SANTITÀ, DICA QUALCOSA... CI AIUTI...

QUI SI MUORE DI FAME E DI PALLOTTOLE!!

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

 

 

prima Parte

 

 

 

Cronache dalla prigione di gaza

"PER NON DIMENTICARE LA CAUSA PROFONDA

 DI QUESTO DISASTRO: L'OCCUPAZIONE."

Fonte web

Quello che avete davanti è un documento unico, eccezionale: un pronunciamento delle Nazioni Unite che volutamente viene nascosto dai media, in quanto rappresenta un'autorevole presa di posizione e una precisa e forte denuncia delle ripetute violazioni che perpetuano un sistema di occupazione. Vi troverete riassunta una lucida analisi sul disastro umanitario che coinvolge milioni di esseri umani "condannati a vivere nella miseria e sotto oppressione". Non lo leggerete sul giornale e non ne parlerà mai nessun TG. Dall'aula di Ginevra è già passato direttamente negli archivi, senza che nessuno si preoccupi nemmeno di tradurlo in italiano...

QUESTO NUMERO di BoccheScucite è davvero SPECIALE anche se potrà spaventarvi... Certo non potrete leggerlo distrattamente in autobus... Ma sbagliereste a non stamparvelo, per digerirlo e soprattutto per diffonderlo a più persone possibili. E sarete voi le bocche scucite!

 

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Assemblea generale delle Nazioni Unite 5 settembre 2006

Consiglio dei diritti umani Rapporto del relatore speciale
John Dugard
sulla situazione dei diritti umani nei territori

palestinesi occupati dal '67

(sintesi a cura di Pax Christi Italia)

 

 

Il segretario generale sottopone all’attenzione dei membri del consiglio il fatto che questo rapporto fa seguito al viaggio intrapreso dal relatore speciale tra il 9 e il 17 giugno 2006.

 

1. Introduzione

1. Mi sono recato nei Territori palestinesi occupati (TPO) e in Israele dal 9 al 17 giugno 2006 per raccogliere le informazioni necessarie alla redazione del rapporto che dovevo presentare al Consiglio dei diritti umani nella sessione di settembre. Poco dopo la mia partenza dai TPO, si è aperta una grave crisi a Gaza in seguito alla cattura, da parte di militanti palestinesi, di un soldato israeliano, il caporale Gilad Shalit. La reazione di Israele a questo avvenimento ha provocato la convocazione del Consiglio in sessione straordinaria con lo scopo di discutere sulla situazione nei TPO. In questa sessione straordinaria, il 5 e il 6 luglio 2006, il Consiglio ha deciso di inviare, sotto la mia direzione, una missione atta a stabilire gli accadimenti in corso. Questa missione non poteva aver luogo senza il consenso del Governo israeliano. Questi ha rifiutato. Il presente rapporto è dunque redatto nell’intenzione di portare a conoscenza del Consiglio la situazione dei diritti umani nella regione così come si presentava durante il mio soggiorno, e degli avvenimenti accaduti in seguito nei TPO. Come ci si poteva aspettare, non mi sono potuto recare nella regione in luglio, e le informazioni su ciò che è accaduto fino al 9 agosto provengono da fonti secondarie: articoli di stampa, rapporti di organizzazioni non governative, pubblicazioni, ecc..

2. Nel corso della mia missione, mi sono recato a Gerusalemme, a Gaza, nei villaggi situati nei dintorni di Gersulemme gravemente penalizzati dalla costruzione del muro; a Ramalla; a Hebron e nelle località poste nelle alture a sud di Hebron, a Betlemme e presso la tomba di Rachele; nel villaggio di Wallaja, dove delle case sono state demolite; nella valle del Giordano compresa Gerico e nelle località dove i diritti umani subiscono le conseguenze delle politiche e delle pratiche israeliane; a Nablus, nel campo profughi di Balata; al villaggio di Jayyous vicino al tracciato del muro e nelle località agricole vicine al muro; ai checkpoint attorno a Nablus e nelle strade attorno.

3. Nel corso di questo viaggio, ho incontrato persone molto diverse, sia palestinesi che israeliane, con le quali ho affrontato i temi della violazione dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Ho tenuto una conferenza alla Hebrew University di Gerusalemme, sotto il patrocinio del Minerva Centre for Human Rights e del Comité international dela Croix-Rouge (CICR). Nella mia esposizione davanti a più di un centinaio di persone, ho analizzato gli aspetti del diritto umanitario legati al conflitto nei TPO. Non sono potuto entrare in relazione con ufficiali israeliani, poiché il governo israeliano non riconosce il mio mandato: era al corrente della mia presenza e comunque non ha fatto nulla per turbare il mio lavoro.

4. Allo scoppio della violenza a Gaza dopo la cattura del caporale Shalit e l’arresto di membri del Consiglio legislativo palestinese e dell’ANP, hanno fatto seguito l’invasione del Libano da parte di Israele e le violenze su vasta scala in Libano, Israele e Gaza. Non c’è spazio in questo rapporto per commentare gli avvenimenti libanesi e della frontiera a nord d’Israele, che non riguardavano il mio mandato. Ciononostante, esaminerò in maniera approfondita la situazione a Gaza. Si noterà che gli avvenimenti occorsi in Libano hanno fatto dimenticare in larga misura le violenze nella striscia di Gaza e lungo le sue frontiere

5. Utilizzerò di seguito il termine ‘muro’ al posto di ‘barriera’ o ‘chiusura’. È stato deliberatamente indicato e scelto dalla Corte internazionale di giustizia nel suo avviso consultivo del 2004 sulle Conséquences juridiques de l'édification d'un mur dans le Territoire palestinien occupé. Non vedo alcuna ragione per utilizzarne un altro.

 

II. La questione dell'occupazione

6. Prima di giungere al nucleo centrale del mio rapporto, desidero precisare una questione preliminare. È quella dell’occupazione. Il governo israeliano evita di riconoscere che i TPO, cioè la Cisgiordania e la striscia di Gaza, compresa Gerusalemme est, sono un territorio occupato. Preferisce parlare di ‘territori contestati’ e affermare che il ritiro dei coloni e delle forze di difesa israeliane dalla striscia di Gaza nell’agosto 2005 ha messo fine all’occupazione di quest’ultima. Questa è una rappresentazione erronea sia sul piano del diritto che su quello dei fatti. La Corte internazionale di giustizia, il Consiglio di sicurezza e la stessa Alta corte israeliana hanno affermato che i TPO sono e restano un territorio occupato e in quanto tale sono sottoposti a un regime giuridico particolare. Secondo questo regime, Israele è tenuto a rispettare, per quanto concerne i palestinesi, il diritto internazionale umanitario e i diritti umani. Si tratta, bisogna riconoscerlo, di una occupazione desueta, poiché dura da circa quattro decenni. La lunghezza del periodo non riduce pertanto la responsabilità della potenza occupante; al contrario, l’aumenta. La durata dell’occupazione a condotto certi autori a a qualificarla come colonialismo o apartheid. Nonostante la condotta di Israele assomigli talvolta a quella di una potenza coloniale o di un regime di apartheid, è più esatto vedere in Israele una potenza occupante e giudicare i suoi atti a fronte delle regole del diritto internazionale che si applicano in un’occupazione.

 

III. La crisi attuale nella Striscia di Gaza

7. La questione di sapere se la Striscia di Gaza resta un territorio occupato non è di puro interesse teorico. Nel corso dell’operazione cinicamente intitolata “Pioggia d’estate”, le FDI hanno fatto sentire la loro mano pesante non solo bombardando intensivamente la zona, ma anche essendo militarmente presenti.

8. Nell’agosto 2005 Israele ha ritirato i suoi coloni e le sue forze armate dalla striscia di Gaza. Le sue dichiarazioni, secondo cui questo ritiro metteva fine all’occupazione, sono molto lontane dalla verità. Anche prima dell’inizio dell’operazione Pioggia d’estate, questo territorio è stato sottomesso all’iniziativa effettiva di Israele, che si faceva sentire i molti modo. Innanzitutto, Israele vi conservava il controllo dello spazio aereo, di quello marittimo e delle frontiere. Degli accorgimenti particolari erano stati presi per l’apertura del valico di Rafah verso l’Egitto, sotto sorveglianza del personale dell’Unione Europea. Ma la maggior parte degli altri passaggi restavano chiusi. La chiusura di Karni, dove il passaggio delle merci era stato vietato per lunghi periodi, ha avuto conseguenze particolarmente gravi per Gaza. Perché significava che era impossibile far entrare derrate, medicinali e carburante. Un progetto che doveva permettere alle persone di Gaza di recarsi in Cisgiordania non è mai stato concretizzato.

Di fatto, dopo il ritiro d’Israele, Gaza è divenuta una società mozzata dall’esterno, imprigionata. La realtà del controllo israeliano si è realizzata ancora una volta sottoforma di bangs supersonici causati dagli aerei che hanno cercato di terrorizzare la popolazione di Gaza, dal bombardamento periodico di case e campi lungo la frontiera e di assassinii mirati di militanti, realizzati come nel passato senza molti riguardi per il passaggio di civili innocenti. In un incidente del giungo 2006, una famiglia di sette persone che faceva pic nic sulla spiaggia di Gaza è stata uccisa da obici delle FDI. Le azioni compiute dalle FDI mostrano con evidenza che la tecnologia moderna permette ad una potenza occupante di assicurarsi efficacemente un territorio senza essere militarmente sul luogo.

9. Il cronista israeliano Gideon Levy riassumeva la situazione in questi termini nel numero di Haaretz del 7 luglio 2006: «Il ritiro delle Forze di difesa israeliane da Gaza [.] non ha praticamente cambiato nulla per quanto riguarda le condizioni di vita dei residenti della striscia di Gaza. Questa resta una prigione e i suoi abitanti sono tutt’ora condannati a vivere nella miseria e sotto oppressione. Israele le separa via mare, via spazio aereo e via terra, tranne che per il passaggio di Rafah che è una stretta valvola di sicurezza. Non possono recarsi dai loro parenti in Cisgiordania, né cercare in Israele quei posti di lavoro da cui l’economia di Gaza dipende da più di 40 anni. I prodotti a volte riescono ad essere trasportati, a volte no. La striscia di Gaza non ha alcuna chance di uscire dalla miseria in queste condizione. Nessuno verrà a investire, nessuno la valorizzerà, nessuno può sentirvisi libero. Israele ha lasciato la gabbia, gettato le chiavi e abbandonato gli abitanti all’amarezza della loro sorte. Oggi, un anno dopo il ritiro, Israele torna con violenza e forza.».

10. Ancora prima dell’inizio dell’operazione « Pioggia d’estate », Israele aveva rinforzato la propria occupazione su Gaza come reazione all’elezione di Hamas all’Autorità Palestinese nel gennaio 2006. L’11 giugno mi sono recato a Gaza. Per ragioni di sicurezza, non ho potuto passare la notte come facevo nei miei precedenti soggiorni nei Territori Occupati. Sono andato all’Ospedale dei Martiri di Al-Aqsa e ho incontrato il Direttore dei servizi ospedalieri e dei medici esperti. Era chiaro che i servizi ospedalieri stavano affrontando una crisi perché il personale non era stato pagato e delle restrizioni erano state imposte sui medicinali e sui vaccini che passavano per Karni. Per me non v’era alcun dubbio sul fatto che il Governo israeliano aveva cominciato un assedio per provocare un cambio di regime. I diritti dell’uomo non richiamavano affatto l’attenzione mentre i bombardamenti e i bang supersonici violavano il diritto fondamentale alla vita e alla dignità umana, e ancor meno attenzione era prestata alle limitazioni imposte al diritto umanitario internazionale; era già chiaro che il castigo collettivo sarebbe stato il mezzo tramite cui si sarebbe provocato il cambio di regime desiderato.

11. Il 25 giugno 2006, un gruppo di militanti palestinesi ha attaccato una base militare nei pressi della frontiera israelo-egiziana, provocando la morte di due Palestinesi e di due soldati delle FDI. Nel ritirarsi, il gruppo ha fatto prigioniero il caporale Gilad Shalit. Ha richiesto, per il rilascio, la liberazione delle donne e dei bambini detenuti nelle prigioni israeliane. Questa operazione e i continui lanci di razzi Qassam contro Israele hanno provocato una reazione selvaggia da parte del Governo israeliano. Inizialmente, ha fatto arrestare otto ministri del Governo di Hamas e 26 membri del Consiglio legislativo palestinese a Ramallah. Al momento della redazione del presente rapporto, la maggior parte di queste persone erano ancora detenute. Israele dice di trattenerle perché sosterrebbero attività terroristiche, ma è difficile accantonare l’idea che siano tenute in ostaggio, in violazione dell’articolo 34 della (quarta) Convenzione di Ginevra relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra. Impressione confermata dal dibattito che ha avuto luogo in seno al Governo sulla sorte da riservare loro. Il servizio di sicurezza Shin Bet propone di trattenerli come moneta di scambio sotto la copertura della legge sui “combattenti illegali”. Sembra però che il Procuratore generale, Menachem Mazuz, abbia insistito affinché un’azione giudiziaria sia intentata loro per partecipazione ad un’organizzazione terroristica (v. Haaretz del 30 giugno 2006). Il problema dei membri di Hamas arrestati è stata aggravata dall’arresto, il 5 agosto 2006, di Aziz Dweik, portavoce del Consiglio legislativo palestinese, e dalle informazioni secondo cui sarebbe stato ferito durante il suo interrogatorio.

12. L’attacco e l’assedio di Gaza da parte di Israele nel quadro dell’operazione « Pioggia d’estate » hanno assunto diverse forme, che saranno scritte nei paragrafi che seguono.

A. Bombardamenti di opere pubbliche

13. Il 28 giugno 2006, l’Aeronautica israeliana ha distrutto i sei trasformatori dell’unica fabbrica di produzione elettrica della Striscia di Gaza. Questa centrale fornisce a Gaza il 43% del suo consumo quotidiano, il resto proviene dall’Israel Electrical Corporation. Dei 1,4 milioni di abitanti di Gaza, 700 000 si sono ritrovati inizialmente senza elettricità. Ad ora, la Gaza Electrical Distribution Company (GEDCO) prende a prestito il resto dell’elettricità necessaria da Israele, ma la distribuzione di corrente a tutte le abitazioni della striscia di Gaza è intermittente. Poiché la maggior parte dei pozzi sono collegati alla rete elettrica nazionale ora distrutta, è necessario utilizzare dei gruppi elettrogeni per far funzionare le pompe e la razione quotidiana d’acqua fornita alle abitazioni ha dovuto essere ridotta. Le operazioni militari israeliane hanno ugualmente distrutto le condutture d’acqua e la rete di scolo. Infine, la chiusura frequente dell’oleodotto di Nahal Oz, l’unico ad alimentare la striscia di Gaza di carburante, ha compromesso la soluzione dell’utilizzo dei gruppi elettrogeni come mezzo per assicurare la distribuzione dell’acqua.

14. Il 19 luglio, l’Aeronautica israeliana ha bombardato dei trasformatori elettrici durante un attacco contro il campo di rifugiati di El-Maghazi, privando di elettricità tutto il centro della striscia di Gaza.

15. La riduzione considerevole delle quantità di corrente elettrica e di carburante, unita alle interruzioni di alimentazione d’acqua ha avuto gravi conseguenze per la vita quotidiana dei Palestinesi, che sono senza luce la notte e cucinano senza elettricità. D’altra parte, è impossibile pompare l’acqua per distribuirla ai piani alti degli stabili. Le fognature minacciano di debordare. Gli ospedali sono rimasti gravemente menomati e sono stati obbligati a ricorrere a gruppi elettrogeni per far funzionare il materiale d’importanza vitale.

B. Bombardamenti di installazioni e di edifici pubblici

16. Gli aerei da guerra israeliani hanno deliberatamente preso di mira degli edifici pubblici a Gaza. Gli immobili sede dei Ministri degli Interni, degli Esteri e dell’economia nazionale, e del Gabinetto del Primo Ministro sono stati tutti distrutti. Questi attacchi non hanno alcuna finalità in termini di sicurezza e li si può considerare unicamente come un tentativo di destabilizzazione delle istituzioni ufficiali. Sono stati demoliti anche alcuni edifici scolastici. Sei ponti che collegavano la città di Gaza al centro della striscia di Gaza sono stati distrutti, così come diverse strade. Il 28 giugno, le FDI hanno occupato l’aeroporto internazionale di Gaza e ne hanno demolito una gran parte.

C. Chiusura delle frontiere

17. Anche se, in teoria, il passaggio di Rafah non è controllato da Israele, le FDI hanno impedito agli osservatori europei che lo devono far funzionare di recarvisi. È quindi chiuso dal 25 giugno e non è stato aperto che durante due brevi periodi. La chiusura di questo passaggio per tre settimane nel luglio 2006 ha lasciato abbandonati sul lato egiziano della frontiera e in condizioni difficili più di 3 000 Palestinesi – di cui 578 in stato di “urgenza umanitaria” che erano andati a farsi curare all’esterno. Otto Palestinesi sono morti perché alla frontiera sono state loro rifiutate cure mediche, acqua e riparo.

18. La chiusura di Rafah ha avuto conseguenze gravi anche per i Palestinesi che si trovavano a Gaza, soprattutto per coloro che vivono all’estero e che erano venuti per far visita alla propria famiglia. Ciò porta ad interrogarsi seriamente sul ruolo dei controllori europei. Dovrebbero sorvegliare questo punto di passaggio secondo i termini dell’accordo siglato il 15 novembre 2005 dall’Autorità palestinese e Israele con i buoni uffici degli Stati Uniti. Il loro incontestabile dovere è di far prova di coraggio e di compassione nell’esercizio delle loro funzioni invece che inclinarsi semplicemente davanti alle volontà del Governo israeliano.

19. Karni, punto per cui passano i prodotti, è stato chiuso ad intermittenza. L’importazione di centinaia di derrate e di rifornimenti medici è stata autorizzata verso Gaza, ma l’esportazione dei prodotti è stata seriamente limitata.

20. Le navi da guerra israeliane hanno impedito ai Palestinesi di pescare lungo il litorale e ciò ha fatto sparire il pesce dai mercati locali.

D. Vittime

21. Dal 25 giugno 2006, 184 Palestinesi (almeno per metà civili) sono stati uccisi, di cui 42 bambini. Circa 720 persone sono state gravemente ferite, di cui 168 bambini e 21 donne. Un soldato israeliano è stato ucciso e 25 Israeliani feriti, di cui 11 da razzi artigianali lanciati da Gaza.

E. Incursioni militari provocanti morti e distruzione

22. Dal 25 giugno 2006, le FDI hanno fatto diverse irruzioni nella striscia di Gaza, uccidendo dei civili e distruggendo alcune case. Le incursioni più gravi sono state a Beit Hanoun, Beit Lahia, Sajiyeh, Deir el-Balah, al campo profughi di el-Maghazi, a Rafah e a Khan Younis. Nel corso di queste operazioni condotte da blindati e bulldozer, delle case sono state requisite e trasformate in basi militari. Queste sono state gravemente danneggiate e diverse centinaia di abitazioni distrutte. Una scuola dell’Ufficio di soccorso e dei lavori delle Nazioni Unite per i rifugiati della Palestina nel Vicino-Oriente (UNWRA) è stato attaccata e danneggiata. Degli ulivi e degli alberi di agrumi sono stati sradicati e delle terre agricole distrutte dai lavori di terrazzamento. Strade, condutture d’acqua e piloni elettrici e telefonici sono stati danneggiati. Molte famiglie sono dovute fuggire dalle proprie case e si stima che siano circa 3 400 i Palestinesi a cui l’UNWRA deve al momento fornire un riparo in seguito a queste operazioni militari. Nonostante sia vietato utilizzare civili come scudi umani secondo l’Alta Corte israeliana, le FDI hanno arrestato dei civili e ne hanno fatto degli scudi umani mentre radevano al suolo case e mentre procedevano con gli arresti. Queste incursioni militari sono state accompagnate da bombardamenti massicci e da distruzioni di case con dinamite che hanno provocato la morte di numerosi civili.

23. Gli attacchi lanciati contro il campo profughi di el-Maghazi tra il 19 e il 21 luglio 2006 e l’attacco di Rafah all’inizio del mese di agosto sono esempi tipici delle incursioni israeliane. Nel primo caso, 19 Palestinesi hanno trovato la morte (di cui 4 bambini e 1 donna) e 25 sono stati feriti, per la maggior parte civili disarmati. Quattro case sono state rase al suolo e nove parzialmente demolite. Inoltre, le terre agricole sono state rase al suolo e le infrastrutture elettriche, idrauliche e stradali sono state a loro volta distrutte. Nel secondo caso, 16 Palestinesi sono morti, di cui 10 civili, e 39 sono stati bruciati o feriti da esplosioni; 4 bambini sono stati uccisi e 13 feriti.

24. Ci sono stati scambi di raffiche intensi tra militanti palestinesi e FDI. Queste si sono servite di carriarmati e bulldozer oltre a elicotteri che hanno lanciato razzi illuminanti e che hanno sparato raffiche di mitragliatrice per coprire le forze terrestri.

F. Bombardamenti e bang supersonici

25. Israele ha spogliato bombardato senza tregua la striscia di Gaza dopo il 25 giugno; diverse migliaia di granate sono state lanciate, tra 200 e 250 circa al giorno secondo le stime. La sua aeronautica ha portato avanti almeno 220 bombardamenti fino al 3 agosto e i suoi caccia hanno lanciato missili aria-terra. Queste operazioni sono state accompagnate da sorvoli di F-16 a bassa quota a da superamenti della barriera del suono sopra Gaza, che hanno provocato dei bang supersonici potenti quanto un vero bombardamento. Questi fenomeni hanno causato panico generale tra la popolazione, soprattutto nei bambini. Se la parola terrorismo ha un senso, è sicuramente questo che designa. Un medico di Gaza ha descritto gli effetti che i bang supersonici e i bombardamenti d’artiglieria hanno su sua figlia di 13 anni nei seguenti termini: «Mia figlia è sconvolta, angosciata, ha paura di uscire ed è perciò frustata perché non può vedere le sue amiche. I caccia israeliani, che volino di giorno o di notte, fanno un rumore terrificante. Di solito, mia figlia salta nel mioletto, tremante di paura. Finiamo entrambi stesi per terra. Il mio cuore batte all’impazzata ma provo comunque a calmarla e rassicurarla. Ma quando le bombe scoppiano, io cedo e urlo. Mia figlia sente la mia paura e capisce che ci dobbiamo calmare a vicenda. Sono un medico, una donna d’età matura, ma questi bang supersonici mi rendono isterica.» (Dr Mona El-Farra, The Boston Globe, 10 luglio 2006).

26. I Palestinesi non sono irreprensibili per quanto riguarda le raffiche d’artiglieria. I militanti continuano a lanciare ciecamente razzi Qassam artigianali contro Israele, ferendo civili israeliani, devastando opere civili e seminando paura tra la popolazione civile che vive vicino alla frontiera della striscia di Gaza. Si stima sia di otto o nove il numero di razzi lanciati ogni giorno.

G. Assassini mirati

27. Gli assassinî mirati sono continui, con inevitabili « danni collaterali » per i civili.

H. Terrorismo telefonico

28. L’esercito israeliano ha trovato un nuovo modo per creare terrore psicologico. I Palestinesi vengono chiamati al telefono da agenti dell’informazione militare israeliana, che annunciano loro che la loro casa verrà fatta saltare entro meno di un’ora. A volte questa minaccia viene eseguita, a volte no. Questo metodo non può che provocare sgomento psicologico e panico. Coloro che sono stati obbligati a lasciare la propria casa in questa maniera sono diventati esuli nel loro paese e che devono vivere dentro gli edifici scolastici dell’UNWRA.

I. Ospedali e servizi sanitari

29. Le FDI hanno demolito il muro di cinta del nuovo ospedale di pronto soccorso di Beit Hanoun. L’ospedale continua comunque a funzionare, ma con molte difficoltà. Dei gruppi elettrogeni servono il reparto di radiologia e le sale operatorie. Il trasferimento di pazienti all’esterno della striscia di Gaza ha sofferto molto per la crisi attuale. Come abbiamo già fatto notare, le postazioni di controllo sono state chiuse per i pazienti, le autorizzazioni rifiutate. Problemi particolarmente gravi si sono presentati al passaggio di Rafah verso l’Egitto. Gli stock di alcuni medicinali essenziali si stanno a loro volta esaurendo. Il 27 luglio, il Ministero della salute dell’Autorità palestinese ha annunciato che 67 dei 473 articoli della lista dei medicinali essenziali erano esauriti.

30. La salute pubblica è minacciata dalla mancanza di acqua salubre e da perdite dalle fognature; i casi di diarrea sono aumentati del 163% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Bisogna temere la ricomparsa di malattie contagiose come il colera e la poliomelite.

31. Molti Palestinesi hanno riportato bruciature sull’intera parte inferiore del corpo, e ciò spiega perché le amputazioni si sono moltiplicate. Il Ministero della salute palestinese ha chiesto che venga aperta un’inchiesta su questo fenomeno.

J. Alimentazione e povertà

32. La proporzione dei poveri raggiunge, a Gaza, il 75% della popolazione, e ciò si spiega essenzialmente con l’assedio. La penuria di viveri ha in parte come origine la mancanza di potere d’acquisto dato che poche persone oggi hanno abbastanza soldi per soddisfare i bisogni fondamentali della loro famiglia. Il prezzo delle derrate è aumentato e l’offerta si è ridotta con le operazioni in corso. Com’è stato detto, non si trova più pesce a causa del blocco marittimo. I mulini, le fabbriche alimentari e i panifici sono stati obbligati a ridurre la produzione per mancanza di corrente. Inoltre, siccome le capacità di conservazione dei beni perituri nel clima caldo di Gaza sono ridotte, le perdite sono elevate. Le riserve di zucchero, di prodotti caseari e di latte sono quasi terminate perché pochi rifornimenti commerciali arrivano da Israele.

33. Come è stato detto, le risorse d’acqua sono state gravemente affette dalla distruzione della centrale elettrica di Gaza e la rottura delle condotte a causa delle esplosioni. L’acqua potabile è dunque rara. L’UNRWA e il CICR sono stati obbligati a distribuirne tramite camion-cisterna.

K. Valutazione giuridica dell’azione d’Israele

34. Le azioni d’Israele devono essere valutate sia al riguardo delle norme relative ai diritti umani, sia con rispetto al diritto internazionale. Secondo il parere consultivo della Corte internazionale di Giustizia citata sopra, questi due regimi si applicano al comportamento di Israele nei Territori palestinesi occupati.

35. Israele ha violato molti dei diritti consacrati nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, inparticolare il diritto alla vita (art. 6), il diritto a non essere sottomessi a tortura né a trattamenti disumani o degradanti (art. 7), il diritto a non essere arrestati o detenuti arbitrariamente (art. 9), il diritto a circolare liberamente (art. 12) e il diritto dei bambini a misure di protezione (art. 24). Ha inoltre violato diritti consacrati nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, tra cui il diritto ad un livello di vita sufficiente per sé stessi e la propria famiglia, compresi cibo, vestiti e un alloggio sufficienti, il diritto ad essere al riparo dalla fame e il diritto all’alimentazione (art. 11), così come il diritto alla salute (art. 12).

36. Israele ha violato anche le regole più fondamentali del diritto internazionale umanitario, il che costituisce crimine di guerra secondo l’articolo 147 della quarta Convenzione di Ginevra e l’articolo 85 del Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali (Protocollo I). Queste violazioni hanno assunto svariate forme: attacchi lanciati direttamente a civili e a beni di carattere civile, e attacchi lanciati senza distinzione tra obiettivi militari e civili o i beni di carattere civile (art. 48, 51 4) e 52 1) del Protocollo I); il ricorso ad una forza eccessiva per attacchi sproporzionati contro civili e beni di carattere civile (art. 51 4) e 51 5) del Protocollo I); terrore tra la popolazione civile (art. 33 della quarta Convenzione di Ginevra e art. 51 2) del Protocollo I); distruzione di beni non giustificata da necessità militari (art. 53 della quarta Convenzione di Ginevra). Infine e soprattutto, il Governo israeliano ha infranto l’interdizione di infliggere pene collettive ad un popolo occupato, fissata all’articolo 33 della quarta Convenzione di Ginevra. L’utilizzo di forza eccessiva e senza distinzione contro civili e beni di carattere civile, la distruzione di opere che forniscono elettricità e acqua, la distruzione con esplosivo di edifici pubblici, le restrizioni imposte alla libertà di circolazione e le conseguenze di tutte queste azioni per la salute pubblica, l’alimentazione, la vita delle famiglie e lo stato psicologico del popolo palestinese costituiscono una flagrante punizione collettiva. La cattura del caporale Gilad Shalit e il lancio incessante di razzi Qassam contro Israele sono senza scuse. Ma nulla può giustificare che un popolo intero sia oggetto di un castigo draconiano come quello che ha imposto Israele.

 

IV. CISGIORDANIA

37. Numerose politiche e pratiche seguite da Israele in Cisgiordania rappresentano gravi infrazioni ai diritti umani dei Palestinesi. Il muro attualmente in costruzione sul territorio palestinese, i posti di controllo e gli sbarramenti stradali, le colonie, il regime arbitrario dei permessi, le demolizioni onnipresenti delle case, gli assassinî mirati, gli arresti e gli imprigionamenti violano tutta una gamma di diritti civili e politici. I diritti economici e sociali hanno a loro volta sofferto per la crisi umanitaria dovuta all’occupazione.

Il Muro

38. Il Muro che Israele sta costruendo per gran parte in territorio palestinese è incontestabilmente illegale. Nel suo parere consultivo, la Corte internazionale di Giustizia ha affermato che era contrario al diritto internazionale e che Israele aveva l’obbligo di interromperne la costruzione e di smantellare i pezzi dell’opera già posizionati. Il 20 luglio 2004, l’Assemblea generale ha adottato la sua risoluzione ES-10/15 con 150 voci contro 6, e con 10 astensioni, esigendo che Israele adempiesse ai propri obblighi di diritto come definiti dal parere consultivo. L’altra Corte di Giustizia israeliana, nel decreto di settembre 2006 reso nel caso Mara.abe v. il Primo Ministro d’Israele (HCJ 7957/04), ha respinto il parere consultivo della Corte internazionale di Giustizia col pretesto che questa non aveva tenuto conto delle considerazioni di sicurezza che motivavano la costruzione del Muro.

Questo decreto è stato reso fragile nel suo fondamento quando il Governo israeliano ha in seguito ammesso che il Muro doveva servire un disegno politico e non solo per fini di sicurezza. Essendo stato riconosciuto che il Muro era in parte costruito per inglobare delle colonie della Cisgiordania nella sua cinta, l’Alta Corte ha rimproverato il Governo per averla indotta in errore nel casoMara.abe e in altri casi che mettevano in causa la legalità del Muro (vedi Haaretz del 14 e 16 giugno 2006). Non si può ulteriormente dubitare in maniera seria sul fatto che il Muro ha l’obiettivo di captare i terreni circostanti le colonie delle Cisgiordania e di iscrivere queste stesse colonie nelle frontiere di Israele: il fatto che 76% dei coloni della Cisgiordania siano protetti dal Muro è sufficiente per provarlo. La politica attuale del Governo che consiste nel ritirarsi unilateralmente dalla Cisgiordania o nel riallineare le frontiere del paese è un modo a malapena mascherato di annettere le terre situate tra la Linea verde e il Muro, ovvero il 10% circa del territorio palestinese.

39. Il 30 aprile 2006, il Governo israeliano ha ridisegnato il tracciato del Muro. Quando sarà terminato, la sualunghezza sarà d’ora in poi di 703 km, non più di 670 km. Ad oggi, l’opera è terminata per più di metà. Si stima che alla fine dei lavori 60 500 Palestinesi di Cisgiordania di 42 villaggi e agglomerati vivranno nella zona chiusa tra il Muro e la Linea verde. Più di 500 000 Palestinesi che vivono ad 1 km dal Muro si trovano sul lato Est e devono attraversarlo per andare nei campi o al lavoro e per mantenere le relazioni con le loro famiglie. Il Muro si trova per l’80% in territorio palestinese e, per inglobare il blocco delle colonie di Ariel, fa un’incursione di 22 km in Cisgiordania. Ad oggi, conta 73 porte ma solo 38 sono accessibili ai Palestinesi e, inoltre, solamente a coloro che detengono il permesso necessario.

40. Chi vuole ottenere questo permesso deve aspettarsi una serie di difficoltà. Le pratiche amministrative sono vessatorie e costituiscono un ostacolo. Anche se non vi sono cifre precise, sembra che la proporzione di permessi rifiutati sia del 40% a dir poco. I motivi di rifiuto vanno da considerazioni di sicurezza all’impossibilità per i richiedenti di stabilire il proprio diritto di proprietà. Quest’ultima ragione viene ora spesso invocata dagli Israeliani perchè è diventato evidente che i Palestinesi, le cui proprietà risalgono ad un regime fondiario ottomano caotico, sono spesso incapaci di addurre prova dei loro titoli soddisfacendo le autorità decise a rifiutare loro il passaggio. Le traversie e le umiliazioni associate alle domande di permessi dissuadono molti Palestinesi dal presentarne una. L’apertura e la chiusura delle porte che danno verso la zona chiusa vengono decise in maniera completamente arbitraria e di rado operate all’ora prevista, il che aggrava la situazione. Infine, ai trattori e mezzi agricoli viene spesso vietato l’accesso in questa zona, ed è a piedi o a dosso d’asino che gli agricoltori devono andare sulle loro terre e riportarne i prodotti.

41. Gli ostacoli che rendono difficile l’accesso alla zona chiusa vi hanno gravemente compromesso i lavori nei campi. Molti Palestinesi tornano alla terra perché il salario dei funzionari non viene pagato e perché molte imprese private in città hanno dovuto chiudere, ma il regime dei permessi ha gravi conseguenze per l’impiego e la sussistenza dei Palestinesi

 

V. GERUSALEMME E IL MURO

42. È bene ripetere sin dall’introduzione di questa parte del rapporto che Gerusalemme Est non è parte d’Israele. E’ un territorio occupato a cui si applica la quarta Convenzione di Ginevra. Questa verità incontestabile è stata rilevata dalla Corte internazionale di Giustizia nel suo parere consultivo. Il tentativo illegale che sta facendo Israele di annettere Gerusalemme Est non deve far dimenticare questo stato di fatto.

43. Il Muro di 75 km che fa il giro di Gerusalemme (di cui solo 5 km coincidono con la Linea verde) è il mezzo utilizzato per portare cambiamenti maggiori nella città; si tratta di dare a questa un carattere essenzialmente ebraico indebolendo così le pretese dei Palestinesi che vogliono farne la capitale di uno Stato palestinese indipendente. E’ per questo che il Muro attraversa i quartieri palestinesi di Gerusalemme Est e che i quartieri che si trovano sul suo lato Est vengono considerati parte della Cisgiordania. Ciò ha gravi conseguenze per i diritti umani dei 230 000 Palestinesi che vivono a Gerusalemme.

44. Innanzitutto, mentre i Palestinesi che vivono sul lato ovest del Muro potranno conservare la propria qualità di abitanti di Gerusalemme, con alcuni vantaggi, in particolare per quanto riguarda la sicurezza sociale; gli stessi avranno sempre più difficoltà nel recarsi presso città della Cisgiordania, per esempio a Ramallah e Betlemme, dove molti lavorano. Inoltre, se questi scelgono di risiedere in Cisgiordania per avvicinarsi al loro lavoro, rischiano di perdere il loro status di abitante di Gerusalemme e il diritto di viverci in quanto il cosiddetto principio del “centro di vita” della politica israeliana vuole che i Palestinesi provino che vivono a Gerusalemme per conservare il loro diritto di residenza nella città.

45. Successivamente, i Palestinesi relegati in Cisgiordania dal Muro, ovvero circa un quarto della popolazione palestinese della città (230 000 persone), perderanno il loro status di abitante di Gerusalemme e i privilegi che questo comporta. Avranno bisogno di un permesso per entrare in città e non potranno farlo che attraverso 4 dei 12 passaggi nel Muro, cosa che allungherà considerevolmente le loro andate e ritorni e impedirà loro di recarsi negli edifici scolastici, nelle università, negli ospedali, nei luoghi di culto e nei luoghi di lavoro.

46. La costruzione del Muro per giudeizzare Gerusalemme è un’operazione di ingegneria sociale cinica che impone rigidità considerevoli in tutti gli aspetti della vita palestinese.

 

VI. COLONIE

47. Le colonie ebraiche di Cisgiordania sono illegali. Violano il paragrafo 6 dell’articolo 49 della quartaConvenzione di Ginevra e la loro illegalità è stata confermata dalla Corte internazionale di Giustizia nel suo parere consultivo sul Muro. L’Alta Corte israeliana ha sempre rifiutato di pronunciarsi sulla loro legalità, il che mostra che anche la giurisdizione suprema israeliana non vuole riconoscere loro un legittimità.

48. Nonostante questa illegalità delle colonie, nonostante la loro condanna unanime da parte della comunità internazionale, il Governo israeliano continua a lasciare che si sviluppino. Questo sviluppo in certi casi si opera apertamente e con approvazione senza riserve. È così che nel 2000 è stata approvata l’espansione delle colonie di Givat Ze’ev, Kfar Sava, Maskiyot e Beitar Ilit (vedi Haaretz del 21 maggio 2006). Più spesso però, lo sviluppo viene portato avanti discretamente, sotto la copertura di « crescita naturale », cosicché le colonie crescono ad un tasso medio di 5,5%, contro l’ 1,7 % delle città israeliane. A volte infine, le colonie si estendono illegalmente per quanto riguarda il diritto israeliano ma nulla viene fatto per fare rispettare la legge. Delle postazioni avanzate vengono spesso create e, quando ne viene minacciato lo smantellamento, le minacce non vengono eseguite.

49. Con questa espansione, la popolazione dei coloni di Cisgiordania raggiunge circa le 245 000 persone, quella di Gerusalemme Est circa 200 000. Come indicato di seguito, il Muro è, attualmente, costruito in Cisgiordania e a Gerusalemme Est in maniera da inglobare la maggior parte delle colonie nella sua cinta. Inoltre, i tre grandi blocchi di colonie di Gush Etzion, Ma’aleh Adumim e Ariel dividono il territorio palestinese in distretti, distruggendo così l’integrità territoriale della Palestina.

50. È evidente dalle dichiarazioni del Governo israeliano che i grandi blocchi di colonie intendono rimanere in Israele. Il 3 maggio 2006, il Primo Ministro Olmert ha detto alla Knesset che «ciò che il movimento di colonizzazione ha fatto nei principali centri di insediamento rimarrà per sempre parte integrante dello Stato sovrano d’Israele, come Gerusalemme, nostra capitale unificata» (vedi Haaretz del 4 maggio 2006).

51. La politica di «ritiro unilaterale», di «convergenza» o di «riallineamento» del Governo israeliano prevede chiaramente l’annessione illegale di vaste superfici di territorio palestinese. Gli eufemismi utilizzati per qualificare questa politica non devono mascherare questa dura realtà.

52. La violenza dei coloni rimane un problema grave. Nel giugno 2006, il Gruppo di sorveglianza della Palestina ha pubblicato un resoconto sui casi di violenza, che ritraggono bene il problema: «Alcuni coloni israeliani hanno cercato di rapire una studentessa dell’università nel distretto di Salfit; hanno percosso dei civili a Hebron e altri civili vicino alla colonia di Ma’on; hanno chiuso una strada nel distretto di Qalqiliya; hanno preso a sassate delle case di civili nel quartiere di Tel Rumeida a Hebron e rubato una pompa d’acqua in una casa dello stesso quartiere. Hanno appiccato il fuoco a due veicoli civili e ad un camion a Huwara; hanno appiccato il fuoco a raccolti e ad ulivi a Salim, vicino a Nablus, e ad Al Jab’a vicino a Betlemme; hanno fatto pascolare le loro greggi di montoni nei campi coltivati del distretto di Hebron».

 

VII. IL SUD DI HEBRON ET IL « MINI-MURO»

53. I piani che prevedevano la costruzione del Muro a sud di Hebron sono stati abbandonati; secondo ilnuovo progetto, il Muro seguirà essenzialmente la Linea verde. In cambio, Israele costruisce un «mini-muro» lungo il lato nord delle by pass road dei coloni della regione. Questo muro, di circa 1 metro di altezza, dovrebbe impedire ai veicoli palestinesi di penetrare sulla grande strada e dare ai coloni libero accesso alle by pass road. Questo dispositivo permetterà ai coloni di spostarsi in tutta sicurezza tra le colonie e il resto di Israele senza dover attraversare terre palestinesi. Ventidue località palestinesi e più di 1 900 Palestinesi si troveranno rinchiuse tra la barriera stradale del mini-muro e il Muro attualmente in costruzione lungo la Linea verde. Il mini-muro impedirà ai pastori palestinesi e alle loro 24 000 teste di bestiame di recarsi sui pascoli dall’altro lato. Aggiungerà ulteriori difficoltà a quelle che già toccano le località palestinesi che si trovano sud di Hebron, che non hanno né centri di soccorso, né scuola, né alimentazione d’acqua sufficiente; l’acqua dev’essere portata da camion e la rete di irrigazione di acqua piovana comincia a svuotarsi. Il Governo israeliano ha rifiutato di allacciare le località palestinesi alla propria rete di approvvigionamento e alimenta solamente i coloni. Aggravando ulteriormente la situazione, rifiuta di rilasciare dei permessi di costruire per le case.

54. La sorte delle località palestinesi del sud di Hebron è esemplificata dal caso del villaggio di Tuwani, dove mi sono recato in diverse occasioni. Questo villaggio non ha né elettricità, né acqua, né servizi sanitari ed è vietato costruirvi nuove case. Inoltre, gli abitanti devono subire violenze da parte dei coloni di Ma’on. Per andare a scuola, i bambini devono essere scortati dalle FDI, che li proteggono dai coloni. Questi ultimi sono responsabili anche dell’avvelenamento delle terre.

 

VIII. VALLE DEL GIORDANO

55. Israele ha abbandonato il progetto che aveva di costruire il Muro lungo l’asse dei Territori palestinesioccupati e di appropriarsi formalmente della valle del Giordano, come ha fatto lungo la frontiera ovest dei TPO. Ma esercita la sua autorità sulla regione, che rappresenta il 25% della Cisgiordania, così come fa sulla zona chiusa tra il Muro e la Linea verde, alla frontiera occidentale della Palestina. La sua intenzione di rimanere definitivamente nella valle del Giordano si esprime chiaramente nelle dichiarazioni ufficiali e si manifesta anche, prima di tutto, dalle restrizioni imposte ai Palestinesi, e in seguito dai controlli esercitati e dall’aumento del numero di colonie nella valle.

56. I Palestinesi che vivono nella valle del Giordano devono avere documenti di identità con un indirizzo nella valle. Solo le persone che posseggono tale documento possono recarsi nel settore senza un permesso israeliano. Gli altri, compresi i proprietari fondiari e i lavoratori non residenti, devono richiedere un permesso che però non autorizza il detentore a passare la notte nella valle e ciò lo obbliga a compiere viaggi di andata e ritorno quotidiani e a perdere tempo ai posti di controllo che collegano la valle del Giordano al resto della Cisgiordania. La valle del Giordano si trova quindi isolata. Le restrizioni imposte sugli spostamenti fanno sì che gli agricoltori della valle abbiano difficoltà a recarsi nei mercati della Cisgiordania, essendo le derrate spesso trattenute e rovinandosi ai posti di controllo. I tentativi di vendita lungo le strade non sono riusciti perché le FDI hanno distrutto gli stand.

57. La maggior parte delle terre della valle del Giordano sono controllate dalle colonie ebraiche o servono come terreni militari. Solamente il 4% è accessibile ai 47 000 Palestinesi, per valorizzazione o residenza. Circa 8 300 coloni vivono nella valle, e il loro numero continua a crescere in ragione della reinstallazione dei coloni di Gaza. Mentre i Palestinesi non hanno né elettricità né acqua nella maggior parte delle località, i coloni sono collegati alle reti israeliane. Inoltre, questi 8 300 coloni consumano ogni anno più acqua dei 47.000 Palestinesi.

 

IX. DEMOLIZIONI DI CASE

58. La demolizione delle case è un fatto ordinario dell’occupazione, di cui il bulldozer è divenuto simbolo odioso. Tradizionalmente, la potenza occupante demolisce una casa a titolo di punizione (quando uno dei suoi abitanti ha commesso un crimine contro Israele), a seconda delle necessità militari o perchè la costruzione è stata eseguita senza permesso. In questi ultimi tempi si sono viste comparire ulteriori motivazioni: in primis, il passaggio del Muro, poi l’arresto di persone ricercate. Si ricorderà che l’anno scorso l’Alta Corte israeliana ha vietato l’utilizzo di civili palestinesi come scudi umani durante le operazioni di arresto. Oggi, se c’è il sospetto che una persona ricercata si trovi in questa o quell’altra casa e rifiuta di arrendersi, la casa viene rasa al suolo. Ho visto con i miei occhi delle case distrutte in questa maniera nel campo profughi di Balata, vicino a Nablus.

59. È da anni che Israele demolisce le case costruite senza permesso, adducendo come motivazione il far rispettare le leggi municipali sull’alloggio, come fa ogni società sviluppata. Questa argomentazione non tiene conto di due considerazioni. Prima di tutto, una potenza occupante non ha il diritto di demolire l’abitazione di persone protette dal diritto internazionale umanitario (vedi. Par. G) dell’articolo 23 del Regolamento concernente le leggi e costumi della guerra su terra annesso alla Convenzione IV concernente le leggi e costumi della guerra su terra de L’Aia, e l’articolo 53 della quarta Convenzione di Ginevra. Ciò vale per le case dei Palestinesi di Cisgiordania , della striscia di Gaza e di Gerusalemme Est. Inoltre, i permessi di costruire vengono concessi di maniera così arbitraria e rifiutati di maniera sistematica che è diventato praticamente impossibile per un Palestinese costruire una casa con autorizzazione. Il regime dei permessi a 11 Gerusalemme Est è amministrata di maniera completamente differente per i Palestinesi e per gli Israeliani. Il carattere discriminatorio dell’applicazione di questo regime a Gerusalemme Est è stato recentemente messo in luce da Meir Margalit in Discrimination in the Heart of the Holy City (2006).

 

X. POSTI DI CONTROLLO

60. Il numero dei posti di controllo, sbarramenti stradali, riporti e trincee compresi, è passato da 376 dell’agosto 2005 a più di 500. Questi posti dividono la Cisgiordania in quattro zone distinte: il nord (Nablus, Jenin e Tulkarm), il centro (Ramallah), il sud (Hebron) e Gerusalemme Est. All’interno di queste zone, sono state create delle enclavi con una rete di posti e di sbarramento. Le città sono divise le une dalle altre perché è necessario un permesso per passare da una zona all’altra e, comunque, questo permesso è difficile da ottenere. Le regole che ne regolano il rilascio continuano a cambiare, soprattutto dal punto di vista dell’età dei richiedenti a cui viene rifiutato. Inoltre, l’iter amministrativo necessario per ottenerlo è arbitrario e frustrante. La situazione è peggiorata con l’arrivo di Hamas al governo, perché coloro che hanno bisogno di un permesso devono rivolgersi direttamente all’Amministrazione civile israeliana, e il Governo israeliano si rifiuta di cooperare con qualsiasi autorità ufficiale della Palestina. Questo sistema dei permessi spiega anche il declino economico dei TPO dato che la manodopera e i prodotti non possono circolare liberamente.

61. Nel giugno 2006, mi sono recato a Nablus, città completamente circondata da posti di controllo, al punto che la maggior parte dei suoi abitanti non possono né entravi né uscirvi. Nablus è diventata di fatto una città prigioniera.

62. Gli Israeliani giustificano i posti di controllo con considerazioni di sicurezza. È difficile accettare questa giustificazione per la maggior parte di essi. Dopotutto, il Muro costituisce una barriera di sicurezza efficace tra Israele e i TPO e c’è, lungo la striscia di terra dov’è stato installato il blocco di colonie di Ariel, una linea di posti di controllo che dovrebbe efficacemente gli Israeliani. I posti installati altrove, ad esempio attorno a Nablus, non rispondono apparentemente ad alcuna necessità di sicurezza. Si può quindi concludere che l’obiettivo principale di molti di essi è in realtà di impedire ai Palestinesi di dimenticare che Israele è padrone delle loro vite e di umiliarli allo stesso tempo.

 

XI. SEPARAZIONE DELLE FAMIGLIE

63. Il diritto ad una vita famigliare è riconosciuto da tutti gli strumenti relativi ai diritti dell’uomo. Nei TPO Israele ne ostacola l’esercizio in diverse maniere. Prima di tutto, il Muro alzato tra i quartieri di Gerusalemme costituisce una separazione tra i Palestinesi a seconda che abbiano dei documenti d’identità di Gerusalemme o della Cisgiordania. Quando due coniugi hanno dei documenti diversi, spesso non hanno altra scelta che vivere separati affinché colui che possiede i documenti di Gerusalemme possa conservare i vantaggi che vi sono legati. Il 18 % delle famiglie palestinesi di Gerusalemme sono quindi separate dal padre 12 % dalla madre. Inoltre, le autorità hanno di recente lanciato una politica che consiste nel respingere i Palestinesi titolari di passaporto straniero. In passato, questi Palestinesi erano autorizzati a vivere in Cisgiordania a condizione di rinnovare il loro visto ogni tre mesi. La nuova politica concerne circa 50.000 Palestinesi di Cisgiordania, ai quali viene ormai rifiutato il visto (vedi Haaretz del 10 luglio 2006). Infine, una legge israeliana relativa alla cittadinanza vieta ai Palestinesi che sposano degli Arabi israeliani di vivere in Israele con il proprio congiunto. Questa legge è stata di recente oggetto di un decreto controverso dell’Alta Corte di giustizia israeliana che ha giudicato che il testo, che non si applica agli Israeliani ebrei che sposano degli stranieri, era costituzionale per ragioni di sicurezza. Secondo la Corte, lo Stato ha il diritto di impedire ad un Palestinese di vivere con il proprio congiunto israeliano in Israele perché dei Palestinesi che minacciano la sicurezza di Israele potrebbero approfittarne per entrare nel paese.

 

XII. AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA

64. E’ chiaro che Israele non cerca di conquistarsi i cuori e animi quando rende giustizia; agisce piuttosto con un pugno di ferro per gli arresti e nel trattamento dei detenuti e dei prigionieri. Sembra che la situazione si sia degradata dopo che Hamas è stato eletto al Governo.

65. Gli arresti sono spesso accompagnati, come si è detto, dalla distruzione o dal saccheggio dei beni, da vie di fatto, da attacchi di cani lanciati negli alloggi civili, da perquisizioni corporali umilianti a da irruzioni all’alba. Gli interrogatori delle persone arrestate vengono ancora fatti mescolando pressioni psicologiche a violenze fisiche. Il numero di prigionieri continua a crescere. Si contano ora più di 10 000 Palestinesi nelle prigioni israeliane, donne e bambini compresi. La situazione dei bambini è particolarmente inquietante perchè si vedono obbligati a dividere la cella con adulti e non hanno accesso né all’istruzione né alla loro famiglia, in contravvenzione alla Convenzione relativa ai diritti del bambino.

 

XIII. LA CRISI UMANITARIA E IL FINANZIAMENTO DELL’AUTORITÀ PALESTINESE

66. La crisi umanitaria che sta conoscendo la striscia di Gaza viene trattata di seguito nella parte consacrata a questa zona. La situazione umanitaria costernante che regna in questa parte dei TPO non deve distogliere l’attenzione dalla grave crisi umanitaria che sta toccando il resto dei Territori. Su 10 Palestinesi, 4 vivono al di sotto della soglia ufficiale della povertà, che è di 2,10 dollari al giorno. È difficile calcolare la disoccupazione. L’Organizzazione internazionale del Lavoro ha stimato che tocca più del 40% della manodopera palestinese. Tuttavia, questo tasso non tiene conto del fatto che il settore pubblico, che offre il 23% del totale degli impieghi nei TPO, lavora ma non è pagato.

67. La crisi umanitaria deriva in gran parte dall’interruzione del finanziamento dell’Autorità palestinese dopo l’elezione di Hamas. Innanzitutto, il Governo israeliano si astiene dal versare all’Autorità palestinese le tasse sul valore aggiunto e i diritti doganali - da 50 a 60 milioni di dollari al mese – che percepisce per conto suo sui beni importati nei TPO. Questo rappresenta il 36% del budget mensile dell’Autorità palestinese, e la metà del finanziamento di cui essa dispone effettivamente. Per legge, Israele non può rifiutarsi di girare gli importi in questione, che appartengono all’Autorità palestinese secondo il Protocollo del 1994 relativo alle relazioni economiche tra il Governo di Israele e l’Organizzazione di Liberazione Palestinese (detto Protocollo di Parigi). Come si poteva prevedere, Israele giustifica il proprio comportamento con considerazioni di sicurezza. Il deficit finanziario che interessa quindi l’Autorità palestinese si accompagna ad una considerevole riduzione dell’aiuto finanziario accordato dalle istituzioni e i paesi donatori. Ciò ha gravemente nuociuto al lavoro delle ONG che hanno dovuto sospendere o annullare i progetti legati ai lavori dell’Autorità palestinese.

La decisione che ha preso il Governo canadese di sospendere il proprio aiuto ha avuto conseguenze gravi, soprattutto per le ONG. Siccome Hamas è definito un’organizzazione terrorista dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, il Tesoro americano ha deciso di vietare qualsiasi transazione con l’Autorità palestinese. Questa decisione ha avuto ripercussioni profonde a livello di banche, che non sono più disposte a girare fondi all’Autorità palestinese, o ai suoi organismi, né ai suoi progetti o alle ONG che li realizzano con essa Alcune realizzazioni a cui partecipa l’Autorità palestinese hanno conservato il loro finanziamento (ad esempio i progetti della Banca mondiale) e l’Unione europea ha messo in atto un meccanismo internazione temporaneo, approvato dal Quartetto, per venire in aiuto dei Palestinesi che lavorano nel settore della sanità, per assicurare il funzionamento ininterrotto delle reti pubbliche, compreso il rifornimento di carburante, e per distribuire delle sussidi di base che permettano alle fasce più povere della popolazione di sovvenire alle loro necessità. (La messa in pratica di questo cordone di sicurezza nei confronti dei più poveri, esigerà la creazione di un’infrastruttura particolare.) La proposizione presentata dalla Banca mondiale in maggio – un meccanismo di finanziamento per assicurare il versamento del salario dei funzionari – è stata respinta dal Quartetto.

68. Malgrado alcuni tentativi di finanziamento di questo genere, è chiaro che l’economia palestinese, fortemente tributaria del finanziamento dei donatori dal 1994, ha sofferto enormemente per le trattenute operate da Israele e dalla comunità internazionale dopo l’elezione di Hamas. Questa asfissia economica ha avuto pesanti gravi conseguenze per i diritti economici e sociali del popolo palestinese. Circa un milione dei 3,5 milioni di abitanti della Palestina sono direttamente toccati dal mancato versamento dei salari dei circa 152 000 funzionari (e le loro famiglie), ma l’insieme della popolazione ne soffre indirettamente. Inoltre, siccome l’Autorità palestinese è responsabile di più del 70% delle scuole e del 60% dei servizi sanitari nei TPO, l’istruzione e la sanità sono stati seriamente pregiudicati.

69. La questione delle cure mediche è esaminata più dettagliatamente nella parte consacrata alla striscia di Gaza. È però importante sottolineare che le restrizioni di finanziamento hanno nuociuto gravemente alle cure mediche nell’insieme dei TPO. Non venendo pagati, i professionisti della sanità si assentano, semplicemente perché non possono permettersi i mezzi di trasporto per recarsi al lavoro. I medicinali e i vaccini stanno esaurendosi. Gli ospedali non possono curare adeguatamente i pazienti ammalati di cancro né procedere alle dialisi renali. Il trasferimenti dei pazienti ad altri ospedali della Cisgiordania e soprattutto di Israele o d’Egitto è diventato particolarmente difficile a causa delle chiusure e dell’impossibilità di ottenere un permesso.

70. Di fatto, il popolo palestinese è sottoposto a sanzioni economiche , e ciò è il primo esempio di un simile trattamento applicato ad un popolo occupato. Questo fatto è difficile da capire. Israele viola le grandi risoluzioni del Consiglio di sicurezza e l’Assemblea generale che parlano di illegalità delle modifiche territoriali e della violazione dei diritti umani, e non ha dato seguito al parere consultivo reso nel 2004 dalla Corte internazionale di Giustizia. Quindi Israele stesso si sottrae alle sanzioni. È al contrario il popolo palestinese, e non l’Autorità palestinese, ad essere stato sottoposto alle forme forse più rigorose di sanzioni internazionali dei tempi moderni. E’ interessante ricordare che gli Stati occidentali hanno rifiutato di imporre al Sud Africa delle sanzioni economiche reali per obbligarlo a rinunciare all’apartheid in quanto ciò rischiava di nuocere ai Neri del Sud Africa. Né il popolo palestinese né i suoi diritti fondamentali beneficiano della stessa simpatia

 

XIV. IL PARERE CONSULTIVO DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA E L’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE

71. Nel 2004, la Corte internazionale di Giustizia ha giudicato illegale il Muro che Israele sta costruendo in territorio palestinese e che dev’essere smantellato. Nel suo parere consultivo, ha giudicato che molte altre pratiche israeliane (quali la creazione di colonie) erano contrarie al diritto internazionale. Sono passati due anni e nulla è stato fatto perd are seguito alle conclusioni della Corte. Come se per aggravare le cose, il Muro non viene assolutamente menzionato nelle dichiarazioni che il Quartetto pubblica periodicamente. Tutto si svolge come se non ci fosse mai stato alcun parere cosultivo.

72. Nel 2004, nella sua risoluzione ES-10/15 del 20 luglio 2004, l’Assemblea generale ha pregato il Segretario generale di predisporre un registro dei danni causati dalla costruzione del Muro. Due anni più tardi, questo registro ancora non esiste, il che porta chiedersi seriamente se la sua struttura, i suoi obiettivi e il suo funzionamento rispetteranno il parere consultivo.

73. Il parere consultivo della Corte internazionale di Giustizia è un giudizio autorizzato dall’organo giudiziario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che l’Assemblea generale ha sottoscritto nella sua risoluzione ES-10/15. Siccome si tratta di un parere consultativo, non è vincolante per gli Stati. Enuncia però il diritto di maniera decisiva per ciò che concerne l’Organizzazione delle Nazioni Unite, e deve orientarla così come il parere consultivo del 21 giugno 1971 ha orientato i suoi organi politici nel trattamento della questione della Namibia. Membro del Quartetto, l’Organizzazione ha il dovere almeno di persuadere questa istanza di menzionare il parere consultivo della Corte nelle sue dichiarazioni. Se non vi riesce, dovrà almeno far conoscere il proprio malcontento davanti al fatto che il Quartetto non si ispira al parere consultivo e non lo menziona.

 

XV. CONCLUSIONE

74. Il presente rapporto non è piacevole da leggere. Israele viola delle norme importanti dei dirittiu mani e del diritto internazionale umanitario. Se si ammette senza esitazione che la sicurezza di Israele è minacciata e che il paese ha il diritto di difendersi, non bisogna dimenticare che la causa profonda di questa minaccia è il proseguimento dell’occupazione di un popolo che vuole esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione in uno Stato indipendente. La comunità internazionale riconosce la necessità di porre fine a questa situazione e ha delegato la propria autorità al Quartetto, formato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Unione europea, gli Stati Uniti d’America e la Federazione russa, affinché faciliti un regolamento pacifico sotto forma di creazione di uno Stato palestinese. Purtroppo, sembra che questo obiettivo sia stato perso di vista da quando il Quartetto ha deciso di adottare misure punitive concepite per obbligare Hamas a modificare la propria posizione ideologica o provocare un cambio di regime. E’ sufficiente leggere la dichiarazione del Quartetto del 9 maggio 2006. Possiamo chiederci se l’Organizzazione delle Nazioni Unite sia autorizzata a partecipare alla coercizione economica esercitata dal Quartetto senza seguire le proprie procedure fissante nella Carta. In ogni caso, la diplomazia cede il passo davanti alla coercizione.

75. Sarebbe vano per il Relatore speciale raccomandarsi che il Governo israeliano faccia prova di rispetto per i diritti dell’uomo e il diritto internazionale umanitario. Organi che hanno più autorità di lui, la Corte internazionale di Giustizia e il Consiglio di sicurezza soprattutto, hanno lanciato degli appelli in questo senso, con altrettanto poco successo dei precedenti rapporti del Relatore speciale. Sarebbe parimenti vano per questi appellarsi al Quartetto perché si sforzi di ristabilire i diritti umani, dato che né il rispetto dei diritti umani né quello dello stato di diritto figurano in buona posizione sul suo ordine del giorno, a quanto emerge dalle sue dichiarazioni pubbliche. Così stando le cose, il Relatore speciale non può che lanciare un appello all’insieme della comunità internazionale affinché si interessi della sorte del popolo palestinese.

76. Dispiace che l’immagine e la reputazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite abbiano sofferto nei territori palestinesi occupati. Mentre la devozione e la determinazione degli agenti sul campo valgono loro una grande stima, non si può dire lo stesso dell’Organizzazione a New York e a Ginevra. I Palestinesi sono sensibili al fatto che nessun alto funzionario dell’ONU abbia realmente fatto un giro nella regione e al fatto che il Consiglio di sicurezza sia incapace di adottare misure per proteggere i diritti umani, come lo dimostra il veto apposto il 12 luglio 2006 ad uno dei suoi progetti di risoluzione equilibrata su Gaza. La visita di Jan Egeland, Segretario generale aggiunto per gli affari umanitari e Coordinatore dei soccorsi d’urgenza il 25 luglio ha certamente fatto molto per restaurare l’immagine dell’Organizzazione nella regione. L’interesse del Consiglio dei diritti umani per il problema sarà egualmente benvenuto, così come le dichiarazioni di molti mandatari delle procedure speciali.

L’Organizzazione deve mostrare che si preoccupa prima di tutto dei diritti umani dei Palestinesi. Dei rapporti come questo prendono nota delle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario, ma è indispensabile che l’Organizzazione agisca realmente in questo momento drammatico.