di queste ricerche sono invariabilmente israeliani.
3) Il Salmo 137 suggerisce che tipo di sentimenti coltivassero  gli ebrei per Babilonia: «Babilonia votata alla distruzione, beato chi ti ricambierà di quanto hai fatto a noi! Beato chi prenderà i tuoi neonati e li sbatterà contro la roccia!». Ciò nonostante, nell'esilio di Babilonia, la comunità ebraica fosse divenuta assai prospera, numerosa, e dotata di autogoverno.
 

 


APPENDICE

 

LE FOTO DELLA PASQUA SAMARITANA

 

I Samaritani e l'incesto - La variabilità genetica