UNA GEMMA PER OGNI PARROCCHIA

 

GIORNATA PER LA VITA

5 febbraio 2006

 

RISPETTARE LA VITA

 "Se nel cuore cerchi la libertà e aspiri alla felicità,

rispetta la vita, sempre e ad ogni costo"

 

 

 

 

Progetto Gemma

 

Cos'è ...

 

Progetto Gemma nasce dall'incontro tra l'esperienza dei Centri e Servizi d’aiuto alla vita con l'esperienza delle adozioni a distanza.

I Centri e Servizi d’aiuto alla vita (Cav e Sav) sono sorti a partire dal 1975 per dare attuazione ad un pensiero fondamentale: "Le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà". I Cav e i Sav non si pongono "contro" la madre ma "accanto" alla madre. Condividendone le difficoltà d’ogni tipo essi difendono il diritto del bambino non ancora nato. Da un rapporto pubblicato nel 2005 risulta che i 278 Cav e Sav d'Italia aiutano ogni anno non meno di 7500 gestanti (7622 nel 2004), delle quali circa 1000 (1075 nel 2004) già orientate ad abortire accettano, nella grande maggioranza, di proseguire la gravidanza dopo l'incontro con un Cav o un Sav.

Le adozioni a distanza costituiscono un'esperienza molteplice che fornisce un aiuto economico periodico ai poveri di Paesi lontani, per lo più bambini abbandonati dai genitori (si pensi ai meninos" e  alle "meninas de rua" del Brasile) o che comunque devono essere assistiti a causa delle difficili condizioni delle loro famiglie. Il nome di "adottante" attribuito a chi s’impegna a fornire ogni mese un sussidio economico ad un determinato bambino è improprio, perché in nessun modo "l'adozione a distanza" può trasformarsi in adozione in senso giuridico. L'introduzione del bambino lontano nella famiglia "adottante" è solo spirituale. L'adozione a distanza è relativamente facile perché nei Paesi del Terzo Mondo il potere d'acquisto della moneta europea è molto alto: 30, 20 e talvolta anche 15 euro al mese possono bastare all'alimentazione, al vitto e all'istruzione mensile di un bambino.

Anche in Italia ci sono bambini abbandonati. Tanto abbandonati da essere uccisi. Anche in Italia ci sono bambini poveri. Anzi: sono i più poveri di tutti, perché non hanno neppure la voce per chiedere aiuto. Oltre a quelli di cui ogni tanto parlano ì giornali, perché vengono trovati in cassonetti  dell'immondizia, vi sono quelli, numerosissimi, cui è impedito di nascere.

Gli aborti, quelli conosciuti perché legali, sono circa 140mila ogni anno. Poi ci sono quelli che nessuno può contare perché restano clandestini ovvero sono essenzialmente occulti, perché avvengono privatamente con l'uso di preparati chimici nei primi giorni di vita del concepito.

Ci sono, dunque, tanti bambini a rischio d’abbandono ancora prima della nascita nella nostra Italia, nella nostra regione, nella nostra città. Per molti tra loro tale estremo rischio è causato dalla Povertà della madre. Le ricerche effettuate a campione dicono che il 40 o il 50% delle donne chiede l'interruzione volontaria della gravidanza perché si trovano in difficoltà economiche.

Specie in uno Stato che pretende d’essere sociale è sommamente ingiusto che questo avvenga. Non possiamo attendere che le istituzioni si muovano. Subito tutte le persone di buona volontà Possono fare qualcosa. Forse basta poco per salvare una vita umana.

Ecco Progetto Gemma: un'adozione a distanza ravvicinata. "Adotta una mamma, salva il suo bambino".

La difficoltà è che in termini monetari. Il bisogno di una persona in Italia è molto più grande del bisogno di un bambino del Terzo Mondo. Perciò non sono tanti quelli che possono permettersi il Mantenimento completo di un bambino per decenni. Per consentire una partecipazione significativa al Progetto bisogna perciò proporre un contributo economico mensile limitato per quantità e durata: 160 euro per 18 mesi. L'onere per gli adottanti non è leggero, ma è sostenibile ‑rinunciando a poche cose superflue.

I vantaggi, invece, sono notevoli. In primo luogo gli "adottanti"' sanno di aver salvato davvero una vita umana. In secondo luogo il tempo di 18 mesi è quello in cui nessuno pensa a quel bambino e a quella madre. Dopo, accanto all'ordinaria solidarietà del Cav e Sav, sarà più facile trovare quella d’altre istituzioni pubbliche o private. Infine l'esperienza dimostra che, sebbene la somma erogata non elimini i problemi economici della madre, tuttavia l'impegno preciso e durevole nel tempo che il "Progetto" assicura costituisce una "carezza economie&', che rompe la solitudine, stimola altre solidarietà, riapre la porta al coraggio.

L' idea di "adozione" fa pensare ad un rapporto familiare. E' giusto, perciò, presentare quest’iniziativa alle famiglie sia già esistenti, sia in formazione. Ma anche un gruppo può divenire “adottante". Sarebbe quanto mai bello se ogni cellula della comunità cristiana si facesse carico di sottrarre alla morte un bambino. Ma il desiderio di realizzare una paternità e maternità spirituali può essere condivisa anche da altri gruppi, scuole, uffici, clienti di un negozio.

L'iniziativa presenta il vantaggio di grande flessibilità. La somma di un "Progetto" può essere versata mese per mese o tutta insieme. Un "Progetto" offerto a metà, può essere unito ad un altro anch'esso parziale. Niente impedisce l’adozione" anche a persone singole per sentirsi parte del " popolo della vita", per ricordare una persona cara, per festeggiare un evento.

"Nella mobilitazione generale per una nuova cultura della vita nessuno si deve sentire escluso: tutti hanno un ruolo importante da svolgere" (Ev. v. n. 98).

 

PROGETTO  GEMMA:

Tel. 02 48702890 - FAX 02 48705429 - E-Mail: progettogemma@mpv.org

Entra nel sito del MpV e troverai tutti i particolari che cerchi - www.mpv.org

 

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“Voglio crescere nel tuo grembo”

Le drammatiche testimonianze di donne al bivio

per una gravidanza indesiderata

raccolte in un “libro-verità” dal CAV di Vicenza


 

 

“PER QUANTO PICCOLO IO SIA,

CI SONO: NON BUTTARMI VIA”

 

Fonte web

Sono una mamma di vent'otto anni e ho vissuto la brutta esperienza di dover decidere della vita del mio quinto bambino. Avevo da poco cominciato un’attività di parrucchiera quando mi accorsi di essere incinta di nuovo. Avevo già quattro figli. Fui presa dal panico, non perché non volessi il bambino, ma per paura di non farcela fisicamente. Le ultime due gravidanze avevano portato con sé problemi di vene e rischio di flebite.

Con mio marito decidemmo di consultare subito la ginecologa, che mi disse che avevo il 50 per cento di possibilità di farcela, purché lasciassi subito il lavoro. La decisione era molto difficile: avevo fatto un mutuo per il negozio. Dovevo aiutare mio marito, perché il suo stipendio non bastava per arrivare a fine mese. Avevo solo quindici giorni di tempo per decidere cosa fare.

L’incubo cominciò quando dovetti compilare i documenti da portare alla clinica dove sarei stata visitata per decidere la data dell’aborto. Mio marito notava che ero sempre “assente” e che non facevo che pensare cosa fosse giusto o sbagliato. Lui mi aiutava a capire le conseguenze che sarebbero derivate da tutte e due le scelte sia per me che per il mio bambino.

I conoscenti mi dicevano che fino a tre mesi non c’è un bambino ma solo un grumo di sangue. Invece dentro di me sentivo sempre una vocina che mi diceva: “Mamma, per quanto piccolo io sia, ci sono, non buttarmi via, voglio anch’io crescere nel tuo grembo come i miei fratelli”.

Alla sera quando mi ritrovavo con gli altri bambini lo immaginavo in mezzo a loro, che mi guardava e sorrideva e… incominciavo a piangere. Continuavo a ripetermi perché, perché… Avevo paura di morire. Che ne sarebbe stato delle mie creature (la più grande ha sei anni, poi cinque, tre, due anni)? D’altra parte, se avessi abortivo avrei ucciso un innocente che si sentiva vivo in me.

Finché un paio di giorni prima della data prevista per l’aborto, telefonai e annullai l’appuntamento, affidandomi alla Volontà del Signore.

Avevo ascoltato il mio cuore: così mi rasserenai e gli incubi che mi avevano tormentato scomparvero. Avevo deciso: mi abbandonai alla fede. Ho trascorso bene tutta la gravidanza. Mi sono riguardata e non ho avuto complicazioni. Ho conosciuto il Centro di Aiuto alla Vita e devo molto alle volontarie per il sostegno che mi hanno dato.

Ora sono felice, perché posso vivere la mia vita senza avere commesso uno sbaglio che sicuramente mi avrebbe segnata per sempre. Ho un bambino adorabile, che mi porto appresso al lavoro, e lui non fiata.

 

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LO GUARDO NEGLI OCCHI,

VEDO UN BAMBINO SALVATO DALLA MORTE

 

Ero fidanzata da cinque anni e tutto andava bene, quando mi accorsi di essere incinta. Il mio fidanzato fu chiaro: “O il bambino, o me”. Il mondo mi è crollato addosso.

Mi ha prenotato la visita per l’interruzione volontaria di gravidanza. Ci sono andata e lì, mentre aspettavo, su un tavolino ho visto un pieghevole del Centro di Aiuto alla Vita, di cui non sapevo nulla. Me lo sono portato a casa, ho visto l’indirizzo del Centro più vicino a casa mia.

Il giorno dopo ci sono andata, ho parlato con la Presidente e le altre volontarie. Mi hanno fatto conoscere il “Progetto Gemma”, che consiste in un aiuto in denaro. Quando è arrivato il primo contributo, ho finalmente sorriso. E’ stata dura e lo è ancora, anche per la mia famiglia.

Quando il bimbo è nato, i miei genitori hanno iniziato a volergli bene e ad aiutarmi. Ogni volta che lo guardo negli occhi, vedo un bambino salvato dalla morte. Il mio fidanzato è tornato a percorrere la sua vita, ignorando che c’è un figlio, ma se è vero che i genitori sono coloro che ti amano, allora mio figlio ha una mamma che lo ama tantissimo.

Quella che sembra la scelta più comoda, l’aborto, si rivela dopo, un delitto nel corpo e nel cuore. Troppi innocenti vengono uccisi ogni giorno da “medici senza cuore”. Spero che questa mia storia serva a far comprendere che l’aborto è l’omicidio di un bambino.

  

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“SE SOLO POTESSI TORNARE INDIETRO

E STRINGERE QUEL FIGLIO TRA LE BRACCIA”

 

Ho quarant’anni, sono sposata e ho due figli grandi. Qualche anno fa ho passato l’inferno. Al quarto mese di gravidanza ho abortito. Subito ho provato un senso di liberazione, di sollievo. Se solo avessi immaginato il tormento che avrei patito non appena mi fossi resa veramente conto di quello che avevo fatto (..) 

All’inizio si riesce a ragionare con un certo distacco, ci si aggrappa alle attenuanti: la professione che non si può lasciare, i soldi che non bastano, la casa piccola…

Ho reagito dedicandomi con più accanimento agli altri due figli. Agli occhi degli altri ero sempre la stessa, ma dentro di me si stava scatenando l’inferno. La prima fitta di dolore, così forte che non potei ignorarla, la provai per strada quando incrociai una donna che spingeva una carrozzina. Fui assalita dall’angoscia: vidi negli occhietti di quel bimbo lo sguardo di mio figlio non voluto. Uno sguardo che non mi abbandonò più.

Ancora oggi spesso calcolo con la mente l’età che avrebbe mio figlio; con la fantasia lo plasmo più o meno alto, con i capelli chiari o scuri… Gli parlo, ma soprattutto piangendo, spesso, gli chiedo perdono. Penso e ripenso, in modo ossessivo, con ansia e rimorso: se solo potessi tornare indietro e stringere quel figlio tra le braccia!

Invece, mi rimane solo un forte senso di colpa per averlo rinnegato.

Questa sofferenza ha segnato la mia vita. Tutto è cambiato da quel giorno: soprattutto il rapporto con mio marito non è più lo stesso. E’ come se volessi scaricare su di lui una parte della colpa. In quella circostanza si è comportato come Ponzio Pilato, se n’è lavato le mani. (…) Persino il rapporto con gli altri due figli è cambiato. Subito dopo l’aborto ero loro morbosamente attaccata, ora molto meno, perché mi sembra di fare un torto al figlio non nato.

Continuo a pensarci, soprattutto quando sono sola in casa; le notti sono tormentate dagli incubi. Quando ci penso, riemergono la superficialità, l’egoismo e l’estrema violenza che ho riservato a mio figlio; sono stata la sua condanna a morte.

Se dovessi parlare a una donna con i miei stessi dubbi, la supplicherei di non abortire, di non fare il mio errore, di non credere di poter risolvere tutto senza dolore. La scongiurerei di non farlo, a costo di allevarlo io quel figlio. Le spiegherei in che oscuro tunnel precipiterebbe. Soprattutto non la lascerei sola, non le farei sentire l’indifferenza e la freddezza che ho provato io.

Le donne sappiano che il bisturi della legge 194 non incide solo le carni ma anche i cuori e le coscienze.