NO AL DIALOGO CON LA

CHIESA CATTOLICA

 

RABBINI OFFESI PER LA PREGHIERA DEL VENERDÌ SANTO

IN CUI LA CHIESA PREGA PER IL POPOLO EBRAICO.

 

CRISTO FU LA VERA PIETRA D'INCIAMPO PER I RABBINI

EBREI DI 2000 ANNI FA COME LO È PER QUELLI DI OGGI.

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

LE TRE VERSIONI CATTOLICHE

DELLA PREGHIERA PER GLI EBREI

 

L'Orazione solenne del Venerdì Santo, nella versione italiana del Messale Romano del 1962 dice: “Preghiamo anche per gli Ebrei, affinché il Signore Dio nostro tolga il velo dai loro cuori, in modo che essi pure con noi riconoscano Gesù Cristo Signor Nostro. Preghiamo. O Dio onnipotente ed eterno, che non rigetti dalla tua misericordia neppure gli Ebrei, esaudisci le suppliche che ti rivolgiamo per questo popolo accecato, affinché ammetta che il Cristo è la luce della tua verità, ed esca così dalle tenebre”.


In quella del Messale Romano del 1970 è stata così modificata: “Preghiamo per gli ebrei: il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza”. Preghiera in silenzio. “Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta benigno la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione”.

 

Ultimamente Papa Benedetto XVI l'ha così cambiata:  «Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio Nostro illumini i loro cuori perchè riconoscano Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini. Dio Onnipotente ed eterno, Tu che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo».
 

 

LA birkat ha-minim

 

Forse pochi sanno che la orazione solenne per gli Ebrei del Venerdì Santo ha una corrispondente nella birkat ha-minim (benedizione contro gli eretici) della liturgia giudaica, che è la seguente: “Che per gli apostati non ci sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il regno dell’orgoglio; e periscano in un istante i nazareni (ndr. i giudeo-cristiani) e gli eretici: siano cancellati dal libro dei viventi e con i giusti non siano iscritti. Benedetto sei tu Yahweh che pieghi i superbi”.
Così recita la XII benedizione della liturgia sinagogale nella forma primitiva. Mentre in quella del Talmud babilonese più diffusa oggi: “Per i calunniatori e gli eretici non vi sia speranza, e tutti in un istante periscano; tutti i Tuoi nemici prontamente siano distrutti, e Tu umiliali prontamente ai nostri giorni. Benedetto Tu, Signore, che spezzi i nemici e umili i superbi”

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Rabbini, con Ratzinger

Cancellati 50 Anni di Dialogo

Ansa, 13 gennaio 2009

ROMA, 13 GEN - Con Benedetto XVI, la Chiesa sta cancellando i suoi ultimi "cinquanta anni di storia" nel dialogo tra ebraismo e cattolicesimo: a lanciare la critica è il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, che - in un editoriale per il mensile dei gesuiti "Popoli", ha spiegato i motivi che hanno portato il rabbinato italiano a non partecipare alla prossima Giornata sull'ebraismo, indetta per il 17 gennaio dalla Confrenza episcopale italiana.

Il rabbino di Venezia ricorda innanzitutto la decisione di Benedetto XVI di reintrodurre, con il messale pre-conciliare, la preghiera del Venerdì Santo per la conversione degli ebrei. Il rabbinato italiano - riferisce Richetti - ha chiesto spiegazioni ed un ripensamento: con risposte ufficiose, "una risposta della Conferenza episcopale, sia pure sollecitata, è mancata", la Chiesa - afferma l'esponente ebraico - ha fatto presente che "gli ebrei non hanno niente da temere", in quanto "la speranza espressa dalla preghiera 'Pro Judaeis' è 'puramente escatologica', è una speranza relativa alla 'fine dei tempi' e non invita a fare proselitismo attivo". "Queste risposte - osserva tuttavia rav. Richetti - non hanno affatto accontentato il Rabbinato italiano. Se io ritengo, sia pure in chiave escatologica, che il mio vicino debba diventare come me per essere degno di salvezza, non rispetto la sua identità. Non si tratta, quindi, di ipersensibilità: si tratta del più banale senso del rispetto dovuto all'altro come creatura di Dio".

 "Se a ciò aggiungiamo - aggiunge - le più recenti prese di posizione del Papa in merito al dialogo, definito inutile perché in ogni caso va testimoniata la superiorità della fede cristiana, è evidente che stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa". "In quest'ottica, l'interruzione della collaborazione tra ebraismo italiano e Chiesa è la logica conseguenza del pensiero ecclesiastico espresso dalla sua somma autorità", ha concluso.

 

 

 

 

La preghiera per gli Ebrei: “un tentativo
completamente nelle mani di Dio”
 
VATICANO - LE PAROLE DELLA DOTTRINA
a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello
 
Fonte web

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Alcuni circoli ebraici ed alcuni organi di stampa hanno fatto rumore in occasione della promulgazione del Motu proprio di Benedetto XVI sulla Messa antica, paventando la reintroduzione della preghiera per gli Ebrei, quella da cui Papa Giovanni tolse l’aggettivo ‘perfidi’.
Forse pochi sanno che la orazione solenne per gli Ebrei del Venerdì Santo ha una corrispondente nella birkat ha-minim (benedizione contro gli eretici) della liturgia giudaica, che è la seguente: “Che per gli apostati non ci sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il regno dell’orgoglio; e periscano in un istante i nazareni (ndr. i giudeo-cristiani) e gli eretici: siano cancellati dal libro dei viventi e con i giusti non siano iscritti. Benedetto sei tu Yahweh che pieghi i superbi”.
Così recita la XII benedizione della liturgia sinagogale nella forma primitiva. Mentre in quella del Talmud babilonese più diffusa oggi: “Per i calunniatori e gli eretici non vi sia speranza, e tutti in un istante periscano; tutti i Tuoi nemici prontamente siano distrutti, e Tu umiliali prontamente ai nostri giorni. Benedetto Tu, Signore, che spezzi i nemici e umili i superbi”

Quanto all’Orazione solenne del Venerdì Santo, la versione italiana del Messale Romano del 1962 dice: “Preghiamo anche per gli Ebrei, affinché il Signore Dio nostro tolga il velo dai loro cuori, in modo che essi pure con noi riconoscano Gesù Cristo Signor Nostro. Preghiamo. O Dio onnipotente ed eterno, che non rigetti dalla tua misericordia neppure gli Ebrei, esaudisci le suppliche che ti rivolgiamo per questo popolo accecato, affinché ammetta che il Cristo è la luce della tua verità, ed esca così dalle tenebre”.
In quella del Messale Romano del 1970 è stata così modificata: “Preghiamo per gli ebrei: il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza”. Preghiera in silenzio. “Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta benigno la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione”.
Osservando comparativamente le formule, si nota che quella giudaica si serve delle invettive proprie di taluni salmi e testi profetici (per esempio il Salmo 58), non estranee nemmeno al Nuovo Testamento; quella cristiana dell’antico Messale riecheggia l’invito di San Paolo alla comunità cristiana, a pregare per tutti gli uomini (cfr. 1 Timoteo 2,1), quindi per i giudei, quando le rammenta l’irrevocabilità dell’elezione divina d’Israele (cfr. Romani 11,29) ed il mistero della sua conversione alla fine dei tempi (cfr. Romani 11,25-26). Secondo De Clerk, questa preghiera potrebbe essere “segno di grande antichità delle orationes sollemnes, oppure potrebbe risalire a un periodo in cui i giudei erano molto numerosi a Roma. Quanto all’orazione del nuovo Messale, il tema è il popolo di Abramo, depositario delle ‘irrevocabili’ promesse divine e chiamato comunque “alla pienezza della redenzione”. Questa è stata sempre la coscienza della Chiesa che nell’orazione domanda a Dio che si affretti la realizzazione di quella promessa.

Dunque, non è il caso che i nostri ‘fratelli maggiori’ continuino a scandalizzarsi della preghiera che i cristiani innalzano a Dio per loro, quando dovrebbero agire a modificare la loro, visto che nella prima forma e anche in quella del Talmud babilonese, non è stata tolta la maledizione di Dio che non si concilia col suo amore universale.
Un po’ di storia.
In realtà la querelle cesserebbe se si inquadrasse nel rapporto tra liturgia cristiana e liturgia giudaica, da cui anche l’orazione di lode e di intercessione ha la sua origine, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica (1096). Infatti, il corrispondente giudaico dell’Oratio fidelium - anche dell’anafora secondo taluni studiosi come Adrien Nocent - è la preghiera Shemonèh Esréh (la Tefillah delle diciotto benedizioni). Com’è noto, il cristianesimo delle origini, e quindi la liturgia, si è posto in rapporto di continuità e nel contempo di novità rispetto al giudaismo. I nazareni o cristiani avevano frequentato il Tempio (cfr. Atti 2,46), come pure le sinagoghe, finché, due decenni dopo la sua distruzione nel 70, i giudei non introdussero nella Tefillah la XII “benedizione”, appunto la birkat ha-minim (diventarono così diciannove ma il nome di Shemonèh Esréh non fu cambiato), ovvero una maledizione contro la setta considerata eretica, dei giudeo-cristiani (cfr. Atti 24,14) sia per tenerli lontani dalla sinagoga, sia per proclamare formalmente la rottura definitiva tra le due religioni.
Accanto ai minim (dissidenti) si menzionavano i nozrim, i nazareni, cioè i seguaci di Gesù di Nazareth, perché “spariscano all’istante, cancellati dal libro della vita e non scritti con i giusti. Benedetto sei tu che umili i superbi” (cfr. G. De Rosa, Gesù di Nazareth e l’Ebraismo di ieri e di oggi. Dal rifiuto all’appropriazione esclusiva. “La Civiltà Cattolica”, 15 (2000), n 12). Nel medesimo periodo venne comminata infatti la scomunica contro i giudeo-cristiani, i quali pur pretendendo di rimanere dentro la sinagoga, la dividevano nella fede, proteggevano i “gentili”, soprattutto i romani, e distruggevano il principio dommatico della habdàlàh ossia la separazione tra circoncisi e non (cfr. H.Herts, Daily Prayer Book with commentary. Introductions and notes, New York 1971, p 142 s.). Così nel Medioevo la pensava Maimonide e ai nostri giorni il rabbino americano J.Petuchowski (cfr. S.Ben Chorin, Il giudaismo in preghiera. La liturgia della sinagoga, Cinisello B.1988, p 80). Tuttavia oggi non tutti gli ebrei nominano i nazareni e i dissidenti, ma si limitano ai calunniatori, i cattivi e i nemici.

Quanto alle Orazioni solenni del Venerdì Santo e alla Orazione universale o dei fedeli nella Messa, si riallacciano alla tradizione apostolica di pregare per tutti: in particolare perché trascorrano una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità, quale “cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (cfr. 1 Timoteo 2,1-3). Tracce di tale preghiera si ritrovano in Clemente di Roma, Policarpo di Smirne, Giustino, Tertulliano e Cipriano, che sottolineano la richiesta a Dio di giungere alla conoscenza della verità e alla salvezza eterna. Sarà Prospero d’Aquitania (390-455), autore del celebre “ut legem credendi lex statuat supplicandi” a riferirvisi con più evidenza. L’autore non intendeva istituire un automatismo, quasi che dalla preghiera derivi la norma della fede, ma dire che diventa norma di fede quella preghiera connessa con la dottrina cattolica conclusa con la morte dell’ultimo apostolo. In certo senso la liturgia deve esprimere la fede cattolica e apostolica, oltre che l’unità e la santità della Chiesa.
Tuttavia, la descrizione più antica delle orationes sollemnes è contenuta nei Capitula, un documento annesso alla lettera di Papa Celestino I ai Vescovi della Gallia, scritto tra il 435-442. In particolare nella preghiera pro Judaeis dice: “ut Judaeis, ablato cordis velamine, lux veritatis appareat”. La frase evidentemente richiama da un lato San Paolo (2 Cor. 3,12-16) e dall’altro la orazione che, attraverso Leone Magno e i libri liturgici romani altomedievali noti come Ordines, giunge fino alla forma del Messale romano del 1962. Dunque le fonti liturgiche che ci tramandano le orationes sollemnes risalgono alle tradizioni gelasiana, gregoriana e gallicana codificate nei Sacramentari e negli Ordines romani.
 

L’Oratio pro conversione iudaeorum, la sesta delle orazioni solenni, nel Messale del 1970 è intitolata semplicemente “pro iudaeis”. L’appellativo ‘perfidi’ è stato tolto, sebbene significasse semplicemente ‘increduli’, in certo senso meglio del minim, i dissidenti della birkat giudaica. Per l’analisi e la traduzione dell’espressione, approvata già nel 1948 dalla Congregazione dei Riti, rimandiamo agli studi esistenti; ma già nel 1936 il grande esegeta protestante diventato cattolico Eric Peterson, aveva pubblicato uno studio in cui mostrava che l’epiteto voleva dire fedifrago, in quanto i giudei avevano stretto un patto con Jaweh al quale erano venuti meno. Tale significato, applicato anche ai pagani, si trova in alcune opere di Cipriano e di Ambrogio. Sant’Agostino rifacendosi alla giustizia della fede in San Paolo, la traduce con ingiustizia e mancanza di fede. Sulla stessa linea anche Gelasio e Gregorio Magno.
A questo punto si può dedurre che la Oratio pro iudaeis appare in certo senso speculare alla birkat ha-minim giudaica, la maledizione contro gli eretici; quasi una ‘risposta’, poiché il dato liturgico non è mai astratto, ed entrambe risalgono allo stesso periodo, come abbiamo visto. Alla scomunica comminata ai giudeo-cristiani e all’accusa di “eresia” da parte dei giudei - forse durante il sinodo di Jabne tra 90 e 100 d.C., - che volevano in tal modo sancire la rottura definitiva del Giudaismo ufficiale con i cristiani, questi avrebbero ‘risposto’ con l’inserzione della “preghiera per i giudei”. Al di là di ogni polemica, è “ragionevole ritenere che la storia di entrambe le preghiere, il cui contenuto era certamente noto sia ad ebrei che a cristiani alla fine del I secolo, si sia intrecciata, dando così forma al testo liturgico così come ci è pervenuto, salvo, ovviamente, le inevitabili modifiche che, generalmente, i testi liturgici subiscono nel corso dei secoli” (Annamaria Abrusci, Storia ed evoluzione delle Orazioni solenni. Il caso della preghiera Pro Iudaeis, tesi di magistero presso l’ISSR di Bari, anno 2000-2001, p 111-112, pro manuscripto). Ciò dimostra ancora una volta l’influsso della liturgia ebraica e giudaica in specie su quella cristiana. La preghiera non può essere modificata in contraddizione con la dottrina cattolica e apostolica. Volentieri, dunque, oggi pregheremo anche con le nuove formule del Messale Romano di Paolo VI dove si supplica il Signore che “il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione”.

La Chiesa prega per la conversione di tutti gli uomini
“Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo come Mosé che poneva un velo sul suo volto, perché i figli di Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. Ma le loro menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto” (2 Corinzi, 3, 12-16).
Questo testo paolino è notoriamente la fonte dell’orazione per gli ebrei fino al Messale del 1962. Oggi non pochi cattolici hanno timore della conversione e così pure gli ebrei, i quali vorrebbero che la Chiesa cattolica non sia se stessa, almeno nei loro confronti. Ora la conversione è l’essenza del Vangelo di Gesù, e ha designato il cammino verso di Lui di popoli e nazioni (cfr. gli studi di E. Peterson sull’interpretazione di Romani 9-11 e il significato della conversione). Facendo la verità nella carità e nel rispetto della libertà, la Chiesa ha come priorità l’annuncio del Vangelo che è la verità piena e definitiva sull’uomo e alla quale l’uomo è chiamato a convertirsi. E’ Cristo che ha dichiarato: “Il tempo è compiuto…convertitevi e credete al vangelo” (Marco 1,15), non ‘dialogate e mettetevi d’accordo’. San Pietro ha descritto la conversione come un percorso irreversibile: dalla parola dei profeti, lampada che brilla in luogo oscuro fino allo spuntare della stella del mattino (cf. 2 Pietro 1,19); i Magi avevano cercato la verità al seguito della stella, finché trovarono la luce vera (cfr. Matteo 2,2); san Paolo, dopo essere andato a tastoni come in un luogo buio (cf. Atti 17,27) fino ad essere investito da Cristo verità incarnata e convertirsi a Lui.
La Chiesa, come ha detto il Concilio, è sacramento anche in rapporto alle religioni, cioè non solo segno ma strumento di salvezza per tutti. Si comprende così che il cristianesimo è una religione universale che fa conoscere il vero Dio d’Israele (cfr. Giovanni Paolo II, “Varcare la soglia della speranza”, Milano 1994, p.112).

Il tema della salvezza in Gesù Cristo necessaria per ogni uomo è stato riaffermato nella Dichiarazione Dominus Iesus. Il dialogo con gli ebrei nasce dalla “coscienza del dono di salvezza unico e universale offerto dal Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito” (n. 13). Proprio mostrando in Cristo il compimento del Giudaismo, la Chiesa è passata ad affrontare il mondo pagano “che aspirava alla salvezza attraverso una pluralità di dèi salvatori” (ivi).
Il dialogo è parte integrante della coscienza missionaria della Chiesa; fondato sulla consapevolezza della pari dignità di tutti gli uomini, a qualsiasi religione appartengano, e nello stesso tempo sul primato di Gesù Cristo e della sua dottrina “in confronto con i fondatori delle altre religioni” (Dominus Iesus, n. 22 ).
La Chiesa propone il regno di Dio come signoria universale di Gesù Cristo (cfr J.Ratzinger -Benedetto XVI, “Gesù di Nazaret”, Città del Vaticano 2007, cap III); Benedetto XVI cita nel suo libro l’erudito rabbino Jacob Neusner che in un saggio del 1993 aveva evidenziato tutta la differenza tra la Torah e Gesù. Se e quando tutti gli uomini entreranno nella Nuova Alleanza della Chiesa, compresi gli ebrei, è questione da lasciare allo Spirito Santo (cfr. Varcare…, p. 112). La preghiera per gli ebrei esprime la convinzione che l’incontro e il dialogo è “un tentativo che sta completamente nelle mani di Dio”(Gesù di Nazaret, p 248), con un messaggio: “Allora non abbandoneranno la loro obbedienza - (alla Torah che permette di vedere Dio “di spalle”, Ivi, p 310-311), - ma essa verrà da fonti più profonde e perciò sarà più grande, più sincera e pura, ma soprattutto anche più umile”(Ivi, p 249).
Così si capiscono di più le richieste di perdono e il gesto di Giovanni Paolo II al ‘muro del pianto’ e ancora prima l’intervento del Cardinale Joseph Ratzinger alla Conferenza internazionale ebraico-cristiana di Gerusalemme nel 1994, dove svolse la tesi della riconciliazione, essenza di due fedi, ricordando che il sangue versato da Cristo non grida vendetta ma appunto riconciliazione. Nessuna intenzione da parte cattolica, dunque, di incentivare l’antigiudaismo - e speriamo da parte ebraica nemmeno l’anticristianesimo - ma conoscenza e rispetto reciproco, anche delle espressioni della propria fede, pregando gli uni per gli altri.

 

 

EBREI 1:

LUZZATTO, CHIESA NON PUO' PREGARE

AFFINCHE' NOI LASCIAMO NOSTRA FEDE

Fonte web

Amos Luzzatto ex presidente delle comunità ebraiche italianeCitta' del Vaticano, 17 gen. (Adnkronos) - Un canale di dialogo rimane aperto fra ebraismo e Vaticano ma il problema e' che la Chiesa cattolica non puo' pregare - come avviene nella preghiera del venerdi' santo - perche' gli ebrei smettano di essere ebrei. Con questi presupposti il dialogo non c'e' piu'. Inoltre i tentativi di ricucire del cardinale Walter Kasper, responsabile dell'ecumenismo e del dialogo con gli ebrei della Santa Sede e di mons. Vincenzo Paglia, che ricopre lo stesso incarico nella Cei, sono encomiabili ma rappresentano posizioni personali. E' quanto ha spiegato al Sir, l'agenzia stampa della Cei, Amos Luzzatto, che dal 1998 al 2006 e' stato presidente dell'Unione delle comunita' ebraiche italiane.

Luzzatto non e' pessimista sul proseguimento positivo del dialogo ma i problemi, sottolinea, oggi non mancano. Al centro dell'impasse, come e' noto, la decisione di papa Benedetto XVI di reintrodurre, con il messale del 1962, la preghiera del Venerdi' Santo. In particolare e' stata contestata la parte in cui si prega perche' ''Il Signore Dio Nostro illumini i loro cuori perche' riconoscano Gesu' Cristo Salvatore di tutti gli uomini''.

''Un canale di dialogo di carattere culturale ed esegetico si mantiene'', ha spiegato Luzzatto, che ha aggiunto: ''Viene sospeso il canale di comunicazione specifica e privilegiata con la Chiesa cattolica che richiede una serie di chiarificazioni per poter essere ripreso. Non e' sospeso in eterno, ma sospeso in considerazione di questi ultimi episodi. D'altronde sarebbe difficile per gli ebrei dire: partecipiamo a un dialogo con la Chiesa cattolica, la quale avvalora la speranza che gli ebrei cessino di essere ebrei. Come si fa? Non e' questione di liturgia ma di relazione con il dialogante''

 

 

Ebrei 2:
''Il Papa ha messo in crisi il dialogo''

 

Il rabbino capo di Venezia, Richetti: con le parole di Benedetto XVI secondo le quali 'in ogni caso va testimoniata la superiorita' della fede cristiana', si va ''verso la cancellazione degli ultimi 50 anni di storia della Chiesa''

 

Fonte wb

 

Il sindaco Cacciari con il rabbino capo di Venezia Richetti

Citta' del Vaticano, 13 gen. - (Adnkronos) - Viene dalla somma autorita' del cattolicesimo, il Papa, la messa in discussione del dialogo con l'ebraismo. A sostenerlo, con parole pesanti come pietre, scritte nero su bianco in un intervento ospitato dalla rivista dei gesuiti, ''Popoli'', e' il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti. Nell'intervento, nel quale si da' conto, a nome del Rabbinato d'Italia, dell'attuale crisi nei rapporti ebraico-cattolici in Italia, Richetti spiega che secondo Benedetto XVI ''il dialogo e' inutile perche' in ogni caso va testimoniata la superiorita' della fede cristiana'' e in tal modo si va verso ''la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa''. Insomma, sostiene, ''in quest'ottica, l'interruzione della collaborazione tra ebraismo italiano e Chiesa e' la logica conseguenza del pensiero ecclesiastico espresso dalla sua somma autorita'''.

E si' che l'intervento del rabbino e' preceduto da poche righe in cui ''Popoli'' spiega: ''Il primo passo per un dialogo autentico e' mettersi in ascolto delle ragioni dell'altro''. D'altro canto, oggetto dell'articolo e' proprio la rinuncia ebraica alla partecipazione alla giornata dell'ebraismo che si celebra ogni anno il 17 gennaio. All'origine della crisi interreligiosa il ritorno della messa in latino secondo il messale di San Pio V nel quale si invoca la conversione degli ebrei alla verita' cristiana. Una preghiera che in passato aveva peraltro una formulazione ingiuriosa, quella dei ''perfidi giudei'', poi modificata da Benedetto XVI nel liberalizzare l'antico rito.

La scelta compiuta dall'assemblea dei rabbini d'Italia, si legge nell'intervento, ''e' la logica conseguenza di un momento particolare che sta vivendo il dialogo interconfessionale oggi, momento i cui segni hanno cominciato a manifestarsi quando il Papa, liberalizzando la messa in latino, ha indicato nel Messale tridentino il modulo da seguire''.

''In quella formulazione -scrive il rabbino Richetti- nelle preghiere del Venerdi' Santo e' contenuta una preghiera che auspica la conversione degli ebrei alla 'verita'' della Chiesa e alla fede nel ruolo salvifico di Gesu'''. ''A onor del vero, quella preghiera - prosegue il testo - che nella prima formulazione definiva gli ebrei 'perfidi', ossia 'fuori dalla fede' e ciechi, era gia' stata 'saltata' (ma mai abolita) da Giovanni XXIII. Benedetto XVI l'ha espurgata dai termini piu' offensivi e l'ha reintrodotta''.

Da questo momento in poi, afferma il rabbino, la parte ebraica si e' presa una pausa di riflessione nel dialogo con la Chiesa cattolica e si e' avviata una fase di contatti e tentativi di mediazione. ''Purtroppo -afferma il rabbino capo di Venezia- i risultati si sono dimostrati deludenti. Si sono registrate reazioni 'offese' da parte di alte gerarchie vaticane: 'Come si permettono gli ebrei di giudicare in che modo un cristiano deve pregare? Forse che la Chiesa si permette di espungere dal rituale delle preghiere ebraiche alcune espressioni che possono essere interpretate come anticristiane?'''.

Ancora, si rileva che non e' mai arrivata una risposta ufficiale della Conferenza episcopale italiana. Altri prelati hanno affermato, spiega Richetti, che ''la speranza espressa dalla preghiera 'Pro Judaeis' e' 'puramente escatologica', e' una speranza relativa alla 'fine dei tempi' e non invita a fare proselitismo attivo (peraltro gia' vietato da Paolo VI)''.

Ma proprio da qui prende spunto il rabbino per un giudizio estremamente severo: ''Queste risposte non hanno affatto accontentato il Rabbinato italiano. Se io ritengo, sia pure in chiave escatologica, che il mio vicino debba diventare come me per essere degno di salvezza, non rispetto la sua identita'''.

''Non si tratta, quindi - ha aggiunto - di ipersensibilita': si tratta del piu' banale senso del rispetto dovuto all'altro come creatura di Dio. Se a cio' aggiungiamo le piu' recenti prese di posizione del Papa in merito al dialogo, definito inutile perche' in ogni caso va testimoniata la superiorita' della fede cristiana, e' evidente che stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa. In quest'ottica, l'interruzione della collaborazione tra ebraismo italiano e Chiesa e' la logica conseguenza del pensiero ecclesiastico espresso dalla sua somma autorita'''.

''Dialogare - conclude il rabbino - vuol dire rispettare ognuno il diritto dell'altro ad essere se stesso, cogliere la possibilita' di imparare qualcosa dalla sensibilita' dell'altro, qualcosa che mi puo' arricchire. Quando l'idea di dialogo come rispetto (non come sincretismo e non come prevaricazione) sara' ripristinata, i rabbini italiani saranno sempre pronti a svolgere il ruolo che hanno svolto negli ultimi cinquant'anni''.

 

 

 

 

Cerimonia in una Sinagoga ebraica

 

 

 

 

Ebrei: Giornata dialogo con

cattolici, ma la prima senza rabbini
 

Card. Kasper: Segno preoccupante
 

Fonte web

Città del Vaticano, 17 gen. (Apcom) - E' la prima volta che la giornata del dialogo ebraico-cristiano avviene con l'assenza dei rabbini. In tutta Italia è stata infatti celebrata oggi la Giornata del dialogo, senza però gli ebrei. La singolare situazione si è venuta a creare perchè la comunità ebraica ha dato forfait per protestare con la 'preghiera del venerdì santo', un'invocazione che, nonostante la riformulazione voluta dal Papa proprio per andare incontro alla sensibilità ebraica, è finita, invece, col riattizzare le tensioni.

Un "segno preoccupante", l'ha definito il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani e della Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l'ebraismo alla Radio Vaticana, "ma devo dire che gli ebrei italiani non hanno un diretto dialogo con il Vaticano: hanno un dialogo con la conferenza episcopale italiana e non con il Vaticano. Il nostro dialogo a livello universale con gli ebrei, soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, ma anche altrove nel mondo, e anche quello che abbiamo con il Gran Rabbinato a Gerusalemme, va molto bene e loro partecipano a queste giornate di dialogo. Sono solo gli ebrei in Italia - ha aggiunto il cardinale Kasper - che hanno una sensibilità particolare, che hanno interrotto il loro dialogo. Ma noi speriamo che possano tornare ad un serio dialogo".

L'ultima fiammata di polemica è scaturita da un intervento del rabbino di Venezia pubblicato questa settimana dal mensile dei gesuiti 'Popoli'. "E' vero, non sta agli ebrei insegnare ai cristiani come devono pregare o che cosa devono pensare, e nessuno fra gli ebrei o i rabbini italiani pretende di farlo", ha scritto Elia Enrico Richetti. "Ma è chiaro che dialogare vuol dire rispettare ognuno il diritto dell'altro ad essere se stesso, cogliere la possibilità di imparare qualcosa dalla sensibilità dell'altro, qualcosa che mi può arricchire". Poi l'affondo contro una recente affermazione di Ratzinger circa l'impossibilità del dialogo interreligioso: "Stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa". Immediata è stata la reazione della Chiesa cattolica che - per bocca dei responsabili della Cei e del Vaticano per i rapporti con l'ebraismo, monsignor Vincenzo Paglia e il cardinale Walter Kasper - ha gettato acqua sul fuoco.

Anche all'interno del collegio rabbinico - e, più in generale, della galassia ebraica italiana - le valutazioni sono in realtà le più disparate. Certo, unanime è stato il malumore nei confronti della preghiera del venerdì santo tornata in uso con il messale preconciliare liberalizzato da Ratzinger (la cosiddetta messa in latino). Già Giovanni XXIII, nel 1959, aveva 'ammorbidito' la preghiera, eliminando il riferimento alla "perfidia" giudaica. Ma nella preghiera erano rimasti riferimenti all'"accecamento" e alle "tenebre" del popolo ebraico, che Ratzinger ha voluto depennare. La nuova formula di preghiera per gli ebrei, introdotta a febbraio dell'anno scorso, invoca comunque Dio perché "illumini" i cuori degli ebrei "perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini". Un'auspicio considerato dagli ebrei indebito proselitismo, nonostante il Vaticano abbia spiegato che si tratta di una preghiera "escatologica" che esclude il proselitismo e affida a Dio il cuore dei 'fratelli maggiori'. Su questo sfondo, però, le analisi differiscono. Lo dimostra, ad esempio, il fatto che il presidente dell'assemblea rabbinica, Giuseppe Laras, aveva usato toni meno duri del 'j'accuse' del rabbino di Venezia al momento di annunciare la sospensione della giornata ebraico-cristiana. E il rabbino di Roma Riccardo Di Segni si è sentito in dovere di intervenire, a sua volta, per puntualizzare che Benedetto XVI dà "un suo originale e determinante contributo" all'incontro ebraico-cristiano, "anche se le sue posizioni non sempre sono condivisibili dal nostro punto di vista".

E se sfaccettate sono le posizioni all'interno dell'ebraismo e del cattolicesimo, ancor più complesse sono le questioni che si intrecciano nel rapporto tra ebrei e cattolici: dalle difficoltà di ordine teologico emerse nella vicenda del 'venerdì santo' alle questioni politiche come le recenti frizioni tra Israele e Vaticano sulla striscia di Gaza, dai nodi del passato (quale la beatificazione di Pio XII) e del presente (ad esempio, il pendente negoziato bilaterale sullo statuto giuridico e patrimoniale della Chiesa cattolica in Terra Santa).

 

 

ll rabbino è Jacob Neusner

 

 

Un vescovo e un rabbino difendono

 la preghiera per la Salvezza degli ebrei

 

Il vescovo è Gianfranco Ravasi. Il rabbino è Jacob Neusner. La preghiera è quella del Venerdì Santo in rito antico. Ecco perché Benedetto XVI ha voluto cambiarne il testo

di Sandro Magister

ROMA, 7 marzo 2008 – Alcuni esponenti di rilievo del mondo ebraico avevano protestato vivacemente contro la nuova formulazione voluta da Benedetto XVI della preghiera per i giudei nella liturgia del Venerdì Santo, secondo il rito antico.

A queste proteste è ora arrivata una risposta autorevole, in una breve nota pubblicata sull'ultimo numero della "Civiltà Cattolica", la rivista dei gesuiti di Roma stampata con il controllo previo, riga per riga, della segreteria di stato vaticana.

In più, nei giorni scorsi sono intervenuti in difesa della nuova formulazione anche personalità importanti della Chiesa cattolica e del mondo ebraico: da una parte l'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della cutlura, e dall'altra il rabbino Jacob Neusner (nella foto), professore di storia e teologia del giudaismo al Bard College di New York, autore ampiamente citato da Benedetto XVI, con reciproca stima, nel suo libro "Gesù di Nazaret".

In breve, questi sono gli antefatti.

Fino a un anno fa nella liturgia del Venerdì Santo di rito antico – il cui uso è stato liberalizzato da papa Joseph Ratzinger con il motu proprio "Summorum Pontificum" del 7 luglio 2007 – si invitava in latino a pregare per i giudei "affinché Dio e Signore nostro tolga il velo dai loro cuori, perché anch’essi riconoscano Gesù Cristo, nostro Signore".

E subito dopo l'orazione era così formulata:

"Dio onnipotente ed eterno, che non respingi dalla tua misericordia neppure i giudei, esaudisci le nostre preghiere che ti presentiamo per l’accecamento di quel popolo; affinché, riconosciuta la verità della tua luce, che è Cristo, siano liberati dalle loro tenebre. Per lo stesso Cristo Signore nostro, Amen".

Benedetto XVI, con una nota della segreteria di stato pubblicata il 6 febbraio 2008 su "L'Osservatore Romano", ha cambiato le parole sia dell'invito alla preghiera che dell'orazione.

Il papa ha disposto che, nella liturgia di rito antico, si inviti a pregare per gli ebrei "affinché Dio e Signore nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini".

E poi si pronunci questa orazione:

"Dio onnipotente ed eterno, che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi nella tua bontà che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo. Per Cristo nostro Signore. Amen".

In latino il nuovo testo dell'invito è il seguente:

“Oremus et pro Iudaeis. Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum".

E quello dell'orazione:

“Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen”.

Stando alla nota pubblicata su "La Civiltà Cattolica", questa sarebbe stata la ragione del cambiamento:

"Nell’attuale clima di dialogo e di amicizia tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico è sembrato giusto e opportuno al papa [fare questo cambiamento], per evitare ogni espressione che potesse avere anche la più piccola apparenza di offesa o comunque dispiacere agli ebrei".

Le parole della precedente formulazione che a molti – sia ebrei che cattolici – apparivano offensive erano soprattutto "accecamento" e "tenebre". Entrambe sono sparite dal nuovo formulario.

Ma ciò non ha impedito che dal mondo ebraico si levassero nuove proteste.

La più aspra è venuta dall'assemblea dei rabbini italiani. In un comunicato firmato dal loro presidente, Giuseppe Laras, hanno detto che la nuova preghiera costituisce "una sconfitta dei presupposti stessi del dialogo" ed è "solo apparentemente meno forte" della precedente. Essa "legittima anche nella prassi liturgica un’idea di dialogo finalizzato, in realtà, alla conversione degli ebrei al cattolicesimo, ciò che è ovviamente per noi inaccettabile". E quindi, "in relazione alla prosecuzione del dialogo con i cattolici, si impone quanto meno una pausa di riflessione che consenta di comprendere appieno gli effettivi intendimenti della Chiesa cattolica circa il dialogo stesso".

Altre comunità ebraiche, specie americane, hanno reagito in modo meno duro, negando che la nuova preghiera metta in pericolo il dialogo con la Chiesa. Un dialogo che di per sé – ha rimarcato "La Civiltà Cattolica" – "non è finalizzato alla conversione degli ebrei al cristianesimo, ma si propone l’approfondimento della mutua conoscenza in campo religioso, la crescita della reciproca stima e della collaborazione nei settori della pace e del progresso, oggi messi in grave pericolo".

Quanto alla nuova formulazione della preghiera, la nota della "Civiltà Cattolica" così conclude, con un periodare un po' contorto:

"Essa non ha nulla di offensivo per gli ebrei, perché in essa la Chiesa chiede a Dio quello che san Paolo chiedeva per i cristiani: che, cioè, 'il Dio del Signore nostro Gesù Cristo [...] possa illuminare gli occhi della mente' dei cristiani di Efeso perché possano comprendere il dono della salvezza che essi hanno in Gesù Cristo (cfr Efesini 1,18-23). La Chiesa infatti crede che la salvezza sia soltanto in Gesù Cristo, come è detto negli Atti degli Apostoli (4,12). È chiaro d’altra parte che la preghiera cristiana non può non essere che 'cristiana', fondata, cioè, sulla fede – che non è di tutti – che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini. Perciò gli ebrei non hanno motivo di offendersi se la Chiesa chiede a Dio che li illumini affinché riconoscano liberamente Cristo, unico Salvatore di tutti gli uomini, e siano anch’essi salvati da Colui che l’ebreo Shalom Ben Chorin chiama il Fratello Gesù".

Naturalmente, la nuova formulazione della preghiera vale solo per la liturgia di rito antico. E quindi nella quasi totalità delle chiese cattoliche il prossimo Venerdì Santo si continuerà a pregare per gli ebrei con il formulario del messale di Paolo VI del 1970.

Secondo questo formulario universalmente più diffuso, si prega per gli ebrei affinché Dio “li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza”.

Parole ineccepibili – e in effetti mai contestate – ma anche meno ricche di rimandi biblici, all'Antico e al Nuovo Testamento, di quelle introdotte da Benedetto XVI con la sua variante del testo antico della preghiera.

Col nuovo formulario, infatti, papa Ratzinger ha non attenuato, ma molto rafforzato la preghiera con più pregnanti contenuti cristiani.

Da questo punto di vista, quindi, la nuova preghiera per gli ebrei nella liturgia in rito antico non impoverisce ma postula un arricchimento di senso della preghiera in uso nel rito moderno. Esattamente come in altri casi è il rito moderno a postulare un'evoluzione arricchente del rito antico. In una liturgia perennemente viva come quella cattolica, è questo il senso della coabitazione tra i due riti antico e moderno voluta da Benedetto XVI con il motu proprio "Summorum Pontificum".

Una coabitazione non destinata a durare ma a comporsi in futuro "di nuovo in un solo rito romano", prendendo il meglio da entrambi. Questo scrisse nel 2003 l'allora cardinale Ratzinger – svelando un suo recondito pensiero – in una lettera a un colto esponente del tradizionalismo lefebvriano, il filologo tedesco Heinz-Lothar Barth.

Tornando alla nuova formulazione della preghiera per gli ebrei nel rito antico, ecco qui di seguito come l'arcivescovo Gianfranco Ravasi – presidente del pontificio consiglio della cutlura ma anche biblista di fama mondiale – ne ha spiegato la stupefacente ricchezza in un articolo su "L'Osservatore Romano" del 15 febbraio 2008.

Con subito dopo uno scritto del rabbino americano Jacob Neusner, pubblicato in Germania il 23 febbraio 2008 su "Die Tagespost" e in Italia su "il Foglio" del 26 febbraio, anch'esso in difesa della nuova formulazione della preghiera.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Summorum Pontificum

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

La Summorum Pontificum, in italiano Dei Sommi Pontefici, è una lettera apostolica di papa Benedetto XVI, pubblicata in forma di motu proprio il 7 luglio 2007. Il motu proprio contiene le indicazioni giuridiche e liturgiche per la corretta celebrazione della Messa tridentina secondo il Messale promulgato nel 1962 dal beato Giovanni XXIII; tali disposizioni sono entrate in vigore il 14 settembre 2007, festa dell'esaltazione della Santa Croce, e hanno sostituito le precedenti norme contenute nelle lettere Quattuor abhinc annos del 1984 ed Ecclesia Dei adflicta del 1988.

 

"Oremus et pro Iudaeis"

di Gianfranco Ravasi - Da "L'Osservatore Romano" del 15 febbraio 2008

Un giorno Kafka all'amico Gustav Janouch che lo interrogava su Gesù di Nazaret rispose: "Questo è un abisso di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi". Il rapporto tra gli Ebrei e questo loro "fratello maggiore", come l'aveva curiosamente chiamato il filosofo Martin Buber, è stato sempre intenso e tormentato, riflettendo anche la ben più complessa e travagliata relazione tra ebraismo e cristianesimo. Forse sia pure nella semplificazione della formula è suggestiva la battuta di Shalom Ben Chorin nel suo saggio dal titolo emblematico Fratello Gesù (1967): "La fede di Gesù ci unisce ai cristiani, ma la fede in Gesù ci divide".