PUBBLICITÀ

E DEGRADO DELLA CIVILTÀ

 POST-MODERNA

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

Pubblicità ingannevole

 

 

INTRODUZIONE

La pubblicità ingannevole è "qualsiasi pubblicità" che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, crea un qualche danno sia di natura economica, psicologica o morale. La pubblicità ingannevole è dunque un atto contrario alla correttezza professionale. Essa è tale quando induce in errore il consumatore, influenzandone le decisioni mediante informazioni false o il mancato apporto di informazioni rilevanti.

Bisogna ammettere che negli ultimi anni è aumentato sensibilmente anche il numero di esposizioni di cartelloni pubblicitari a sfondo sessuale e sessista in luoghi pubblici molto frequentati. Medesima cosa va detta per tale genere di pubblicità alla televisione. Posizioni palesemente e spudoratamente sessiste, sempre più provocanti, stanno inondando gli spazi pubblici per pubblicizzare qualsivoglia prodotto, costringendo parecchi cittadini a subire tali visioni.

Il degrado morale generale della nostra società è ormai palese e la perversione ha già oltrepassato i limiti a tal punto che essa ha già iniziato a diventare una regola di vita morale della società tacitamente e talvolta pure dichiaratamente e legalmente approvata dalla maggioranza dei cittadini, in linea con i tempi moderni. Del resto la Sacra Bibbia menziona chiaramente tale situazione e sviluppo di degrado morale nelle società e nelle culture dei popoli e delle nazioni negli ultimi tempi.

Il cristiano continuerà comunque imperterrito a proclamare Gesù Cristo e l’Evangelo della salvezza privatamente e pubblicamente in ogni ambito sociale “in mezzo a una generazione storta e perversa” (Fil. 2:15), approfittando di ogni occasione datagli e con ogni mezzo a sua disposizione. Se occorre, anche con petizioni, iniziative e referendum, per amore della Verità che dimora in ogni persona!

 

 

Assoutenti su Pubblicità Ingannevole

 

 

Pubblicitari, ossia criminali

Fonte web - 20 febbraio 2010

«Dobbiamo aiutare i genitori che cercano di evitare che i loro figli siano assoggettati in età troppo giovanile ad una eccessiva sessualizzazione e a una commercializzazione indecorosa», ha detto il leader conservatore David Cameron , annunciando un piano dei Tories contro la pubblicità  «aggressiva e irresponsabile» verso i bambini.

D’accordo, in Inghilterra sono prossime le elezioni. Ma in Italia è pensabile che un politico sollevi un simile tema con la speranza di prendere voti? Nella società trasgressiva de ’noantri, cioè piena di tabù, questo è un tabù tra i più forti: la porno-pubblicità e i pubblicitari sono difesi e presidiati. Dai media «progressisti» come dalla mentalità corrente, imposta come maggioritaria e «giusta».

Un furbastro come Oliviero Toscani viene invariabilmente definito «raffinato e intelligente», i registi di grido che raffigurano la diva seminuda che si rivoltola fra lenzuola di seta per pubblicizzare un profumo è «seducente», o quell’altra che si spoglia camminando come una pantera, o i due truci ragazzi di vita che si baciano sul divano, le infinite foto che simulano cunnilingus, sesso orale etero e omo, coiti ed orgasmi femminili – magari per raccomandare pneumatici, orologi, scarpe, sono onnipresenti e «devono» essere accettate. Chi non le accetta è un bigotto. Dunque escluso dal discorso pubblico.

A quanto pare, in Inghilterra non avviene così. Un futuro premier, non bigotto, può porre il problema nei suoi termini esatti senza essere deriso da Repubblica, dal Manifesto o nel Costanzo Show: i pubblicitari costitutiscono una «agenzia educativa» impropria, potentissima in quanto usa mezzi della suggestione e della seduzione subliminale, che non si assume nessuna responsabilità verso la società e verso i giovanissimi, i più indifesi. Che diffonde volgarità, corruzione, cinismo, svalutazione della donna come oggetto e del sesso come «facile» e disponibile, per uno scopo abbietto: per vendere merci. E che dunque, la pubblicità va in qualche modo disciplinata e, se del caso, censurata. Eppure gli spot e i manifesti, là, sono molto più castigati che da noi.

Chissà che i progressisti de’ noantri non finiscano per accorgersi che c’è una nuova moda a Londra, e – come usano fare – comincino ad adottarla. Perchè non se ne può più della volgarità, mancanza di gusto e bassezza che da noi passa per «pubblicità raffinata e intelligente».

Aspetto di sentire le notizie economiche su Radio 24, e sono continuamente urtato da pubblicità di inimmaginabile abiezione. Una voce femminile vanta le «altissime prestazioni» di un software aziendale con il tono  che allude a prestazioni sessuali di un vero maschio. Un’altra voce femminile, molto ormonale e nello stesso tempo irridente, esclama: «Cicci, non mi sposi più?! Ho tradito la tua fiducia?... Mai! Cicci, tu sei il solo... Il solo a non saperlo!». Ed è la pubblicità, notate, di un’agenzia che dà informazioni su aziende, perchè dopotutto siamo sulla radio di Confindustria.

D’accordo, in TV è anche peggio, ma la guardo poco (anche per questo); e poi le pubblicità che ho citato mi sembrano più odiose, perchè suggeriscono che, se cogli il doppiosenso vergognoso, è colpa tua; sei tu che hai la mente malata, l’esprit mal tourné. Si sa, lo proclamano L’Espresso, Panorama, e la moglie truce di Costanzo: nel «bigotto» si nasconde sempre un perverso morale.

Ebbene no. Ora che David Cameron l’ha detto, forse si può dire: il mondo della pubblicità e dei pubblicitari è fatto di mascalzoni, semicriminali, devianti sessuali e anche professionalmente, da gente di quattro soldi. Che godono a deridere la fedeltà coniugale, la decenza, la sensibilità delle anime fini e colte. Censurare le loro gratuite bassezze è un dovere sociale e politico. Se non altro, perchè la spudoratezza, una volta  autorizzata, si espande oltre il sesso e finisce in tangenti e furto pubblico. Vedi alla voce «Italia».

Naturalmente, la canea «trasgressiva» dirà che si attenta alla «libertà di espressione». E’ la stessa canea che vieta la libertà d’opinione e d’informazione, poniamo, sui crimini israeliani o sull’11 settembre; che non racconta delle creste sui biglietti aerei fatti da un noto presidente, tace sulle «cure» di Veronesi, e insomma impone tabù sulle opinioni politiche «scorrette», le sole che hanno diritto alla protezione legale nella società libera: «E’ notizia qualcosa che qualcuno ha interesse a nascondere; tutto il resto è pubblicità» come disse Dan Rather. La definizione stabilisce perfettamente i limiti della libertà d’informazione: è precisamente quando un  giornalista rivela cose «che qualcuno ha interesse a nascondere» che deve essere difeso dal diritto. Ma da noi è il contrario:  la pubblicità è libera, sono il pensiero e l’opinione che vengono censurati.

Tim può raffigurare la ragazza che invia un messaggino: «Avremo un bambino», e far vedere che lo ricevono centinaia di ragazzi. Ma provate a dire che questa è la glorificazione di una troietta, altamente diseducativa per i ragazzini e le ragazzine, e sarete censurato: voi, non i pubblicitari della Tim.

Invece, oh sorpresa, a Londra un politico può contare di vincere le elezioni diffondendo un rapporto col titolo: «Commercio responsabile: piano d’azione dei conservatori per scongiurare la sessualizzazione prematura dell’infanzia e la sua mercificazione». E si apprende che non è un’improvvisazione da politicante: il problema è all’ordine del giorno nelle famiglie inglesi, che hanno protestato contro una casa che produce reggiseni imbottiti per bambine di 7 anni, e hanno colato a picco un progetto della Mattel (la casa che produce la bambola Barbie) di mettere in commercio una linea di cosmetici, rossetti, fondotinta, lacche per unghie, eccetera, per «bambine raffinate e intelligenti» di 10-12 anni.

«Non dobbiamo lasciare soli i genitori», ha detto Cameron, ed ha annunciato che, per i provvedimenti del caso, aspetta di leggere l’approfondita indagine, di imminente pubblicazione,  che ha condotto per cinque anni la dottoressa Linda Papadopoulos, una psicologa molto nota in TV, sulla sessualizzazione dei bambini e i suoi effetti sulla salute mentale.

Perchè, incredibile a dirsi nella Italia così «avanzata» nella «trasgressione» (e arretrata in tutto il resto), persino la American Psychological Association esamina da anni il problema, e collega la sessualizzazione precoce con «i tre più comuni disturbi mentali registrati nelle donne e ragazze puberi: disordini alimentari (anoressia e bulimia), perdita di auto-stima e depressione». La sessualizzazione infatti «danneggia lo sviluppo cognitivo ed emotivo delle adolescenti intaccando la fiducia e la soddisfazione del proprio corpo». Nella società più ampia, dicono gli psichiatri americani, la sessualizzazione precoce è sospettata di avere una parte nell’«aumento delle molestie e violenze sessuali, della domanda di pornografia infantile» nonchè nell’atteggiamento «sessista» e predatorio dei ragazzotti.

Scoperta dell’acqua calda, se non fosse la rottura di un tabù. I media sono invasi di suggestioni sessualizzanti rivolte ai giovanissimi, dicono gli psichiatri. Chissà, magari si può sognare un giorno che sulle raffinatezze di Oliviero Toscani diventi obbligatoria la scritta che la legge impone sulle sigarette: «Questa pubblicità danneggia gravemente te e chi ti sta intorno». Oppure: «Nuoce gravemente alla salute». (Fears grow over the sexualisation of young people)

Post Scriptum:

La lettura in ritardo di un vecchio saggio filosofico (1)  mi ricorda, ancora una volta, qual’è l’origine della ideologia «trasgressiva» di inaudita volgarità e irresponsabilità di cui siamo prigioneri. E’ Federico Nietzche, il primo dei tre «maestri del sospetto» con Marx e Freud, specialisti nello smascherare dietro ogni ideale motivi ignobili: avidità, sesso, volontà di dominio.

E’ il primo dei radicalchic, specie da quando la casa Adelphi lo ha sdoganato a sinistra. E’ lui il profeta del materialismo biologico più rozzo, che oggi trionfa, come comune accettazione del destino puramente zoologico delle nostre vite.

«Faremo bene a studiare il nostro organismo nella sua perfetta immoralità. Le funzioni animali sono mille volte più importanti, che non gli stati d’animo più elevati e le più eccelse vette della coscienza... A profitto di chi opera dunque tutta la vita cosciente - anima, mente, cuore, bontà, virtù - se non a profitto di un perfezionamento, il più grande possibile, delle funzioni animali essenziali?».

Magari ai tempi di Nietzche questo frasario apparve  trasgressivo e dirompente. Oggi potrebbe essere la pubblicità di una palestra di body building con raggi UVA abbronzanti.

Quelli che dicono «io sono laico» quando intendono «io sono ateo», faranno sicuramente loro quest’altro detto (posto che riescano a leggere una frase  sintattica di quattro righe):

«Il risentimento istintivo, che i malati covano contro i sani e contro la salute in genere, il cristianesimo l’ha fatto suo. Tutto ciò che è diritto, fiero, imponente, il bello soprattutto, gli dà noia a vederlo e a udirlo».

E questa psicanalisi da osteria passa per raffinata intelligenza, dalle parti di Eugenio Scalfari.

Dai famosi aforismi nietzschiani non è difficile ricavare tutto il decalogo dell’ideologia implicita che domina Il Grande Fratello o i programmi vergognosi di Maria De Filippi, o qualunque bulletto di borgata palestrato e con l’orecchino:

«L’insania del moralista, invece di chiedere che le passioni vengano dominate, chiede che vengano estirpate (ma chi? dove? ndr), e giunge invariabilmente alla conclusione che un uomo buono può essere soltanto un uomo evirato».

Naturalmente si sa dove va a parare il (vizioso) solitario di Sils Maria:

«Quelle immense fonti di energia (gli istinti, ndr.) quei torrenti dell’anima, che sgorgano impetuosi e spesso paurosi, il gretto e nefasto spirito morale non vuole già asservirne la forza, ma farli disseccare... Ecco che anche la procreazione dell’uomo è diventata un atto turpe!».

Si sa, questi smascheramenti così forsennati, questi giudizi sommari voluti in perfetta malafede,
smascherano soprattutto lui: è lui il malato col risentimento celato verso i sani, il promotore della libertà fra i sessi che non batteva chiodo se non al bordello, dove contrasse la lue. Ma a forza di avanzare in bassezza e ignoranza, il nostro tempo ha assunto il niccianesimo – ovviamente al livello più gretto – come  luogo comune. «Semo tutti super-omini», anche in pizzeria e allo stadio. Non parliamo poi ai concerti-pop.

Le tesi svolte nella Genealogia della Morale invadono i rotocalchi e gli spot: l’autosufficienza dell’uomo animale, l’idea che il concetto di «essere» (dunque la metafisica) nasca da una mancanza di fede nel «divenire», e che l’imperativo morale non sia altro che un sintomo di debolezza, o degenerazione, degli istinti.

Tradotto per Corona e Lapo Elkann, ma anche per il Berlusconi e i M’Arrazzo: i moralisti sono bigotti e dunque impotenti, invidiosi che noialtri scopiamo.

Per contrasto e a futura memoria di una finezza morale e intellettuale perduta, citerò un aforisma di Montaigne (1533-1592): mica un bigotto, anzi spesso evocato e lodato come laico filosofo dello scetticismo, quindi del pluralismo delle opinioni e delle espressioni. Eccolo:

«E’ necessario vedere il proprio difetto e studiarlo, per poterlo ridire. Coloro che lo celano altrui, lo celano di solito a se stessi; e se lo vedono, non lo ritengono occultato a sufficienza, sicchè lo sottraggono alla loro propria conoscenza... I mali corporali si fanno chiari quando aumentano: troviamo esser gotta ciò che chiamavamo reuma o contusione; i mali dell’anima nell’aggravarsi si oscurano. Quanto più uno è malato, tanto meno lo sente».

Fate il confronto. Chi è il più raffinato osservatore della psiche, il più profondo smascheratore degli alibi morali con cui nascondiamo le nostre malattie interiori a noi stessi?

Montaigne smaschera Nietzsche in anticipo di due secoli. Magari avessi mai trovato un prete, in confessionale, capace quanto lo scettico Montaigne di diagnosticare i miei peccati con tanto garbo, e indicarmi come rettificarli con tanta fermezza quanto lo scettico Montaigne: avrei trovato il direttore spirituale che mi manca.

Eppure esistevano preti così, una volta. Quando i preti stavano nei confessionali. Prima del Concilio.

 

 

contro spot contro l'uso e abuso del

corpo femminile-Saratoga

 

 

I DANNI PRODOTTI DALLA PUBBLICITÀ

PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
 

ETICA NELLA PUBBLICITÀ

Fonte web

9. Non vi è nulla di intrinsecamente buono o di intrinsecamente cattivo nella pubblicità. È un mezzo, uno strumento: se ne può fare un retto uso o un cattivo uso. Se può avere, e talvolta ha, effetti positivi come quelli appena illustrati, può avere anche, e spesso ha, un impatto negativo, dannoso sugli individui e la società.

La Communio et Progressio ne ha fatto un rapido bilancio: « I pubblicitari che reclamizzino prodotti e servizi nocivi o del tutto inutili, che vantino false qualità delle merci in vendita, o che sfruttino le tendenze più basse dell'uomo, danneggiano la società umana e finiscono col perdere essi stessi in credibilità e reputazione. Ma recano pregiudizio alle persone ed alle famiglie anche i pubblicitari che creino bisogni fittizi, o che continuino ad inculcare l'acquisto di beni voluttuari, privando così gli acquirenti dei mezzi per provvedere alle loro necessità primarie. Inoltre occorre che essi evitino gli annunci pubblicitari che spudoratamente sfruttino a scopo di lucro richiami erotico sessuali, o che ricorrano alle tecniche dell'inconscio che attentino alla libertà degli acquirenti ».13

a) Effetti dannosi della pubblicità per l'economia

10. La pubblicità tradisce il suo ruolo di fonte di informazione quando travisa e nasconde fatti pertinenti. Talvolta la funzione informativa dei media può essere sovvertita anche dalla pressione esercitata dai pubblicitari sulle pubblicazioni o sui programmi perché non trattino questioni che potrebbero rivelarsi imbarazzanti o scomode. Il più delle volte la pubblicità viene usata tuttavia non solamente per informare ma per persuadere e stimolare, per convincere le persone ad agire in un certo modo: acquistare certi prodotti o servizi, sostenere certe istituzioni e così via. È qui che si possono verificare particolari abusi.

La pratica della pubblicità legata alla marca può sollevare seri problemi. Spesso ci sono solo delle differenze trascurabili tra prodotti simili di marche diverse, e la pubblicità puòtentare di indurre le persone a decidere sulla base di motivi irrazionali (fedeltà alla marca, prestigio, moda, sex appeal, ecc.), invece di illustrare le differenze nella qualità e nel prezzo del prodotto quali basi per una scelta razionale.

La pubblicità può essere, e spesso è, uno strumento del fenomeno del consumismo, come Papa Giovanni Paolo II rileva quando afferma: « Non è male desiderare di vivere meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si presume essere migliore, quando è orientato all'avere non all'essere e vuole avere di più non per essere di più, ma per consumare l'esistenza in un godimento fine a se stesso ».14 Talvolta i pubblicitari sostengono che creare bisogni per prodotti e servizi, cioè indurre le persone a sentire e agire in base al forte desiderio di articoli e servizi di cui non hanno bisogno, è una parte del loro compito.

« Rivolgendosi direttamente agli istinti dell'uomo, prescindendo, in diverso modo, dalla sua realtà personale cosciente e libera, si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la sua salute fisica e spirituale ».15

Questo è un grave abuso, un affronto alla dignità umana e al bene comune quando avviene nelle società opulente. Ma l'abuso è ancor più grave quando gli atteggiamenti e i valori consumistici vengono trasmessi, attraverso gli strumenti di comunicazione e la pubblicità, ai paesi in via di sviluppo, dove aggravano le crisi socio-economiche e danneggiano i poveri. « Un uso oculato della pubblicità può stimolare i paesi in via di sviluppo a migliorare il proprio tenore di vita; mentre opererebbe a loro danno una pubblicità ed una pressione commerciale svolta senza discernimento, a spese di paesi che stentano a passare dall'indigenza ad un minimo di benessere; i quali potrebbero persuadersi che il progresso si riduca tutto nel soddisfare i bisogni creati artificialmente, e s'indurrebbero perciò a dilapidare in questi la maggior parte delle loro risorse, a scapito dei loro bisogni reali e del progresso autentico ».16

Analogamente, l'impegno dei paesi che, dopo decenni dominati da sistemi centralizzati, sotto uno stretto controllo dello Stato, cercano di sviluppare economie di mercato rispondenti alle esigenze e agli interessi delle persone, è reso più difficile dalla pubblicità che promuove atteggiamenti e valori consumistici offensivi della dignità umana e del bene comune. Il problema è particolarmente grave quando, come spesso capita, sono in gioco la dignità e il benessere dei membri più poveri e più deboli della società. È necessario tenere sempre presente che ci sono « beni che, in base alla loro natura, non si possono e non si devono vendere e comprare » ed evitare « una "idolatria" del mercato » che, avendo come complice la pubblicità, ignora questo fatto cruciale.17

b) Effetti dannosi della pubblicità per la politica

11. La pubblicità politica può sostenere e aiutare lo sviluppo del processo democratico, ma può anche intralciarlo. Ciò avviene quando, per esempio, i costi della pubblicità limitano la competizione politica a candidati o a gruppi facoltosi, o richiedono che gli aspiranti a una carica pubblica compromettano la loro integrità e autonomia, dipendendo pesantemente dai fondi di gruppi d'interesse.

Tale intralcio del processo democratico si verifica anche quando, la pubblicità politica, invece di essere un veicolo per l'esposizione onesta delle idee e dei precedenti dei candidati, cerca di distorcere le idee e i precedenti degli avversari e scredita ingiustamente la loro reputazione. Ciò accade quando la pubblicità fa leva più sulle emozioni e sui bassi istinti della gente, sull'egoismo, sulla prevenzione e sull'ostilità nei confronti degli altri, sul pregiudizio raziale ed etnico e simili, piuttosto che su un forte senso di giustizia e sul bene di tutti.

c) Effetti dannosi della pubblicità per la cultura

12. La pubblicità può avere anche un'influenza corruttrice sulla cultura e i valori culturali. Abbiamo parlato dei danni economici che possono essere arrecati alle nazioni in via di sviluppo dalla pubblicità che promuove il consumismo e rovinosi modelli di consumo. Si consideri anche l'offesa culturale fatta a queste nazioni e alle loro genti dalla pubblicità il cui contenuto e i cui metodi, riflettendo quelli prevalenti nelle società avanzate, sono in conflitto con sani valori tradizionali delle culture locali. Oggi questo tipo di dominio e manipolazione attraverso i media è giustamente una preoccupazione delle nazioni in via di sviluppo di fronte ai paesi sviluppati, così come una « preoccupazione delle minoranze di certe nazioni ».18

L'indiretta ma potente influenza esercitata dalla pubblicità sugli strumenti di comunicazione sociale, che dipendono dai proventi di questa fonte, è motivo di un altro tipo di preoccupazione culturale. Nella concorrenza, per attrarre un pubblico sempre più vasto e consegnarlo ai pubblicitari, i comunicatori possono trovarsi tentati, sottoposti in realtà a pressioni più o meno sottili, di lasciare da parte gli alti valori artistici e morali e di cadere nella superficialità, nella volgarità e nello squallore morale.

I comunicatori possono anche cadere nella tentazione di ignorare i bisogni educativi e sociali di certe categorie di pubblico: i giovanissimi, gli anziani, i poveri, che non corrispondono ai modelli demografici (età, istruzione, reddito, abitudini di acquisto e di consumo, ecc.) del tipo di pubblico che i pubblicitari vogliono raggiungere. In questo modo tono e livello della responsabilità morale dei media calano nettamente.

Troppo di frequente la pubblicità tende a configurare in modo odioso certi gruppi, ponendoli in condizioni di svantaggio rispetto agli altri. Ciò vale spesso per la maniera in cui la pubblicità tratta le donne; il loro sfruttamento nella pubblicità è un abuso frequente e deplorevole. « Quante volte le vediamo trattate non come persone con una dignità inviolabile ma come oggetti destinati a soddisfare il desiderio di piacere o di potere di altri? Quante volte vediamo sottovalutato e perfino ridicolizzato il ruolo della donna come moglie e madre? Quante volte il ruolo della donna nel lavoro o nella vita professionale viene dipinto come una caricatura dell'uomo con il rifiuto delle qualità specifiche dell'intuito femminile, la compassione e la comprensione, contributo essenziale alla "civiltà dell'amore"? ».19

d) Effetti dannosi della pubblicità per la morale e la religione

13. La pubblicità può essere di buon gusto e conforme ad elevati principi morali; talvolta può essere persino moralmente edificante; ma può essere anche volgare e moralmente degradante. Spesso si appella deliberatamente a motivi quali l'invidia, l'arrivismo e la concupiscenza. Oggi inoltre certi pubblicitari cercano consapevolmente di scioccare ed eccitare sfruttando contenuti di natura morbosa, perversa e pornografica.

Ciò che questo Pontificio Consiglio affermò diversi anni fa riguardo alla pornografia e alla violenza nei media è non meno valido per talune forme di pubblicità:

« L'esaltazione della violenza e la pornografia sono attitudini ancestrali dell'esperienza umana, là dove essa esprime la dimensione più buia della natura ferita dal peccato. Nell'ultimo quarto di secolo, comunque, esse hanno acquistato più ampia dimensione e pongono seri problemi sociali. Mentre aumenta la confusione circa le norme morali, le comunicazioni hanno reso pornografia e violenza accessibili ad un vasto pubblico ivi compresi i giovani e i bambini. Questa degradazione era un tempo confinata nei Paesi ricchi. A causa dei mezzi di comunicazione, essa comincia ora a corrompere i valori morali delle Nazioni in via di sviluppo ».20

Rileviamo inoltre alcuni particolari problemi relativi alla pubblicità quando tratta della religione o di particolari questioni che hanno una dimensione morale.

In casi del primo tipo, i pubblicitari commerciali utilizzano talvolta temi religiosi o si servono di immagini o personaggi religiosi per vendere prodotti. È possibile farlo in modo rispettoso ed accettabile, ma la prassi è riprovevole e offensiva quando strumentalizza la religione o la tratta in modo irriverente.

In casi del secondo tipo, la pubblicità viene utilizzata talvolta per reclamizzare prodotti e inculcare atteggiamenti e forme di comportamento contrari alla morale. Citiamo, ad esempio, la pubblicità di contraccettivi, di abortivi e di prodotti che nuociono alla salute e le campagne pubblicitarie sostenute dai governi per il controllo artificiale delle nascite, o per il cosiddetto sesso sicuro o per prassi simili.

 

 

Sessismo negli spot-ancora bambine

e pubblicità-Sottilette

 

 

 

 

 

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