SIONISMO, VERO

PERICOLO GLOBALE:

 

QUALCUNO IN AMERICA TEME UN ATTACCO

ALL'IRAN SENZA CONSENSO USA

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

Rabbino ebreo che protesta

contro il sionismo

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

M.O.: NETANYAHU, INSEDIAMENTI

GERUSALEMME EST ANDRANNO AVANTI

 

(ASCA-AFP) - Gerusalemme, 15 mar - Dopo la brutta figura diplomatica fatta durante la visita in Israele del vice presidente Usa Joe Biden e le successive scuse, il primo ministro israeliano Benjamin Natanyahu è tornato oggi ad assumere un atteggiamento di sfida sulla questione degli insediamenti ebrei a Gerusalemme est, condannati da tutta la comunità internazionale. ''Le costruzioni a Gerusalemme andranno avanti come è stato negli ultimi 42 anni'', ha detto Netanyahu, facendo riferimento all'annessione israeliana della zona est di Gerusalemme conquistata dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967.

La scorsa settimana l'annuncio della realizzazione di 1.600 nuove case per i cittadini ebrei aveva provocato l'irritazione di Washington e lo stop ai colloqui di pace, sponsorizzati dagli Usa, da parte dei palestinesi.

 

 

 

 

Usa: Lobby filo-Israele preoccupate

In merito a dichiarazioni membri del governo di Obama

 

ANSA) - WASHINGTON, 15 MAR - Le recenti dichiarazioni dell'amministrazione Obama sui legami Usa-Israele preoccupano alcune lobby americane filo israeliane. In particolare il maggiore gruppo pro-israeliano statunitense, il Comitato per gli affari pubblici israelo-americani (neo-con).
Alti esponenti dell'amministrazione Obama, come il vicepresidente Joe Biden e il segretario di stato Hillary Clinton, hanno criticato duramente l'annuncio da parte di Israele di un progetto di colonizzazione di Gerusalemme est.

 

 

 

L'Ue: 'illegali' i nuovi alloggi a Gerusalemme est
 

GERUSALEMME - GRR / Esteri  15/03/10 - 19:23

Medio Oriente. Il premier israeliano Netanyahu ha annunciato che il piano per costruire nuovi alloggi a Gerusalemme est, come è programmato, andrà avanti. Il capo del governo ha fatto questa dichiarazione nonostante l'irritazione degli Stati Uniti sulla questione dei nuovi insediamenti. Il capo della diplomazia Ue Catherine Ashton: la decisione di Israele di costruire nuovi alloggi a Gerusalemme est "è illegale e mette in pericolo l'accordo provvisorio per i negoziati indiretti israelo-palestinesi". Intanto l'Autoritaà nazionale palestinese ha ribadito il suo "no" all'avvio di colloqui con Israele se non ci sarà uno stop alla costruzione di nuove case per il coloni ebraici.

 

 

 

 

L'ammiraglio americano Mike Mullen

 

 

 

 

Mullen preoccupato di

un attacco israeliano all’Iran

Fonte web

L’Ammiraglio Mike Mullen, capo di Stato Maggiore della Difesa, è tornato sudato dalla sua visita in Israele a febbraio. Si è preoccupato ad alta voce che Israele intrappoli gli USA in una guerra con l’Iran.

La cosa è particolarmente preoccupante perchè Mullen ha una lunga esperienza nel frenare simili piani israeliani nel passato. Questa volta sembra convinto che i leader israeliani non abbiano preso sul serio i suoi avvertimenti, nonostante il linguaggio particolarmente forte cui è ricorso.

Al suo arrivo a Gerusalemme il 14 febbraio Mullen non ha perso tempo a spiegare perchè era venuto. Ha insistito pubblicamente che un attacco all’Iran sarebbe “un grosso, grosso, grosso problema per tutti noi, e mi preoccupo molto per le conseguenze non volute”.
In una conferenza stampa al Pentagono il 22 febbraio Mullen ha detto la stessa cosa, in parte con lo stesso linguaggio. Dopo avere recitato le solite litanie sull’Iran che “marcia per conseguire armamenti nucleari” e sul suo “desiderio di dominare i vicini” ha detto, con commenti preparati da prima:

"Mi preoccupo molto delle conseguenze non volute di qualunque azione militare. Per ora le leve diplomatiche ed economiche della potenza internazionale sono e devono essere quelle da usare. Anzi spero che siano usate sempre e costantemente. Nessun attacco, per quanto efficace, sarà per se stesso decisivo".

Rispondendo a una domanda sull’efficacia degli attacchi militari al programma nucleare dell’Iran Mullen ha detto che tali attacchi “lo ritarderebbero da uno a tre anni”. Sottolineando il punto, ha aggiunto che è questo quello che voleva dire, che “un attacco militare non sarebbe decisivo”.

Non si parla a vanvera della guerra

A differenza di generali più giovani come David Petraeus e Stanley McChrystal, l’Ammiraglio Mullen ha prestato servizio nella guerra del Vietnam. Pare probabile che questa esperienza abbia motivato l’apparentemente irrilevante commento filosofico alla conferenza stampa: “Vorrei ricordare a tutti una verità essenziale: la guerra è sanguinosa e sbilanciata. È sporca, brutta e incredibilmente costosa, ma questo non significa che non valga il costo”.

Anche se l’immediato contesto per il commento era l’ Afghanistan, Mullen ha sottolineato più e più volte che la guerra con l’Iran sarebbe un disastro molto più grande. Quelli che sanno qualcosa di valori militari, strategici ed economici in gioco, sanno che ha ragione.

Il licenziamento di "Fox"

Ricordiamo che uno dei contemporanei nel Vietnam di Mullen, l’Ammiraglio William "Fox" Fallon fu giubilato come comandante del CENTCOM nel marzo 2008 per avere detto cose tipo che la guerra con l’Iran “non accadrà finchè ci sono io”. Fallon ha apertamente approvato negoziati con l’Iran come unico ragionevole approccio e ha aspramente criticato il “costante rullo di tamburi” in favore della guerra.

L’atteggiamento di Fallon pare essere condiviso dal più politicamente cauto, e meno retoricamente brusco, Mullen, mentre lo stesso rullo di tamburi di guerra-coll’Iran raggiunge oggi un nuovo crescendo. A Fallon ripugnava l’idea di dover ricevere un ordine ispirato da gente come l’allora Vice Presidente Dick Cheney e il Deputy National Security Adviser Elliott Abrams di mandare truppe americane in quella che sarebbe stata sicuramente – come la descriverebbe Mullen – una guerra "sanguinosa, sbilanciata, sporca, brutta e incredibilmente costosa".

Quanto fosse forte la pressione dell’amministrazione Bush per attaccare l’Iran e/o dare a Israele un “semaforo verde” per attaccare per prima, si legge fra le righe in uno scambio del 14 febbraio fra il conduttore Jonathan Karl di This Week della rete ABC News e l’ex Vice Presidente Cheney.

Karl: "Quanto è andata vicina l’Amministrazione Bush ad adottare azioni militari contro l’Iran?"
Cheney: "Di alcune cose ovviamente non posso ancora parlare. Sono sicuro che sono ancora classificate. Noi chiaramente non abbiamo mai preso quella decisione, non abbiamo mai varcato la linea di dire ‘ora mettiamo su un’operazione militare per risolvere il problema’ …”
Karl: "David Sanger del New York Times dice che gli israeliani sono venuti da voi, venuti presso l’Amministrazione nei suoi ultimi mesi e hanno chiesto certe cose, bombe anti bunker, rifornimento in volo, diritti di sorvolo, e che sostanzialmente l’Amministrazione ha esitato, non ha dato a Israele una risposta. Quello è stato uno sbaglio?"
Cheney: "Ancora non ne posso parlare. Sono sicuro che molte di queste discussioni sono ancora riservate" Karl: "Voglio chiederle: lei ha spinto per una linea più dura, anche in campo militare, in quegli ultimi mesi?"
Cheney: "Di solito sì"

Karl: "E rispetto all’Iran?"
Cheney: "Beh, ho reso pubbliche dichiarazioni nel senso che pensavo con molta convinzione che dovevamo avere un’opzione militare, e che probabilmente avremmo dovuto far ricorso alla forza militare per risolvere la minaccia rappresentata dall’Iran... (ma) non siamo mai arrivati al punto in cui il Presidente doveva prendere una decisione in un senso o nell’altro".

Pressioni rinnovate

Chiaramente queste pressioni sono riprese di nuovo nei primi 13 mesi dell’Amministrazione Obama. Oggi sembra che Mullen abbia rimpiazzato Fallon come il principale ostacolo militare ad esercitare l’opzione guerra contro l’Iran.

Dal suo recente atteggiamento e da molte affermazioni da quando è diventato il massimo capo militare del Paese nell’ottobre 2007, è evidente che Mullen non crede che una “guerra preventiva” contro l’Iran varrebbe il suo tremendo costo.

La retorica di Washington, riecheggiata dagli stenografi dei Fawning Corporate Media (FCM, media servili) negli scorsi otto anni ha portato una patina di rispettabilità al crimine internazionale della guerra d’aggressione, purchè sia lanciata o approvata dagli Stati Uniti. Con l’obbediente approvazione dei FCM, Bush e Cheney hanno venduto l’idea che tali attacchi possono essere giustificati per “prevenire” qualche futura ipotetica minaccia agli Stati Uniti o ai suoi alleati. Questa si è dimostrata una giustificazione a foglia di fico per l’invasione dell’Iraq sette anni fa.

L’Amministrazione Obama non è ancora del tutto uscita da questo modo di pensare.

In Qatar il 14 febbraio il segretario di Stato Hillary Clinton ha espresso preoccupazione su quella che lei chiama "crescente prova" di un tentativo iraniano di cercare armi nucleari, non perchè ciò “minacci direttamente gli Stati Uniti ma [perchè] minaccia direttamente molti nostri amici" – leggasi Israele.

Mullen, da parte sua, sembra ben conscio che la Costituzione che lui ha giurato di difendere non contempla il genere di guerra in cui può essere trascinato per difendere Israele. Quando studiava alla Naval Academy, i suoi professori insegnavano ancora che la Supremacy Clause della Costituzione (Article VI, Clause 2) stabilisce che i trattati ratificati dal Senato diventano “la suprema legge della nazione”.

Sarebbe, pura e semplice, una flagrante violazione di una legge suprema del Paese, la Carta delle Nazioni Unite ratificata dal Senato, se gli Stati Uniti si unissero in un attacco non provocato all’Iran senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle NU che sicuramente non verrà, come non è venuta per l’attacco all’Iraq.

Inoltre l’Ammiraglio Mullen sembra essere uno dei pochi americani a rendersi conto che non esiste un trattato di difesa reciproca fra gli Stati Uuniti e Israele e quindi gli USA non hanno alcun obbligo legale di saltare a difesa di Israele se scatena una guerra all’Iran. "In altre parole, in senso strettamente giuridico, Israele non è un nostro alleato”.

"Mi dispiace, non si può creare un alleato solo ripetendo continuamente la parola".

Ora, potrete sbuffare “Lo sanno tutti” che le realtà politiche in America impongono che le forze armate USA devono difendere Israele, indipendentemente da chi ha iniziatio il conflitto.

Eppure ci fu un periodo – dopo la guerra arabo-israeliana dal 1967 – in cui gli USA fecero dei passi sulla possibilità di un trattato di difesa reciproca, ritenendo che questo avrebbe potuto portare più calma nella regione, dando agli israeliani un maggiore senso di sicurezza.

Ma gli israeliani hanno gelato questa apertura. Il fatto è che questi trattati richiedono frontiere internazionali riconosciute e Israele non voleva in alcun modo rinunciare ai territori che aveva appena conquistato militarmente.

Inoltre i trattati di mutua difesa di solito impongono ad entrambe le parti un obbligo di informare l’altra se uno decide di attaccare un Paese terzo. Israele non voleva avere nulla che fare nemmeno con questo.

Questo retroscena quasi sconosciuto serve a capire perchè la mancanza di un trattato di mutua difesa è più che un cavillo giuridico.

Perché Mullen si preoccupa?

Se l’Ammiraglio Mullen è un vecchio esperto nel frenare gli israeliani, perchè ora è così visibilmente preoccupato? È abituato a leggere agli israeliani le regole del gioco. Cosa c’è di diverso ora?

L’ultima volta, a metà del 2008, Cheney e Abrams sostenevano una postura militare aggressiva verso l’Iran ma hanno perso il dibattito con Mullen e i suoi alti comandanti che – nei giorni finali dell’Amministrazione Bush – vinsero l’appoggio del presidente.

Quando l’allora Primo Ministro Ehud Olmert pareva intenzionato ad aprire le ostilità con l’Iran prima che Bush e Cheney lasciassero l’incarico, Bush mandò l’Ammiraglio Mullen in Israele per dire agli israeliani con parole non equivoche di non farlo. Mullen fu con piacere all’altezza del compito, in effetti superò se stesso.

Sappiamo dalla stampa israeliana che Mullen si spinse fino ad avvertire gli israeliani a non pensare nemmeno ad un altro incidente in mare come l’attacco israeliano alla USS Liberty dell’8 giugno 1967, che finì con 34 americani uccisi e più di 170 feriti. Col pieno appoggio di Bush, Mullen disse agli israeliani di togliersi dalla testa l’idea che il sostegno militare USA sarebbe stato un riflesso automatico nel caso che Israele in qualche modo avesse provocato ostilità aperte con l’Iran.

Mai prima di allora un comandante USA aveva rinfacciato così apertamente l’incidente della Liberty, che fu messo a tacere vergognosamente dalla amministrazione di Lyndon B. Johnson, dal Congresso e dalla stessa Marina.

La lezione che gli israeliani ricavarono dall’incidente della Liberty fu che potevano farla franca dall’omicidio, letteralmente, e rimanere indenni grazie alle realtà politiche negli Stati Uniti. Mai più, disse Mullen. Non avrebbe potuto sollevare un argomento più nevralgico.

Ripetiamo, allora qual’è la differenza adesso? Come spiegare la decisione di Mullen di continuare a esprimere le sue preoccupazioni su “conseguenze non volute”? Io credo che l’Ammiraglio abbia paura che le situazioni stiano per sfuggire di controllo. Se ci sarà la guerra non dipende dall’Ammiraglio Mullen, e nemmeno da Obama. Dipende soprattutto dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. E Mullen fa bene a preoccuparsi.

L’impressione che Netanyahu ha di Obama

È altamente probabile che Netanyahu abbia concluso che Barack Obama è, in gergo, un wuss, una pappamolla. Perchè, ad esempio, il presidente continua a mandare un’infinita processione dei più alti funzionari americani a Tel Aviv per implorare i loro corrispettivi israeliani, "per favore, fate un fioretto, non iniziate una guerra all’ Iran"?

Il Vice Presidente a ruota libera Joe Biden arriva lunedì, si spera con istruzioni più chiare di quello che ha allegramente detto alla ABC il 4 luglio 2009, che Israele è una “nazione sovrana” e quindi “ha diritto” di lanciare un attacco militare all’Iran, aggiungendo che Washington non avrebbe fatto nulla per dissuadere il governo israeliano.

Riuscirà questa volta Biden a non parlare a vanvera, oppure i suoi 40 anni d’esperienza nel Senato, a imparare come posizionarsi politicamente rispetto a Israele, di nuovo avranno il sopravvento?

Si può scommettere che Netanyahu se la ride di questa pagliaccesca ossequienza. Ma la sua impressione della spina dorsale di Obama, o relativa mancanza, è la chiave. Il primo ministro israeliano deve trarre delle conclusioni dalla riluttanza di Obama nell’usare come leva i 3 miliardi di dollari che gli USA danno ogni anno a Israele. Perchè semplicemente Obama non prende il telefono e mi ammonisce lui stesso, pensa probabilmente Netanyahu?

Obama ha una tale paura mortale della potente Likud Lobby che non riesce a telefonare? Il presidente ha forse paura che il suo capo dello staff, Rahm Emanuel, possa sentire la sua telefonata, e poi riferire la conversazione ai commentatori neoconservatori come Dana Milbank del Washington Post?

Benjamin Netanyahu ha avuto un sacco di tempo per valutare il nostro presidente. Il loro primo incontro nel maggio 2009 mi ha ricordato molto il disastroso incontro a Vienna fra un altro giovane presidente americano e Nikita Khrushchev nel giugno 1961. I sovietici presero le misure del presidente John Kennedy, e uno dei risultati fu la crisi dei missili a Cuba, che portò il mondo al massimo di pericolo mai toccato di distruzione nucleare.

Il primo ministro israeliano ha trovato che è possibile fare marameo alle ripetute implorazioni di Obama per un arresto delle costruzioni degli insediamenti illegali nei territori occupati, e senza conseguenze.

Inoltre Netanyahu ha visto Obama “calare le brache” più e più volte, in faccende domestiche, oltre che internazionali.

Netanyahu si vede come l’elemento dominate nel rapporto, in gran parte per la sterminata influenza della Likud Lobby con i legislatori e gli “opinion makers” americani – per non parlare dell’entratura che gli israeliani hanno presso il presidente stesso dato che uno dei loro più fedeli alleati, Rahm Emanuel, è capo dello staff della Casa Bianca. Nel mestiere dell’intelligence lo definiremmo un “agente di influenza”.

Il padre di Emanuel, Benjamin Emanuel, nacque a Gerusalemme e militò nell’Irgun, l’organizzazione di guerriglia sionista prima dell’indipendenza. Nella guerra del golfo del 1991, Rahm Emanuel, allora da poco trentenne, andò in Israele come volontario civile per lavorare con le Israeli Defense Forces, servendo in una base del nord.

Le preoccupazioni di Mullen

Netanyahu ha la massima fiducia nella solidità della sua posizione presso chi conta davvero nel Congresso, fra gli opinion-makers di Washington e anche nell’Amministrazione Obama. E mostra apertamente di essere tutt’altro che impressionato dal presidente.

Questi fattori aumentano la possibilità che Netanyahu decida di ricorrere a quel genere di provocazione che metterebbe Obama di fronte a una scelta obbligata sulla decisione di unirsi a Israele in un attacco all’Iran.

E allora Mullen continua a preoccuparsi – non solo sulle “conseguenze non volute” ma anche sulle conseguenze ben volute. La più immediata di queste potrebbe essere mettere Obama in trappola costringendolo a impegnare le forze americane in una guerra con l’Iran provocata.

E per quelli che amano dire che "non c’è nulla di nascosto" sappiano che in questo caso sembra fatto apposta.

Ben poco sembra assurdo in questi giorni. Vi ricordate il rapporto di Seymour Hersh sull’ufficio di Cheney che elaborava complotti per come meglio scatenare una guerra con l’Iran?

"Quella che più interessava me [Hersh] era, perchè non costruiamo nei nostri cantieri quattro o cinque MAS che sembrino i MAS iraniani. Ci mettiamo sopra i SEAL della Marina con un sacco di armi E la prossima volta che una nostra nave passa gli stretti di Hormuz, iniziamo una sparatoria".
In altre parole un altro incidente tipo Golfo del Tonkino, quello che il presidente Johnson usò per giustificare una grande escalation in Vietnam.

Un moderno incidente tipo Golfo del Tonkino nello stretto di Hormuz potrebbe essere anche più pericoloso, dato il ruolo vitale di quella rotta per le petroliere che mantengono l’economia del mondo.

La parte navigabile dello stretto di Hormuz è stretta, e gli incidenti ci succedono da soli, senza nememno doverci provare. Per esempio:

"DUBAI, United Arab Emirates (AP) – La sera dell’8 gennaio 2007, un sottomarino nucleare americano è entrato in collisione con una petroliera giapponese nello stretto di Hormuz, dove passa il 40% delle forniture di petrolio del mondo, hanno detto fonti ufficiali. La collisione fra la USS Newport News e la petroliera giapponese Mogamigawa è avvenuta circa alle 22:15 (ora locale) nello stretto di Hormuz mentre il sommergibile navigava in immersione".

AP, 20 Marzo 2009: "Il sommergibile nucleare USS Hartford e la nave anfibia USS New Orleans sono entrati in collisione nelle acque fra l’Iran e la penisola arabica oggi. Quindici marinai sulla Hartford sono rimasti leggermene feriti… la New Orleans ha riportato la rottura di un serbatoio riversando 25.000 galloni di diesel…. Le navi erano impegnate in consueti pattugliamenti di sicurezza su una rotta affollata".

Ripensate anche al bizzarro incidente fra i barchini iraniani che facevano evoluzioni e le navi della U.S. Navy nello stretto di Hormuz il 6 gennaio 2008.

Prevenire la guerra preventiva

Il Golfo Persico sarebbe il posto perfetto per gli israeliani per creare una provocazione che generi una rappresaglia iraniana che a sua volta porterebbe ad un attacco israeliano in grande stile sui siti nucleari iraniani. Dolorosamente consapevole di questo possibile scenario, l’Ammiraglio Mullen notò in una conferenza stampa il 2 luglio 2008 che il dialogo da militari a militari potrebbe portare “migliore comprensione” fra gli USA e l’Iran.

Se si devono ritenere genuine le preoccupazioni di Mullen (e io credo che lo siano) farebbe bene a resuscitare quell’idea e proporre formalmente un simile dialogo agli iraniani. Lui è la massima autorità militare degli Stati Uniti e non dovrebbe lasciarsi intimidire da agitatori neoconservatori più interessati a un cambio di regime a Teheran che a realizzare un modus vivendi e una riduzione della tensione.

Le seguenti due modeste proposte servirebbero non poco a evitare un confronto armato con l’Iran, che sia accidentale o provocato da coloro che vogliano davvero far precipitare la situazione, arrivare alle ostilità e coinvolgere gli USA.

1. Stabilire in canale di comunicazioni diretto fra i vertici militari a Washington e Teheran, al fine di ridurre il pericolo di incidente, errore di valutazione o attacco coperto.

2. Lanciare immediati negoziati fra alti ufficiali di Marina americani e iraniani per concludere un protocollo sugli incidenti in mare.

Un canale di comunicazione ha storicamente dimostrato la sua validità durante periodi di alta tensione. La crisi dei missili a Cuba del 1962 ha evidenziato la necessità di comunicazioni istantanee ad alto livello, e una “linea calda” fra Washington e Mosca fu realizzata l’anno dopo.

Quel collegamento diretto ha svolto un ruolo cruciale, per esempio, per evitare l’allargamento della guerra in Medio Oriente durante la Guerra dei Sei giorni del giugno 1967.

Un altro utile precedente è l’accordo “Incidents-at-sea” fra gli USA e l’URSS firmato a Mosca nel maggio 1972. Il periodo era un’epoca di alta tensione fra i due Paesi, compresi diversi incidenti navali non voluti che avrebbero potuto aggravarsi. L’accordo ridusse drasticamente la possibilità di incidenti simili.

Sarebbe difficile ai leader sia americani sia iraniani opporsi a misure di un tale buon senso. La stampa mostra che i massimi comandanti americani nel Golfo Persico sono a favore di passi simili. E, come abbiamo detto, l’Ammiraglio Mullen ha costantemente auspicato dialogo da militari a militari.

Nelle presenti circostanze diventa sempre più urgente discutere seriamente come i nostri due Paesi possano evitare un conflitto iniziato per incidente, errore di calcolo o provocazione. Nè gli USA nè l’Iran possono permettersi di lasciare che un evitabile incidente in mare esca fuori di controllo.

Con un minimo di fiducia reciproca, queste azioni di buon senso potrebbero trovare larga e immediata accettazione da entrambi i governi.

 

il presidente Shimon Peres e il vice di Obama Joe Biden

 

 

Fino a quando?

Fonte web

Il vice-presidente americano Joe Biden atterra in Israele, e il presidente Shimon Peres gli chiede subito di «espellere l’Iran dall’ONU». Contestualmente, Netanyahu gli annuncia che sta per creare altri 1.600 appartamenti illegali per soli ebrei a Gerusalemme Est: uno schiaffo in più alla implorante richiesta dell’amministrazione Obama di congelare (almeno temporaneamente) l’occupazione di terre che, in un futuro processo di pace, dovrebbero restare palestinesi.

Ma qui l’insulto non è solo ad un governo pietosamente ridicolo, che probabilmente non sarà riconfermato alle prossime elezioni. E’ un’umiliazione inflitta deliberatamente agli Stati Uniti d’America in quanto tali, l’alleato supremo di Israele. Ma invano si cerca una qualche reazione sui «grandi» media americani, per non parlare di quelli europei, una protesta, un altolà. Solo una cronachetta, in cui si dice che Joe Biden «condanna» gli insediamenti nuovi, e «assicura» Israele che sarà al suo fianco fino all’estremo contro l’Iran.

Nessuna voce che cerchi di spiegare che gli israeliani hanno dimostrato da anni di non volere alcun accordo coi palestinesi, e di volere invece – semplicemente – cacciarli via dalla Terrasanta, tutti, fino all’ultimo. Tutti accettano la versione autorizzata per simili comportamenti criminali – che Israele è in angoscia «per la sua stessa esistenza» – e nessuno che riveli alle opinioni pubbliche il vero motivo di questa arroganza delirante, di questo rifiuto di cedere un millimetro, e di riconoscere un qualunque diritto agli altri esseri umani: e il motivo è che Israele si vive in questa fase storica come il popolo-dio, a cui tutto è dovuto, a cui tutto è permesso.

Il solo a farlo è Gilad Atzmon, il grande ebreo che è uscito da Israele per diventare britannico. Lo fà in uno dei suoi articoli, che intitola: «Dalla terra promessa al pianeta promesso» , e che è fatto solo di foto. Queste:

 

 

Gilad Atzmon, senza parole, sta dicendo quel che tutti devono aver capito: che quanti più capi di Stato, Papi e governanti si prosternano a Israele, condonano le sue azioni, moltiplicano segnali di amicizia e sottomissione, tanto meno Israele si placa. I suoi atti compiuti diventano sempre più oltraggiosi, le umiliazioni che infligge sempre più arroganti. Ciò perchè Israele interpreta questi omaggi e sottomissioni come la «fine del tempo dei gentili» e l’inizio del suo regno messianico, come il sempre più imminente trionfo del popolo-dio.
E l’appetito di un dio non conosce confini. Ormai non si contenta più di occupare la terra promessa totalmente, sterminando ed espellendo chi la abita da secoli. Ha ragione Atzmon: ormai, il dio pretende il mondo per sè. Per sè solo.

Sì, perchè essi leggono nella Torah la promessa di Geremia (30, 10-11 e 46, 28): «Non temere Giacobbe servo mio, perchè io sono con te. Sì, sterminerò tutte le nazioni in cui ti ho fatto disperdere».
E’ esattamente questo il problema politico più tragico e centrale del nostro tempo, di cui occorre prendere coscienza: questi vivono nel delirio messianico, e – armati di 2-300 testate nucleari –  vedono il loro trionfo come sterminio delle «nazioni». Sono, oggi, il popolo più pericoloso del mondo.
A dirlo non siamo noi. Lo ha scritto Adiel Schremer, docente ebreo della Bar Illan University, nel suo saggio «Escathology, Violence and Suicide» del 2002 , a pagina 4:

William Boykin

Adiel Schremer

 «La costruzione della redenzione escatologica in termini di totale eradicazione delle nazioni, o almeno in congiunzione con tale aspettativa, ha la capacità di creare personalità violente... Perchè se si spera nella imminente redenzione di Dio, e si è ispirati dall’idea di una vittoria totale sui nemici di Israele come parte essenziale della redenzione, le tendenze violente (...) sono coltivate e favorite».

William Boykin

  Israel Yacob Yuval

 Lo conferma un altro studioso ebreo, Israel Yacob Yuval, nel suo volume «Two Nations in Your Womb» (Due nazioni nel tuo ventre», University of California Press, 2006),  citando preghiere ebraiche medievali che «dimostrano l’abisso di ostilità ed odio nutrito dagli ebrei medievali contro i cristiani. Non solo odio, ma l’invocazione a Dio di uccidere indiscriminatamente e senza limiti i gentili, insieme a vivide descrizioni degli orrori previsti e promessi contro i gentili: “inghiottiscili, colpiscili, impiccali, falli sanguinare, schiacciali, maledicili,... falli a pezzi, distruggili”».

Un m
ateriale abbondantissimo è quello che raccoglie Yuval, che dimostra (parole sue) «che abbiamo qui a che fare con una ideologia religiosa complessiva che vede la vendetta come elemento centrale della dottrina messianica». http://desip.igc.org/holo_lysson.html

Nessuna ulteriore prosternazione di Papi e capi di Stato, nessuna compiacenza e complicità nei loro delitti li può ammansire. Nelle scuole israeliane, si continua ad insegnare agli scolari la canzone «Ha’olam Ku’lo heg’denu», che significa letteralmente «Il mondo intero è contro di noi».

Ogni manifestazione di amicizia, sottomissione e offerta viene sentita da loro come un pericolo.

William Boykin

   Nahum Goldman

 Nel 1958 Nahum Goldman, rabbino e allora presidente del Congresso Ebraico Mondiale, si lagnò:  «L’attuale scomparsa dell’aperto antisemitismo può costituire un pericolo per la sopravvivenza di Israele». Leonard Fein, editore e direttore della rivista (ebraico.americana) Moment, parlando davanti alla Conference of Jewish Communal Service nel 1980 disse: «Per quanto ci preoccupino i danni che ci infliggevano un tempo i nostri nemici, oggi siamo ancor più preoccupati della maledizione dell’amicizia che incontriamo».

La maledizione dell’amicizia.

Come ha scritto Hannah Arendt in «The Origins of Totalitarianism» (1973), «l’eterno antisemitismo rappresenta una eterna garanzia per l’esistenza di Israele. Questa superstizione è una maschera secolarizzata dell’idea di eternità inerente in una fede (che consiste) nell’essere eletti».

William Boykin

 Martin Van Creveld

 L’amicizia dei goym è un pericolo. Ciò spiega le note parole di Martin Van Creveld, docente di storia militare alla Università Ebraica di Gerusalemme: «Possediamo centinaia di testate atomiche e posiamo lanciarle su bersagli in ogni direzione: anche Roma, anche la maggior parte delle capitali europei sono bersagli delle nostre forze armate». Van Creveld ha detto chiaro quel che tutti dovrebbero ormai aver capito: «I palestinesi devono essere deportati  tutti. La nostra gente sta aspettando solo il momento giusto e l’uomo giusto per realizzarlo».

Nessuna preoccupazione del giudizio degli altri popoli. Anzi: «Le nostre forze armate non sono la trentesima potenza mondiale, ma la seconda o la terza. Noi abbiamo la capacità di trascinare il mondo nell’abisso con noi. E posso assicurarvi che ciò avverrà, prima che Israele cada».
Il suicidio collettivo e la rovina dell’umanità intera sono parte del delirio messianico: se il sogno fallisce, «porteremo il mondo giù con noi». Masada e Sansone sono la prospettiva di riserva del delirio di onnipotenza. (Israeli Professor – ‘We Could Destroy All European Capitals’)

E il mondo intero condona a questi deliranti armati ogni omicidio mirato, ogni violazione del diritto internazionale, ogni genocidio e pulizia etnica. Anzi, l’ultima notizia è che i 30 Paesi membri dell’OCSE, con particolare entusiasmo gli europei, stanno facendo entrare Israele nell’organizzazione: «I vantaggi economici sono modesti», ha commentato Shir Hever, un economista israeliano, «ma Israele preme fortemente per farsi ammettere, perchè ritiene che l’ammissione conferirà legittimità internazionale alla sua occupazione» delle terre altrui. (Is Europe planning seal of approval for Israeli settlers?)
L’ammissione dunque inciterà il popolo-dio ancor più a distruggere, eradicare, ammazzare, e umiliare le potenze terrestri. Solo alcuni ebrei, da Gilad Atzmon a Norman Finkelstein, ci stanno dicendo la verità: «Stavolta abbiamo passato il segno», dice l’ultimo saggio di Finkelstein. Ma nessuno ascolta. ("This Time We Went Too Far")

Ma nessuno ascolta. L’America si fa umiliare dal Paese ch
e ha armato e mantenuto fino ad oggi, e assicura che farà per lui altre guerre; gli europei si profondono in nuove prosternazioni, in nuove e sempre più ridicole profferte, in nuovi mea culpa. Fino a quando?

Stiamo rischiando «la totale eradicazione» messianica. Lo accettiamo?
 

 

 

 

IL vice presidente Usa, Joseph Biden, e il presidente palestinese

Mahmoud Abbas (Abu Mazen), nel corso del loro incontro.

 

 

 

 

MO: Biden, colonizzazione

Israele mina sforzi pace

Germania: il nuovo piano di case e' inaccettabile

Fonte ansa - 10/03/10

RAMALLAH - La colonizzazione di Israele sta minando la fiducia dei palestinesi in nuovi negoziati di pace: e' quanto ha affermano il vice presidente americano Joe Biden a Ramallah, condannando ancora una volta la decisione israeliana di costruire 1600 nuove case a Gerusalemme est. Biden, che gia' ieri aveva condannato pubblicamente i nuovi progetti edilizi annunciati da Israele, ha rilasciato una dichiarazione a margine del suo incontro con Abu Mazen (Mahmud Abbas) nella sede di Ramallah della presidenza dell'Autorita' nazionale palestinese (Anp): dichiarazione nella quale ha fra l'altro reiterato il pieno sostegno di Washington alla nascita di un futuro Stato palestinese nell'ambito di un accordo di pace con Israele fondato sulla soluzione dei 'due Stati per due popoli'. ''E' compito di entrambe le parti costruire un clima di sostegno ai negoziati e non complicarne il cammino'', ha ammonito Biden, ribadendo che a giudizio degli Usa ''la decisione di ieri del governo israeliano di far avanzare i piani di edificazione di nuovi alloggi a Gerusalemme est mina esattamente la fiducia di cui c'e' bisogno adesso al fine di avviare e realizzare negoziati proficui''.

Quanto al futuro, il vice-Obama e' stato netto nel riaffermare l'impegno Usa a favore di ''uno Stato palestinese governabile e dotato di continuita''' territoriale. ''Deve essere chiaro a tutti - ha rimarcato - che non c'e' oggi alternativa alcuna alla soluzione dei due Stati, destinati a essere parte integrante di qualsiasi piano di pace globale''. Abu Mazen, da parte sua, ha avvertito che i negoziati potranno andare avanti solo se Israele adempira' con i fatti agli ''impegni del processo di pace'' e ''cessera' di compiere azioni che ne pregiudicano l'esito''. Biden, che gia' ieri aveva condannato pubblicamente la decisione israeliana di dare via libera ai 1600 nuovi alloggi, ha rilasciato una dichiarazione a margine del suo incontro con Abu Mazen (Mahmud Abbas) nella sede di Ramallah della presidenza dell'Autorita' nazionale palestinese (Anp): dichiarazione nella quale ha fra l'altro reiterato il pieno sostegno di Washington alla nascita di un futuro Stato palestinese nell'ambito di un accordo di pace con Israele fondato sulla soluzione dei 'due Stati per due popoli'. ''E' compito di entrambe le parti costruire un clima di sostegno ai negoziati e non complicarne il cammino'', ha ammonito Biden, ribadendo che a giudizio degli Usa ''la decisione di ieri del governo israeliano di far avanzare i piani di edificazione di nuovi alloggi a Gerusalemme est mina esattamente la fiducia di cui c'e' bisogno adesso al fine di avviare e realizzare negoziati proficui''. Quanto al futuro, il vice-Obama e' stato netto nel riaffermare l'impegno Usa a favore di ''uno Stato palestinese governabile e dotato di continuita''' territoriale. ''Deve essere chiaro a tutti - ha rimarcato - che non c'e' oggi alternativa alcuna alla soluzione dei due Stati, destinati a essere parte integrante di qualsiasi piano di pace globale''. Abu Mazen, da parte sua, ha avvertito che i negoziati potranno andare avanti solo se Israele adempira' con i fatti agli ''impegni del processo di pace'' e ''cessera' di compiere azioni che ne pregiudicano l'esito''.

GERMANIA; INACCETTABILE PIANO NUOVE CASE GERUSALEMME EST
BERLINO - Il governo tedesco ha definito oggi ''inaccettabile'' il piano di Israele di costruire 1.600 nuovi alloggi a Gerusalemme est. Secondo un portavoce del ministero degli Esteri, si tratta di un ''segnale completamente sbagliato, sia nei contenuti, sia nei tempi''. Adesso, ha sottolineato il portavoce, tutti gli sforzi politici dovrebbero concentrarsi sulla creazione delle condizioni necessarie all'avvio di negoziati onnicomprensivi tra Israele ed i palestinesi ''in modo da affrontare le questioni centrali del conflitto''.

MO: FAYYAD A BIDEN, PIANO ISRAELE UN SILURO A SFORZI PACE
GERUSALEMME - Il premier palestinese Salam Fayyad ha detto oggi al vice presidente Usa Joe Biden, che ha incontrato a Ramallah, che il nuovo controverso piano israeliano di costruire 1600 unita' abitative a Gerusalemme est in un rione ebraico, e' un siluro agli sforzi di pace. ''Non c'e' dubbio - ha detto - che questo gesto israeliano mina la fiducia nelle prospettive del processo di pace che noi tutti siamo molto interessati a rilanciare''. Il piano israeliano ha sollevato un'ondata di proteste palestinesi, internazionali e anche degli Stati Uniti. Lo stesso Biden ha condannato la decisione. ''La sostanza e il momento scelta per l'annuncio -ha detto-, in particolare con il varo dei colloqui indiretti, e' esattamente il tipo di atto che mina la fiducia di cui ora c'e' bisogno''. Intanto, secondo l'esponente dell'Olp Yasser Abed Rabbo, alcuni Stati membri della Lega Araba avrebbero deciso di ritirare il loro appoggio all'apertura dei colloqui di pace indiretti israelo-palestinesi con la mediazione degli Stati Uniti, in reazione al progetto edilizio israeliano. In un'intervista all' emittente 'Voce della Palestina', Rabbo ha detto che e' probabile una nuova riunione del comitato di monitoraggio della Lega Araba per discutere della questione. A suo dire le proteste internazionali all'iniziativa israeliana non saranno sufficienti se non saranno seguite da passi concreti.(ANSAmed).

MO: BIDEN; COLLERA DI BARAK DOPO ANNUNCIO PIANO EDILIZIO
GERUSALEMME - Il ministro della difesa israeliano Ehud Barak ha condannato in un incollerito comunicato l'annuncio dato ieri dal ministero dell'interno su un controverso piano di edilizia ebraica a Gerusalemme est che ha coinciso con la visita del vice presidente Usa Joe Biden e ha provocato la severa reazione degli Usa e dello stesso Biden. ''Il ministro della difesa Ehud Barak - si afferma nel comunicato - esprime la sua collera dopo l'annuncio superfluo (del progetto) che turba i negoziati di pace con i palestinesi, negoziati che sono del massimo interesse per Israele''. ''Un record di stupidita' diplomatica'' e' stato il commento di Kadima, il partito di maggioranza relativa all' opposizione, all'annuncio del ministero. Anche sui maggiori quotidiani del paese i commenti sono tutti molto aspri. ''E' difficile decidere quale possibilita' sia quella peggiore: che il premier Netanyahu abbia deciso di sabotare la ripresa dei negoziati di pace con i palestinesi anche a spese di una crisi nelle relazioni con l'amministrazione Obama o che abbia perso il controllo di una delle questioni piu' esplosive del Medio Oriente'' ha scritto il quotidiano Haaretz in un commento dal titolo ''Uno schiaffo (a Biden) udito in tutto il mondo''. ''L'uomo piu' vicino a Netanyahu a Washington - ha scritto il Maariv - ha ricevuto qui il trattamento abituale, a causa del quale l'ospite tornera' a casa furibondo, umiliato e assetato di vendetta''.

MO: GERUSALEMME EST; ONU CONTRO NUOVI INSEDIAMENTI, ILLEGALI
NEW YORK - Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha condannato oggi i piani israeliani per la costruzione di 1.600 nuovi insediamenti neI Territori occupati palestinesi, unendosi alle critiche espresse ieri dalla Casa Bianca. "Il segretario generale condanna l'approvazione da parte del ministero dell'Interno di Israele dei progetti di edificazione di 1.600 unità abitative a Gerusalemme Est", afferma in un comunicato il portavoce Martin Nesirky. "Ban ricorda che gli insediamenti sono illegali secondo le leggi internazionali", sottolinea la nota dell'Onu.

 IL PIANO

L'annuncio è stato dato ieri dal ministero dell' Interno israeliano, con un provvedimento che per alcuni oppositori ha il sapore della provocazione e che è stata condannata, fra gli altri, dalla Casa Bianca e dall'Autorità palestinese. E che appare anche uno schiaffo al vicepresidente Usa, Joe Biden, in visita ieri a Gerusalemme proprio nel tentativo di rilanciare il processo di pace. Le 1.600 "unità abitative" sono previste nell'insediamento ebraico ortodosso di Ramat Shlomo, lo stesso nel quale nel 2008 erano già state autorizzate 1.300 case, e il 30% sarà "riservato a giovani coppie". L'area - come hanno riconosciuto fonti ministeriali - é ben al di là della cosiddetta linea verde, ma è annessa al territorio municipale di Gerusalemme. Cosa che, stando alla linea del governo in carica, la rende parte inalienabile della "capitale eterna e indivisibile d'Israele", come scriveva una nota del ministero israeliano. Il permesso non è ancora esecutivo, ma ha già il placet del ministro Yishai.

 

 

APPROFONDIMENTO VIDEO

 

Attacco all'Iran

 

Israeliani pro palestinesi. Manifestazione

contro gli sfratti a Sheikh Jarrah

 

Sheikh Jarrah (Gerusalemme est) - Ora le famiglie

sono costrette a vivere in tende sul marciapiede

 

 

 

 

Israele e la pulizia etnica dei palestinesi (parte 1)

 

 

 

 

Israele e la pulizia etnica dei palestinesi (parte 2)