SANTITÀ, DICA QUALCOSA... CI AIUTI...

QUI SI MUORE DI FAME E DI PALLOTTOLE!!

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

 

LE ELEZIONI DI MIDTERM BOCCIANO

 LA POLITICA DEL PRESIDENTE GEOGE W. BUSH

Un voto contro Bush


Noi abbiamo sempre pensato che la guerra in Iraq fosse profondamente sbagliata... e il popolo americano ci ha dato ragione!

Abbiamo sempre detto di no alla disastrosa politica unilaterale del Presidente all'estero, comprese le guerre preventive... e il popolo americano ci ha dato ragione!

Abbiamo sempre detto di no all'uso politico e demagogico della religione da parte del Presidente, che aveva diviso il mondo in buoni e cattivi, cosa che solo Dio può fare... e il popolo americano ci ha dato ragione!

Certo, i repubblicani hanno perso anche per motivi interni e per scandali vari, ma ciò non toglie che queste elezioni siano state vissute dalla gente anche come un referendum sull'operato del loro Presidente... e il popolo americano ci ha dato ragione!

Ora speriamo in una politica più equilibrata e meno guerrafondaia... Speriamo che chi ha vinto sia all'altezza del mandato che il popolo americano ha espresso con il suo voto! Come speriamo anche che l'auspicabile cambio di rotta della politica estera americana sia di aiuto per il raggiungimento della pace in Medio Oriente e in Palestina!

GRAZIE POPOLO AMERICANO, CHE DIO TI BENEDICA E

CON TE BENEDICA ANCHE TUTTI I POPOLI DELLA TERRA!

La redazione

 

 

Cronache dalla prigione di gaza

"PER NON DIMENTICARE LA CAUSA PROFONDA

 DI QUESTO DISASTRO: L'OCCUPAZIONE."

 

Seconda Parte

 

PALESTINA. Lo Stato che ancora non c’è

Cronache dalla prigione

Estratto del N. 9 - 2006 di 30Giorni

 

 

 

La disperazione dei familiari di un palestinese ucciso

 dalle forze israeliane a Gaza, il 30 agosto 2006

 

 

 

«Qui cristiani e musulmani sono un solo popolo».

Incontro con padre Manuel Musallam,

l’unico sacerdote cattolico di rito latino a Gaza
 

 

di padre Manuel Musallam

È lì con le Rosary Sisters, le Piccole Sorelle di Gesù, le suorine di Madre Teresa, e basta. Di sacerdote cattolico, di rito latino, a Gaza c’è solo lui, padre Manuel Musallam. Nato a Birzeit nel 1938, vicino a Gerusalemme, lo hanno visto crescere al seminario di Beit Jalla e diventare sacerdote nel 1963. È stato in parrocchia in Giordania, poi a Jenin e infine, dal 1993, a Gaza – dove c’è una parrocchia, l’unica, appunto, che risale al 1747, la Sacra Famiglia, The Holy Family Church. Padre Manuel gira armato solo della sua energia di prete di  frontiera, diremmo qui, e della sua pazienza molto attiva. Ma dopo la chiusura delle frontiere con Israele e ancor più dopo la guerra in Libano e le azioni militari – mai terminate – nei Territori occupati, non si sbaglia a dire che chi vive a Gaza, innocente o colpevole, è già vicino all’inferno, dove si muore alla giornata. Padre Musallam combatte la sua battaglia descrivendo ogni volta a migliaia di persone per posta elettronica quello che sta succedendo, senza censure. Quello che segue è invece quanto ha consegnato a noi, dopo un lungo colloquio. È un punto di vista autenticamente palestinese, espresso con spontaneità, che serve a capire meglio (Giovanni Cubeddu)

Noi tutti abitiamo in una grande prigione, Gaza. Potete immaginare lo stato d’animo di una nazione tenuta in catene. E non solo in senso figurato: circa la metà della popolazione palestinese è passata per le carceri israeliane. Le frontiere sono chiuse da tantissimo. E ancora, in qualunque momento l’arrivo di cibo può essere bloccato al check point, e si vive in perenne compagnia della penosa sensazione di potersi ritrovare, un giorno o l’altro, senza più nulla da mangiare. Ci manca l’energia elettrica. Vivere un giorno senza elettricità è già un problema, immaginate per mesi e mesi, giorno e notte, case, scuole, negozi, ospedali… In una vita normale, alla fine di una giornata di lavoro, una famiglia può ritrovarsi, mangiare insieme,

magari ricevere gli amici. Qui no. I bambini, ad esempio, che come sapete temono il buio, non si muovono più liberamente da una stanza all’altra, e a ogni rumore dall’esterno si mettono a correre, e possono urtare un muro nell’oscurità, farsi male. È successo e succede che si rompano anche un braccio o una gamba. Di tanto in tanto, nelle case di Gaza si sentono bimbi urlare e piangere, senza un motivo apparente, e senza che noi possiamo capire veramente cosa succede dentro di loro. Nella nostra mentalità il buio è il luogo del demonio, dei fantasmi, delle paure. E quando l’elettricità arriva, magari per tre o quattro ore, ci sorvolano questi aeroplani israeliani  pilotati automaticamente, che tra l’altro disturbano le trasmissioni televisive, e con esse la possibilità almeno di “evadere” un po’. È una continua esasperazione, che provoca un malumore costante, profondo. A Gaza si avverte che tutti sono arrabbiati, spesso urlano invece di parlare, diventano facilmente violenti tra loro.

C’è mancanza d’acqua corrente. Noi siamo abituati ad attingere l’acqua dai pozzi, per bere, lavarci, per quanto è possibile… E ora anche gli scioperi. Tutti gli impiegati pubblici da sei mesi non ricevono stipendi, solo piccoli acconti, e non ce la fanno più a vivere. Abbiamo così avuto lo sciopero degli insegnanti, e così i ragazzi non vanno a scuola. E poi, quando anche un alunno può frequentare, normalmente non ha i soldi necessari per comprarsi i libri, pagare i mezzi di trasporto, e così è costretto a camminare per tre o quattro chilometri prima di raggiungere la classe. E di certo non ha nemmeno i soldi per comprarsi una merendina a scuola, un dolcetto. Come si può insegnare a un bambino con queste difficoltà? E come è possibile parlare a una famiglia senza cibo, elettricità, acqua, stipendio? Oggi le famiglie di Gaza sono costrette a mendicare. Ma mendicare da chi? Non ci sono persone in grado di dare qualcosa. Nei negozi si acquista cibo a credito. E il negoziante può anche accettare di riavere il suo denaro tra qualche giorno, anche qualche settimana, ma non può aspettare sei mesi…

Questo dramma a Gaza è generale. Oltre a tutto ciò, abbiamo una minaccia dal cielo, i bombardamenti. Uno qui, un altro là, oggi hanno ucciso uno, ieri un altro. Immaginatevi come tante famiglie si ritrovino insieme ormai solo nei cimiteri, e molto spesso… perché ogni famiglia ha un martire. Come può una nazione vivere a lungo in una situazione del genere? Un certo momento esploderà, e sentiamo avvicinarsi questo momento. La violenza ha raggiunto perfino l’animo dei bambini, ha già invaso quello delle famiglie ed è presente nei libri di scuola. Oggi, quando un bambino legge qualcosa, prima di tutto cerca di trovare i passaggi dove si raccontano sfide, combattimenti, uccisioni. Pochi giorni fa un alunno della mia scuola è venuto da me portando alcune poesie che aveva scritto in arabo e in inglese. Me le ha regalate: «Padre, per piacere le legga».

Mi sta molto a cuore seguire questo ragazzino a scuola, è simpatico, intelligente, è in terza media. Ma tutto ciò che ha scritto è pessimismo, paura e desiderio di morte, di farla finita con questa vita. Morire finalmente… per lui non c’è più amore, bellezza, la vita non ha più senso. Non sono riuscito a trovare una sola parola felice in quelle pagine. Le ho passate agli insegnanti perché le fotocopiassero. Vogliono che richiami il ragazzo per parlargli. Lui non è l’unico, tutti i suoi coetanei attraversano tali difficoltà. Sono solo dei ragazzini, dei bambini… perché dobbiamo assistere a questo dramma, all’occupazione, ancora? Il mondo non è abbastanza convinto che ridurre una nazione alla fame, alla violenza, alla prigionia sia un crimine di guerra? Non lo comprende? Lo capiranno quando riesploderà una guerra, che i palestinesi non vogliono (anche quando vanno incontro alla morte lo fanno per liberare sé stessi).

Vi racconto una storia vera accaduta a Gaza, non lontano dalla mia parrocchia. Un ragazzo di sedici anni, che viveva in una famiglia numerosa senza lavoro, un giorno, uscendo di casa, aveva visto sua sorella chiedere l’elemosina all’entrata di una moschea. È tornato a casa, ha scritto una breve lettera al padre e alla madre, poi è andato ad attaccare una postazione di soldati israeliani al confine. È andato incontro alla morte. Tre ore dopo è stato riportato su una barella, morto. Allora hanno scoperto la lettera che lui aveva scritto: «Padre, madre, vi voglio bene. Volevo vivere per la Palestina, ma vi ho vendicato. Ho esposto al pericolo la mia vita, mi sono ucciso per farvi risparmiare un pezzo di pane per uno dei miei fratelli. Ora non siete più dieci, siete nove. Ora potete dar da mangiare a tutti in famiglia». Questa non è la storia di uno solo, ce ne sono altre, ogni giorno. Quel giovane ha fatto del terrorismo? Nei Territori occupati siamo di fronte a un crimine storico contro un intero popolo, la maggior parte sono bambini, donne, anziani, tutti innocenti e puniti perché vivono a Gaza. Chi ha la responsabilità di proteggerli, di fronte a una reclusione imposta oggi dallo Stato d’Israele? Tanti palestinesi ormai non percepiscono più altra alternativa che quella tra la schiavitù e la morte.

Io sono stato educato alla pace, vivo per la pace, predico la pace, e mai posso essere violento, per quanto di bello ho ricevuto dalla mia famiglia e dalla mia fede. Ma quando ho davanti la mia gente, i miei fedeli in chiesa, che cosa posso dire loro? Continuo a chiedere di sopportare. La sofferenza noi cristiani la possiamo accettare con l’aiuto del Signore. Ma se questa sofferenza supera il limite, in una situazione come questa… anche a un sacerdote talvolta mancano le parole. Pazienza, accettazione… tutta la comunità, anche le suore presenti, mi chiede: «Fino a quando?». Non abbiamo davanti a noi una luce, seppure lontanissima, che ci faccia dire: «Lì c’è la terra ferma per essere salvi». I palestinesi vedono che la comunità internazionale si rifiuta di parlare con loro. Non noi abbiamo minacciato Israele, anzi. Oggi c’è purtroppo un soldato israeliano, Gilad Shalit, tenuto in ostaggio, prigioniero, mentre Israele detiene diecimila palestinesi, tra cui ministri, parlamentari...

In Israele c’è chi parla di Shalit come se dovesse scoppiare una guerra mondiale. Questo è quello che hanno fatto in Libano. Per due soldati hanno distrutto il Libano. Se due soldati sono così cari al popolo d’Israele, perché non dovrebbero esserlo tutte queste persone per i palestinesi? Tutti noi,m siamo persone come quei soldati. Ho paura che in Israele non stiano preparando un periodo di pace. Non la si prepara con questi mezzi, ma con lo sviluppo, la beneficenza, il lavoro, il benessere. La guerra invece la si può decidere sulla carta: basta chiudere le frontiere, mandare gli aeroplani. Per la guerra basta un attimo. La pace è come un bambino che prima deve essere concepito nel grembo della madre, nel cuore di una nazione, poi deve essere messo al mondo e seguito ogni momento, altrimenti muore. Sono nato in Palestina nel 1938, e da allora non ho mai visto qui un giorno di pace, uno solo.

Qui i cristiani sono arabi, e fanno parte della nazione palestinese. E non ci sono differenze tra cristiani e musulmani: viviamo insieme, mangiamo insieme, lavoriamo insieme. Nelle due scuole cattoliche di Gaza, di cui sono il direttore, ci sono milleduecento studenti e più di ottanta insegnanti. Sono scuole miste, con cristiani e musulmani, maschi e femmine. Abbiamo solo 143 cristiani, tutti gli altri sono musulmani. Ieri ho assistito a un matrimonio tra musulmani vicino alla nostra scuola, ho offerto loro la nostra elettricità per la festa, in cui erano presenti anche alcuni cristiani. Così pure i musulmani vengono ai nostri matrimoni, ai nostri battesimi, vengono in chiesa nelle occasioni particolari. Quando sua beatitudine il patriarca di Gerusalemme, Michel Sabbah, è venuto a Gaza, i musulmani gli hanno riservato la loro sincera accoglienza e abbiamo pranzato tutti insieme.

Quando il delegato apostolico monsignor Antonio Franco è venuto a Gaza – come delegato speciale di Sua Santità – per portare sostegno e far saper che il Papa ci è vicino e prega per noi, il 20 agosto scorso, è stato accolto da tutti, c’erano pure ministri del governo di Hamas, parlamentari, musulmani e cristiani. Alcuni di loro sono venuti anche in chiesa, come il governatore di Gaza. Il delegato monsignor Franco è stato ricevuto dai capi religiosi musulmani e ha potuto visitare la grande moschea di Gaza, che in origine era una chiesa.

Qui a Gaza ci rifiutiamo di distinguere tra musulmani e cristiani. Oggi, l’intera nazione e il popolo della Palestina, tutti soffrono insieme, condividono le medesime paure. Lasciatemi dire qualcosa della vita di fede, la cosa che più conta. Ci sono stati quest’anno incontri speciali di preghiera: durante l’estate, dall’inizio di maggio fino a metà agosto, per tre mesi e mezzo, ogni giorno abbiamo celebrato la messa alla presenza di circa cinquanta persone e abbiamo spiegato ogni volta un salmo, fino al Salmo 74. I cristiani non sono molti, circa duecento sono i cattolici, tremila gli ortodossi, più una piccola rappresentanza di battisti. È una piccola comunità, ma siamo rispettati, amati dai vicini musulmani, benvenuti nelle loro case. Non ci sono mai state minacce contro di noi, siamo amici, io lo sono pure del primo ministro. Non chiediamo alcun aiuto esterno per essere protetti, siamo protetti dal nostro stesso popolo, che è uno solo. Questa è la situazione.

Se abbiamo paura, come tutti gli altri, è perché la polizia non riesce ancora a gestire la situazione. Noi viviamo tutti insieme a Gaza come in una prigione, come se fossimo in punizione, ma finora non abbiamo perso la nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità. La domenica la chiesa è piena: alla nostra gente piace pregare, piace ascoltare la Parola di Dio, ne è desiderosa. Ai cristiani basta sentir dire che c’è un incontro alla chiesa ortodossa, o che altrove un sacerdote cattolico predicherà, e tutti vanno. Ci seguono. Sono stato designato dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmud Abbas, a capo del Dipartimento per i cristiani del Ministero degli Esteri – dove esistono pure i dipartimenti per gliebrei e per i musulmani. Così ogni due settimane scrivo una breve nota, e la spedisco per posta elettronica a circa diecimila indirizzi di persone, parrocchie, ecc., in tutto il mondo.

Chi la riceve può usare i testi e tutto ciò che invio, e se vi sono domande, rispondiamo. Possono aiutarci in moltissimi modi: parlando di noi, pregando per noi, contribuendo a costruire scuole, a organizzare corsi per gli studenti, adottando uno studente o una famiglia: se tre o quattro persone all’estero si mettono insieme e donano magari un centinaio di dollari al mese, cioè ottanta euro, una famiglia a Gaza avrà di che vivere. Anche con soli dieci dollari si può far cambiare volto per un giorno a una classe di bambini, farli felici, seminare gioia, incoraggiare ragazzi e famiglie a vivere. Tutta la Chiesa deve aiutare i cristiani di qui a sopravvivere, affinché noi aiutiamo i musulmani a costruire il nostro Stato.

Il numero dei cristiani non cresce, nemmeno con le nuove nascite, perché molti lasciano il Paese. I cristiani in Palestina, se non riceveranno aiuto, si ridurranno fino a scomparire. Prendete Gerusalemme: nel 1967 i cristiani erano circa 60mila, ora sono settemila. È cruciale. Ringrazio Dio che mi abbiano messo a capo di questo Dipartimento per gli affari cristiani, perché mi rende libero di parlare ufficialmente a nome della mia gente, e invocare giustizia, pace, cibo e libertà. Ora c’è questa polemica contro le parole del Papa sull’islam. I cristiani a Gaza sono il popolo della Palestina. E non temono di essere aggrediti dai musulmani, la cui maggioranza è del tutto contraria ad azioni contro i cristiani. Ci conoscono molto bene, e abbiamo amici pure in Hamas.

Il 18 settembre, nel pieno della virulenta diatriba sul discorso del Papa, ho fatto visita al muftì di Gaza insieme a un gruppo di cristiani e abbiamo parlato per due ore. Siamo usciti contenti, perché lui ci ha promesso di ricondurre alla calma tutti quelli che nelle moschee provano a dir male dei cristiani. Il governo, il primo ministro, il partito Fatah e il governatore di Gaza già più di una volta si sono espressi per calmare le acque. Il governatore di Gaza, accompagnato dai responsabili di diverse parti politiche e numerosi membri del Parlamento palestinese, è venuto in parrocchia a darci sostegno. Il 19 settembre abbiamo reso la visita al governatore, lieti di ascoltarlo e di sapere quante volte ha già scritto sui giornali in nostro favore. Lo stesso giorno ho chiamato l’ufficio del primo ministro Hanyieh, e mi hanno garantito appoggio. Il ministro dell’Interno aveva già inviato dei  poliziotti a tutela di chiese e scuole fin dal primo momento, ventiquattr’ore al giorno, ma nessuno ha provato a danneggiare la nostra chiesa o le scuole (alcuni ragazzi hanno invece lanciato sulla chiesa ortodossa bombe “sonore” fatte in casa, senza conseguenze).

C’è calma. La polizia garantisce la sorveglianza dei luoghi di culto e delle scuole, non c’è pericolo per i cristiani, anche se leggiamo qui e là di minacce, ma senza alcun fondamento. Come cristiani, avvertiamo che il Santo Padre ha affrontato un tema che ci ha esposto a dei pericoli, ma siamo convinti che sia innocente rispetto alle accuse mossegli, lui ha espresso un giusto punto di vista della Chiesa, ma per i musulmani è sembrato chiaramente che egli attaccasse il Corano e la loro fede. Come cristiani di questo difficile Paese, noi sosteniamo la nostra gente contro le strumentalizzazioni sul Papa, e al Papa chiediamo di tenere accanto a sé qualcuno che lo consigli e provenga da questo Paese, perché non basta studiare l’islam in università, bisogna averne esperienza nella vita quotidiana per evitare in futuro ogni tipo di scontro. Chiediamo al Signore di aiutarci in questa situazione, e preghiamo per il Papa.

Si dice che Benedetto XVI potrebbe visitare Israele l’anno prossimo, nel 2007. Ho già scritto al Papa una lettera su questo punto e l’ho invitato a nome di musulmani e cristiani. E lui il 20 agosto scorso ha mandato, appunto, un delegato speciale a visitare Gaza, e in questo modo ci ha incoraggiati. Saremo molto felici di trovare qualcuno che si unisca a noi in questo invito. Sarebbe davvero bello avere il Papa a Gaza.

 

 

La ricerca di superstiti tra le macerie di un palazzo
bombardato dagli israeliani a Gaza, il 12 luglio 2006

 

 

 

Un uomo ha morso un cane

 di Gideon Levy, 6 ottobre 2006

 

Ogni lezione inaugurale di giornalismo insegna : un cane ha morso un uomo, non si ha una notizia; un uomo ha morso un cane, si ha una notizia. Agli occhi degli Israeliani, un uomo ha morso un cane a Gaza: sono dei Palestinesi che uccidono dei Palestinesi e non, come al solito, degli Israeliani che uccidono dei Palestinesi. Da questo momento Gaza diventa il nostro centro d’interesse mediatico. Improvvisamente, una dozzina di uccisi a Gaza diventa una notizia in apertura di edizioni e le immagini terrificanti e sanguinolente in provenienza dalla striscia di Gaza diventano una mercanzia giornalistica fortemente ricercata. Non era mai successo che una dozzina di morti Palestinesi avessero avuto diritto ad una copertura simile.

E’ da un bel po’ che non si è più mostrato, da noi (l’autore fa riferimento alla televisione israeliana. NdT), ambulanze palestinesi che scaricano cadaveri e feriti. Si parla ormai di “squadroni della morte” e di “cellule di assassini” ma, che Dio ce ne guardi, non si parla dei nostri; queste, sono quelle di Fatah, che minacciano di uccidere i dirigenti di Hamas. Il fatto che Israele assassini quasi quotidianamente dei militanti di Hamas e del Jiahd è come dimenticato. Ci hanno addirittura parlato di una scuola che ha chiuso a causa dei violenti incidenti: ma quando avete mai sentito parlare delle scuole che Israele ha bombardato ? Dal rapimento del soldato Gilad Shalit, l’esercito israeliano ha ucciso più di 300 Palestinesi nella striscia di Gaza e, per la maggiorparte di essi, la televisione ne ha parlato appena.

Per mesi, l’esercito israeliano si scatena nella striscia di Gaza, uccide, bombarda facendo appello alla forza aerea e all’artiglieria, e le immagini e i suoni ci arrivano a malapena sugli schermi. La maggioranza degli abitanti di Gaza è senza elettricità da quando Israele ha bombardato l’unica centrale elettrica della Strscia di Gaza, ma questa non è considerata una notizia. Non più dei bambini innocenti uccisi o feriti, di cui qualcuno resterà per sempre paralizzato e sotto assistenza respiratoria; né della terribile miseria economica; né dei mucchi di spazzatura che si accatastano a causa degli scioperi dei lavoratori che non hanno ricevuto il salario per via del boicottaggio imposto da Israele e dal resto del mondo. Gaza non ci interessava, malgrado la morte e la distruzione fossero seminate dall’Esercito Israeliano, in nome di tutti coloro che guardano questa televisione che è la nostra. Ieri, l’embargo mediatico è stato tolto. Ad un tratto Gaza aveva una voce, una voce che parla pure un ebraico niente male, e un diluvio di resoconti fatti da giornalisti e da uomini politici palestinesi ha sommerso lo schermo.

Ogni programma di attualità si ritrovava il suo caro Mohammed per raccontare quanto succede. Perché non li abbiamo intervistati prima , quando Israele uccideva gli abitanti di Gaza ? Se fossi stato un giornalista palestinese, avrei – con tutto rispetto – riappeso la cornetta in faccia a coloro che telefonavano per la televisione. Dove eravate prima ? Perfino Shlomi Eldar, dopo un lungo silenzio, è stato tolto dalla naftalina dove l’aveva messo la sua redazione ed è ritornato a fare resoconti da Gaza. Dietro questo comportamento vergognoso, i messaggi mediatici sono trasparenti: guardate questi esseri bestiali, come uccidono i loro fratelli; guardate questo popolo, alla vigilia di una guerra civile o – forse – in piena guerra civile, e allora pensate: è con questi che faremo la pace? E la conclusione è la solita: non esiste un partner. Ma anche nell’assalto mediatico di ieri, le vere domande non sono state poste: cosa ha causato questi scontri sanguinosi e che ruolo ha Israele?

Un milione e mezzo di abitanti sono rinchiusi in una prigione enorme, la maggiorparte di loro senza redditi, al limite della fame, disorientati dai brutali assalti israeliani che arrivano dal mare, dal cielo o dalla terra ferma, con un governo impotente - essenzialmente a causa del boicottaggio di cui è stato oggetto da quando è stato democraticamente eletto. I resoconti di ieri erano quindi contrassegnati da un finto candore perfettamente scandaloso. I ministri Amir Peretz e Benjamin Ben Eliezer, così come il coro dei commentatori, hanno insistito sul fatto che si trattava di una questione interna palestinese. Davvero? Nessuno ha fatto domande riguardo la responsabilità di Israele in questa questione interna.

Cosa pensavamo che sarebbe successo a Gaza, accerchiata e insanguinata? Israele ha realizzato un esperimento su esseri umani senza il permesso del “Comitato Superiore di Helsinki” (Comitato Etico introdotto dalla Dichiarazione di Helsinki riguardo la sperimentazione sull’essere umano – NdT) Israele ha imprigionato centinaia di migliaia di persone in una gabbia, le ha affamate, bombardate, e poi? E poi guardate cosa gli succede… Questo spaventoso reality show è riuscito esattamente come previsto e il risultato più atteso si è verificato: i prigionieri hanno cominciato a uccidersi tra di loro. Solo che alla televisione, non ci hanno parlato dell’esperimento ma soltanto dei suoi risultati.

 

 

 

APPROFONDIMENTI

 

 

Palestina. Sangue sull'accordo
L'artiglieria della Stella di Davide ha per "errore" lanciato 11 missili sul villaggio a nord di Gaza,

 Beit Hanoun, uccidendo una ventina di civili compresi diversi bambini. Il bombardamento

 è avvenuto in piena notte, mentre gli abitanti dormivano nei loro letti!
 

 

 

Le risate della squadra di Hamas

L'articolo che pubblichiamo è apparso su Ha'aretz, il giornale ebraico,

 il 19 febbraio scorso. Ce lo invia tradotto un monaco cattolico

 che abita in Palestina. Sia benedetto anche Gideon Levy,

che dice la verità con coraggio. (Maurizio Blondet)
 

 

 

CARD. BERTONE SU DISCORSO PAPA A RATISBONA

"Occorre disinnescare il rancore antislamico che cova in molti cuori,

 nonostante la messa a rischio della vita di tanti cristiani".

 

 

 

Ricerche italiane «civili» utilizzate

da Israele per le nuove armi?

Università e istituti di ricerca italiani lavorano, senza saperlo, alla costruzione dei

 nuovi ordigni israeliani. Lo prevede l'accordo di cooperazione militare Italia-Israele.

 

 

 

 

PALESTINA: IL NUOVO APARTHEID (Fabio C.)

"Vorrei che questo spazio parlasse della tragedia che sta logorando questa terra di Medio Oriente,

 terra santa, terra stuprata. Non importa la storia di un obiettore di coscienza in palestina,

 ma importano le storie, le "vite di questa gente che non vive" e resiste a questa

 occupazione, spogliata di ogni diritto fondamentale".

 

 

 

"BISOGNO DI PACE E AZIONI DI PACE"
(di don Oreste Benzi)

 

"Giovani del terzo millennio, giovani cristiani, giovani di tutte le religioni, chiedo a voi di essere,

 come Francesco d'Assisi, "sentinelle" docili e coraggiose della pace vera, fondata nella giustizia

 e nel perdono, nella verità e nella misericordia! Avanzate verso il futuro tenendo alta la fiaccola della

 pace. Della sua luce ha bisogno il mondo!" con queste parole il Santo Padre Giovanni Paolo II salutava

i giovani accorsi ad Assisi il 24 Gennaio 2002 in occasione della Preghiera delle Religioni per la Pace..."