I S R A E L E:

LA CATASTROFE DEL SIONISMO PER IL

POPOLO EBRAICO E PALESTINESE

 

"L'incubo sionista sta per finire. Si è consumato. Le sue

 recenti brutalità sono il rantolo del malato terminale"

(Discorso del Rabbino Mordechi Weberman)

Lettera aperta di Albert Einstein al New York Times:

SIONISMO = FASCISMO

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

"Come molti di Voi sapranno già, il movimento sionista è stato contrastato da ebrei ortodossi osservanti sin dall’inizio. Gli ebrei ortodossi hanno sempre creduto che per Decreto Divino il popolo ebreo sia tenuto a rimanere in esilio e vivere come cittadini leali nelle nazioni che li ospitano fino a che l’Onnipotente non avrà deciso la redenzione dell’umanità intera". (....) "Permettetemi innanzitutto di dichiarare in termini categorici che il giudaismo e il sionismo sono incompatibili. Essi sono diametralmente opposti". (Rabbi David Weiss e Rabbi Ahron Cohen)

Secondo molti pensatori haredim (cioè gli ebrei ortodossi e osservanti, ndr) «la shoah e lo Stato d’Israele non costituiscono affatto degli avvenimenti antitetici - distruzione e ricostruzione -, ma piuttosto un processo continuo: l’eruzione finale delle forze del male […]. La tradizione giudaica considera rischiosa ogni concentrazione di ebrei in uno stesso luogo. I critici odierni fanno osservare che le previsioni più gravi sembrano realizzarsi, perché lo Stato d’Israele è diventato “l’ebreo tra le Nazioni” e il Paese più pericoloso per un ebreo».

Esistono terroristi ebrei, oltre che i soliti terroristi islamici? Secondo il quotidiano israeliano Haaretz la risposta è: si esistono anche i terroristi ebrei. Essi "Rubano da decenni la terra di agricoltori inermi e non rifuggono dal rubare il frutto dell’umile terra di questi agricoltori. Una società che dichiara il suo forte desiderio di pace non può accettare un terrorismo ebraico così malvagio contro degli innocenti civili palestinesi"(vedere qui).

Anche quest'anno è stato così! I malvagi ebrei (i coloni) molto raramente incorrono nella giustizia dello Stato israeliano e così tutti gli anni, nel tempo della raccolta delle ulive, tagliano e bruciano gli ulivi, a volte picchiano anche i contadini, nella speranza di occupare il terreno non loro. Ma di questo nei media occidentali non ve né traccia. Chiedetevi il perché? E chiedetevi anche il perché i colloqui di pace, tanto strombazzati in occidente nei primi giorni di settembre tra Israele e Palestinesi, sono dopo appena un mese ad un binario ormai morto?

La radice della risposta la troverete nella storia del  sionismo, nella lettera al New York Times di Albert Einstein che pubblichiamo per intero in appendice e nell'eroica opposizione di quell'ebraismo ortodosso che, vecchio di secoli, in nome della Torah vede il sionismo come un cancro per il giudaismo e per l'intero popolo ebreo in Palestina.

 

 

INTRODUZIONE

Lo dobbiamo da ebrei

Fonte web

"Ci sono che ci chiedono il perché della nostra partecipazione al corteo dei palestinesi. Perché manifestiamo con la bandiera palestinese in mano? Perché sosteniamo la causa palestinese?

“Siete ebrei!” ci dicono, cosa state facendo?

E la nostra risposta, che vorrei condividere con Voi oggi pomeriggio, è molto semplice.

È PRECISAMENTE PERCHÉ SIAMO EBREI CHE STIAMO MANIFESTANDO CON I PALESTINESI, ALZANDO IN MANO LA BANDIERA PALESTINESE. È PROPRIO PERCHÉ SIAMO EBREI CHE STIAMO CHIEDENDO IL RITORNO DEI PALESTINESI ALLE LORO CASE E LA RESTITUZIONE DELLE LORO PROPRIETA!

Sì, la nostra Torah ci obbliga ad essere giusti. Siamo obbligati a perseguire la giustizia. E cosa c'è di più ingiusto del programma del movimento sionista, in atto da un secolo, di invadere le terre di un altro popolo, di espellere la gente ed espropriarla dei suoi beni?

I primi sionisti hanno dichiarato di essere un popolo senza terra, diretto verso una terra senza popolo. A parole, un'impresa innocente. Ma le parole erano totalmente e profondamente false.

La Palestina era una paese appartenente ad un popolo. Un popolo che stava sviluppando una consapevolezza nazionale.

Per noi non vi è alcun dubbio che se i profughi ebrei fossero arrivati in Palestina non con l'intenzione di dominare, non con l'intenzione di crearvi uno Stato degli Ebrei, non con l'intenzione di espropriare, non con l'intenzione di spogliare i palestinesi dai loro diritti fondamentali, essi sarebbero stati i benvenuti dai palestinesi, godendo della stessa ospitalità che popoli musulmani avevano offerto agli ebrei durante il corso della storia. E in tale caso, saremmo vissuti insieme come ebrei e musulmani sino vissuti insieme in precedenza, in pace ed armonia.

Amici musulmani e palestinesi nel mondo, Vi prego di ascoltare il nostro messaggio:

Ci sono ebrei in questo mondo che sostengono la Vostra causa. E quando diciamo di sostenere la Vostra causa, non ci riferiamo ad alcun piano di spartizione come quello proposto nel 1947 dall'ONU che non aveva alcun diritto di farlo.

Quando diciamo di sostenere la Vostra causa non intendiamo i progetti di spartire la Cisgiordania e di tagliarla in pezzi, come fu proposto da Barak a Camp David e non ci riferiamo alle proposte di offrire giustizia per meno del 10% dei profughi.

Noi intendiamo niente meno che la restituzione della Palestina intera, Gerusalemme inclusa, alla sovranità dei palestinesi!

A questo punto, principi di equità richiedono che saranno i palestinesi a decidere se gli ebrei e quanti di loro rimarranno nel Paese.

Questa è l'unica strada che potrà condurre ad una vera riconciliazione. Ma noi andiamo oltre. NOI riteniamo che non sarà sufficiente riconsegnare le terre ai loro proprietari legittimi. Non ce la caveremo con questo.

Occorre chiedere scusa al popolo palestinese, in modo chiaro e preciso. Il sionismo Vi ha fatto un torto. Il sionismo Vi ha rubato le Vostre case. Il sionismo Vi ha rubato la Vostra terra.

Facendo queste dichiarazioni, noi dichiariamo davanti al mondo che siamo il popolo della Torah, che la nostra religione ci obbliga ad essere onesti e a comportarci con equità, ad essere giusti, fare del bene ed essere gentili.

Abbiamo partecipato a centinaia di manifestazioni a favore dei palestinesi durante gli anni passati ed ovunque andiamo, gli organizzatori ed i partecipanti ci salutano con il consueto calore dell'ospitalità orientale. Che atroce bugia dire che i palestinesi in particolare ed i musulmani in generale avrebbero in odio gli ebrei! Voi odiate l'ingiustizia, non gli ebrei.

Non abbiate paura, amici miei. Il male non potrà trionfare per molto tempo. L'incubo sionista sta per finire. Si è consumato. Le sue recenti brutalità sono il rantolo del malato terminale.

Noi e Voi vivremo ancora quando arriverà il giorno che ebrei e palestinesi si abbracceranno, per celebrare la pace, sotto la bandiera palestinese a Gerusalemme.

Ed infine, quando il Redentore dell'umanità sarà arrivato, le sofferenze di oggi saranno dimenticate da molto tempo, rimosse dalle benedizioni del presente." (Discorso del Rabbino Mordechi Weberman per la manifestazione della Coalizione Palestinese per il Dritto di Ritrono (Al-Awda NY/NJ) tenutasi il 26 luglio 2002 davanti al Consolato Israeliano)

 

 

Ebrei ortodossi contro il sionismo, i quali, considerano la creazione

di Israele come una eresia religiosa da un punto di vista ebraico.

 

 

Ebrei Anti-Sionisti sui fatti della Flotilla umanitaria - primavera 2010

 

 

Ebrei ortodossi invitano a

smantellare lo stato di Israele

 

Fonte web

 

Il Rabbino Yisroel Dovid Weiss, portavoce di Neturei Karta International, un movimento di portata mondiale di ebrei antisionisti, ha annunciato che una delegazione di rabbini si unirà alla Coalizione di Organizzazioni Arabo-Americane e Musulmane” per protestare contro lo Stato Sionista.

 

“E’ ora che il popolo ebreo comprenda ciò che i nostri saggi e la maggior parte degli ebrei, agli esordi del sionismo poco più di un secolo fa, già sapevano e cioè, che il sionismo costituisce un grande pericolo per il popolo ebreo.

Non è forse stato versato abbastanza sangue, sangue ebreo e palestinese ? non è forse arrivato il momento di rivedere l’intera impresa sionista ?”

Il Rabbino Weiss fa notare che il messaggio che il suo gruppo porterà a Washington ed ai palestinesi riuniti lì, è il messaggio contenuto nel Talmud che vieta la Terra Santa agli ebrei, finché i loro peccati non siano stati espiati in esilio. La violazione dei termini dell’esilio ebreo ha causato molta sofferenza a tutte le parti in causa nel Medio Oriente. “E’ ora di smantellare lo stato di Israele. Esso costituisce un’onta per il popolo ebreo. A tutta l’umanità viene detto dagli esponenti di questo stato che Israele rappresenta gli ebrei. Quest’affermazione è insensata. Gli eretici non possono rappresentare il popolo della Torah. Coloro che si sono resi colpevoli di gravissime crudeltà nei confronti dei palestinesi non possono rappresentare un popolo misericordioso.

Il compito del popolo ebreo è di dedicarsi alla Torah ed al servizio di Dio. Siamo chiamati dal nostro Creatore ad essere leali ai paesi del nostro esilio ed a comportarci in buona fede con tutti gli uomini. Il sionismo è una deviazione di proporzioni nefaste che trascina le sue vittime in conflitti infiniti con altri popoli.

Oggi ci siamo riuniti con il popolo palestinese per manifestare la nostra simpatia per le sue sofferenze. La presenza del Primo Ministro Sharon a Washington è un affronto per gli ebrei credenti e per i palestinesi sofferenti.

Che ci sia accordata la grazia di vivere il giorno che lo stato di Israele sarà giunto alla sua fine ed i palestinesi saranno liberati dalle loro sofferenze. E gli ebrei erranti torneranno ad unirsi ai loro fratelli nel vero servizio a Dio. Il giorno in cui tutte le nazioni riconosceranno l’Unico Dio, quindi noi tutti ci metteremo al Suo servizio in pace. Amen” (Discorso proclamato dal Rabbino Dovid Weiss in Freedom Plaza, Washington DC, in occasione della manifestazione contro la visita del Primo Ministro Ariel Sharon alla Casa Bianca, giovedì 7 febbraio 2002).

 

 

Manifestazione di ebrei ortodossi contro il sionismo

 

 

EBRAISMO E SIONISMO

Il testo che segue è tratto dal discorso tenuto al convegno sulla crisi del Medio Oriente svoltosi ilo 30 marzo 2004 alla Camera dei Comuni di Londra, pubblicato in Il libro che la tua chiesa non ti farebbe mai leggere, Newton Compton 2009)

Fonte web

Queste persone che dichiarano falsamente di rappresentarci, “gli adoratori del vitello d’oro” della storia moderna, le organizzazioni sioniste delle terre del nostro esilio, e in particolar modo lo stato sionista, hanno causato molta angoscia e dolore a tutti gli ebrei del mondo.

Il potere dei mass media è tale che la voce dei deboli e dei giusti viene ignorata, mentre le azioni dei malvagi e dei potenti sono ampiamente considerate come giuste e legittime, perciò noi ci troviamo a dover difendere il nostro buon nome agli occhi del mondo che ci ha ricevuto a braccia aperte nell’ora del bisogno e di quelli che hanno messo a disposizione le proprie terre per noi.

Forse potrebbe essere di aiuto tentare di capire cos’è il sionismo, e spiegare perché ci opponiamo a questo movimento in modo così forte. Essi non sono ebrei come noi? Perché li combattiamo allora?
Analizziamo le origini del movimento sionista: esso nacque più di cento anni fa, fondato perlopiù da laici che avevano abbandonato la religione ma non erano ancora riusciti a liberarsi di quello che loro consideravano lo stigma di essere ebrei esiliati. Questi ebrei credevano che il nostro esilio permanente fosse dovuto alla nostra attitudine alla sottomissione – la mentalità dell’esilio – e non a una decisione divina; volevano quindi liberarsi dalle costrizioni dell’esilio consolidando una sorta di nuova identità ebraica basata non sulla religione, ma sulla terra. Insomma la loro era una tipica visione laica e nazionalistica guidata dalle passioni, simile alle aspirazioni della maggior parte delle nazioni senza Stato. La loro politica si proponeva principalmente la formazione di uno stato ebraico, preferibilmente in Palestina, e la creazione di un nuovo tipo di ebreo: un ebreo per niente ebreo, ma sionista.

Il sionismo rappresentò in generale un completo abbandono dei nostri insegnamenti religiosi e della nostra fede, e in particolare del nostro atteggiamento verso l’esilio e i popoli coi quali viviamo.

Il risultato pratico del sionismo rappresentato dallo stato conosciuto come Israele è completamente estraneo all’ebraismo e alla fede ebrea. Il nome proprio “Israele”, che in origine significava “i bambini di Israele” ovvero il popolo ebraico, è stato usurpato dai sionisti. E’ per questa ragione che molti ebrei ortodossi evitano di riferirsi allo stato sionista con il nome di “Israele”.

Quando il sionismo ha cominciato a manifestarsi, tutti i rabbini del mondo hanno parlato con parole chiare e hanno messo in guardia contro i pericoli di tali azioni: sia per le punizioni divine che ne sarebbero conseguite, sia per la futilità di voler contravvenire alla sentenza divina.

Sfortunatamente i sionisti, privi di qualsivoglia sentimento religioso, non si sono curati minimamente né dei loro compagni ebrei sparsi per il mondo né degli altri esseri umani e hanno raggiunto il loro scopo, se così si può dire, di creare uno stato, senza preoccuparsi del costo in termini umani ed economici; che si trattasse degli ebrei dei ghetti dell’inferno, usati come arma politica, o delle centinaia di migliaia di palestinesi costretti a lasciare le proprie case e terreni, non è stata fatta alcuna differenza.

Il gruppo dei Naturei Karta (in aramaico “guardiani della città”) è stato fondato per combattere questa ingiustizia: gli ebrei religiosi si sono organizzati per smentire la presunta solidarietà, o addirittura – che Dio ci perdoni – il sostegno a questo stato senza Dio.

La maggior parte degli ebrei ortodossi accettano il pensiero dei Naturei Karta, fino al punto di non essere d’accordo per principio con l’esistenza dello stato sionista, infatti non verserebbero una sola lacrima se esso venisse spazzato via.

Ma il problema sussiste: i sionisti sembrano essere gli unici rappresentanti e portavoce di tutti gli ebrei e perciò, con quello che fanno, suscitano solo ostilità verso di noi. Coloro i quali si oppongono al sionismo vengono accusati di antisemitismo, tuttavia bisogna chiarire una volta per tutte che sionismo non significa ebraismo. I sionisti non possono parlare a nome degli ebrei. I sionisti saranno pure nati ebrei, ma essere ebrei significa accettare la religione e le credenze ebree. Perciò quello che deve essere assolutamente chiaro è che essere contrari al sionismo non significa odiare gli ebrei o essere antisemiti.

Il conflitto tra arabi e gli ebrei è scoppiato proprio quando i primi sionisti arrivarono in Palestina con lo scopo manifesto di fondare uno stato non curandosi della popolazione araba indigena. Questo conflitto continua ancora oggi a costare migliaia e migliaia di vite, sia musulmane che ebree. In Palestina l’oppressione, l’abuso e l’omicidio sono tragedie che toccano non solo i palestinesi ma gli stessi ebrei. Questo è dovuto in parte alle terribili conseguenze in cui siamo destinati a incorrere, trasgredendo il dogma religioso che ci vieta di ribellarci al nostro esilio.

Voglio aggiungere che il collegamento tra musulmani ed ebrei si perde nella notte dei tempi, il loro rapporto è sempre stato perlopiù amichevole e reciprocamente vantaggioso. Storicamente quando gli ebrei venivano perseguitati in Europa, trovavano sempre rifugio in terre arabe. Noi possiamo solo essere amici degli arabi e dei musulmani, e possiamo solo provare rispetto per loro.

Vorrei concludere dicendo a tutto il mondo, e in particolare ai nostri vicini musulmani, che non esiste odio o ostilità tra ebrei e musulmani o qualunque altro popolo timorato di Dio. Ci auguriamo di vivere insieme come amici e vicini, così come abbiamo fatto per centinaia se non migliaia di anni nei paesi arabi.

 

Pericolosità apocalittica del sionismo

Fonte web

Secondo molti pensatori haredim «la shoah e lo Stato d’Israele non costituiscono affatto degli avvenimenti antitetici - distruzione e ricostruzione -, ma piuttosto un processo continuo: l’eruzione finale delle forze del male […]. La tradizione giudaica considera rischiosa ogni concentrazione di ebrei in uno stesso luogo. I critici odierni fanno osservare che le previsioni più gravi sembrano realizzarsi, perché lo Stato d’Israele è diventato “l’ebreo tra le Nazioni” e il Paese più pericoloso per un ebreo». Nel capitolo VII del suo libro Rabkin approfondisce questo stesso tema: «Lo Stato d’Israele è in pericolo […]. Quello che veniva presentato come un rifugio, addirittura il rifugio per eccellenza, sarebbe diventato il luogo più pericoloso per gli ebrei.

 

Sono sempre più numerosi gli israeliani che si sentono presi in una “trappola sanguinaria”. […] E cresce il numero di quanti esprimono dubbi circa la sopravvivenza di uno Stato d’Israele creato in Medio Oriente, in quella “zona pericolosa” […]. I teorici dell’antisionismo rabbinico sostengono […] che la shoah sia solo l’inizio di un lungo processo di distruzione, che l’esistenza dello Stato d’Israele non fa che aggravare. […] Concentrare [5-6] milioni di ebrei in un luogo così pericoloso sfiora la follia suicida». Analogamente a quanto successe a Masada nel 73. Ma la storia non sembra essere più “magistra vitae”.

 

Così, mentre in “occidente” i goyjm sono ossessionati dalla shoah, come da “un passato che non passa” (Sergio Romano), in Israele si comincia a capire che la shoah è l’inizio di un lungo processo di distruzione. Infatti Israele appare una trappola rischiosamente cruenta per i circa sei milioni di ebrei concentrati in un medesimo luogo.

b)   Quello che poteva sembrare inizialmente un magnifico trionfo o un bellissimo sogno si sta rivelando sempre di più un terribile scacco e un tremendo processo di auto-distruzione. Giustamente Rabkin vede in Israele un pericolo per l’intera umanità, che potrebbe portare ad una ‘catastrofe’ di proporzioni mondiali.

 

LA SPONDA RELIGIOSA DEL SIONISMO IN ISRAELE

Importante rabbino dice che i non-Ebrei

sono asini, creati per servire gli Ebrei

Fonte web

Il Rabbino Ovadia Yosef, la guida spirituale di Shas, un partito fondamentalista religioso che rappresenta gli Ebrei del Medio OrienteUn’importante figura religiosa Ebraica in Israele ha paragonato i non-Ebrei agli asini e a bestie da soma, dicendo che il motivo principale della loro esistenza è di servire gli Ebrei. Il Rabbino Ovadia Yosef, la guida spirituale di Shas, un partito fondamentalista religioso che rappresenta gli Ebrei del Medio Oriente, la scorsa settimana ha detto durante un’omelia del Sabbath che “l’unico scopo dei non-Ebrei è di servire gli Ebrei”. Yosef viene considerato come un importante leader religioso in Israele, e gode della fedeltà di centinaia di migliaia di seguaci. Shas è un’importante coalizione nell’attuale governo Israeliano.

Yosef, che è anche un ex Capo Rabbino di Israele, è stato citato dal giornale di destra Jerusalem Post, sostenendo che la funzione base di un goy, termine derogatorio usato per descrivere un gentile, è di servire gli Ebrei. “I non-Ebrei sono nati solo per servire noi. Senza questa funzione, non hanno motivo di essere al mondo – esistono solo per servire il Popolo di Israele”, ha detto Yosef nel suo settimanale sermone il Sabato sera, che era dedicato alle leggi riguardanti le azioni che i non-Ebrei possono fare durante il Sabbath.

Yosef ha anche detto che le vite dei non-Ebrei in Israele sono preservate da Dio per evitare perdite agli Ebrei. Yosef, ampiamente considerato come un importante conoscitore della Torah e un’autorità nell’interpretazione del Talmud, un fondamentale testo sacro Ebraico, ha fatto il paragone fra gli animali da soma e i non-Ebrei. “In Israele, la morte non ha potere su di loro… Con i gentili, sarà come con ogni altra persona. Devono morire, ma Dio da loro una lunga vita. Perchè? Immaginate se l’asino di una persona morisse, questa perderebbe i suoi soldi.”

“Questo è il suo servo… Ecco perchè vive una lunga vita, per lavorare bene per questo Ebreo.” Yosef ha poi spiegato meglio le sue idee sulla servitù dei gentili verso gli Ebrei, chiedendo “perchè c’è bisogno dei gentili ? Questi lavoreranno, areranno la terra, mieteranno; e noi staremo seduti come dei signori e mangeremo”. “Ecco perchè sono stati creati i gentili”.

Il concetto secondo cui i gentili sarebbero esseri infra-umani o quasi-animali è ben radicato nell’Ebraismo Ortodosso (israeliano, ndr).

Ad esempio, i rabbini affiliati con il movimento Chabad, una setta Ebraica suprematista ma nonostante ciò influente, insegna apertamente che a livello spirituale, i non-Ebrei hanno lo status delle bestie. Abraham Kook, la guida religiosa del movimento dei coloni, disse una volta che la differenza fra un Ebreo e un gentile è più grande e più profonda rispetto a quella che esiste tra gli umani e gli animali. “La differenza fra un’anima Ebraica e l’anima dei non-Ebrei -tutti loro ad ogni livello- è più grande e profonda della differenza che c’è fra un’anima umana e le anime del bestiame”. Alcune delle esplicite idee razzistie di Kook vengono insegnate nel college Talmudico Markaz H’arav, a Gerusalemme. Al college è stato dato il nome di Kook.

Nel suo libro, la “Storia Ebraica, la Religione Ebraica: Il Peso di Tremila Anni”, il defunto scrittore e intellettuale Israeliano Israel Shahak sostiene che ogni volta che dei rabbini Ortodossi usano la parola “umano”, normalmente non si riferiscono a tutti gli umani, ma solo agli Ebrei, dato che i non-Ebrei non vengono considerati umani secondo la Halacha della Legge Ebraica. Alcuni anni fa, un membro della Knesset Israeliana, rimproverò i soldati Israeliani per aver “trattato degli esseri umani come se fossero Arabi”. Il membro della Knesset, Aryeh Eldad, stava commentando sull’evacuazione da parte dell’esercito Israeliano di un avamposto di coloni nella West Bank.

Di fronte all’effetto negativo di certi insegnamenti Biblici e Talmudici nelle loro relazioni interreligiose, alcuni leaders Cristiani in Europa hanno chiesto all’establishment religioso Ebraico di riformare le tradizionali percezioni dell’Halacha riguardanti i non-Ebrei. Tuttavia, mentre le sette Riformiste e Conservatrici dell’Ebraismo hanno risposto in modo positivo a queste richieste, la maggior parte degli Ebrei Ortodossi ha completamente respinto gli appelli, sostenendo che la Bibbia è la parola di Dio e che quindi non può venir modificata sotto alcuna circostanza.

La Bibbia dice che i non-Ebrei che vivono sotto il governo Ebraico devono servire come “portatori d’acqua e taglialegna” per la razza padrona. In Giosuè (9:27), leggiamo: “In quel giorno Giosuè destinò i Gibeoniti ad essere spaccalegna e portatori d’acqua per l’assemblea e per l’altare dell’Eterno, nel luogo che egli avrebbe scelto, fino al giorno d’oggi”. Altrove nella Bibbia viene richiesto con forza agli Israeliti di trattare “gli stranieri che vivono fra di voi” umanamente “perchè voi stessi eravate stranieri in Egitto”.

 

 

L’affollato  mercato (bazar) di Giaffa nel 1896, in un dagherrotipo stereoscopico.

I primi sionisti dichiaravano di essere un popolo senza terra, diretto verso una

 terra senza popolo. La realtà era invece diversa dato che in quella terra un

popolo c'era già, come dimostra questa fotografia di fine 800!

 

 

GLI EBREI E LA PALESTINA PRIMA

DELLA NASCITA DEL SIONISMO

Fonte web

Gruppi molto piccoli di ebrei avevano continuato a vivere in Palestina anche dopo che la maggioranza della popolazione ebraica aveva abbandonato il paese disperdendosi ai quattro angoli della Terra:
Gaza, Hebron, Gerusalemme, Nablus, Haifa, Shafer Am, Tiberiade e, soprattutto, Safed e la zona circostante sono località nelle quali è accertata la presenza di nuclei di ebrei ininterrottamente almeno dal XIII secolo, cioè dall'epoca immediatamente successiva alla fine delle crociate.
Dagli inizi del XIX secolo la popolazione ebraica della Palestina era più che raddoppiata, passando da circa 10.000 individui nel 1800 a 24.000 nel 1880.
Tuttavia, questi ebrei si accontentavano di vivere in sostanziale buona armonia con la popolazione araba e non pensavano affatto a creare nel paese un loro Stato, tutto ed esclusivamente ebraico. Per loro il vivere in Palestina era una scelta religiosa positiva e qualsiasi idea di restaurazione di uno Stato ebraico era considerata con estremo sospetto come una manifestazione di pseudo-messianismo sacrilego.
Si trattava di un gruppo umano vivente in un quadro sociologico ancora medievale, caratterizzato da un estremo sottosviluppo culturale e intellettuale oltre che economico. La principale risorsa economica di questi ebrei erano le misere sovvenzioni inviate loro dai correligionari europei e da qualche ricco filantropo, che consideravano un pio dovere l'assistere materialmente i loro fratelli in Terra Santa. Questo aiuto non aveva solo carattere caritatevole ma simbolizzava anche un legame, esprimeva anche simpatia e autoidentificazione con quanti avevano deciso di passare la loro vita in Palestina dedicandosi allo studio e alla devozione. Tuttavia questa carità soffocava ogni spirito di iniziativa e favoriva un modo di vita improduttivo e parassitario.
Per quanto riguarda la condizione degli ebrei all'interno dell'Impero Ottomano è stato rilevato che "malgrado la sua decadenza nel XIX secolo, la Turchia restava fedele al suo atteggiamento liberale nei confronti degli ebrei i quali non avevano di che lamentarsi né del governo né della popolazione musulmana".
Una preziosa testimonianza in merito ci è stata lasciata nella sua corrispondenza diplomatica dal ministro degli Stati Uniti a Costantinopoli, Maynard. Nel 1877, Maynard ordinava ai consoli statunitensi nell'Impero Ottomano di "osservare attentamente la condizione degli ebrei all'interno dei loro distretti consolari e di riferire senza ritardo alla legazione ogni caso di persecuzione o di altro maltrattamento, richiamando su di essi in forma non ufficiale l'attenzione dei governatori o di altre autorità ottomane".
In un dispaccio del 27 giugno al segretario di Stato Evarts, Maynard faceva quella che è stata definita "un'accurata descrizione della situazione degli ebrei in Turchia, prima della prima guerra mondiale":
"Giustizia nei confronti dei turchi vuole che io dica che essi hanno trattato gli ebrei molto meglio di quanto abbiano fatto alcune potenze occidentali dell'Europa. Quando furono espulsi dalla Spagna essi trovarono asilo in primo luogo in Turchia, dove i loro discendenti vivono tuttora, distinguendosi dai loro correligionari per l'uso della lingua spagnola. Prevale l'impressione che sotto il governo turco il trattamento degli ebrei sia migliore di quello dei cristiani. Essi sono riconosciuti come una comunità religiosa indipendente, con il privilegio di avere le proprie leggi ecclesiastiche, e il loro rabbino capo gode, grazie alle sue funzioni, di grande influenza.
Prima dell'Hatti Sherif di Gulhane -il rescritto imperiale del 3 novembre 1839 con il quale il sultano Abdulmecit I inaugurava il periodo delle riforme dell'Impero Ottomano- gli ebrei (come del resto i cristiani, sia pure in misura minore perché protetti dalle potenze europee), pur godendo di una certa autonomia all'interno della loro comunità e pur non incontrando sostanzialmente ostacoli nella pratica della loro religione, erano considerati e trattati come sudditi di seconda categoria e non godevano della pienezza dei diritti riconosciuti ai musulmani. Nulla comunque di paragonabile alle discriminazioni e interdizioni che colpivano gli ebrei nei paesi europei.
On l'atti Sherif di Gulhane, che estendeva le riforme senza eccezione a tutti i sudditi della Porta, "a qualsiasi religione o setta essi appartengano", gli ebrei ottomani avevano ottenuto l'uguaglianza giuridica con gli altri abitanti dell'Impero.
L'Hatti Humayun promulgato dal sultano Abdulmecit I nel febbraio 1986 (alla vigilia della Conferenza di Parigi che avrebbe messo fine alla guerra di Crimea e avrebbe riconosciuto "la sublime Porta ammessa a partecipare ai vantaggi del diritto pubblico e del concerto europeo"), pose su basi giuridiche ancor più salde l'emancipazione della popolazione non musulmana. Le norme del decreto garantivano una completa libertà religiosa e l'eguaglianza di fronte alla legge e al fisco. In particolare venivano abrogate le due maggiori misure discriminatorie che per secoli avevano indicato l'inferiorità dei non musulmani: la tassa per la protezione e il divieto di portare armi. Queste importanti riforme incontrarono l'aspra reazione della popolazione musulmana che si scatenò con violenza inaudita contro i cristiani. L'agitazione anticristiana, caratterizzata da violenze d'ogni genere e da omicidi, culminò nei massacri di Aleppo (1850), Nablus (1856) e Damasco (1860). Va però rilevato che gli "umili e discreti ebrei", che avevano avuto la prudenza di non ostentare l'ottenuta eguaglianza in modo da provocare la suscettibilità dei musulmani, non vennero coinvolti nemmeno marginalmente in questi tragici disordini.
Certo non bisogna farsi un quadro troppo idilliaco dei rapporti tra arabi ed ebrei. Va rilevato tuttavia, che le prime significative manifestazioni di ostilità antiebraica (o più esattamente antisionista) si avranno in Palestina solo a partire degli anni 80 del XIX secolo, quando avrà inizio l'immigrazione sionista nel paese.
Fino a questa data, anche se non mancheranno episodi circoscritti di violenza individuale, gli ebrei subiranno quasi esclusivamente le molestie dei numerosissimi missionari delle varie confessioni cristiane (verso la fine del secolo a Gerusalemme la loro percentuale rispetto alla popolazione totale era incomparabilmente più elevata che in qualsiasi città del mondo), che, essendo proibito per legge far opera di proselitismo tra i musulmani, avevano scelto come campo di evangelizzazione la comunità dei seguaci della religione mosaica e suscitavano con il loro comportamento invadente aspre e interminabili dispute religiose.
Gli ebrei palestinesi, in prevalenza sefarditi, originari cioè del bacino del Mediterraneo, non costituivano un gruppo sociale omogeneo, ma erano frazionati sulla base della diversa origine nazionale, della lingua se ne parlava un vero mosaico: yiddish, arabo, ladino, tedesco, francese, inglese, persiano, georgiano) e delle congregazioni di carità di appartenenza. I vari gruppi conservavano la lingua e i costumi dei paesi d'origine, e poiché non comprendevano la lingua gli uni degli altri, per intendersi tra loro erano costretti a parlare l'ebraico biblico, prima ancora che Eliezer Ben Yehuda resuscitasse l'ebraico dopo oltre duemila anni di letargo. Sul miracolo della riesumazione della lingua ebraica e i suoi limiti si veda quanto ha scritto Arthur Koestler: " I genitori degli ebrei nati in Palestina nel XX secolo erano notoriamente poliglotti; essi sono stati invece educati a una sola lingua, ch'era in letargo da venti secoli quando è stata artificialmente riportata in vita".
Secondo una leggenda saldamente consolidata e ampiamente accettata, e perciò tanto più dura a essere sfatata, gli ebrei, scacciati definitivamente dalle legioni romane, per quasi duemila anni non avrebbero avuta altra aspirazione che tornare in Palestina per rifondarvi il loro Stato nazionale. Nulla di più falso.
Già dopo l'esilio babilonese, che coinvolse oltre al re di Giuda IoIachin e al profeta Ezechiele circa 10.000 dei più importanti ebrei, nonostante l'autorizzazione concessa nel 538 a.C. dal re di Persia Ciro a tornare nella terra dalla quale erano stati deportati, solo una parte di ebrei optarono per il rimpatrio in Palestina: 42.360 secondo Esdra. Solo una piccola minoranza approfittò della concessione del permesso di tornare in Palestina e di ricostruire il Tempio e la città di Gerusalemme. La maggior parte, certamente i più ricchi e le famiglie più influenti, furono riluttanti ad abbandonare le loro case e le istituzioni per partire verso nuove avventure. Durante l'intero periodo successivo ebrei vissero in gran numero in tutta la Babilonia, a sud come a nord, sotto i loro dominatori persiani.
A dispetto di tutte le costruzioni fantastiche che sono state fatte in merito dai suoi apologeti, il sionismo è un fenomeno moderno che non affonda le sue radici nella millenaria storia ebraica : il sionismo, naturalmente, inteso come aspirazione politica al ritorno a Sion, nella "terra dei padri", dove solo avrebbe potuto realizzarsi il "destino" del popolo ebraico.
Dopo la prima dispersione (cattività babilonese), che era stata parziale e dalla quale, come si è visto, erano tornati solo una parte degli esiliati e dei loro discendenti, gli ebrei non furono più espulsi in massa dalla Palestina ma se ne andarono spontaneamente.
Contrariamente a quanto è stato sostenuto e si continua a sostenere, la conquista romana di Gerusalemme nel 70 non ebbe come conseguenza l'esilio dalla Palestina degli ebrei, che continuarono a costituire la maggioranza della popolazione in Giudea e in Galilea.
Nemmeno la rivolta antiromana di Bar Kokhba del 132-135 ebbe come conseguenza la cacciata dalla Palestina degli ebrei, che per tutto il II secolo continuarono a vivere in Galilea, in altre regioni della Palestina e nell'attuale Transgiordania. Ancora al tempo della conquista musulmana vivevano in Palestina consistenti gruppi di ebrei che ebbero una parte nel successo arabo contro i bizantini, così come, qualche anno prima, avevano favorito la conquista sassanide della Siria-Palestina.
Gli ebrei, quindi, non sono stati scacciati con la forza dalla Palestina, ma se ne sono andati spontaneamente per motivi economici o di altro tipo, finendo col fondersi con i popoli del bacino del Mediterraneo. "Non di rado l'emigrazione era il risultato di cause economiche come, ad esempio, i movimenti degli ebrei dalla Palestina verso l'Egitto a causa della carestia, o l'emigrazione moderna dall'Europa orientale verso l'America a causa delle difficili condizioni economiche. La tendenza generale del movimento ebraico fino al secolo XIX fu pressappoco la seguente: nella prima metà di questo periodo gli ebrei si spostarono dai paesi di cultura economica inferiore verso paesi di alta cultura economica, come l'Egitto e la Babilonia, mentre nella seconda metà di questo periodo emigrarono da paesi di alta cultura economica verso quelli di cultura economica bassa, come l'Europa orientale o l'Impero Ottomano, dove però erano al riparo dalle persecuzioni".
Dal canto loro, gli ebrei rimasti in Palestina si sono fusi con le altre popolazioni del paese finendo con l'arabizzarsi. Le ricerche etnologiche dimostrano, con buona pace dei sostenitori della "purezza" del popolo ebraico, che gli ebrei contemporanei discendono solo in minima parte dagli antichi ebrei, e sono nella stragrande maggioranza elementi giudaizzati, spesso nemmeno di origine semitica, originari del bacino del Mediterraneo e delle regioni meridionali dell'ex Unione Sovietica, per non parlare degli ebrei neri d'Etiopia, i falascia, solo di recente riconosciuti come ebrei a tutti gli effetti dalle autorità civili e religiose israeliane.
Per 18 secoli la storia della Palestina è rimasta estranea agli ebrei, non per una sorta di coatta cattività, ma per la sostanziale estraneità degli ebrei a questa terra.

LA NASCITA DEL SIONISMO

Il nazionalismo arabo e quello ebraico (sionismo) si sono venuti formando e si sono manifestati praticamente nello stesso periodo e, benchè siano nati a migliaia di chilometri l'uno dall'altro e in contesti totalmente diversi, erano destinati a incontrarsi e a scontrarsi tra di loro perché avevano in comune la terra sulla quale ritenevano che solo avrebbero potuto affermarsi e svilupparsi.
Esiste la tendenza diffusa a far risalire molto indietro nel tempo l'origine dello spirito nazionale arabo ed ebraico. Il sionismo affonderebbe le sue radici nientemeno che nell'età dei Profeti di Israele, mentre il nazionalismo arabo le affonderebbe nel califfato arabo-musulmano che si formò subito dopo la morte di Maometto nel VII secolo.
In realtà, sia il sionismo sia il nazionalismo arabo sono fenomeni recenti sorti e sviluppatisi nel quadro del risveglio delle nazionalità che ha caratterizzato la storia dei popolo a partire dal XIX secolo.

TEODOR HERZL

Il maggior artefice della rinascita ebraica e il maggior esponente del sionismo è stato un giornalista e scrittore nativo di Budapest, totalmente assimilato quando aveva cominciato ad occuparsi della questione degli ebrei: Teodor Herzl (1860-1904).
Solo dieci anni della sua breve vita furono dedicati alla causa sionista, ma in questi dieci anni egli seppe dispiegare un'attività così intensa e appassionata da dar corpo, da trasformare in un organismo politico moderno, con un preciso indirizzo teorico e pratico, quello che fino al suo irrompere sulla scena era stato piuttosto uno stato d'animo diffuso ma indistinto e un pullulare di gruppuscoli atomizzati e privi di un preciso punto di riferimento che non fosse una vaga attesa messianica.
L'incontro di Herzl con il sionismo avvenne casualmente nel 1894 quando era uno dei redattori capo dell'autorevole "Neue Freie Presse", uno dei maggiori giornali europei del tempo, e si trovava a Parigi come corrispondente del suo giornale quando esplose il "caso Dreyfuss" che assunse rapidamente un carattere violentemente antisemita.
Profondamente scosso dalla constatazione che l'ostilità antiebraica fosse tanto profondamente diffusa in Europa, Herzl maturò la convinzione che l'assimilazione degli ebrei fosse impossibile e che, quindi, l'unica soluzione concreta della questione che li riguardava fosse la creazione di uno Stato ebraico indipendente.
Convertitosi agli ideali sionisti pubblicò nel 1896 un libretto intitolato "Lo Stato degli ebrei. Saggio di una soluzione moderna della questione degli ebrei".
L' ideale politico di Herzl quale emerge dal suo scritto è l'ideale classista e antidemocratico di un piccolo-borghese mitteleuropeo amante dell'ordine (la polizia dello Stato degli ebrei avrebbe dovuto essere formata dal 10 per cento della popolazione maschile). E' estremamente indicativo il fatto che Herzl si rivolgerà alle masse dei diseredati ebrei dell'Europa orientale, per assicurare un seguito di massa al suo progetto, solo dopo che sarà fallito il tentativo di interessare al progetto sionista gli ebrei ricchi dell'Europa occidentale, con i quale egli si identificava profondamente.
Per Herzl la questione degli ebrei non era né sociale né religiosa, ma era una questione nazionale, perché gli ebrei, nonostante tutti gli sforzi di assimilarsi non vi riuscivano perché avevano perso l'assimilabilità sia perché continuavano ad essere considerati stranieri da tutti i popoli in mezzo ai quali vivevano. L'unica soluzione possibile della questione ebraica era dunque la creazione di uno Stato degli ebrei. Per la realizzazione di questo progetto Herzl contava sull'appoggio delle potenze europee, in particolare di quelle dove era più diffuso l'antisemitismo, alle quali faceva intravedere i vantaggi economici e sociali che avrebbero tratto dall'esodo massiccio degli ebrei.
Come territori dove creare lo Stato degli ebrei Herzl prendeva in considerazione l'Argentina e la Palestina. L'Argentina era uno dei paesi naturalmente più ricchi della terra, molto esteso, poco popolato e con un clima temperato. Quanto alla Palestina, scriveva Herzl, "è la nostra indimenticabile patria storica. Questo solo nome sarebbe un grido di raccolta potentemente avvincente per il nostro popolo. Se sua Maestà il sultano ci desse la Palestina, noi potremo incaricarci di mettere completamente a posto le finanze della Turchia. Per l'Europa noi costituiremmo laggiù un pezzo del bastione contro l'Asia, noi saremmo la sentinella avanzata della civiltà contro la barbarie. Noi resteremmo, in quanto Stato neutrale, in rapporti costanti con tutta l'Europa, che dovrebbe garantire la nostra esistenza. Per quanto concerne i Luoghi Santi della cristianità, si potrebbe trovare una forma di extraterritorialità in armonia col diritto internazionale."
Herzl, come i suoi predecessori non si poneva nemmeno il problema dell'esistenza di altri abitanti nei territori scelti per crearvi lo Stato degli ebrei. Come gli altri sionisti, a parte alcune rare e perciò tanto più lodevoli eccezioni, Herzl condivideva in pieno il pregiudizio eurocentrico secondo cui al di fuori dell'Europa ogni territorio poteva essere occupato dagli europei senza tenere conto alcuno dei diritti e delle aspirazioni degli abitanti. E' questo il peccato d'origine del sionismo che, sorto come movimento di liberazione nazionale del popolo ebraico, era costretto a cercarsi, in una prospettiva colonialistica, un territorio al di fuori dell'Europa perché nel Vecchio Continente non c'era un qualsiasi territorio che potesse essere rivendicato come proprio dagli ebrei.
La realizzazione degli obiettivi del sionismo era quindi condannata a compiersi a danno dei diritti nazionali di un altro popolo senza che, peraltro, la creazione di uno Stato degli ebrei portasse alla soluzione sionista della questione ebraica.
Di ciò si resero pienamente conto i teorici e i sostenitori del "sionismo spirituale", primo fra tutti Asher Ginzberg (Ahad Ha-am), il più lucido e profondo pensatore ebraico dei tempi moderni.
Il libretto di Herzl venne accolto con aspre critiche e ostilità negli ambienti ebraici. Alcuni critici lo considerarono un chimerico ritorno al messianismo medievale. Altri, come il gran rabbino di Vienna Moritz Gudemann, contestarono ""'elucubrazione del nazionalismo ebraico"" sostenendo che gli ebrei non costituivano una nazione e che in comune avevano solo la fede nello stesso Dio, e che il sionismo era incompatibile con l'insegnamento del giudaismo.
L'accoglienza fu fredda anche negli ambienti sionisti, in particolare in quelli dell'Europa orientale per i quali era essenziale la rinascita culturale degli ebrei.
La critica più severa e più pertinente fu quella di Ahad Ha-am, il maggiore esponente del sionismo spirituale secondo il quale nello Stato progettato da Herzl non era dato riscontrare nessuno di quei caratteri specificatamente ebraici, di quei grandi principi morali per i quali gli ebrei avevano vissuto e sofferto e per i quali ritenevano valesse la pena di operare per divenire di nuovo un popolo. Nonostante il poco incoraggiante esito del suo esordio sulla scena sionista nelle vesti di re-messia venuto a salvare e redimere il polo ebraico, Herzl si dedicò totalmente alla causa sionista facendosi instancabile ambasciatore del progetto di creazione di uno Stato degli ebrei presso il sultano, l'imperatore tedesco, il re d'Italia, il papa, i governanti britannici, e i potenti ministri che nell'impero zarista guidavano il movimento antisemita. Egli diede vita alla Jewish Society creando "l'Organizzazione Sionista Mondiale" che guidò fino alla sua morte. Nel 1987 egli organizzò a Basilea il primo congresso sionista mondiale e diede vita all'Organizzazione sionista mondiale, nella quale avveniva l'unificazione organizzativa e programmatica del sionismo orientale e di quello occidentale.
Gli sforzi principali per realizzare gli scopi del sionismo vennero fatti in direzione dell' Impero Ottomano. Herzl propose al Sultano Abdulhamid di risanare il debito pubblico ottomano in cambio della Palestina, ma la proposta venne rifiutata. Herzl si risolse allora di cercare altrove il territorio sul quale creare il focolare ebraico. Nel 1902 Herzl propose al governo di Londra la penisola del Sinai, la Palestina egiziana o Cipro. Il governo britannico, scarsamente entusiasta della prospettiva di un massiccio afflusso nel Regno Unito di ebrei dall'Europa orientale, soprattutto dalla Romania, decise di contribuire alla creazione della sede ebraica in un territorio del Mediterraneo orientale. Scartata per ragioni strategiche l'isola di Cipro, la scelta cadde sulla zona di ElArish, nella costa mediterranea del Sinai ma anche questo progetto cadde perché per approvvigionarlo d'acqua si sarebbe dovuto sottrarne in misura eccessiva da altre zone. Venne allora proposto l'insediamento ebraico nell'Africa orientale, in Uganda. Herzl presentò questa proposta al sesto congresso sionista e qui incontrò la decisa opposizione dei delegati dell'Europa orientale, soprattutto di quelli russi. Il progetto dell'Uganda venne definitivamente abbandonato nel corso del settimo congresso tenuto nel 1905, un anno dopo la morte di Herzl.

IL SIONISMO ARMATO : JABOTINSKY E IL REVISIONISMO

Nel panorama complesso ed estremamente vario delle ideologie e dei movimenti sionisti, una posizione di eccezionale importanza è occupata dal sionismo revisionista, la tendenza di estrema destra, sciovinista e aggressiva, con venature non superficiali di fascismo, che ha avuto il suo massimo teorico e organizzatore nell'ebreo russo Vladimir Jabotinsky (1880-1940). E questo non solo per la notevole personalità del suo fondatore, ma anche perché, al di là di tutte le apparenze e le dichiarazioni contrarie, quella estremista di Jabotinsky ha finito con l'essere la linea vincente, e perché l'ideologia revisionista ha permeato più profondamente di qualsiasi altra la realtà dello Stato di Israele, fino a diventare l'ideologia ufficiale con la conquista del potere in Israele, nel 1977, da parte di Menachem Begin che di Jabotinsky è il maggior erede.
Il credo politico ed ideologico di Jabotinsky può essere riassunto nei seguenti punti: cessazione del mandato britannico sulla Palestina; creazione immediata di uno Stato ebraico sulle due rive del Giordano (quindi anche in Transgiordania); educazione nazionalistica e militarista della gioventù; antimarxismo, anticomunismo e e antisovietismo di principio; conservatorismo economico; rifiuto della lotta di classe; mistica dello Stato; creazione di uno Stato autoritario e corporativo.

 

 

Uno dei primi campi profughi palestinesi dopo l'arrivo dei sionisti

 

 

La Nakbah degli ebrei non sionisti

Intervista a Michel Warschawski, intellettuale israeliano, di fronte al 61° anniversario della nascita d'Israele

Fonte wb

Figlio del rabbino capo di Strasburgo, Michel Warschawski aveva due parole possibili per definirsi, juif e hebreux. Ha scelto la seconda, colui che passa, che attraversa, ha scelto il confine, "un concetto non spaziale, ma sociologico, che implica un indagare costante sulla propria identità, sul Noi, in rapporto all'identità dell'Altro" - ha scelto l'inquietudine il dubbio, il pensiero inappagato e tutto Lorenzo Milani, quando l'obbedienza diceva, non è una virtù, ma la più subdola delle tentazioni.
Perché era il 1982 quando per la prima volta, chiamati in Libano, i riservisti decisero di non partire, sostenendo che il loro compito era difendere Israele, non avventurarsi in guerre di aggressione: e si firmarono così Yesh Gvul, "che ha un duplice significato, c'è un confine, ovvero quello libanese, che non attraverseremo, ma anche c'è un limite, ovvero non tutto è permesso. Perché a volte il confine è un limite da attraversare, quando separa mediante identità a tenuta stagna, ma altre volte è un limite da tutelare, quando protegge la propria autonomia sovranità, autodeterminazione. E allora è necessario a volte attraversare a volte presidiare, abitare il passaggio, il solo luogo dove è possibile espandere la propria libertà - il predefinito, l'assimilato, il confine ereditato in riflesso acritico".
E da qui, allora, anche l'Alternative Information Centre, per l'idea più semplice e eversiva: tradurre tra arabo e ebraico, perché "dopo Sabra e Chatila, in piazza erano 400mila, ma non più di quaranta avevano mai parlato con un palestinese che non fosse il cameriere". E perché invece come Nanni Moretti, le parole sono importanti, chi parla male pensa male, e vive male - in una guerra in cui come in ogni altra, definire è creare, vincere convincere, e il ministero più ambito non è il ministero della difesa, ma dell'istruzione.

"Ma questa non è una aggressione, è una guerra contro il terrorismo. Solo legittima difesa".
Tutte le guerre di Israele sono state e ancora sono guerre di aggressione - a essere precisi, Israele è in sé un'aggressione. Non sono ovviamente contro l'esistenza di Israele, ma la prima delle parole che ingannano, qui, è il 1948, la cosiddetta ‘guerra di indipendenza' - mentre è stata essenzialmente una guerra di conquista e espulsione. Siamo precipitati in pochi anni da gruppi terroristici, a stati canaglia, a popoli interi qualificati indistinti come minacce esistenziali, e l'evoluzione non è quantitativa ma qualitativa, non si combatte più contro una politica, un governo, un obiettivo specifico, ma contro pericoli dalle definizioni sempre più vaghe. D'altra parte, se davvero qui fosse questione di Hamas, anche l'ultimo degli analisti consiglierebbe l'intelligence, non certo l'esercito. Invece così diventa una guerra, termine non meno fuorviante di terrorismo: come se la quinta potenza militare al mondo stia fronteggiando una forza equivalente, i loro razzi di latta contro il nostro nucleare: ma conviene, no?, perché ‘in guerra tutto è permesso'. La degenerazione semantica puntella la degenerazione etica. L'intera società palestinese è diventata il cancro di Israele - è la criminalizzazione del nemico, è Carl Schmitt, l'injustus hostis contro cui tutto è lecito, fino all'annientamento: i civili non sono più vittime accidentali, danni collaterali, semplicemente perché non sono più civili. E l'icona di tutto questo è Gaza, una ‘entità nemica'. Una cosa astratta. Neppure più una popolazione.

"Ma non abbiamo scelta. Non abbiamo nessuno con cui parlare".
Non è vero, abbiamo sempre avuto ‘qualcuno con cui parlare'. Ma con la sola eccezione di Egitto e Giordania, abbiamo sempre scelto di sabotare ogni tentativo di negoziato. Con un ragionamento molto semplice: se il nemico è forte, trattare è rischioso, ma d'altra parte se il nemico è debole, perché trattare? Non si comprende questa logica se non si comprende che il sionismo non è un progetto che ha raggiunto il suo obiettivo, esaurito il proprio corso storico - come ha ricordato Sharon, la guerra di indipendenza non è ancora finita. Non si discute di confini tra due entità definite, ma dinamiche, in movimento. E allora quando il nemico è fragile, e disposto a concessioni, è il momento di lavorare non all'accordo, ma a una ulteriore espansione. La giustificazione secondo cui ‘non esiste nessuno con cui parlare' non è la causa, ma il fine della politica israeliana: impedire che di là dal Muro si consolidi un soggetto forte, credibile, capace e pronto al dialogo. Con Oslo, Israele ha riconosciuto l'Autorità Palestinese, ma continuando insieme a minare la sua continuità territoriale, a devastare sistematicamente le sue infrastrutture più basilari, a privarla di ogni risorsa e reale autonomia, ostacolando il conseguimento di qualsiasi risultato concreto: Oslo non è stato che il sub-appalto della sicurezza e repressione, l'intento di radicalizzare i palestinesi verso Hamas - e in definitiva, impedire l'emergere di una controparte per il negoziato.

"Ma i palestinesi non perdono mai l'opportunità di perdere un'opportunità".
Siamo noi la saracinesca di ogni opportunità. Il cosiddetto processo di pace non è stato che la creazione di una relazione neocoloniale con l'Autorità Palestinese, e cioè la pace nella proposta della sinistra - secondo cui Israele ha raggiunto la massima estensione possibile, e ora possiamo procedere alla separazione, individuando gli indigeni con cui collaborare. Dirla autonomia, o indipendenza, alla fine è indifferente. Si tratta comunque di cancellare i palestinesi. Eppure all'epoca il dibattito è stato intenso, l'esito di Oslo non era predeterminato: ma tutto è finito con l'assassinio di Rabin, quando la sinistra ha privilegiato l'unità nazionale, e dunque l'accordo con gli estremisti di destra, all'accordo con i palestinesi - i confini interni, invece che esterni. Il cosiddetto ‘disimpegno' da Gaza, o ‘riposizionamento' a seconda della propaganda scelta, è invece la pace vista da destra, il ritorno all'unilateralismo: per Rabin era il momento di stabilire il confine, per Sharon ancora no, il confine poteva essere solo la Giordania. Ma il problema rimane lo stesso: convertire i palestinesi in ‘presenti-assenti'. Perché la deportazione non è più un'opzione realistica: e allora l'unica alternativa è escludere nei fatti i palestinesi dal paese, e sperare nel quiet transfer: incentivare l'emigrazione minando le condizioni di vita. Israele oggi è un gigantesco emmenthal, una mappa piena di buchi - e quei buchi, quella rimozione collettiva sono i palestinesi. Ma più in generale, e è evidente con Annapolis, ormai è la stessa retorica delle ‘conferenze di pace' a ingannare. Si guarda agli invitati. Bisogna invece guardare agli assenti. Conferenze di pace che escludono Hamas, ovvero la maggioranza dei palestinesi secondo democratiche elezioni, sono conferenze di guerra - non sono opportunità. Ma fondamentalmente io non penso che l'oppressore abbia titolo a giudicare l'oppresso, la tattica e efficacia della sua resistenza. Posso criticare solo se sono capace di indicare altre strade. Fossi palestinese, probabilmente avrei molto da non condividere: ma come israeliano, ho scelto di non giudicare. Dovrei forse dire ai palestinesi che colpire civili rende la battaglia meno popolare presso il loro nemico? Per me la dicotomia non è tra violenza e non violenza, ma resistenza e terrorismo: e la differenza non è semantica, ma giuridica, perché la resistenza armata è legittima - è il terrorismo, il colpire indiscriminato i civili, a essere illegittimo: anche quando le bombe piovono dagli aerei di Israele.

"Ma questa è un'occupazione liberale e illuminata. Israele è la sola democrazia del Medio Oriente".
Non è possibile essere insieme etnici e democratici, il sionismo è incompatibile con la democrazia - e non solo quando aggredisce, ma anche quando difende Israele, ovvero la sua natura ebraica intesa demograficamente come composizione prevalentemente ebraica: perché la democrazia è convivenza tra diversi, senza discriminazioni. La nozione israeliana di democrazia è esclusivamente procedurale: elezioni e principio di maggioranza. Ma la democrazia non si può svuotare di diritti, di cittadinanza. La democrazia qui è una specie di piramide, con alla base, larga, piena, gli ebrei israeliani, a cui è consentita anche la dissidenza. Ma poi si passa agli arabi israeliani, in particolare i loro diritti di proprietà e residenza, e l'eguaglianza viene immediatamente meno. Poi ancora i palestinesi dei territori, occupati, non amministrati, e derubati dunque completamente della democrazia. E al vertice, infine, i palestinesi della diaspora - derubati di molto più che la democrazia. Ma non solo. Perché per ogni diritto si ha sempre la possibilità permanente - e giuridicamente lecita, questo è l'aspetto cruciale - di eccezioni: e come insegna Carl Schmitt, sovrano è chi decide dello stato di eccezione. E non è responsabilità solo del governo, qui, o dell'esercito, o dei coloni. Il governo decreta, i tribunali confermano, la società accetta. In televisione sono frequenti i talk show del tipo ‘deportazione, sì o no?' - è una nuova, perversa normalità. In sessant'anni siamo passati da prigionieri a carcerieri, si spiega ai soldati come entrare in un refugee camp secondo la tecnica dei tedeschi nel ghetto di Varsavia... Già, ora siamo davvero una nazione come le altre nazioni.

"Ma uno stato ebraico è incompatibile con il ritorno dei palestinesi".
Il diritto al ritorno è un diritto inviolabile e indisponibile. Non è possibile mercanteggiare, su questo argomento: e certo poi non con un terzo in sostituzione del legittimo titolare. Prima che discutere di possibili opzioni soluzioni, percentuali, proiezioni, è necessario discutere di valori. Non ha senso parlare di un riconoscimento simbolico - una ammissione della propria parte di responsabilità nel dramma del 1948, come propone la sinistra, e dunque anche del diritto al ritorno, e in cambio però della rinuncia all'esercizio effettivo di questo diritto. Israele fu ammesso alle Nazioni Unite a condizione di rispettare la Risoluzione 194 dell'Assemblea Generale: i rifugiati sono una questione centrale, non marginale. Perché il diritto al ritorno, o meglio, il ritorno dei palestinesi, è fondamentale per gli israeliani stessi. Altrimenti rimarrà sempre una massa di disperati, in bilico precaria nei paesi vicini, in guerra con noi indipendentemente da ogni formale accordo di pace: e soprattutto, altrimenti l'ipocondria sarà qui la nostra sola forma di salute. Non è solo questione di rimarginare le ferite dei palestinesi, ma anche guarire gli israeliani dalla paura che li sfigura in persecutori. Il ritorno dei palestinesi è la condizione per un autentico ritorno degli ebrei in Medio Oriente.

"Ma buoni steccati, buoni vicini".
Conosciamo, drammatici, gli effetti del Muro sulla vita dei palestinesi, ma è tempo di domandarci quali siano gli effetti sulla vita, e la psiche, degli israeliani. Non è una barriera materiale, è qualcosa di più, perché la separazione non è una tecnica, qui, ma un valore - e la separazione non solo dai palestinesi, ma dal resto del mondo: è il pilastro dell'ideologia sionista, l'ebraicità, e dunque l'omogeneità dello stato. L'obiettivo non è l'eliminazione fisica dell'Altro, naturalmente, ma per il sionismo, intrinsecamente, l'Altro è un problema, non una ricchezza. Non è un Muro, è una filosofia politica. Si discute solo del suo tracciato, non della sua legittimità giuridica o etica, il dubbio è semplicemente dove collocarlo, se più o meno lungo la Linea Verde, includendo o escludendo quanti e quali insediamenti. Ma un Muro non può essere un confine, perché un confine implica reciprocità, che si decida insieme chi entra e chi esce, e a quali condizioni. Se a decidere è una sola delle parti, non si chiama confine, si chiama prigione: e infatti si parla di hafrada, una separazione appunto unilaterale, coercitiva, non consensuale, hipardouth - e hafrada è quello che l'olandese traduce apartheid. Con la sinistra che è pienamente complice di questa filosofia. Non si è mai confrontata con i palestinesi, ha sempre spiegato loro cosa fosse meglio, cosa realistico, cosa no - tutti gli israeliani hanno sempre avuto qualcosa da insegnare agli arabi: se solo avessero accettato la generosa offerta del 1947... L'unica differenza è il paternalismo: il colonialista di sinistra crede di fare tutto per il bene dei palestinesi - una sorta di razzismo compassionevole. Perché poi, appena il colonizzato non recita più disciplinato il ruolo che gli è stato assegnato, e non mendica favori, ma rivendica diritti, il colonialista si sente tradito nella sua fiducia: e allora, con la coscienza tranquilla, legittima moralmente tutto. Per gli israeliani la pace non è questione di giustizia, ma di sicurezza - ovviamente la loro sicurezza. E allora il confine non è più tra israeliani e palestinesi, per me, ma tra persone che cercano la pace e persone che non cercano la pace - o meglio, persone che hanno una diversa concezione di pace. Anche questa è una parola che inganna. Perché il problema è il tipo di pace perseguito. Per me la pace è necessariamente una pace giusta, l'accento è sull'aggettivo, e non sul sostantivo. Non solo l'assenza di guerra, ma la fine dell'occupazione.

"Ma Israele è la salvezza degli ebrei. Lei è un traditore. Un anti-semita".
Ma come posso tradire una causa che non ho mai sentito mia? L'identità israeliana è una identità povera, impermeabile non solo all'Altro, ma anche all'ebraismo. Il sionismo è una duplice nakbah: l'israeliano è solo l'ebreo alto biondo, gli occhi celesti, scolpito e reinventato tra scuola e esercito in nome di un mitico passato biblico vecchio di duemila anni - l'ebreo ariano. Sappiamo la tesi di molti: l'Olocausto è accaduto anche perché gli ebrei hanno consentito accadesse - la mia compagna, nata qui, chiamava ‘saponetta' tutti quelli che non le sembravano abbastanza forti. D'altra parte, è stata Golda Meir a dire senza mezzi termini che Israele ha bisogno, per esistere, di un ‘moderato antisemitismo'. Perché poi i confini sono anche i confini interni, quelli che tagliano trasversalmente uno stato: e spiegano molto dei confini esterni, dal momento che solo l'emergenza nazionale tiene insieme sefarditi e ashkenaziti, destra e sinistra, laici e religiosi. Solo la Palestina tiene insieme Israele. Ed è per questo che la pace spaventa. Perché a quel punto inizierà la battaglia per la nostra identità... Cosa rimane di un israeliano, oltre il sionismo, oltre l'immagine in negativo di non-palestinese e non-arabo? Quando mi trasferii qui non scelsi Israele, ma Gerusalemme, questa pretesa capitale eterna e indivisibile che è in realtà la città meno israeliana di Israele. Una città irrimediabilmente ebraica, microcosmo della diaspora, un incalzare di periferie in cui si resisteva alla ruspa assimilatrice della modernità sionista, saldi nei propri accenti, le proprie tradizioni - perché le periferie, lontane dal centro, sono la possibilità di abitare la distanza: non solo guardare l'Altro, ma essere l'Altro. Il dubbio, sempre, il ripensamento, ancorati al tempo invece che allo spazio, la propria storia e cultura come la propria unica vera patria. Fino al 1967, Gerusalemme era fisicamente fuori da Israele. Ci si arrivava lungo una strada incuneata in territorio giordano. Era un altro mondo. E i cartelli infatti dicevano: attenzione, confine.

Scusi, ma allora perché non vivere altrove?
Non amo questa domanda. Il luogo in cui si vive non dice tutto di una persona. Quello che importa è cosa si fa o non fa, nel luogo in cui si vive - non erano criminali i tedeschi rimasti in Germania, ma quelli rimasti in Germania senza reagire al nazismo. Vivo in questo paese semplicemente perché è bellissimo. Partire non è un valore, solo una libera scelta, una scelta legittima, ma che non condivido - perché sarebbe anti-palestinese, non anti-israeliana. Bisogna rimanere qui. La parola più affilata è la parola concreta - la resistenza, da questa parte del Muro, è la normalità di chi non vive tra nemici, ma vicini. E poi - partire per dove? La questione palestinese non è che il laboratorio di una guerra globale neoliberista, preventiva e permanente, di una nuova narrazione dominante, quella dello scontro di civiltà. E è qui che il confine si fa frontiera, nel senso americano dei cowboy, l'inizio del selvaggio West, lo spazio della conquista e della dismisura. Non esistono più conflitti locali, solo fronti locali di un'unica guerra per la ricolonizzazione del mondo, attraverso istituzioni e valori presunti universali in nome di una nuova religione, quella per cui al di fuori del mercato non esiste salvezza - un apartheid planetario di centri contro periferie. Nessuno è illeso, nessuno è immune, si chiama Schengen il vostro Muro.

 

 

APPENDICE - 1

Albert Einstein contro il sionismo

Albert Einstein: "Lettera di condanna al sionismo"

Dicembre 1948 - Lettera al New York Times

www.rense.com/general27/let.htm

Si riporta nella sua completezza una lettera al New York Times inviata da intellettuali ebrei tra cui Albert Einstein, Hannah Arendt and Sidney Hook che fu pubblicata il 4 Dicembre 1948. La lettera è solo segnalata da vari siti, ma in nessuno è pubblicata interamente mentre sembra utile divulgarla nella sua interezza originale

AGLI EDITORI DEL NEW YORK TIMES:

Fra i fenomeni più preoccupanti dei nostri tempi emerge quello relativo alla fondazione, nel nuovo stato di Israele, del Partito della Libertà (Tnuat Haherut), un partito politico che nella organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell'azione sociale appare strettamente affine ai partiti Nazista e Fascista. E' stato fondato fuori dall'assemblea e come evoluzione del precedente Irgun Zvai Leumi, una organizzazione terroristica, sciovinista, di destra della Palestina.

L'odierna visita di Menachem Begin, capo del partito, negli USA è stata fatta con il calcolo di dare l'impressione che l'America sostenga il partito nelle prossime elezioni israeliane, e per cementare i legami politici con elementi sionisti conservativi americani. Parecchi americani con una reputazione nazionale hanno inviato il loro saluto. E' inconcepibile che coloro che si oppongono al fascismo nel mondo, a meno che non sia stati opportunamente informati sulle azioni effettuate e sui progetti del Sig. Begin, possano aver aggiunto il proprio nome per sostenere il movimento da lui rappresentato.

Prima che si arrechi un danno irreparabile attraverso contributi finanziari, manifestazioni pubbliche a favore di Begin, e alla creazione di una immagine di sostegno americano ad elementi fascisti in Israele, il pubblico americano deve essere informato delle azioni e degli obiettivi del Sig. Begin e del suo movimento.

Le confessioni pubbliche del sig. Begin non sono utili per capire il suo vero carattere. Oggi parla di libertà, democrazia e anti-imperialismo, mentre fino ad ora ha apertamente predicato la dottrina dello stato Fascista. E' nelle sue azioni che il partito terrorista tradisce il suo reale carattere, dalle sue azioni passate noi possiamo giudicare ciò che farà nel futuro.

Attacco a un villaggio arabo

Un esempio scioccante è stato il loro comportamento nel villaggio Arabo di Deir Yassin. Questo villaggio, fuori dalle strade di comunicazione e circondato da terre appartenenti agli Ebrei, non aveva preso parte alla guerra, anzi aveva allontanato bande di arabi che lo volevano utilizzare come una loro base. Il 9 Aprile, bande di terroristi attaccarono questo pacifico villaggio, che non era un obiettivo militare, uccidendo la maggior parte dei suoi abitanti (240 tra uomini, donne e bambini) e trasportando alcuni di loro come trofei vivi in una parata per le strade di Gerusalemme. La maggior parte della comunità ebraica rimase terrificata dal gesto e l'Agenzia Ebraica mandò le proprie scuse al Re Abdullah della Trans-Giordania. Ma i terroristi, invece di vergognarsi del loro atto, si vantarono del massacro, lo pubblicizzarono e invitarono tutti i corrispondenti stranieri presenti nel paese a vedere i mucchi di cadaveri e la totale devastazione a Deir Yassin.

L'accaduto di Deir Yassin esemplifica il carattere e le azioni del Partito della Libertà.

All'interno della comunità ebraica hanno predicato un misto di ultra-nazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale. Come altri partiti fascisti sono stati impiegati per interrompere gli scioperi e per la distruzione delle unioni sindacali libere. Al loro posto hanno proposto unioni corporative sul modello fascista italiano. Durante gli ultimi anni di sporadica violenza anti-britannica, i gruppi IZL e Stern inaugurarono un regno di terrore sulla Comunità Ebraica della Palestina. Gli insegnanti che parlavano male di loro venivano aggrediti, gli adulti che non permettavano ai figli di incontrarsi con loro venivano colpiti in vario modo. Con metodi da gangster, pestaggi, distruzione di vetrine, furti su larga scala, i terroristi hanno intimorito la popolazione e riscosso un pesante tributo. La gente del Partito della libertà non ha avuto nessun ruolo nelle conquiste costruttive ottenute in Palestina. Non hanno reclamato la terra, non hanno costruito insediamenti ma solo diminuito la attività di difesa degli Ebrei. I loro sforzi verso l'immigrazione erano tanto pubblicizzati quanto di poco peso e impegnati principalmente nel trasporto dei loro compatrioti fascisti.

Le discrepanze

La discrepanza tra le sfacciate affermazioni fatte ora da Begin e il suo partito, e il loro curriculum di azioni svolte nel passato in Palestina non portano il segno di alcun partito politico ordinario. Ciò è, senza ombra di errore, il marchio di un partito Fascista per il quale il terrorismo (contro gli Ebrei, gli Arabi e gli Inglesi) e le false dichiarazioni sono i mezzi e uno stato leader l'obbiettivo.

Alla luce delle soprascritte considerazioni, è imperativo che la verità su Begin e il suo movimento sia resa nota a questo paese. E' maggiormente tragico che i più alti comandi del Sionismo Americano si siano rifiutati di condurre una campagna contro le attività di Begin, o addirittura di svelare ai suoi membri i pericoli che deriveranno a Israele sostenendo Begin. I sottoscritti infine usano questi mezzi per presentare pubblicamente alcuni fatti salienti che riguardano Begin e il suo partito, e per sollecitare tutti gli sforzi possibili per non sostenere quest'ultima manifestazione di fascismo.

 

Tutti i firmatari:

Isidore ABRAMOWITZ
Hannah ARENDT
Abraham BRICK
Rabbi Jessurun CARDOZO
Albert EINSTEIN
Herman EISEN, M.D.
Hayim FINEMAN
M. GALLEN, M.D.
H.H. HARRIS
Zelig S. HARRIS
Sidney HOOK
Fred KARUSH
Bruria KAUFMAN
Irma L. LINDHEIM
Nachman MAISEL
Seymour MELMAN
Myer D. MENDELSON
M.D. Harry M. OSLINSKY
Samuel PITLICK
Fritz ROHRLICH
Louis P. ROCKER
Ruth SAGIS
Itzhak SANKOWSKY
I.J. SHOENBERG
Samuel SHUMAN
M. SINGER
Irma WOLFE
Stephan WOLF

New York, Dec. 2, 1948

 

 

APPENDICE - 2

Intervista rilasciata dal vescovo polacco Tadeusz Pieronek. 

Fonte web

Monsignor Pieroneck, già amico di papa Woitijla e da sempre su posizioni moderate, nella sua intervista ha indicato una serie di punti su cui bisogna interrogarsi, e che il sottoscritto in qualche modo ha già espresso nel passato. 

Il Vescovo ha prima di tutto dichiarato che «per un corretto e serio dibattito storico, libero da pregiudizi e vittimismi, gli ebrei dovrebbero chiedersi e domandarsi: che cosa fecero gli ebrei americani e le forze alleate in guerra per evitare quelle tragedie? Poco o niente». 

All’accusa di antisemitismo rivolta alla nazione polacca da Riccardo Pacifici della Comunità ebraica di Roma, nel corso del programma “In mezz’ora” condotto da Lucia Annunziata, Pieroneck ha risposto: «La Polonia non ha mai nutrito sentimenti contrari agli ebrei. Chi presenta in questo modo la nostra nazione, é ingiusto e sbaglia. La trovo un’invenzione offensiva per il nostro popolo». 

E poi ha proseguito: «Quest’accusa viene da persone che la storia non la hanno studiata. Nei campi di concentramento é innegabile che la maggior parte dei morti furono ebrei, ma nella lista ci sono zingari polacchi, italiani e cattolici. Dunque non é lecito impossessarsi di quella tragedia per fare della propaganda. La Shoah come tale é una “invenzione ebraica”. Si potrebbe allora parlare con la stessa forza e fissare una giornata della memoria, anche per le tante vittime del comunismo, dei cattolici e cristiani perseguitati e così via. Ma loro, gli ebrei, godono di buona stampa perché hanno potenti mezzi finanziari alle spalle, un enorme potere e l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti e questo favorisce una certa arroganza che trovo insopportabile». 

Sul perché la Giornata della Memoria venga “strumentalizzata”, l’alto prelato polacco ha dichiarato: «La Shoah viene usata come arma di propaganda e per ottenere vantaggi spesso ingiustificati. Lo ribadisco, non é storicamente vero che nei lager siano morti solo ebrei, molti furono polacchi, ma queste verità oggi vengono quasi ignorate e si continua con questa barzelletta nei confronti della Polonia». 

Alla domanda se oggi gli israeliani rispettino i diritti umani dei palestinesi, l’alto prelato ha dichiarato: «Vedendo le immagini di quel muro non si può non affermare che si commette una colossale ingiustizia nei confronti dei palestinesi che sono trattati come animali e i loro diritti umani (nella Striscia di Gaza e nei Territori occupati) sono a dir poco violati. Ma di queste cose, complici le lobbies internazionali, si parla poco. Si faccia una giornata della memoria anche per loro. Certo, tutto questo non smentisce la vergogna dei campi di concentramento e le aberrazioni del nazismo». 

 

 

APPENDICE - 3

 

Don Curzio Nitoglia Palermo 16-4-2010 - parte I

 

Don Curzio Nitoglia Palermo 16-4-2010 - parte 2

 

Don Curzio Nitoglia Palermo 16-4-2010 - parte 3

 

PALESTINE - IRON WALL- IL MURO DI FERRO - parte 1

 

PALESTINE - IRON WALL- IL MURO DI FERRO - parte 2

 

PALESTINE - IRON WALL- IL MURO DI FERRO - parte 3

 

PALESTINE - IRON WALL- IL MURO DI FERRO - parte 4

 

PALESTINE - IRON WALL- IL MURO DI FERRO - parte 5

 

PALESTINE - IRON WALL- IL MURO DI FERRO - parte 6

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Ebreo, non sionista

Intervista allo storico Yakov Rabkin, autore del libro In nome della Torah

Yakov Rabkin è professore titolare di una cattedra presso il dipartimento di Storia dell'Università di Montreal e membro del Centro Canadese di studi germanici ed europei. Nel suo libro In nome della Torah, Rabkin affronta la storia dell'opposizione giudaica al sionismo. Argomento spinoso, di cui si parla poco ma che si rivela cruciale per capire la differenza tra due concetti, spesso confusi ed erroneamente sovrapposti, l'essere sionisti e l'essere ebrei.

 

Dichiarazione di solidarietà degli ebrei di Neturei Karta con il popolo

 palestinese In occasione della commemorazione della Nakba

 

Che la benedizione del Creatore sia su di Voi, nostri cari fratelli, popolo palestinese che soffre da lungo tempo. Noi, Di Neturei Karta Internazionale, Vi salutiamo da Gerusalemme, New York, Londra e da tutto il mondo. Come molti di Voi sapranno già, il movimento sionista è stato contrastato da ebrei ortodossi osservanti sino dall’inizio. Gli ebrei ortodossi hanno sempre creduto che per Decreto Divino il popolo ebreo sia tenuto a rimanere in esilio e vivere come cittadini leali nelle nazioni che li ospitano fino a che l’Onnipotente non avr? deciso la redenzione dell’umanità intera.

 

Israele, giudaismo e sionismo

Il sionismo visto da un rabbino antisionista. Conferenza del Rabbino Ahron Cohen alla Birmingham University, Inghilterra, 26 Febbraio 2003 - Permettetemi innanzitutto di dichiarare in termini categorici che il giudaismo e il sionismo sono incompatibili. Essi sono diametralmente opposti.

 

Vecchie foto contro vecchie bugie

La Palestina era «già» un giardino, prima dell’arrivo degli eletti. Era raro trovare un terreno lasciato incolto: dappertutto orti, palme, agrumeti, oliveti assediavano le città e i villaggi, frutto di una agricoltura intensiva e specializzata. I palestinesi avevano mercati internazionali ben consolidati, rubati poi dagli ebrei nel 1948 con la nazionalizzazione. Scuole di Stato, squadre di calcio, spirito nazionale, boy-scout, lavoro specializzato e mercati affollati.

 

BIBLIOGRAFIA: per un necessario inquadramento storico/sistematico leggere: S. Levi Della Torre “Essere fuori luogo” Ed. Donzelli 1995.