DOPO LA LIBIA TOCCA ALL'IRAN?

Aiea: l'Iran STA COSTRUENDO LA BOMBA, MA MANCANO LE

PROVE E così SI RISCHIA LA TERZA GUERRA MONDIALE

 

DAILY MAIL - Israele sferrerà un attacco contro l'Iran "entro Natale o l'inizio del prossimo anno": è quanto ha riferito un alto funzionario del Foreign Office, secondo cui il governo britannico è stato informato della volontà dello Stato ebraico di colpire i siti nucleari di Teheran "il prima possibile" con il supporto logistico degli Usa. - Il petrolio in caso di guerra salirà, secondo gli esperti, tra i 300 e i 500 dollari al barile trascinando nel baratro la già traballante economia mondiale.

(a  cura di Claudio Prandini)

 

 

LA MADRE DIO AVVERTE L'UMANITÀ:

STATE ANDANDO INCONTRO AD

UN OLOCAUSTO ATOMICO

 

Cari figli, la pace nel mondo è minacciata. Inginocchiatevi e pregate, perché solo così raggiungerete la vera pace. L’umanità cammina verso un grande abisso ed è giunto il momento del vostro ritorno al Signore.

Il Medio Oriente tremerà per il grande olocausto atomico. I momenti di dolore per l’umanità si avvicinano. Sono venuta dal cielo per chiamarvi alla conversione. Aprite i vostri cuori e accettate la volontà di Dio per le vostre vite.

Non esitate. Perseverate lungo il cammino che vi ho indicato. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta.

Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace. 

 

(Mensagem de Nossa Senhora Rainha da Paz transmitida em 28/01/2010)

 

 

INTRODUZIONE

 

Iran, bombe sul disarmo

Possibile raid di Israele: pace a rischio.

Fonte web

Un attacco all'Iran di Israele, spalleggiato da Stati Uniti e Gran Bretagna, provocherebbe l'esplosione di violenze a catena in Medio Oriente. Dal Pakistan all'Iraq, dall'Afghanistan al Libano, tutta la regione ne uscirebbe destabilizzata. Eppure, questo autunno, numerose fughe di notizie dal governo di Tel Aviv e da fonti dell'intelligence occidentali hanno annunciato come imminenti i raid contro gli impianti nucleari del regime di Mahmoud Ahmadinejad. .... Israele non è nuovo a simili operazioni chirurgiche, vietate dalle leggi internazionali e condannate dall'Onu: analoghi bombardamenti mirati erano già avvenuti nel 1981 in Iraq e, nel 2007, in Siria.

I PIANI DI USA E ISRAELE. Possibile però che gli Usa, così cauti sulla Siria, e la Gran Bretagna, Paese tradizionalmente attento a non infrangere il dettato delle Nazioni Unite, arrivino a tanto?
Per gli esperti intervistati dal Lettera43.it è più probabile uno scenario che vede gli Stati Uniti impegnati in un'azione pesante contro la Siria, sulla scia di quanto già avvenuto in Libia con l'appoggio alle rivolte della Primavera araba. A Israele, invece, sarebbe riservato il compito di un attacco mirato contro i siti ritenuti a rischio, in modo da rimandare la minaccia iraniana di un altro decennio. Un passo che, in ogni caso, farebbe saltare l'adesione dell'Iran al Trattato di non proliferazione nucleare (Tpn), arrestando l'intero processo di disarmo in Medio Oriente.

Iran: fonti Usa, ministri Israele sono ora favorevoli

Fonte web

Gerusalemme, 6 nov. (Adnkronos) - Tutti i principali ministri israeliani che erano contrari ad un raid contro gli impianti nucelari iraniani sono ora favorevoli a questa ipotesi. Lo hanno riferito fonti americane alla rete televisiva Fox news, spiegando che a convincerli sono stati gli aggiornamenti ricevuti sui progressi compiuti dall'Iran verso la realizzazione di armi nucleari. La notizia viene ripresa dal sito Debka files, vicino ai servizi israeliani. Secondo fonti del sito a Washington, dopo dieci giorni di notizie sui media israeliani a proposito di un possibile attacco, l'amministrazione americana ha tracciato alcuni paletti: "Israele deve andare avanti con i suoi piani di attacco, mentre Washington rafforzera' la strategia diplomatica".

IRAN: RUSSIA AVVERTE, UN ATTACCO "ERRORE MOLTO GRAVE"

Fonte web

 

Un attacco contro l'Iran sarebbe 'un errore molto grave e dalle conseguenze imprevedibili': a lanciare l'avvertimento e' stato il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. All'indomani delle dichiarazioni del presidente israeliano Shimon Peres, il quale ha affermato che un intervento militare contro Teheran si avvicina ed e' 'sempre piu' probabile', Lavrov ha sottolineato che 'il problema nucleare iraniano, al pari di qualunque altro problema nel mondo moderno', non puo' essere risolto 'con un intervento militare'.

 

 

Chossudovsky: USA, Nato e Israele causeranno

la terza guerra mondiale attaccando l'Iran

 

Gli Illuminati e la terza guerra mondiale (Anno 2012)

 

 

Rapporto Aiea: l'Iran sotto pressione

(MA MANCA LA PISTOLA FUMANTE)

 

Il documento dell'agenzia atomica è duro con Teheran,

ma le prove schiaccianti non ci sono

Fonte web

Serie preoccupazioni. Sembra un po' un rimprovero della nonna, ma è l'unico fatto che il rapporto - tanto atteso - dell'Agenzia Internazionale dell'Agenzia Atomica (Aiea) comunica al mondo. Era, però, esattamente quello che Israele si voleva sentir dire.

Secondo l'agenzia Onu che monitora la proliferazione nucleare, che ha diffuso ieri sera un rapporto sul dossier nucleare iraniano, in anticipo rispetto alla scadenza trimestrale abituale, dal 2003 l'Iran mostra segnali preoccupanti di un'attività volta alla 'militarizzazione' dell'atomo. Il tutto basato su ''informazioni credibili''. Un po' poco per ritenere dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, le colpe dell'Iran.

Anche su questo concetto, però, ci sarebbe da riflettere. In mancanza di una moratoria mondiale sulle armi atomiche, non sarebbe assurdo da parte iraniana lavorare per fornirsi di un armamento tattico che tutti i Paesi che puntano al rovesciamento del regime degli ayatollah possiedono già. Ma il regime iraniano non ha mai confermato questa ipotesi, ribadendo ancora che il suo programma nucleare ha finalità solo civili.

Le reazioni, per assurdo, sono state meno violente delle dichiarazioni che hanno preceduto la pubblicazione del rapporto. Ieri frenavano tutti, compreso il ministro israeliano della Difesa, Ehud Barak, e il presidente Usa, Barack Obama, che ha parlato di ''inasprimento delle sanzioni''. La sensazione, come confermato dalle parole del ministro russo degli Esteri, Sergei Lavrov, è che il rapporto ''punta ad affondare le chance di soluzione diplomatica''. Un valore politico, insomma.

Anche perché le dodici pagine del rapporto, pesante nel linguaggio, è molto leggero dal punto di vista della 'pistola fumante'. E il governo iraniano lo ribadisce, respingendo con forza al mittente il rapporto, ed elencando - attraverso l'agenzia stampa di stato Fars, come tutte le accuse siano vecchie.

Secondo Fars, tutti i documenti presentati sono legati ai contenuti di un pc portatile che sarebbe stato rubato in Iran e di cui si parlò per la prima volta nel 2004. Né l'Iran né l'Aiea hanno potuto visionare tali documenti, nonostante dal 2007 ne abbiano chiesto agli Usa la versione originale. Inoltre, gli stessi americani avrebbero in mano solo un file elettronico, la cui infondatezza sarebbe già stata dimostrata dall'Iran nel 2008 in un dossier di 117 pagine. Se anche tali documenti fossero autentici, nessuno può provare che siano collegabili agli organi ufficiali iraniani. Inoltre, non vi è alcuna prova che vi si parli di attività militari in ambito nucleare, e non convenzionale.

Questi file, inoltre, contengono una serie di simulazioni al computer ma nessuna prova sul fatto che esse siano state messe in pratica. L'allegato al rapporto non sarebbe dunque altro che "una collezione di informazioni contraffatte", aggiunte sotto pressione politica statunitense. Inoltre, sempre secondo la Fars che cita "diplomatici" a Teheran, Yukiya Amano (dal 1 dicembre a capo dell'Aiea) avrebbe ricevuto "gli ultimi ordini da Washington" la scorsa settimana, e per questo avrebbe respinto le richieste di imparzialità giunte da Russia, Cina, alcuni Paesi europei e dal movimento dei non-allineati.

Cosa resta, dunque? Un atteggiamento duro verso l'Iran, in linea con il mandato di Amano dopo aver preso il posto di Mohammed El Baradei. Quest'ultimo, prima di tornare in Egitto, si è sempre caratterizzato per una linea indipendente dalle pressioni Usa e israeliane, mentre il giapponese Amano ha fama di 'duro'. Forse va bene così a tutti. Alzare la tensione, con dichiarazioni dure, che preparano l'opinione pubblica a un testo che - in fondo - non dice nulla di nuovo.

Perché? Una possibile risposta arriva da un fuori onda di Cannes, durante il vertice del G20. Il presidente Usa, Obama, e quello francese, Nicholas Sarkozy, si apprestano a incontrare la stampa. I giornalisti vengono forniti di cuffie per la traduzione simultanea. Solo che la traduzione parte prima del dovuto. ''Non ne posso più di Netanyahu, è un bugiardo'', tuona Sarkozy. ''Pensa a me, che devo sentirlo ogni giorno'', risponde Obama.

Al di là del gossip politico, la sensazione è quella di un premier israeliano messo alle strette. La crisi economica morde in Israele come mai dalla fondazione dello Stato Ebraico e la liberazione di Gilad Shalit, appagando parte dell'opinione pubblica, necessitava di una contro mossa per equilibrare il suo esecutivo che si regge sui falchi guidati dal ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. Questo potrebbe essere un perché, che si limita a incassare una pressione internazionale per far ripartire il dialogo con Teheran. Almeno c'è da sperarlo.

 

 

Israele: attacco contro l'Iran sempre più probabile

 

 

Se Israele attacca l’Iran rischiamo

davvero la terza guerra mondiale

Fonte web

Gli americani temono che Israele bombardi l’Iran senza avvisarli e che la rappresaglia colpisca i soldati Usa in Irak e nel Golfo Persico. Gli ayatollah sembrano non prendere sul serio la minaccia di attacco, ma sui media iraniani fanno trapelare le possibili ritorsioni. Tutti attendono le rivelazioni dell’Agenzia atomica dell’Onu con foto satellitari che proverebbero i test iraniani per far esplodere ordigni nucleari. Propaganda o meno, un attacco israeliano all’Iran apre scenari da far tremare i polsi. «È possibile un’incursione aerea di 24 ore, ma neppure gli israeliani riuscirebbero ad evitare la ritorsione» ha sottolineato Mario Arpino, ex capo di stato maggiore e comandante italiano durante la guerra del Golfo nel ’91. La prima reazione sarebbe una pioggia di missili contro Israele. Gli Shabab 4 possono raggiungere lo stato ebraico e altri vettori sarebbero in grado di colpire l’Europa meridionale. «Tutte le installazioni nucleari sul territorio sionista sono nel nostro raggio d’azione. Se saremo attaccati risponderemo con i missili all’aggressione» ha dichiarato da tempo il generale Mohammed Ali Jafari, comandante dei Guardiani della rivoluzione.

I vettori iraniani possono trasportare sia testate convenzionali che chimiche o batteriologiche e addirittura nucleari. Se venissero utilizzate armi di distruzione di massa la risposta israeliana non si farebbe attendere grazie ai missili balistici Jericho con una gittata di 4mila chilometri. Non solo: le testate nucleari miniaturizzate a bordo dei sottomarini con la stella di Davide potrebbero colpire Teheran dal golfo dell’Oman.

Lo scenario «regionale» prevede tra l’altro una reazione iraniana contro obiettivi americani in Irak e Afghanistan, ambedue paesi confinanti. Teheran ha sicuramente nel mirino la base aerea di Shindad nell’Afghanistan occidentale, settore Nato sotto comando italiano. I gruppi di miliziani, non solo sciiti, nei due paesi confinanti, finanziati e armati da anni dai Pasdaran, verranno mobilitati per operazioni di guerriglia o terrorismo. Il governo iracheno e quello afghano si sono riavvicinati agli iraniani e non hanno alcuna intenzione di farsi trascinare in un conflitto regionale.

Anche i paesi arabi del Golfo temono rappresaglie e rivolte della propria popolazione sciita, a cominciare dall’Arabia Saudita che considera una minaccia strategica il nucleare iraniano. Teheran ha spesso messo in dubbio la sovranità del Bahrain, considerata provincia iraniana, che ospita il comando della Quinta flotta Usa.
Ieri i media iraniani sottolineavano che l’Iran «domina lo stretto di Hormuz, strategico per il petrolio». La Repubblica Islamica potrebbe «tagliare alcune arterie petrolifere o bloccare lo stretto influenzando il 50% delle forniture mondiali di greggio, in un periodo in cui l’Occidente è in grave crisi».

La forza al Qods dei Pasdaran, specializzata in missioni all’estero, attiverebbe tutte le cellule terroristiche filo iraniane in giro per il mondo. Attentati e attacchi suicidi potrebbero colpire obiettivi come ambasciate e centri ebraici all’estero, pure in Europa. L’altro grande fronte di guerra coinvolgerebbe il Libano, la Siria e la striscia di Gaza. In caso di attacco all’Iran le milizie sciite di Hezbollah in Libano colpirebbero Israele. I nuovi missili forniti dai siriani sono in grado di raggiungere qualsiasi città ebraica. Alcune stime parlano di un migliaio di testate contro Israele lanciate da Hezbollah e dall’Iran nei primi giorni di guerra. La Siria, alleata con un patto di difesa a Teheran ed i palestinesi di Hamas a Gaza sarebbero pronti ad unirsi al fronte anti israeliano. L’ex ambasciatore iraniano Nasser Saghafi-Ameri, del Centro di studi strategici di Teheran, sostiene da tempo che «attaccarci sarebbe una follia. Potrebbe scoppiare una specie di terza guerra mondiale con effetti devastanti nella regione, ma pure in Europa».

 

 

Gli israeliani si preparano alla guerra nucleare

 

 

Corsa verso la guerra finale?

Fonte web

Mentre l'attenzione internazionale è concentrata sulla crisi finanziaria e dei debiti sovrani, una nuova voragine, forse ancor più drammatica, rischia di aprirsi nel breve periodo, una voragine che si chiama guerra. La rottura della diga, il "game changer", potrebbe avvenire la prossima settimana con la divulgazione di un rapporto dell'Agenzia atomica internazionale (AIEA) che, secondo le indiscrezione apparse nelle ultime settimane, accuserebbe l'Iran di procedere verso la costruzione della bomba atomica. Si tratterebbe di una radicale inversione nell'atteggiamento tenuto finora dall'Agenzia, in particolare fino alla fine del 2009 quando era sotto la direzione dell'egiziano Mohammed El Baradei, che, pur tra alti e bassi, aveva tenuto un profilo dialogante con la Repubblica islamica ottenendo la collaborazione dalle autorità iraniane sulla controversa questione nucleare.

Benché le cancellerie occidentali accusino da anni Teheran di volersi dotare del nucleare militare, prove in tal senso non sono mai giunte e l'organo predisposto, appunto l'AIEA, non ha finora mai potuto certificare, tramite i suoi continui controlli e ispezioni, scorrettezze nel dossier nucleare civile iraniano che infrangessero i protocolli del Trattato di Non Proliferazione sottoscritto dall'Iran.

Durante la settimana si sono rincorse notizie che descrivono un clima internazionale di grave allarme.

Da giorni il tema del nucleare iraniano campeggia sulle prime pagine della stampa di Israele con indiscrezioni secondo cui il primo ministro Netanyahu e il ministro della difesa Barak starebbero svolgendo la massima azione politica per convincere la maggioranza del consiglio dei ministri sulla necessità di un attacco preventivo contro l'Iran da compiersi quanto prima, al più tardi la prossima primavera.

A darne notizia per primo è stato, il 28 ottobre scorso, Nahum Barnea, il giornalista di punta del maggior quotidiano israeliano, «Yedioth Ahronot». Secondo Barnea a Tel Aviv si starebbero delineando quattro fazioni: la prima comprende i fautori delle sanzioni a oltranza e che escludono l'opzione armata per il timore di una massiccia rappresaglia missilistica dall'Iran e dal Libano; la seconda è su posizioni attendiste e spinge per favorire un cambiamento di regime a Teheran sull'onda della primavera araba; la terza, che comprende comandi militari e dei servizi di sicurezza, sarebbe con varia intensità contraria all'attacco preventivo soprattutto per le difficoltà tecniche e il dubbio che possa risultare davvero efficace; infine la quarta, guidata appunto da Netanyahu e Barak, rappresenta i partigiani della guerra secondo cui la finestra di opportunità per attaccare il nemico strategico starebbe per chiudersi e dunque è giunto il momento dell'azione.

Anche il paese sembra diviso sulla possibilità di una guerra. Il quotidiano «Haaretz» ha pubblicato un sondaggio d'opinione secondo cui il 41% del campione, rappresentativo della popolazione di Israele, sarebbe favorevole ad attaccare gli impianti nucleari iraniani, il 39% è contrario e il 20% non ha risposto. Tuttavia la maggioranza, il 52%, si fida della valutazione e delle decisioni che vorranno prendere Netanyahu e Barak.

Intanto, in ogni caso, Israele si prepara per l'eventualità più grave. Il 3 novembre un’esercitazione ha mobilitato il paese per quattro ore durante le quali si sono simulate le risposte dei sistemi di sicurezza e difensivi contro attacchi missilistici dall'esterno. Le forze armate hanno testato con successo un nuovo missile balistico capace di raggiungere l'Iran. E la scorsa settimana l'aviazione israeliana ha portato a termine una imponente esercitazione in Sardegna, utilizzando la base Nato di Decimomannu, con sei squadroni di cacciabombardieri impegnati a simulare azioni d'attacco su lunghe distanze con rifornimenti in volo e monitoraggio di eventuali difese radar nemiche.

Benché le autorità ebraiche si affrettino a definire tutte quelle svolte come "esercitazioni di routine", esse, combinate con le indiscrezioni su Netanyahu e Barak, non fanno che aggravare la percezione di un clima prebellico. Netanyahu, come riportato da tutta la stampa ebraica, citando come fonte il quotidiano kuwaitiano «al-Arida», avrebbe ordinato un'inchiesta sulla fuga di notizie che si sospetta provenire da due ex massimi funzionari dei servizi segreti, Meir Dagan e Yuval Diskin, motivati da ragioni di risentimento personale. Il primo, in particolare, si è sempre dichiarato contrario, anche pubblicamente, ad un attacco preventivo contro l'Iran, bollando in un'occasione l'ipotesi come «la cosa più stupida che abbia sentito in vita mia».

Ma le fughe di notizie non provengono solo da Israele, con una convergenza temporale tale da far sospettare che ci sia davvero fuoco sotto la cenere. Il 2 novembre il britannico «Guardian» ha pubblicato un reportage secondo cui le forze armate del Regno Unito starebbero intensificando i preparativi in vista di attacchi missilistici degli Stati Uniti contro siti iraniani. In tale eventualità, Londra fornirà senza esitazione all'alleato americano tutto il supporto militare che venisse richiesto benché nella coalizione di governo vi siano profonde riserve verso uno scenario di attacco preventivo.

Gli strateghi della Royal Navy starebbero esaminando la migliore dislocazione possibile nell'area mediorientale delle unità navali, tra cui i sottomarini, dotate di missili di crociera Tomahawk e sarebbero pronti a concedere agli americani l'utilizzo dell'isola di Diego Garcia, nell'Oceano Indiano, già usata come fondamentale base d'appoggio in precedenti conflitti nella regione.

Secondo quanto riferito dal «Guardian», numerosi alti funzionari inglesi di governo e delle forze armate sostengono che l'Iran è tornato ad essere al centro delle preoccupazioni diplomatiche dopo la rivoluzione in Libia. Anche se Barack Obama non avrebbe intenzione di imbarcarsi in un nuovo conflitto, potrebbe esservi costretto proprio da un mutamento di scenario derivante dal prossimo rapporto della AIEA e da un atteggiamento più aggressivo da parte iraniana, dimostrato anche dal complotto che prevedeva di uccidere l'ambasciatore saudita negli Usa, derivante anche da una capacità "sorprendentemente resistente" verso le sanzioni e gli attacchi cibernetici contro le installazioni nucleari che hanno avuto meno successo di quanto si pensasse.

L'Iran starebbe implementando nuove e più efficienti centrifughe per l'arricchimento dell'uranio spostandole in istallazioni sotterranee e fortificate nei pressi della città di Qom. Per questo, secondo un alto funzionario governativo britannico, rimasto anonimo, «oltre i 12 mesi non potremmo essere sicuri che i nostri missili possano essere efficaci. La finestra si sta chiudendo, e il Regno Unito deve procedere con una pianificazione razionale. Gli Stati Uniti potrebbero farlo da soli [l'attacco], ma non lo faranno. Per cui abbiamo necessità di anticipare le loro richieste. Ritenevamo di avere tempo almeno fino a dopo le elezioni americane del prossimo anno, ma ora non siamo più così sicuri».

Anche gli americani stanno riposizionando le proprie forze nella regione. A fine ottobre il «New York Times» annunciava l'intenzione del generale Karl Horst, capo di stato maggiore del Central Command (ovvero il Medio Oriente allargato, che va dall'Asia centrale fino al Corno d'Africa e l'Egitto), di lanciare l'operazione "ritorno al futuro". L'idea è di compensare il ritiro delle forze combattenti dall'Iraq ampliando la presenza militare sulla penisola arabica, come ai tempi della prima guerra del Golfo, con nuovi stanziamenti in Kuwait, soprattutto, ma anche in Arabia Saudita ed Emirati, nonché inviando ulteriori contingenti navali in quello stretto braccio di mare che divide le monarchie arabe dall'Iran.

Nonostante i tagli alle spese militari previste dal budget, gli Stati Uniti non smobilitano da questa regione nevralgica, al contrario, rilanciano. L'obiettivo strategico è creare un'alleanza militare sempre più strutturata con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrein, Qatar, Oman, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Arabia Saudita), rendendo permanente quella prova generale di collaborazione già vista con l'intervento in Libia. Quasi una Nato del Golfo persico. È evidente come tale ristrutturazione miri ad accerchiare sempre più la Repubblica islamica.

Gli scenari fin qui illustrati puntano dritto verso un confronto militare o, come pensano alcuni analisti, fughe di notizie e pianificazioni militari servono per aumentare la pressione su Teheran, lanciando moniti credibili, per ottenere maggiori successi diplomatici? La risposta, in un senso o nell'altro, non tarderà, probabilmente, ad arrivare. Nel frattempo, a fronte di un possibile conflitto con esiti devastanti, il movimento pacifista pare del tutto inerme ed impreparato. Tornerà ad agitarsi, forse, quando sarà ormai troppo tardi. Ammesso che non lo sia già ora.

shimon peres-megaP.S. Mentre chiudevo l'articolo è giunta questa Ansa, ore 20:37 del 4 novembre 2011:

L'opzione militare nei confronti dell'Iran, da parte di Israele e di altri Paesi, sembra avvicinarsi: lo ha affermato stasera il capo dello stato israeliano Shimon Peres, in una intervista alla televisione commerciale Canale 2. «I servizi di sicurezza di tutti i Paesi comprendono che il tempo stringe e di conseguenza avvertono i rispettivi dirigenti» ha aggiunto.

«A quanto pare - ha detto Peres - l'Iran si avvicina alle armi nucleari. Nel tempo che resta dobbiamo esigere dai Paesi del mondo di agire, e dire loro che devono rispettare gli impegni che hanno assunto, e far fronte alle loro responsabilità: sia che si tratti di sanzioni severe sia che si tratti di una operazione militare».

 

 

 

 

Iran, atomi di guerra

 

Tel Aviv pronta al conflitto. Teheran:

«Dossier contraffatto».

Fonte web

La paura è che il Medio Oriente possa saltare in aria come una polveriera. Da una parte l'integralismo cieco del regime iraniano, dall'altra la potenza di fuoco del maggiore esercito del mondo e il risentimento di Israele. Mentre la tensione tra Tel Aviv e Teheran sale giorno dopo giorno , con Israele che ha continuato a minacciare con sempre più costanza la possibilità di un ricorso alle armi, il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé ha dichiarato che un attacco militare contro le installazioni nucleari iraniane, creerebbe una situazione «totalmente destabilizzante». Juppé ha anche aggiunto che la Francia punta piuttosto a inasprire le sanzioni contro Teheran: «Possiamo ancora inasprire le sanzioni, per fare pressione sull'Iran, e stiamo insistendo su questa linea perché un intervento militare creerebbe una situazione totalmente destabilizzante nella regione», ha detto il ministro a radio Europe 1: «Dobbiamo fare tutto per evitare l'irreparabile».

DALLA CINA A BERLINO, PAURA DELLA GUERRA. Sul fronte sia occidentale sia orientale è cresciuto l'allarme e la linea della prudenza ha fatto diversi proseliti. Da Berlino - che ha chiesto una soluzione diplomatica sul programma nucleare iraniano - alla Cina, che il 5 novembre ha avvertito: Teheran sia flessibile con l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), ma no all'uso delle armi, anche per evitare nuove tensioni in Medio Oriente.

GLI USA: TEL AVIV POTREBBE NON AVVERTIRCI. La stampa israeliana ha ripetutamente dato conto dei progetti di un possibile attacco militare, pur evidenziando come su questa ipotesi, caldeggiata dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dai ministri degli Esteri e della Difesa, vi fossero dissensi anche nello stesso esecutivo. E il 5 novembre il sito del quotidiano israeliano Haaretz ha evidenziato le dichiarazioni di un alto funzionario militare americano, rimasto anonimo, secondo cui gli Usa hanno paura che Israele possa attaccare senza avvertirli, cosa che prima mai sarebbe potuta accadere. Ma il fronte che invita alla prudenza,  è cresciuto anche internamente con gli ex capi del Mossad Meir Dagan ed Efraim Halevy, che si sono dichiarati molto preoccupati.

L'Aiea: «Pronto rapporto sul nucleare». Teheran: «Contraffatto».

Da parte iraniana - dopo che il capo di stato maggiore delle forze armate, Hassan Firouzabadi, aveva avvertito che una minaccia militare israeliana avrebbe comportato gravi perdite anche per gli Usa - si  è registrata il 5 novembre l'implicita risposta della Guida suprema Ali Khamenei. L'Occidente, gli Usa e il regime sionista non sono mai stati così deboli, ha detto in sostanza in un messaggio ai pellegrini iraniani alla Mecca impegnati nel loro annuale raduno anti-americano e anti-israeliano.

UN SUICIDIO PER ISRAELE. Sul sito della statale Press Tv sono apparsi gli articoli di due analisti iraniani, Ismail Salami e Arash Zahedi, convinti che un attacco militare sarebbe un suicidio militare per Israele e controproducente sul piano internazionale. Sul fronte ufficiale tengono invece gli altri due elementi su cui poggia la triplice morsa della pressioni internazionali che si sta stringendo contro Teheran: le accuse statunitensi di aver ordito un complotto terroristico per assassinare l'ambasciatore saudita a Washington, quotidianamente respinte da Teheran che contrattacca accusando di terrorismo gli Usa e il rapporto dell'agenzia nucleare sul programma di Teheran, che avrebbe obiettivi militari.

DETTAGLI SUL PROGRAMMA IRANIANO. Intanto, però, il prossimo rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha previsto la formulazione di accuse più dettagliate avanzate fino a ora a Teheran per il suo programma per sviluppare armi nucleari. Diversi diplomatici occidentali l'hanno confermato alla Cnn: nel documento, che dovrebbe essere diffuso la settimana del 7 novembre, dvorebbero esserci numerosi dati sugli sforzi clandestini dell'Iran per sviluppare la tecnologia necessaria per construire l'arma atomica. In passato l'Aiea aveva già espresso preoccupazione per il programma nucleare iraniano, ma nel prossimo rapporto, secondo le fonti della Cnn, è previsto che lo faccia in maniera ben più esplicita.

LA REPLICA: RAPPORTO CONTRAFFATTO. Il ministro degli Esteri della Repubblica islamica, Ali Akbar Salehi, citato da Al Arabiya, ha subito replicato che il rapporto dell'Aiea sarebbe «contraffatto». «Sono convinto che questi documenti manchino di autenticità. Ma se insistono dovrebbero andare avanti e pubblicarli. Meglio fronteggiare il pericolo una volta che essere sempre in pericolo», ha detto Salehi a Teheran a margine di un incontro con il ministro degli Esteri del Burundi, Augustin Nsanze. «Abbiamo detto ripetutamente che i loro documenti sono senza fondamento. Per esempio si può contraffare una banconota, ma resta una contraffazione. Questi dossier sono così». Per l'Aiea, ha proseguito, «la questione del nucleare iraniano non è tecnica o legale, ma interamente politica. Se l'Agenzia la affrontasse da un punto tecnico o legale, allora dovrebbe dire che tutto è trasparente».

LAVROV: INTERVENTO MILITARE, GRAVE ERRORE. Secondo il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, citato dall'agenzia Itar-Tass, un intervento militare contro l'Iran sarebbe un «errore molto grave con conseguenze imprevedibili». «Non ci può essere alcuna soluzione militare al problema del nucleare iraniano, come per tutti gli altri problemi del mondo contemporaneo», ha dichiarato il capo della diplomazia russa al termine dell'incontro con il suo collega irlandese Eamon Gilmore. «Un intervento militare non fa che moltiplicare il numero di vittime e le sofferenze umane», ha sottolineato. «Tutti i conflitti devono essere risolti esclusivamente attraverso i mezzi approvati dalla comunità internazionale nell'ambito della carta dell'Onu», ha proseguito. Il 6 novembre il presidente israeliano Shimon Peres aveva ammonito che «la possibilità di un attacco militare contro Teheran è più probabile di un'opzione diplomatica».

 

 

APPROFONDIMENTO

 

israele attacco AD iran

 

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IL PETROLIO TRA 300 E 500 DOLLARI AL

BARILE SE ISRAELE ATTACCA L'IRAN

Il greggio del Brent è salito di 1,17 dollari al barile portandosi a 115,73 dollari all’intensificarsi delle notizie che parlano di Israele pronto a bombardare da solo gli impianti nucleari iraniani. È il livello più alto raggiunto in quasi due mesi. Ma sarebbe nulla in confronto a quanto i prezzi potrebbero aumentare se Israele dovesse veramente attaccare. Nel 2006, non appena Israele e Stati Uniti cominciarono a far sentire il suono delle spade contro il programma nucleare iraniano, le Guardie della Rivoluzione iraniana, secondo un disertore, collocarono una catena di mine sul fondo dello Stretto di Hormuz. "Il piano è di bloccare il commercio", ha detto la fonte a Newsmax. Un terzo del petrolio mondiale passa attraverso lo Stretto di Hormuz.