ATTENTI AI LUPI

CHE LAVORANO PER UNO SCISMA

NELLA CHIESA CATTOLICA

(DAL TEOLOGO HANS KÜNG A VITO MANCUSO E ALTRI)

 

Questo anzitutto dovete sapere, che verranno

negli ultimi giorni schernitori beffardi (2 Pt 3,3)

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

... La Mia Chiesa subirà uno scisma, ma la Mia Chiesa rimarrà in piedi perché il Mio Papa guiderà la Mia Chiesa nel Mio Trionfo, perché Io sarò dove sarà Lui, il Mio Papa.  Ascoltate solo la voce del Mio Papa. (Locuzione a Myriam ricevuta durante il Santo Rosario di Sabato 13.03.2010 a Carbonia-Iglesias).

 

PEDOFILIA, INTROVIGNE:

"HANS KÜNG IMMORALE E SCISMATICO"

 

Pamplona, 15 aprile 2010 (ANSA)

 

Dal Simposio Internazionale di Teologia di Pamplona, dove ha tenuto la relazione di apertura, il sociologo Massimo Introvigne si esprime in termini durissimi sulla lettera ai vescovi del teologo tedesco Hans Küng. "Si tratta di un esplicito invito allo scisma da parte di un personaggio che riceve grandi applausi fuori della Chiesa ma che gode invece di scarsissimo seguito fra i fedeli cattolici.
La lettera però è anche immorale perché per i suoi fini Küng mente sapendo di mentire quando afferma che il cardinale Ratzinger con la lettera De delictis gravioribus del 2001 rese più difficile perseguire i preti pedofili.
Al contrario, con quella lettera e con altre misure l'attuale Pontefice mise in atto un meccanismo di repressione dei casi di pedofilia molto più duro di quanto non fosse in precedenza".
Il sociologo va oltre e afferma che "i casi di abusi e di immoralità nel clero si sono moltiplicati, come i dati dimostrano, negli anni 1970 quando si è creato un clima di insofferenza e di dissenso nei confronti dell'insegnamento morale del Magistero nei seminari e nelle università cattoliche, di cui Küng è uno dei maggiori responsabili.
Dovrebbe essere piuttosto lui a rendersi conto che il vento seminato ha prodotto tempesta e a chiedere scusa al Papa e alla Chiesa".
"Forse - conclude il sociologo - lo scandalo creato da Küng è provvidenziale perché segna una linea di demarcazione: da una parte i cattolici fedeli al Papa, dall'altra uno scisma immorale che finalmente getta la maschera e rivela le complicità che legano il dissenso all'interno della Chiesa alle lobby laiciste che attaccano il Papa dall'esterno. La stragrande maggioranza dei fedeli sa perfettamente da che parte stare".

 

 

 

 

 

Regina Coeli con Benedetto XVI

 

 

 

 

Un Papa, due Chiese. Quello scisma

strisciante  che divide il mondo cattolico

 

Chi sta con Benedetto XVI?

Fonte web - di Stefano Fontana

Gli attacchi al papa hanno ormai un aspetto nuovo e veramente inquietante. Vengono da fuori la Chiesa ma anche da dentro, nella forma delle aperte denunce come quella di Hans Küng su Repubblica di qualche giorno fa o nel sistematico, tacito boicottaggio del suo insegnamento. Ad essere realisti sembra ormai che esistano come due Chiese, che ci sia uno scisma in atto, che due pastorali molto diverse evidenzino due ecclesiologie altrettanto diverse.

Mentre la stampa tentava di coinvolgere il papa nella questione pedofilia, sostenendo che un sacerdote accusato di simili atteggiamenti era stato accolto nella diocesi di Monaco e Frisinga ai tempi dell’episcopato del cardinale Ratzinger, sul giornale “La Repubblica” il teologo Hans Küng, amico di un tempo, si è scagliato contro la persona di Joseph Ratzinger sia come teologo, sia come vescovo, sia come Prefetto della Congregazione della Fede e infine come Pontefice per aver causato, a suo dire, la pedofilia di alcuni ecclesiastici mediante la sua teologia e il suo magistero sul celibato. E’ in fin dei conti comprensibile, anche se non giustificabile, che contro il Papa si avventino i nuovi laicisti di un’Europa sempre maggiormente impegnata a estromettere il cristianesimo dalla propria storia futura, mediante la legislazione, l’educazione scolastica e i cambiamenti nel costume, anche se una virulenza da kulturkampf di questo tipo non era prevedibile. Quanto invece preoccupa sono gli attacchi al papa da dentro la Chiesa. Questi sono però di due tipi. Una forma particolarmente evidente è quella alla Küng, o ieri alla Martini, apertamente polemica, ostensiva di sé, che trova spazio nei giornali. Un’altra è più nascosta dentro la vita quotidiana della cattolicità, più normale e diffusa.

Molti cattolici non accusano apertamente il Pontefice, ma mettono la sordina ai suoi insegnamenti, non leggono i documenti del suo magistero, se li leggono non ne tengono conto o scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna. Si tratta di atteggiamenti sistematici e pianificati. Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sul Vaticano II che moltissimi cattolici apertamente contrastano, promuovendo forme di di sistematico magistero parallelo guidati da molti “antipapi”che vivono dentro la Chiesa; ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza e sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo. Per molti la Dominus Jesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte, anzi è come se fossero sbagliate.

Docenti degli studi teologici e degli Istituti di scienze religiose, opinionisti che scrivono quasi quotidianamente sui giornali cattolici, giornalisti dei settimanali diocesani, padri gesuiti e non che gestiscono centri culturali nelle varie diocesi: la chiesa che di fatto opera contro il papa è molto ramificata e ormai divide trasversalmente anche il clero. Ho occasione di girare molto nelle diocesi per incontri e conferenze. Sistematicamente ormai mi capita di avere davanti a me sempre un uditorio diviso in due. Anche quando si tratta di sacerdoti. Da un lato il primato della fede, l’idea che il mondo abbia bisogno di salvezza, che il dialogo ecumenico e religioso non comporta la rinuncia alla unicità della salvezza in Cristo, che la tradizione è una sola, che il cristianesimo è religio vera, che la coscienza senza la verità è arbitrio; dall’altra il primato della situazione che provoca il Vangelo, l’idea che il mondo salvi la Chiesa e che Enzo Bianchi o Serge Latouche siano il magistero, che il dialogo non comporta nessuna identità cattolica, che il Vaticano II è inizio di una nuova fase della vita della Chiesa, che il cristianesimo non ha a che fare con la verità che è sempre ideologia, che la coscienza personale è l’ultimo tribunale. Due ecclesiologie che danno vita per forza a due pastorali diverse: pastorale evangelizzante e della riconoscibilità pubblica del cristianesimo l’una,  pastorale dell’accompagnamento al mondo senza pretesa di illuminarlo l’altra.

Nelle chiese locali questa situazione crea notevoli difficoltà. Molti vescovi non riescono più ad imprimere una linea, negli studi teologici si insegnano molte dottrine strane, i fedeli sono spesso disorientati, nei decanati e nelle vicarie non si produce pastorale di respiro perché i preti stessi sono divisi tra loro nei due schieramenti, i sinodi sono spesso luoghi di confronto anche duro tra le due anime, i temi caldi della vita, della famiglia, dei rapporti con le altre religioni sono impostati in modi molto diversi da parrocchia a parrocchia e da diocesi a diocesi.

Il Papa sempre di più sta divenendo segno di contraddizione. Nei fatti e nella prassi quotidiana sembrano esserci due chiese, c’è uno scisma strisciante o forse già in atto solo che nell’accentuato pluralismo di oggi non viene formalizzato. La fedeltà al Papa oggi è atteggiamento di demarcazione, segno di discrimine, questione veramente dirimente.

 

 

Gesù guida la sua Chiesa mediante il

suo legittimo Vicario, cioè il Papa

 

 

Uno sguardo alla situazione

ecclesiale contemporanea

Fonte web

Dopo aver ammirato la fede e l’amore di san Francesco per il sacerdozio cattolico, e dopo aver soltanto accennato ad alcuni fra i più celebri modelli di santità sacerdotale francescana, diamo uno sguardo all’epoca presente. Non è un mistero che a partire dagli Anni Sessanta del secolo ventesimo, e soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, si è diffusa una sorprendente auto-secolarizzazione all’interno della società cristiana e ancor più all’interno di vasti settori ecclesiali, in particolare, europei e nordamericani.

L’apertura al mondo, pastoralmente auspicata dal Concilio, è stata invece interpretata e vissuta (fino al presente) da settori e personalità del mondo cattolico come una progressiva «autosecolarizzazione». Molti credenti sono solleciti in opere sociali, ma quanti credono alla vita eterna? Si è assai sensibili verso tematiche etiche, sociali, culturali, economiche apprezzate dall’opinione pubblica, ma si fatica a parlare di peccato mortale, grazia divina, vita teologale e novissimi. Con gran cura ci si è ingegnati per tentare di render i fedeli più partecipi alle celebrazioni liturgiche; ma queste, in molti casi, sembrano aver smarrito il fascino del sacro. Inoltre, negli ultimi quarant’anni il numero dei sacerdoti (e dei Religiosi) è sensibilmente diminuito.

Vari sintomi, striscianti o addirittura evidenti, di progressismo teologico e di «autosecolarizzazione» emersero da parole, scritti e azioni di alcuni partecipanti al Concilio Vaticano II. Già nel luglio 1966, a pochi mesi dalla fine del Concilio, la Congregazione per la Dottrina della Fede trasmise ai presuli delle Conferenze Episcopali una lettera in cui li metteva in guardia contro vari errori insorgenti da interpretazioni erronee dei decreti conciliari. Ecco gli errori:

- considerare e interpretare la Rivelazione divina e la Sacra Scrittura indipendentemente dalla Tradizione; restringere l’ambito e la forza dell’ispirazione biblica e dell’inerranza; errori sul giusto valore dei libri storici della Sacra Scrittura;

- evoluzionismo storico delle formule dogmatiche finanche nel loro contenuto oggettivo;

- deprezzamento del Magistero ordinario della Chiesa, considerato alla stregua di un’opinione;

- rifiuto della verità oggettiva immutabile; relativismo che pone ogni verità in necessaria evoluzione col ritmo della coscienza e della storia;

- tendenza a ridurre la dottrina su Cristo uomo-Dio a un umanesimo cristologico (Cristo = solo uomo che progressivamente acquista coscienza della sua filiazione divina);

- teoria della transignificazione degli elementi eucaristici invece di transustanziazione; circa l’Eucaristia si insiste troppo sul concetto di agape a discapito di quello di sacrificio;

- deprezzamento della confessione sacramentale;

- minimizzazione del peccato originale e del concetto di peccato (non più inteso come offesa a Dio);

- morale della situazione, specialmente in materia sessuale (ovvero, soggettivismo etico);

- falso ecumenismo che si confonde con l’irenismo e l’indifferentismo religioso.

Se studiamo a fondo i successivi documenti delle Congregazioni Romane e i pronunciamenti pontifici, comprendiamo che, nonostante gli argini che il Magistero ha tentato di porre, dal 1966 (sino al presente) quegli errori hanno dilagato in vari settori sacerdotali, religiosi e laicali, accelerando la secolarizzazione sociale ed intra-ecclesiale.

Come non ricordare che contro l’enciclica Humanae vitae, di Papa Paolo VI, si levarono vescovi, preti e teologi negli USA, in Germania, Olanda e Belgio?

Nell’udienza generale di mercoledì 19 gennaio 1972, Paolo VI denuncia apertamente l’attualità - sotto altri nomi - del «modernismo» già condannato dal papa San Pio X col decreto Lamentabili (1907) e con l’enciclica Pascendi. Nell’udienza al Sacro Collegio Cardinalizio, del 23 giugno 1972, Paolo VI denuncia «la mancanza di fiducia» verso la Chiesa, da parte di un certo numero di cristiani, anche sacerdoti e religiosi, il «criticismo» e «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una rottura con la tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa preconciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa “nuova”, quasi “reinventata” dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto».

In quell’occasione il Santo Padre denuncia un errato concetto di «pluralismo, concepito come libera interpretazione delle dottrine e coesistenza indisturbata di opposte concezioni».

Nell’omelia del 29 giugno 1972, il Santo Padre, riguardo alla situazione della Chiesa di oggi, confessa di aver la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». Anche tra i membri della Chiesa regnano il dubbio, l’incertezza, l’insoddisfazione verso ciò che insegna il magistero ecclesiastico. Il Santo Padre afferma che si celebra il progresso ma per distruggere ciò che è stato conquistato e ritornare «primitivi»[27].

Nell’incontro annuale con il Clero Romano, sabato 1 marzo 1973, Paolo VI denuncia la «crisi» di identità e la secolarizzazione diffusa nel clero cattolico. Ecco una sintesi di alcuni brani di quel discorso chiaro e salutare:

«Se il prete è un uomo, la sua cultura deve essere quella profana. Ed ecco l’invasione di giornali, riviste, libri, pubblicazioni di cui si nutre la cultura media profana. Si dice che, se il prete è un uomo, allora deve avere tutte le esperienze che ha un uomo. E per esperienze di solito, purtroppo, si intendono quelle negative. […] Bisogna che conosca. Ma che cosa? Il male, le tentazioni, le cadute, le esperienze cattive. Bisogna – si dice – che abbia qualche cognizione diretta e vissuta della vita, altrimenti resta un diminuito. E ciò quasi che un uomo ferito, deformato nella sua figura morale, nella sua intangibilità spirituale come uomo battezzato figlio di Dio, abbia di che guadagnare ad aver subito queste sciabolate, di queste ferite. Nel quadro di questa concezione, per esempio, che resta dell’abito ecclesiastico? […] il Papa ha definito come una ipocrisia l’atteggiamento del prete che si assimila tanto al profano da non farsi più distinguere. L’assimilazione al profano è una tesi che va diffondendosi e va secolarizzando colui che ha l’investitura dell’Ordine Sacro e la missione di rappresentare e di vivere Cristo in sé. Paolo VI tiene a ribadire che il sacerdote è anzitutto ministro di Cristo prima ancora di essere un uomo. Se così non fosse, anche il celibato non avrebbe più i titoli sufficienti per essere conservato nella sua pienezza, nella sua integrità, nel suo splendore angelico e trasfigurante che lo rende tale da essere ancora oggi rivendicato dal clero latino».

E veniamo, ai nostri giorni. Nel discorso alla Curia Romana, del 22 dicembre 2005, a proposito del Concilio Vaticano II, Papa Benedetto XVI ha denunciato, con chiarezza quell’ermeneutica che pone rottura tra il prima e il dopo Concilio; bisogna invece leggere il Concilio nell’ottica della riforma e della continuità. Uno dei risultati (e dei sintomi) dell’ermeneutica della discontinuità è senza dubbio – specialmente in campo accademico, teologico, catechetico ed omiletico – il deprezzamento (o addirittura il rifiuto) dottrinale e bibliografico dei testi del Magistero pre-conciliare, come se la dottrina in essi contenuta non fosse più valida o non avesse più nulla da dire alla Chiesa e all’uomo d’oggi. Il ripudio del passato e il disagio dinanzi alla Tradizione sono ulteriori segni della secolarizzazione strisciante anche nella Chiesa, fenomeno che, di recente, Papa Benedetto XVI ha nuovamente denunciato.

Bisogna constatare che, purtroppo, in molti sacerdoti, la secolarizzazione – favorita da alcune “teologie” molto influenti negli ultimi quarant’anni – ha notevolmente attenuato, o addirittura “spento”, la consapevolezza della loro identità e sacralità, per cui il sacerdote sarebbe in senso esistenzialistico e sociologico, un uomo-per-gli-altri che, soprattutto in temi delicati della morale sessuale e coniugale, preferisce attenersi al comune sentire del mondo (carnale) piuttosto che alla Verità di Cristo e della Chiesa. Un sacerdote intriso di “secolarizzazione”, più o meno cosciente, non potrà non concepire il culto liturgico in chiave prettamente socio-personalistica e comunitaria. Che dire di sacerdoti che amano vestire da secolari e nella celebrazione della S. Messa manifestano coi loro atteggiamenti, un tenue senso del sacro (ad esempio fanno fatica a stare a mani giunte e non mostrano grande cura per i frammenti eucaristici)? Inoltre, alcune architetture moderne, tipiche di nuove chiese, esprimono a fatica il senso del sacro cattolico, quanto piuttosto esprimono un nuovo “sacro” di tipo alquanto gnostico o new-age

Ovviamente, non è tutto marcio nella Chiesa – e mai lo sarà! Lo Spirito Santo sempre opera nella Chiesa, Sposa di Cristo, suscitando e irrobustendo germogli di autentica vita sacerdotale tesa alla salvezza e santificazione propria ed altrui.

Cosa può insegnare, o ribadire, a noi sacerdoti, la figura, sempre attuale, di san Francesco?

All’Angelus di domenica 17 giugno 2007, dalla Piazza Inferiore della Basilica di San Francesco in Assisi, Papa Benedetto XVI ha detto, tra l’altro, che: «Francesco d’Assisi è un grande educatore della nostra fede e della nostra lode». Sì, Francesco può educare anche noi sacerdoti a perfezionare la nostra adesione alla Fede della Chiesa Romana e la nostra lode nella preghiera liturgica, anzitutto la Santa Messa. (.....)

 

 

Il teologo dissidente Hans Kung

 

 

Hans Kung: “l’obbedienza assoluta si
deve solo a Dio”, non al Papa

Fonte web 

Negli anni 1962-1965 Joseph Ratzinger  -  oggi Benedetto XVI  -  ed io eravamo i due più giovani teologi del Concilio. Oggi siamo i più anziani, e i soli ancora in piena attività. Ho sempre inteso il mio impegno teologico come un servizio alla Chiesa. Per questo, mosso da preoccupazione per la crisi di fiducia in cui versa questa nostra Chiesa, la più profonda che si ricordi dai tempi della Riforma ad oggi, mi rivolgo a voi, in occasione del quinto anniversario dell’elezione di papa Benedetto al soglio pontificio, con una lettera aperta. È questo infatti l’unico mezzo di cui dispongo per mettermi in contatto con voi.
Avevo apprezzato molto a suo tempo l’invito di papa Benedetto, che malgrado la mia posizione critica nei suoi riguardi mi accordò, poco dopo l’inizio del suo pontificato, un colloquio di quattro ore, che si svolse in modo amichevole. Ne avevo tratto la speranza che Joseph Ratzinger, già mio collega all’università di Tübingen, avrebbe trovato comunque la via verso un ulteriore rinnovamento della Chiesa e un’intesa ecumenica, nello spirito del Concilio Vaticano II. Purtroppo le mie speranze, così come quelle di tante e tanti credenti che vivono con impegno la fede cattolica, non si sono avverate; ho avuto modo di farlo sapere più di una volta a papa Benedetto nella corrispondenza che ho avuto con lui.

Indubbiamente egli non ha mai mancato di adempiere con scrupolo agli impegni quotidiani del papato, e inoltre ci ha fatto dono di tre giovevoli encicliche sulla fede, la speranza e l’amore. Ma a fronte della maggiore sfida del nostro tempo il suo pontificato si dimostra ogni giorno di più come un’ulteriore occasione perduta, per non aver saputo cogliere una serie di opportunità:

- È mancato il ravvicinamento alle Chiese evangeliche, non considerate neppure come Chiese nel senso proprio del termine: da qui l’impossiblità di un riconoscimento delle sue autorità e della celebrazione comune dell’Eucaristia.
- È mancata la continuità del dialogo con gli ebrei: il papa ha reintrodotto l’uso preconciliare della preghiera per l’illuminazione degli ebrei; ha accolto nella Chiesa alcuni vescovi notoriamente scismatici e antisemiti; sostiene la beatificazione di Pio XII; e prende in seria considerazione l’ebraismo solo in quanto radice storica del cristianesimo, e non già come comunità di fede che tuttora persegue il proprio cammino di salvezza. In tutto il mondo gli ebrei hanno espresso sdegno per le parole del Predicatore della Casa Pontificia, che in occasione della liturgia del venerdì santo ha paragonato le critiche rivolte al papa alle persecuzioni antisemite.
- Con i musulmani si è mancato di portare avanti un dialogo improntato alla fiducia. Sintomatico in questo senso è il discorso pronunciato dal papa a Ratisbona: mal consigliato, Benedetto XVI ha dato dell’islam un’immagine caricaturale, descrivendolo come una religione disumana e violenta e alimentando così la diffidenza tra i musulmani.
- È mancata la riconciliazione con i nativi dell’America Latina: in tutta serietà, il papa ha sostenuto che quei popoli colonizzati “anelassero” ad accogliere la religione dei conquistatori europei.
- Non si è colta l’opportunità di venire in aiuto alle popolazioni dell’Africa nella lotta contro la sovrappopolazione e l’AIDS, assecondando la contraccezione e l’uso del preservativo.
- Non si è colta l’opportunità di riconciliarsi con la scienza moderna, riconoscendo senza ambiguità la teoria dell’evoluzione e aderendo, seppure con le debite differenziazioni, alle nuove prospettive della ricerca, ad esempio sulle cellule staminali.
- Si è mancato di adottare infine, all’interno stesso del Vaticano, lo spirito del Concilio Vaticano II come bussola di orientamento della Chiesa cattolica, portando avanti le sue riforme.
Quest’ultimo punto, stimatissimi vescovi, riveste un’importanza cruciale. Questo papa non ha mai smesso di relativizzare i testi del Concilio, interpretandoli in senso regressivo e contrario allo spirito dei Padri conciliari, e giungendo addirittura a contrapporsi espressamente al Concilio ecumenico, il quale rappresenta, in base al diritto canonico, l’autorità suprema della Chiesa cattolica:
- ha accolto nella Chiesa cattolica, senza precondizione alcuna, i vescovi tradizionalisti della Fraternità di S. Pio X, ordinati illegalmente al di fuori della Chiesa cattolica, che hanno ricusato il Concilio su alcuni dei suoi punti essenziali;
- ha promosso con ogni mezzo la messa medievale tridentina, e occasionalmente celebra egli stesso l’Eucaristia in latino, volgendo le spalle ai fedeli;
- non realizza l’intesa con la Chiesa anglicana prevista nei documenti ecumenici ufficiali (ARCIC), ma cerca invece di attirare i preti anglicani sposati verso la Chiesa cattolica romana rinunciando all’obbligo del celibato.
- ha potenziato, a livello mondiale, le forze anticonciliari all’interno della Chiesa attraverso la nomina di alti responsabili anticonciliari (ad es.: Segreteria di Stato, Congregazione per la Liturgia) e di vescovi reazionari.

Papa Benedetto XVI sembra allontanarsi sempre più dalla grande maggioranza del popolo della Chiesa, il quale peraltro è già di per sé portato a disinteressarsi di quanto avviene a Roma, e nel migliore dei casi si identifica con la propria parrocchia o con il vescovo locale.

So bene che anche molti di voi soffrono di questa situazione: la politica anticonciliare del papa ha il pieno appoggio della Curia romana, che cerca di soffocare le critiche nell’episcopato e in seno alla Chiesa, e di screditare i dissenzienti con ogni mezzo. A Roma si cerca di accreditare, con rinnovate esibizioni di sfarzo barocco e manifestazioni di grande impatto mediatico, l’immagine di una Chiesa forte, con un “vicario di Cristo” assolutista, che riunisce nelle proprie mani i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Ma la politica di restaurazione di Benedetto XVI è fallita. Le sue pubbliche apparizioni, i suoi viaggi, i suoi documenti non sono serviti a influenzare nel senso della dottrina romana le idee della maggioranza dei cattolici su varie questioni controverse, e in particolare sulla morale sessuale. Neppure i suoi incontri con i giovani, in larga misura membri di gruppi carismatici di orientamento conservatore, hanno potuto frenare le defezioni dalla Chiesa, o incrementare le vocazioni al sacerdozio.

Nella vostra qualità di vescovi voi siete certo i primi a risentire dolorosamente dalla rinuncia di decine di migliaia di sacerdoti, che dall’epoca del Concilio ad oggi si sono dimessi dai loro incarichi soprattutto a causa della legge sul celibato. Il problema delle nuove leve non riguarda solo i preti ma anche gli ordini religiosi, le suore, i laici consacrati: il decremento è sia quantitativo che qualitativo. La rassegnazione e la frustrazione si diffondono tra il clero, e soprattutto tra i suoi esponenti più attivi; tanti si sentono abbandonati nel loro disagio, e soffrono a causa della Chiesa. In molte delle vostre diocesi è verosimilmente in aumento il numero delle chiese deserte, dei seminari e dei presbiteri vuoti. In molti Paesi, col preteso di una riforma ecclesiastica, si decide l’accorpamento di molte parrocchie, spesso contro la loro volontà, per costituire gigantesche “unità pastorali” affidate a un piccolo numero di preti oberati da un carico eccessivo di lavoro.

E da ultimo, ai tanti segnali della crisi in atto viene ad aggiungersi lo spaventoso scandalo degli abusi commessi da membri del clero su migliaia di bambini e adolescenti, negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania e altrove; e a tutto questo si accompagna una crisi di leadership, una crisi di fiducia senza precedenti. Non si può sottacere il fatto che il sistema mondiale di occultamento degli abusi sessuali del clero rispondesse alle disposizioni della Congregazione romana per la Dottrina della fede (guidata tra il 1981 e il 2005 dal cardinale Ratzinger), che fin dal pontificato di Giovanni Paolo II raccoglieva, nel più rigoroso segreto, la documentazione su questi casi. In data 18 maggio 2001 Joseph Ratzinger diramò a tutti i vescovi una lettera dai toni solenni sui delitti più gravi (”Epistula de delictis gravioribus”), imponendo nel caso di abusi il “secretum pontificium”, la cui violazione è punita dalla la Chiesa con severe sanzioni. E’ dunque a ragione che molti hanno chiesto un personale “mea culpa” al prefetto di allora, oggi papa Benedetto XVI. Il quale però non ha colto per farlo l’occasione della settimana santa, ma al contrario ha fatto attestare “urbi et orbi”, la domenica di Pasqua, la sua innocenza al cardinale decano.

Per la Chiesa cattolica le conseguenze di tutti gli scandali emersi sono devastanti, come hanno confermato alcuni dei suoi maggiori esponenti. Il sospetto generalizzato colpisce ormai indiscriminatamente innumerevoli educatori e pastori di grande impegno e di condotta ineccepibile. Sta a voi, stimatissimi vescovi, chiedervi quale sarà il futuro delle vostre diocesi e quello della nostra Chiesa. Non è mia intenzione proporvi qui un programma di riforme. L’ho già fatto più d’una volta, sia prima che dopo il Concilio. Mi limiterò invece a sottoporvi qui sei proposte, condivise – ne sono convinto – da milioni di cattolici che non hanno voce.

1. Non tacete. Il silenzio a fronte di tanti gravissimi abusi vi rende corresponsabili. Al contrario, ogni qualvolta ritenete che determinate leggi, disposizioni o misure abbiano effetti controproducenti, dovreste dichiararlo pubblicamente. Non scrivete lettere a Roma per fare atto di sottomissione e devozione, ma per esigere riforme!

2. Ponete mano a iniziative riformatrici. Tanti, nella Chiesa e nell’episcopato, si lamentano di Roma, senza però mai prendere un’iniziativa. Ma se oggi in questa o quella diocesi o comunità i parrocchiani disertano la messa, se l’opera pastorale risulta inefficace, se manca l’apertura verso i problemi e i mali del mondo, se la cooperazione ecumenica si riduce a un minimo, non si possono scaricare tutte le colpe su Roma. Tutti, dal vescovo al prete o al laico, devono impegnarsi per il rinnovamento della Chiesa nel proprio ambiente di vita, piccolo o grande che sia. Molte cose straordinarie, nelle comunità e più in generale in seno alla Chiesa, sono nate dall’iniziativa di singole persone o di piccoli gruppi. Spetta a voi, nella vostra qualità di vescovi, il compito di promuovere e sostenere simili iniziative, così come quello di rispondere, soprattutto in questo momento, alle giustificate lagnanze dei fedeli.

3. Agire collegialmente. Il Concilio ha decretato, dopo un focoso dibattito e contro la tenace opposizione curiale, la collegialità dei papi e dei vescovi, in analogia alla storia degli apostoli: lo stesso Pietro non agiva al di fuori del collegio degli apostoli. Ma nel periodo post-conciliare il papa e la curia hanno ignorato questa fondamentale decisione conciliare. Fin da quando, a soli due anni dal Concilio e senza alcuna consultazione con l’episcopato, Paolo VI promulgò un’enciclica in difesa della discussa legge sul celibato, la politica e il magistero pontificio ripresero a funzionare secondo il vecchio stile non collegiale. Nella stessa liturgia il papa si presenta come un autocrate, davanti al quale i vescovi, dei quali volentieri si circonda, figurano come comparse senza diritti e senza voce. Perciò, stimatissimi vescovi, non dovreste agire solo individualmente, bensì in comune con altri vescovi, con i preti, con le donne e gli uomini che formano il popolo della Chiesa.

4. L’obbedienza assoluta si deve solo a Dio. Voi tutti, al momento della solenne consacrazione alla dignità episcopale, avete giurato obbedienza incondizionata al papa. Tuttavia sapete anche che l’obbedienza assoluta è dovuta non già al papa, ma soltanto a Dio. Perciò non dovete vedere in quel giuramento a un ostacolo tale da impedirvi di dire la verità sull’attuale crisi della Chiesa, della vostra diocesi e del vostro Paese. Seguite l’esempio dell’apostolo Paolo, che si oppose a Pietro “a viso aperto, perché evidentemente aveva torto” (Gal. 2,11). Può essere legittimo fare pressione sulle autorità romane, in uno spirito di fratellanza cristiana, laddove queste non aderiscano allo spirito del Vangelo e della loro missione. Numerosi traguardi – come l’uso delle lingue nazionali nella liturgia, le nuove disposizioni sui matrimoni misti, l’adesione alla tolleranza, alla democrazia, ai diritti umani, all’intesa ecumenica e molti altri ancora hanno potuto essere raggiunti soltanto grazie a una costante e tenace pressione dal basso.

5. Perseguire soluzioni regionali: il Vaticano si mostra spesso sordo alle giustificate richieste dei vescovi, dei preti e dei laici. Ragione di più per puntare con intelligenza a soluzioni regionali. Come ben sapete, un problema particolarmente delicato è costituito dalla legge sul celibato, una norma di origine medievale, la quale a ragione è ora messa in discussione a livello mondiale nel contesto dello scandalo suscitato dagli abusi. Un cambiamento in contrapposizione con Roma appare pressoché impossibile; ma non per questo si è condannati alla passività. Un prete che dopo seria riflessione abbia maturato l’intenzione di sposarsi non dovrebbe essere costretto a dimettersi automaticamente dal suo incarico, se potesse contare sul sostegno del suo vescovo e della sua comunità. Una singola Conferenza episcopale potrebbe aprire la strada procedendo a una soluzione regionale. Meglio sarebbe tuttavia mirare a una soluzione globale per la Chiesa nel suo insieme. Perciò

6. si chieda la convocazione di un Concilio: se per arrivare alla riforma liturgica, alla libertà religiosa, all’ecumenismo e al dialogo interreligioso c’è stato bisogno di un Concilio, lo stesso vale oggi a fronte dei problemi che si pongono in termini tanto drammatici. Un secolo prima della Riforma, il Concilio di Costanza aveva deciso la convocazione di un concilio ogni cinque anni: decisione che fu però disattesa dalla Curia romana, la quale anche oggi farà indubbiamente di tutto per evitare un concilio dal quale non può che temere una limitazione dei propri poteri. È responsabilità di tutti voi riuscire a far passare la proposta di un concilio, o quanto meno di un’assemblea episcopale rappresentativa.

Questo, a fronte di una Chiesa in crisi, è l’appello che rivolgo a voi, stimatissimi vescovi: vi invito a gettare sulla bilancia il peso della vostra autorità episcopale, rivalutata dal Concilio. Nella difficile situazione che stiamo vivendo, gli occhi del mondo sono rivolti a voi. Innumerevoli sono i cattolici che hanno perso la fiducia nella loro Chiesa; e il solo modo per contribuire a ripristinarla è quello di affrontare onestamente e apertamente i problemi, per adottare le riforme che ne conseguono. Chiedo a voi, nel più totale rispetto, di fare la vostra parte, ove possibile in collaborazione con altri vescovi, ma se necessario anche soli, con apostolica “franchezza” (At 4,29.31). Date un segno di speranza ai vostri fedeli, date una prospettiva alla nostra Chiesa.
Vi saluto nella comunione della fede cristiana.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

DIFENDERE LA VERA FEDE

 

Se i cattolici disobbediscono (VITO Mancuso)

Oltre a Kung altro lupo è il Mancuso

 

CHI VUOLE LA PEDOFILIA?

Gli ambigui proclami di tanti 'cattivi maestri'