SIONISMO, VERO
PERICOLO GLOBALE:
QUALCUNO IN AMERICA TEME UN ATTACCO
ALL'IRAN SENZA CONSENSO USA
(a cura di Claudio Prandini)
Rabbino ebreo che protesta
contro il sionismo
INTRODUZIONE
M.O.: NETANYAHU, INSEDIAMENTI
GERUSALEMME EST ANDRANNO AVANTI
(ASCA-AFP) - Gerusalemme, 15 mar - Dopo la brutta figura diplomatica fatta durante la visita in Israele del vice presidente Usa Joe Biden e le successive scuse, il primo ministro israeliano Benjamin Natanyahu è tornato oggi ad assumere un atteggiamento di sfida sulla questione degli insediamenti ebrei a Gerusalemme est, condannati da tutta la comunità internazionale. ''Le costruzioni a Gerusalemme andranno avanti come è stato negli ultimi 42 anni'', ha detto Netanyahu, facendo riferimento all'annessione israeliana della zona est di Gerusalemme conquistata dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967.
La scorsa settimana l'annuncio della realizzazione di 1.600 nuove case per i cittadini ebrei aveva provocato l'irritazione di Washington e lo stop ai colloqui di pace, sponsorizzati dagli Usa, da parte dei palestinesi.
Usa: Lobby filo-Israele preoccupate
ANSA) - WASHINGTON, 15 MAR - Le recenti
dichiarazioni dell'amministrazione Obama sui legami Usa-Israele preoccupano
alcune lobby americane filo israeliane. In particolare il maggiore gruppo
pro-israeliano statunitense, il Comitato per gli affari pubblici
israelo-americani (neo-con).
Alti esponenti dell'amministrazione Obama, come il vicepresidente Joe Biden e il
segretario di stato Hillary Clinton, hanno criticato duramente l'annuncio da
parte di Israele di un progetto di colonizzazione di Gerusalemme est.
L'Ue: 'illegali' i nuovi alloggi a Gerusalemme est
GERUSALEMME - GRR / Esteri 15/03/10 - 19:23
Medio Oriente. Il premier israeliano Netanyahu ha annunciato che il piano per costruire nuovi alloggi a Gerusalemme est, come è programmato, andrà avanti. Il capo del governo ha fatto questa dichiarazione nonostante l'irritazione degli Stati Uniti sulla questione dei nuovi insediamenti. Il capo della diplomazia Ue Catherine Ashton: la decisione di Israele di costruire nuovi alloggi a Gerusalemme est "è illegale e mette in pericolo l'accordo provvisorio per i negoziati indiretti israelo-palestinesi". Intanto l'Autoritaà nazionale palestinese ha ribadito il suo "no" all'avvio di colloqui con Israele se non ci sarà uno stop alla costruzione di nuove case per il coloni ebraici.
L'ammiraglio americano Mike Mullen
Mullen preoccupato di
un attacco israeliano all’Iran
L’Ammiraglio Mike Mullen, capo di Stato
Maggiore della Difesa, è tornato sudato dalla sua visita in Israele a febbraio.
Si è preoccupato ad alta voce che Israele intrappoli gli USA in una guerra con
l’Iran.
La cosa è particolarmente preoccupante perchè Mullen ha una lunga esperienza nel
frenare simili piani israeliani nel passato. Questa volta sembra convinto che i
leader israeliani non abbiano preso sul serio i suoi avvertimenti, nonostante il
linguaggio particolarmente forte cui è ricorso.
Al suo arrivo a Gerusalemme il 14 febbraio Mullen non ha perso tempo a spiegare
perchè era venuto. Ha insistito pubblicamente che un attacco all’Iran sarebbe
“un grosso, grosso, grosso problema per tutti noi, e mi preoccupo molto per le
conseguenze non volute”.
In una conferenza stampa al Pentagono il 22 febbraio Mullen ha detto la stessa
cosa, in parte con lo stesso linguaggio. Dopo avere recitato le solite litanie
sull’Iran che “marcia per conseguire armamenti nucleari” e sul suo “desiderio di
dominare i vicini” ha detto, con commenti preparati da prima:
"Mi preoccupo molto delle conseguenze non volute di qualunque azione militare.
Per ora le leve diplomatiche ed economiche della potenza internazionale sono e
devono essere quelle da usare. Anzi spero che siano usate sempre e
costantemente. Nessun attacco, per quanto efficace, sarà per se stesso
decisivo".
Rispondendo a una domanda sull’efficacia degli attacchi militari al programma
nucleare dell’Iran Mullen ha detto che tali attacchi “lo ritarderebbero da uno a
tre anni”. Sottolineando il punto, ha aggiunto che è questo quello che voleva
dire, che “un attacco militare non sarebbe decisivo”.
Non si parla a vanvera della guerra
A differenza di generali più giovani come David Petraeus e Stanley McChrystal,
l’Ammiraglio Mullen ha prestato servizio nella guerra del Vietnam. Pare
probabile che questa esperienza abbia motivato l’apparentemente irrilevante
commento filosofico alla conferenza stampa: “Vorrei ricordare a tutti una verità
essenziale: la guerra è sanguinosa e sbilanciata. È sporca, brutta e
incredibilmente costosa, ma questo non significa che non valga il costo”.
Anche se l’immediato contesto per il commento era l’ Afghanistan, Mullen ha
sottolineato più e più volte che la guerra con l’Iran sarebbe un disastro molto
più grande. Quelli che sanno qualcosa di valori militari, strategici ed
economici in gioco, sanno che ha ragione.
Il licenziamento di "Fox"
Ricordiamo che uno dei contemporanei nel Vietnam di Mullen, l’Ammiraglio William
"Fox" Fallon fu giubilato come comandante del CENTCOM nel marzo 2008 per avere
detto cose tipo che la guerra con l’Iran “non accadrà finchè ci sono io”. Fallon
ha apertamente approvato negoziati con l’Iran come unico ragionevole approccio e
ha aspramente criticato il “costante rullo di tamburi” in favore della guerra.
L’atteggiamento di Fallon pare essere condiviso dal più politicamente cauto, e
meno retoricamente brusco, Mullen, mentre lo stesso rullo di tamburi di
guerra-coll’Iran raggiunge oggi un nuovo crescendo. A Fallon ripugnava l’idea di
dover ricevere un ordine ispirato da gente come l’allora Vice Presidente Dick
Cheney e il Deputy National Security Adviser Elliott Abrams di mandare truppe
americane in quella che sarebbe stata sicuramente – come la descriverebbe Mullen
– una guerra "sanguinosa, sbilanciata, sporca, brutta e incredibilmente
costosa".
Quanto fosse forte la pressione dell’amministrazione Bush per attaccare l’Iran
e/o dare a Israele un “semaforo verde” per attaccare per prima, si legge fra le
righe in uno scambio del 14 febbraio fra il conduttore Jonathan Karl di This
Week della rete ABC News e l’ex Vice Presidente Cheney.
Karl: "Quanto è andata vicina l’Amministrazione Bush ad adottare azioni militari
contro l’Iran?"
Cheney: "Di alcune cose ovviamente non posso ancora parlare. Sono sicuro che
sono ancora classificate. Noi chiaramente non abbiamo mai preso quella
decisione, non abbiamo mai varcato la linea di dire ‘ora mettiamo su
un’operazione militare per risolvere il problema’ …”
Karl: "David Sanger del New York Times dice che gli israeliani sono venuti da
voi, venuti presso l’Amministrazione nei suoi ultimi mesi e hanno chiesto certe
cose, bombe anti bunker, rifornimento in volo, diritti di sorvolo, e che
sostanzialmente l’Amministrazione ha esitato, non ha dato a Israele una
risposta. Quello è stato uno sbaglio?"
Cheney: "Ancora non ne posso parlare. Sono sicuro che molte di queste
discussioni sono ancora riservate" Karl: "Voglio chiederle: lei ha spinto per
una linea più dura, anche in campo militare, in quegli ultimi mesi?"
Cheney: "Di solito sì"
Karl: "E rispetto all’Iran?"
Cheney: "Beh, ho reso pubbliche dichiarazioni nel senso che pensavo con molta
convinzione che dovevamo avere un’opzione militare, e che probabilmente avremmo
dovuto far ricorso alla forza militare per risolvere la minaccia rappresentata
dall’Iran... (ma) non siamo mai arrivati al punto in cui il Presidente doveva
prendere una decisione in un senso o nell’altro".
Pressioni rinnovate
Chiaramente queste pressioni sono riprese di nuovo nei primi 13 mesi
dell’Amministrazione Obama. Oggi sembra che Mullen abbia rimpiazzato Fallon come
il principale ostacolo militare ad esercitare l’opzione guerra contro l’Iran.
Dal suo recente atteggiamento e da molte affermazioni da quando è diventato il
massimo capo militare del Paese nell’ottobre 2007, è evidente che Mullen non
crede che una “guerra preventiva” contro l’Iran varrebbe il suo tremendo costo.
La retorica di Washington, riecheggiata dagli stenografi dei Fawning Corporate
Media (FCM, media servili) negli scorsi otto anni ha portato una patina di
rispettabilità al crimine internazionale della guerra d’aggressione, purchè sia
lanciata o approvata dagli Stati Uniti. Con l’obbediente approvazione dei FCM,
Bush e Cheney hanno venduto l’idea che tali attacchi possono essere giustificati
per “prevenire” qualche futura ipotetica minaccia agli Stati Uniti o ai suoi
alleati. Questa si è dimostrata una giustificazione a foglia di fico per
l’invasione dell’Iraq sette anni fa.
L’Amministrazione Obama non è ancora del tutto uscita da questo modo di pensare.
In Qatar il 14 febbraio il segretario di Stato Hillary Clinton ha espresso
preoccupazione su quella che lei chiama "crescente prova" di un tentativo
iraniano di cercare armi nucleari, non perchè ciò “minacci direttamente gli
Stati Uniti ma [perchè] minaccia direttamente molti nostri amici" – leggasi
Israele.
Mullen, da parte sua, sembra ben conscio che la Costituzione che lui ha giurato
di difendere non contempla il genere di guerra in cui può essere trascinato per
difendere Israele. Quando studiava alla Naval Academy, i suoi professori
insegnavano ancora che la Supremacy Clause della Costituzione (Article VI,
Clause 2) stabilisce che i trattati ratificati dal Senato diventano “la suprema
legge della nazione”.
Sarebbe, pura e semplice, una flagrante violazione di una legge suprema del
Paese, la Carta delle Nazioni Unite ratificata dal Senato, se gli Stati Uniti si
unissero in un attacco non provocato all’Iran senza l’approvazione del Consiglio
di Sicurezza delle NU che sicuramente non verrà, come non è venuta per l’attacco
all’Iraq.
Inoltre l’Ammiraglio Mullen sembra essere uno dei pochi americani a rendersi
conto che non esiste un trattato di difesa reciproca fra gli Stati Uuniti e
Israele e quindi gli USA non hanno alcun obbligo legale di saltare a difesa di
Israele se scatena una guerra all’Iran. "In altre parole, in senso strettamente
giuridico, Israele non è un nostro alleato”.
"Mi dispiace, non si può creare un alleato solo ripetendo continuamente la
parola".
Ora, potrete sbuffare “Lo sanno tutti” che le realtà politiche in America
impongono che le forze armate USA devono difendere Israele, indipendentemente da
chi ha iniziatio il conflitto.
Eppure ci fu un periodo – dopo la guerra arabo-israeliana dal 1967 – in cui gli
USA fecero dei passi sulla possibilità di un trattato di difesa reciproca,
ritenendo che questo avrebbe potuto portare più calma nella regione, dando agli
israeliani un maggiore senso di sicurezza.
Ma gli israeliani hanno gelato questa apertura. Il fatto è che questi trattati
richiedono frontiere internazionali riconosciute e Israele non voleva in alcun
modo rinunciare ai territori che aveva appena conquistato militarmente.
Inoltre i trattati di mutua difesa di solito impongono ad entrambe le parti un
obbligo di informare l’altra se uno decide di attaccare un Paese terzo. Israele
non voleva avere nulla che fare nemmeno con questo.
Questo retroscena quasi sconosciuto serve a capire perchè la mancanza di un
trattato di mutua difesa è più che un cavillo giuridico.
Perché Mullen si preoccupa?
Se l’Ammiraglio Mullen è un vecchio esperto nel frenare gli israeliani, perchè
ora è così visibilmente preoccupato? È abituato a leggere agli israeliani le
regole del gioco. Cosa c’è di diverso ora?
L’ultima volta, a metà del 2008, Cheney e Abrams sostenevano una postura
militare aggressiva verso l’Iran ma hanno perso il dibattito con Mullen e i suoi
alti comandanti che – nei giorni finali dell’Amministrazione Bush – vinsero
l’appoggio del presidente.
Quando l’allora Primo Ministro Ehud Olmert pareva intenzionato ad aprire le
ostilità con l’Iran prima che Bush e Cheney lasciassero l’incarico, Bush mandò
l’Ammiraglio Mullen in Israele per dire agli israeliani con parole non equivoche
di non farlo. Mullen fu con piacere all’altezza del compito, in effetti superò
se stesso.
Sappiamo dalla stampa israeliana che Mullen si spinse fino ad avvertire gli
israeliani a non pensare nemmeno ad un altro incidente in mare come l’attacco
israeliano alla USS Liberty dell’8 giugno 1967, che finì con 34 americani uccisi
e più di 170 feriti. Col pieno appoggio di Bush, Mullen disse agli israeliani di
togliersi dalla testa l’idea che il sostegno militare USA sarebbe stato un
riflesso automatico nel caso che Israele in qualche modo avesse provocato
ostilità aperte con l’Iran.
Mai prima di allora un comandante USA aveva rinfacciato così apertamente
l’incidente della Liberty, che fu messo a tacere vergognosamente dalla
amministrazione di Lyndon B. Johnson, dal Congresso e dalla stessa Marina.
La lezione che gli israeliani ricavarono dall’incidente della Liberty fu che
potevano farla franca dall’omicidio, letteralmente, e rimanere indenni grazie
alle realtà politiche negli Stati Uniti. Mai più, disse Mullen. Non avrebbe
potuto sollevare un argomento più nevralgico.
Ripetiamo, allora qual’è la differenza adesso? Come spiegare la decisione di
Mullen di continuare a esprimere le sue preoccupazioni su “conseguenze non
volute”? Io credo che l’Ammiraglio abbia paura che le situazioni stiano per
sfuggire di controllo. Se ci sarà la guerra non dipende dall’Ammiraglio Mullen,
e nemmeno da Obama. Dipende soprattutto dal primo ministro israeliano Benjamin
Netanyahu. E Mullen fa bene a preoccuparsi.
L’impressione che Netanyahu ha di Obama
È altamente probabile che Netanyahu abbia concluso che Barack Obama è, in gergo,
un wuss, una pappamolla. Perchè, ad esempio, il presidente continua a mandare
un’infinita processione dei più alti funzionari americani a Tel Aviv per
implorare i loro corrispettivi israeliani, "per favore, fate un fioretto, non
iniziate una guerra all’ Iran"?
Il Vice Presidente a ruota libera Joe Biden arriva lunedì, si spera con
istruzioni più chiare di quello che ha allegramente detto alla ABC il 4 luglio
2009, che Israele è una “nazione sovrana” e quindi “ha diritto” di lanciare un
attacco militare all’Iran, aggiungendo che Washington non avrebbe fatto nulla
per dissuadere il governo israeliano.
Riuscirà questa volta Biden a non parlare a vanvera, oppure i suoi 40 anni
d’esperienza nel Senato, a imparare come posizionarsi politicamente rispetto a
Israele, di nuovo avranno il sopravvento?
Si può scommettere che Netanyahu se la ride di questa pagliaccesca ossequienza.
Ma la sua impressione della spina dorsale di Obama, o relativa mancanza, è la
chiave. Il primo ministro israeliano deve trarre delle conclusioni dalla
riluttanza di Obama nell’usare come leva i 3 miliardi di dollari che gli USA
danno ogni anno a Israele. Perchè semplicemente Obama non prende il telefono e
mi ammonisce lui stesso, pensa probabilmente Netanyahu?
Obama ha una tale paura mortale della potente Likud Lobby che non riesce a
telefonare? Il presidente ha forse paura che il suo capo dello staff, Rahm
Emanuel, possa sentire la sua telefonata, e poi riferire la conversazione ai
commentatori neoconservatori come Dana Milbank del Washington Post?
Benjamin Netanyahu ha avuto un sacco di tempo per valutare il nostro presidente.
Il loro primo incontro nel maggio 2009 mi ha ricordato molto il disastroso
incontro a Vienna fra un altro giovane presidente americano e Nikita Khrushchev
nel giugno 1961. I sovietici presero le misure del presidente John Kennedy, e
uno dei risultati fu la crisi dei missili a Cuba, che portò il mondo al massimo
di pericolo mai toccato di distruzione nucleare.
Il primo ministro israeliano ha trovato che è possibile fare marameo alle
ripetute implorazioni di Obama per un arresto delle costruzioni degli
insediamenti illegali nei territori occupati, e senza conseguenze.
Inoltre Netanyahu ha visto Obama “calare le brache” più e più volte, in faccende
domestiche, oltre che internazionali.
Netanyahu si vede come l’elemento dominate nel rapporto, in gran parte per la
sterminata influenza della Likud Lobby con i legislatori e gli “opinion makers”
americani – per non parlare dell’entratura che gli israeliani hanno presso il
presidente stesso dato che uno dei loro più fedeli alleati, Rahm Emanuel, è capo
dello staff della Casa Bianca. Nel mestiere dell’intelligence lo definiremmo un
“agente di influenza”.
Il padre di Emanuel, Benjamin Emanuel, nacque a Gerusalemme e militò nell’Irgun,
l’organizzazione di guerriglia sionista prima dell’indipendenza. Nella guerra
del golfo del 1991, Rahm Emanuel, allora da poco trentenne, andò in Israele come
volontario civile per lavorare con le Israeli Defense Forces, servendo in una
base del nord.
Le preoccupazioni di Mullen
Netanyahu ha la massima fiducia nella solidità della sua posizione presso chi
conta davvero nel Congresso, fra gli opinion-makers di Washington e anche
nell’Amministrazione Obama. E mostra apertamente di essere tutt’altro che
impressionato dal presidente.
Questi fattori aumentano la possibilità che Netanyahu decida di ricorrere a quel
genere di provocazione che metterebbe Obama di fronte a una scelta obbligata
sulla decisione di unirsi a Israele in un attacco all’Iran.
E allora Mullen continua a preoccuparsi – non solo sulle “conseguenze non
volute” ma anche sulle conseguenze ben volute. La più immediata di queste
potrebbe essere mettere Obama in trappola costringendolo a impegnare le forze
americane in una guerra con l’Iran provocata.
E per quelli che amano dire che "non c’è nulla di nascosto" sappiano che in
questo caso sembra fatto apposta.
Ben poco sembra assurdo in questi giorni. Vi ricordate il rapporto di Seymour
Hersh sull’ufficio di Cheney che elaborava complotti per come meglio scatenare
una guerra con l’Iran?
"Quella che più interessava me [Hersh] era, perchè non costruiamo nei nostri
cantieri quattro o cinque MAS che sembrino i MAS iraniani. Ci mettiamo sopra i
SEAL della Marina con un sacco di armi E la prossima volta che una nostra nave
passa gli stretti di Hormuz, iniziamo una sparatoria".
In altre parole un altro incidente tipo Golfo del Tonkino, quello che il
presidente Johnson usò per giustificare una grande escalation in Vietnam.
Un moderno incidente tipo Golfo del Tonkino nello stretto di Hormuz potrebbe
essere anche più pericoloso, dato il ruolo vitale di quella rotta per le
petroliere che mantengono l’economia del mondo.
La parte navigabile dello stretto di Hormuz è stretta, e gli incidenti ci
succedono da soli, senza nememno doverci provare. Per esempio:
"DUBAI, United Arab Emirates (AP) – La sera dell’8 gennaio 2007, un sottomarino
nucleare americano è entrato in collisione con una petroliera giapponese nello
stretto di Hormuz, dove passa il 40% delle forniture di petrolio del mondo,
hanno detto fonti ufficiali. La collisione fra la USS Newport News e la
petroliera giapponese Mogamigawa è avvenuta circa alle 22:15 (ora locale) nello
stretto di Hormuz mentre il sommergibile navigava in immersione".
AP, 20 Marzo 2009: "Il sommergibile nucleare USS Hartford e la nave anfibia USS
New Orleans sono entrati in collisione nelle acque fra l’Iran e la penisola
arabica oggi. Quindici marinai sulla Hartford sono rimasti leggermene feriti… la
New Orleans ha riportato la rottura di un serbatoio riversando 25.000 galloni di
diesel…. Le navi erano impegnate in consueti pattugliamenti di sicurezza su una
rotta affollata".
Ripensate anche al bizzarro incidente fra i barchini iraniani che facevano
evoluzioni e le navi della U.S. Navy nello stretto di Hormuz il 6 gennaio 2008.
Prevenire la guerra preventiva
Il Golfo Persico sarebbe il posto perfetto per gli israeliani per creare una
provocazione che generi una rappresaglia iraniana che a sua volta porterebbe ad
un attacco israeliano in grande stile sui siti nucleari iraniani. Dolorosamente
consapevole di questo possibile scenario, l’Ammiraglio Mullen notò in una
conferenza stampa il 2 luglio 2008 che il dialogo da militari a militari
potrebbe portare “migliore comprensione” fra gli USA e l’Iran.
Se si devono ritenere genuine le preoccupazioni di Mullen (e io credo che lo
siano) farebbe bene a resuscitare quell’idea e proporre formalmente un simile
dialogo agli iraniani. Lui è la massima autorità militare degli Stati Uniti e
non dovrebbe lasciarsi intimidire da agitatori neoconservatori più interessati a
un cambio di regime a Teheran che a realizzare un modus vivendi e una riduzione
della tensione.
Le seguenti due modeste proposte servirebbero non poco a evitare un confronto
armato con l’Iran, che sia accidentale o provocato da coloro che vogliano
davvero far precipitare la situazione, arrivare alle ostilità e coinvolgere gli
USA.
1. Stabilire in canale di comunicazioni diretto fra i vertici militari a
Washington e Teheran, al fine di ridurre il pericolo di incidente, errore di
valutazione o attacco coperto.
2. Lanciare immediati negoziati fra alti ufficiali di Marina americani e
iraniani per concludere un protocollo sugli incidenti in mare.
Un canale di comunicazione ha storicamente dimostrato la sua validità durante
periodi di alta tensione. La crisi dei missili a Cuba del 1962 ha evidenziato la
necessità di comunicazioni istantanee ad alto livello, e una “linea calda” fra
Washington e Mosca fu realizzata l’anno dopo.
Quel collegamento diretto ha svolto un ruolo cruciale, per esempio, per evitare
l’allargamento della guerra in Medio Oriente durante la Guerra dei Sei giorni
del giugno 1967.
Un altro utile precedente è l’accordo “Incidents-at-sea” fra gli USA e l’URSS
firmato a Mosca nel maggio 1972. Il periodo era un’epoca di alta tensione fra i
due Paesi, compresi diversi incidenti navali non voluti che avrebbero potuto
aggravarsi. L’accordo ridusse drasticamente la possibilità di incidenti simili.
Sarebbe difficile ai leader sia americani sia iraniani opporsi a misure di un
tale buon senso. La stampa mostra che i massimi comandanti americani nel Golfo
Persico sono a favore di passi simili. E, come abbiamo detto, l’Ammiraglio
Mullen ha costantemente auspicato dialogo da militari a militari.
Nelle presenti circostanze diventa sempre più urgente discutere seriamente come
i nostri due Paesi possano evitare un conflitto iniziato per incidente, errore
di calcolo o provocazione. Nè gli USA nè l’Iran possono permettersi di lasciare
che un evitabile incidente in mare esca fuori di controllo.
Con un minimo di fiducia reciproca, queste azioni di buon senso potrebbero
trovare larga e immediata accettazione da entrambi i governi.
il presidente Shimon Peres e il vice di Obama Joe Biden
Fino a quando?
Il vice-presidente americano Joe Biden
atterra in Israele, e il presidente Shimon Peres gli chiede subito di «espellere
l’Iran dall’ONU». Contestualmente, Netanyahu gli annuncia che sta per creare
altri 1.600 appartamenti illegali per soli ebrei a Gerusalemme Est: uno schiaffo
in più alla implorante richiesta dell’amministrazione Obama di congelare (almeno
temporaneamente) l’occupazione di terre che, in un futuro processo di pace,
dovrebbero restare palestinesi.
Ma qui l’insulto non è solo ad un governo pietosamente ridicolo, che
probabilmente non sarà riconfermato alle prossime elezioni. E’ un’umiliazione
inflitta deliberatamente agli Stati Uniti d’America in quanto tali, l’alleato
supremo di Israele. Ma invano si cerca una qualche reazione sui «grandi» media
americani, per non parlare di quelli europei, una protesta, un altolà. Solo una
cronachetta, in cui si dice che Joe Biden «condanna» gli insediamenti nuovi, e
«assicura» Israele che sarà al suo fianco fino all’estremo contro l’Iran.
Nessuna voce che cerchi di spiegare che gli israeliani hanno dimostrato da anni
di non volere alcun accordo coi palestinesi, e di volere invece – semplicemente
– cacciarli via dalla Terrasanta, tutti, fino all’ultimo. Tutti accettano la
versione autorizzata per simili comportamenti criminali – che Israele è in
angoscia «per la sua stessa esistenza» – e nessuno che riveli alle opinioni
pubbliche il vero motivo di questa arroganza delirante, di questo rifiuto di
cedere un millimetro, e di riconoscere un qualunque diritto agli altri esseri
umani: e il motivo è che Israele si vive in questa fase storica come il
popolo-dio, a cui tutto è dovuto, a cui tutto è permesso.
Il solo a farlo è Gilad Atzmon, il grande ebreo che è uscito da Israele per
diventare britannico. Lo fà in uno dei suoi articoli, che intitola:
«Dalla terra promessa al pianeta promesso» , e che è fatto solo di foto.
Queste:
Gilad Atzmon, senza parole, sta dicendo quel che tutti devono aver capito: che
quanti più capi di Stato, Papi e governanti si prosternano a Israele, condonano
le sue azioni, moltiplicano segnali di amicizia e sottomissione, tanto meno
Israele si placa. I suoi atti compiuti diventano sempre più oltraggiosi, le
umiliazioni che infligge sempre più arroganti. Ciò perchè Israele interpreta
questi omaggi e sottomissioni come la «fine del tempo dei gentili» e l’inizio
del suo regno messianico, come il sempre più imminente trionfo del popolo-dio.
E l’appetito di un dio non conosce confini. Ormai non si contenta più di
occupare la terra promessa totalmente, sterminando ed espellendo chi la abita da
secoli. Ha ragione Atzmon: ormai, il dio pretende il mondo per sè. Per sè solo.
Sì, perchè essi leggono nella Torah la promessa di Geremia (30, 10-11 e 46, 28):
«Non temere Giacobbe servo mio, perchè io sono con te. Sì, sterminerò tutte le
nazioni in cui ti ho fatto disperdere».
E’ esattamente questo il problema politico più tragico e centrale del nostro
tempo, di cui occorre prendere coscienza: questi vivono nel delirio messianico,
e – armati di 2-300 testate nucleari – vedono il loro trionfo come
sterminio delle «nazioni». Sono, oggi, il popolo più pericoloso del mondo.
A dirlo non siamo noi. Lo ha scritto Adiel Schremer, docente ebreo della Bar
Illan University, nel suo saggio «Escathology, Violence and Suicide» del 2002 ,
a pagina 4:
|
Adiel Schremer |
«La costruzione della redenzione escatologica in termini di totale eradicazione delle nazioni, o almeno in congiunzione con tale aspettativa, ha la capacità di creare personalità violente... Perchè se si spera nella imminente redenzione di Dio, e si è ispirati dall’idea di una vittoria totale sui nemici di Israele come parte essenziale della redenzione, le tendenze violente (...) sono coltivate e favorite».
|
Israel Yacob Yuval |
Lo conferma un altro studioso ebreo, Israel Yacob Yuval, nel suo volume «Two
Nations in Your Womb» (Due nazioni nel tuo ventre», University of California
Press, 2006), citando preghiere ebraiche medievali che «dimostrano
l’abisso di ostilità ed odio nutrito dagli ebrei medievali contro i cristiani.
Non solo odio, ma l’invocazione a Dio di uccidere indiscriminatamente e senza
limiti i gentili, insieme a vivide descrizioni degli orrori previsti e promessi
contro i gentili: “inghiottiscili, colpiscili, impiccali, falli sanguinare,
schiacciali, maledicili,... falli a pezzi, distruggili”».
Un materiale abbondantissimo è quello che raccoglie
Yuval, che dimostra (parole sue) «che abbiamo qui a che fare con una ideologia
religiosa complessiva che vede la vendetta come elemento centrale della dottrina
messianica».
http://desip.igc.org/holo_lysson.html
Nessuna ulteriore prosternazione di Papi e capi di Stato, nessuna compiacenza e
complicità nei loro delitti li può ammansire. Nelle scuole israeliane, si
continua ad insegnare agli scolari la canzone «Ha’olam Ku’lo heg’denu», che
significa letteralmente «Il mondo intero è contro di noi».
Ogni manifestazione di amicizia, sottomissione e offerta viene sentita da loro come un pericolo.
|
Nahum Goldman |
Nel 1958 Nahum Goldman, rabbino e allora presidente del Congresso Ebraico
Mondiale, si lagnò: «L’attuale scomparsa dell’aperto antisemitismo può
costituire un pericolo per la sopravvivenza di Israele». Leonard Fein, editore e
direttore della rivista (ebraico.americana) Moment, parlando davanti alla
Conference of Jewish Communal Service nel 1980 disse: «Per quanto ci preoccupino
i danni che ci infliggevano un tempo i nostri nemici, oggi siamo ancor più
preoccupati della maledizione dell’amicizia che incontriamo».
La maledizione dell’amicizia.
Come ha scritto Hannah Arendt in «The Origins of Totalitarianism» (1973),
«l’eterno antisemitismo rappresenta una eterna garanzia per l’esistenza di
Israele. Questa superstizione è una maschera secolarizzata dell’idea di eternità
inerente in una fede (che consiste) nell’essere eletti».
|
Martin Van Creveld |
L’amicizia dei goym è un pericolo. Ciò spiega le note parole di Martin Van
Creveld, docente di storia militare alla Università Ebraica di Gerusalemme:
«Possediamo centinaia di testate atomiche e posiamo lanciarle su bersagli in
ogni direzione: anche Roma, anche la maggior parte delle capitali europei sono
bersagli delle nostre forze armate». Van Creveld ha detto chiaro quel che tutti
dovrebbero ormai aver capito: «I palestinesi devono essere deportati
tutti. La nostra gente sta aspettando solo il momento giusto e l’uomo giusto per
realizzarlo».
Nessuna preoccupazione del giudizio degli altri popoli. Anzi: «Le nostre forze
armate non sono la trentesima potenza mondiale, ma la seconda o la terza. Noi
abbiamo la capacità di trascinare il mondo nell’abisso con noi. E posso
assicurarvi che ciò avverrà, prima che Israele cada».
Il suicidio collettivo e la rovina dell’umanità intera sono parte del delirio
messianico: se il sogno fallisce, «porteremo il mondo giù con noi». Masada e
Sansone sono la prospettiva di riserva del delirio di onnipotenza. (Israeli
Professor – ‘We Could Destroy All European Capitals’)
E il mondo intero condona a questi deliranti armati ogni omicidio mirato, ogni
violazione del diritto internazionale, ogni genocidio e pulizia etnica. Anzi,
l’ultima notizia è che i 30 Paesi membri dell’OCSE, con particolare entusiasmo
gli europei, stanno facendo entrare Israele nell’organizzazione: «I vantaggi
economici sono modesti», ha commentato Shir Hever, un economista israeliano, «ma
Israele preme fortemente per farsi ammettere, perchè ritiene che l’ammissione
conferirà legittimità internazionale alla sua occupazione» delle terre altrui. (Is
Europe planning seal of approval for Israeli settlers?)
L’ammissione dunque inciterà il popolo-dio ancor più a distruggere, eradicare,
ammazzare, e umiliare le potenze terrestri. Solo alcuni ebrei, da Gilad Atzmon a
Norman Finkelstein, ci stanno dicendo la verità: «Stavolta abbiamo passato il
segno», dice l’ultimo saggio di Finkelstein. Ma nessuno ascolta. ("This
Time We Went Too Far")
Ma nessuno ascolta. L’America si fa umiliare dal Paese che
ha armato e mantenuto fino ad oggi, e assicura che farà per lui altre guerre;
gli europei si profondono in nuove prosternazioni, in nuove e sempre più
ridicole profferte, in nuovi mea culpa. Fino a quando?
Stiamo rischiando «la totale eradicazione» messianica. Lo accettiamo?
IL vice presidente Usa, Joseph Biden, e il presidente palestinese
Mahmoud Abbas (Abu Mazen), nel corso del loro incontro.
MO: Biden, colonizzazione
Israele mina sforzi pace
RAMALLAH - La colonizzazione di Israele sta minando la fiducia dei palestinesi in nuovi negoziati di pace: e' quanto ha affermano il vice presidente americano Joe Biden a Ramallah, condannando ancora una volta la decisione israeliana di costruire 1600 nuove case a Gerusalemme est. Biden, che gia' ieri aveva condannato pubblicamente i nuovi progetti edilizi annunciati da Israele, ha rilasciato una dichiarazione a margine del suo incontro con Abu Mazen (Mahmud Abbas) nella sede di Ramallah della presidenza dell'Autorita' nazionale palestinese (Anp): dichiarazione nella quale ha fra l'altro reiterato il pieno sostegno di Washington alla nascita di un futuro Stato palestinese nell'ambito di un accordo di pace con Israele fondato sulla soluzione dei 'due Stati per due popoli'. ''E' compito di entrambe le parti costruire un clima di sostegno ai negoziati e non complicarne il cammino'', ha ammonito Biden, ribadendo che a giudizio degli Usa ''la decisione di ieri del governo israeliano di far avanzare i piani di edificazione di nuovi alloggi a Gerusalemme est mina esattamente la fiducia di cui c'e' bisogno adesso al fine di avviare e realizzare negoziati proficui''.
Quanto al futuro, il vice-Obama e' stato netto nel riaffermare l'impegno Usa a favore di ''uno Stato palestinese governabile e dotato di continuita''' territoriale. ''Deve essere chiaro a tutti - ha rimarcato - che non c'e' oggi alternativa alcuna alla soluzione dei due Stati, destinati a essere parte integrante di qualsiasi piano di pace globale''. Abu Mazen, da parte sua, ha avvertito che i negoziati potranno andare avanti solo se Israele adempira' con i fatti agli ''impegni del processo di pace'' e ''cessera' di compiere azioni che ne pregiudicano l'esito''. Biden, che gia' ieri aveva condannato pubblicamente la decisione israeliana di dare via libera ai 1600 nuovi alloggi, ha rilasciato una dichiarazione a margine del suo incontro con Abu Mazen (Mahmud Abbas) nella sede di Ramallah della presidenza dell'Autorita' nazionale palestinese (Anp): dichiarazione nella quale ha fra l'altro reiterato il pieno sostegno di Washington alla nascita di un futuro Stato palestinese nell'ambito di un accordo di pace con Israele fondato sulla soluzione dei 'due Stati per due popoli'. ''E' compito di entrambe le parti costruire un clima di sostegno ai negoziati e non complicarne il cammino'', ha ammonito Biden, ribadendo che a giudizio degli Usa ''la decisione di ieri del governo israeliano di far avanzare i piani di edificazione di nuovi alloggi a Gerusalemme est mina esattamente la fiducia di cui c'e' bisogno adesso al fine di avviare e realizzare negoziati proficui''. Quanto al futuro, il vice-Obama e' stato netto nel riaffermare l'impegno Usa a favore di ''uno Stato palestinese governabile e dotato di continuita''' territoriale. ''Deve essere chiaro a tutti - ha rimarcato - che non c'e' oggi alternativa alcuna alla soluzione dei due Stati, destinati a essere parte integrante di qualsiasi piano di pace globale''. Abu Mazen, da parte sua, ha avvertito che i negoziati potranno andare avanti solo se Israele adempira' con i fatti agli ''impegni del processo di pace'' e ''cessera' di compiere azioni che ne pregiudicano l'esito''.
GERMANIA; INACCETTABILE PIANO NUOVE
CASE GERUSALEMME EST
BERLINO - Il governo tedesco ha definito oggi ''inaccettabile'' il piano di
Israele di costruire 1.600 nuovi alloggi a Gerusalemme est. Secondo un portavoce
del ministero degli Esteri, si tratta di un ''segnale completamente sbagliato,
sia nei contenuti, sia nei tempi''. Adesso, ha sottolineato il portavoce, tutti
gli sforzi politici dovrebbero concentrarsi sulla creazione delle condizioni
necessarie all'avvio di negoziati onnicomprensivi tra Israele ed i palestinesi
''in modo da affrontare le questioni centrali del conflitto''.
MO: FAYYAD A BIDEN, PIANO ISRAELE UN
SILURO A SFORZI PACE
GERUSALEMME - Il premier palestinese Salam Fayyad ha detto oggi al vice
presidente Usa Joe Biden, che ha incontrato a Ramallah, che il nuovo controverso
piano israeliano di costruire 1600 unita' abitative a Gerusalemme est in un
rione ebraico, e' un siluro agli sforzi di pace. ''Non c'e' dubbio - ha detto -
che questo gesto israeliano mina la fiducia nelle prospettive del processo di
pace che noi tutti siamo molto interessati a rilanciare''. Il piano israeliano
ha sollevato un'ondata di proteste palestinesi, internazionali e anche degli
Stati Uniti. Lo stesso Biden ha condannato la decisione. ''La sostanza e il
momento scelta per l'annuncio -ha detto-, in particolare con il varo dei
colloqui indiretti, e' esattamente il tipo di atto che mina la fiducia di cui
ora c'e' bisogno''. Intanto, secondo l'esponente dell'Olp Yasser Abed Rabbo,
alcuni Stati membri della Lega Araba avrebbero deciso di ritirare il loro
appoggio all'apertura dei colloqui di pace indiretti israelo-palestinesi con la
mediazione degli Stati Uniti, in reazione al progetto edilizio israeliano. In
un'intervista all' emittente 'Voce della Palestina', Rabbo ha detto che e'
probabile una nuova riunione del comitato di monitoraggio della Lega Araba per
discutere della questione. A suo dire le proteste internazionali all'iniziativa
israeliana non saranno sufficienti se non saranno seguite da passi concreti.(ANSAmed).
MO: BIDEN; COLLERA DI BARAK DOPO
ANNUNCIO PIANO EDILIZIO
GERUSALEMME - Il ministro della difesa israeliano Ehud Barak ha condannato
in un incollerito comunicato l'annuncio dato ieri dal ministero dell'interno su
un controverso piano di edilizia ebraica a Gerusalemme est che ha coinciso con
la visita del vice presidente Usa Joe Biden e ha provocato la severa reazione
degli Usa e dello stesso Biden. ''Il ministro della difesa Ehud Barak - si
afferma nel comunicato - esprime la sua collera dopo l'annuncio superfluo (del
progetto) che turba i negoziati di pace con i palestinesi, negoziati che sono
del massimo interesse per Israele''. ''Un record di stupidita' diplomatica'' e'
stato il commento di Kadima, il partito di maggioranza relativa all'
opposizione, all'annuncio del ministero. Anche sui maggiori quotidiani del paese
i commenti sono tutti molto aspri. ''E' difficile decidere quale possibilita'
sia quella peggiore: che il premier Netanyahu abbia deciso di sabotare la
ripresa dei negoziati di pace con i palestinesi anche a spese di una crisi nelle
relazioni con l'amministrazione Obama o che abbia perso il controllo di una
delle questioni piu' esplosive del Medio Oriente'' ha scritto il quotidiano
Haaretz in un commento dal titolo ''Uno schiaffo (a Biden) udito in tutto il
mondo''. ''L'uomo piu' vicino a Netanyahu a Washington - ha scritto il Maariv -
ha ricevuto qui il trattamento abituale, a causa del quale l'ospite tornera' a
casa furibondo, umiliato e assetato di vendetta''.
MO: GERUSALEMME EST; ONU CONTRO NUOVI
INSEDIAMENTI, ILLEGALI
NEW YORK - Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha condannato oggi
i piani israeliani per la costruzione di 1.600 nuovi insediamenti neI Territori
occupati palestinesi, unendosi alle critiche espresse ieri dalla Casa Bianca.
"Il segretario generale condanna l'approvazione da parte del ministero
dell'Interno di Israele dei progetti di edificazione di 1.600 unità abitative a
Gerusalemme Est", afferma in un comunicato il portavoce Martin Nesirky. "Ban
ricorda che gli insediamenti sono illegali secondo le leggi internazionali",
sottolinea la nota dell'Onu.
IL PIANO
L'annuncio è stato dato ieri dal ministero dell' Interno israeliano, con un provvedimento che per alcuni oppositori ha il sapore della provocazione e che è stata condannata, fra gli altri, dalla Casa Bianca e dall'Autorità palestinese. E che appare anche uno schiaffo al vicepresidente Usa, Joe Biden, in visita ieri a Gerusalemme proprio nel tentativo di rilanciare il processo di pace. Le 1.600 "unità abitative" sono previste nell'insediamento ebraico ortodosso di Ramat Shlomo, lo stesso nel quale nel 2008 erano già state autorizzate 1.300 case, e il 30% sarà "riservato a giovani coppie". L'area - come hanno riconosciuto fonti ministeriali - é ben al di là della cosiddetta linea verde, ma è annessa al territorio municipale di Gerusalemme. Cosa che, stando alla linea del governo in carica, la rende parte inalienabile della "capitale eterna e indivisibile d'Israele", come scriveva una nota del ministero israeliano. Il permesso non è ancora esecutivo, ma ha già il placet del ministro Yishai.
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