SIRIA:

IL GRANDE INGANNO

DELL'OCCIDENTE

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

Obama, il premio Nobel per la pace, dietro la guerra in Siria!

 

 

INTRODUZIONE

 

Pasqua, Patriarca Gregorio III Laham:

 “Possa Dio Onnipotente proteggere la Siria, il suo

 esercito, il suo popolo ed i suoi rappresentanti”

Fonte web

Damasco, la casa dei martiri giusti, nel Giorno della Resurrezione di Gesù, il messaggero di amore e di pace.

A Damasco si è svolta una grande cerimonia religiosa nella cattedrale cattolica romana presieduta dal patriarca Gregorio III Laham, Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente per i cattolici, assistita da un gruppo di venerabili sacerdoti e diaconi.

Il Patriarca ha tenuto un sermone in cui ha parlato dei significati della festa della Risurrezione di Gesù Cristo, messaggero di amore e di pace, sottolineando che il nostro paese è la Siria, che è parte della Terra Santa, la terra della Bibbia, dove Gesù è nato, è vissuto ed ha diffuso la luce del Vangelo nel mondo intero.

Alla fine della sua omelia il Patriarca ha pregato dicendo “Possa Dio Onnipotente proteggere la Siria, il suo esercito, il suo popolo ed i suoi rappresentanti”.

 

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Churkin: La Russia Impedirà fermamente ogni tentativo di Assegnare

 un Seggio all’opposizione Siriana alle Nazioni Unite

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29 marzo 2013 – MOSCA – Il rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite, Vitaly Churkin, ha detto che la Russia è fermamente decisa nell’evitare qualsiasi tentativo che miri a cercare di dare la sede ufficiale della Siria alle Nazioni Unite all’opposizione siriana.

“L’ONU è un’organizzazione internazionale in cui i seggi non possono essere concessi a gruppi di opposizione che non siano passati attraverso le misure necessarie per concedere loro la legittimità, e la nostra posizione è fermamente contraria a che ciò accada”, ha detto Churkin, come è stato riportato dall’agenzia Russia Oggi riferendo quanto detto in una conferenza stampa di giovedì 28 marzo 2013.

Churkin ha aggiunto che la maggior parte dei paesi membri delle Nazioni Unite sono consapevoli delle proprie responsabilità e del rispetto che devono a questa istituzione internazionale.

“Spero che essi si rendano conto che se qualcosa di simile dovesse accadere questo significherebbe in realtà minare l’esistenza e credibilità stesse di questa organizzazione internazionale”, ha detto Churkin.

Egli ha avvertito che i paesi che sostengono l’idea di voler concedere un seggio all’Onu all’opposizione siriana “corrono il rischio di diventare a loro volta vittime di manovre del genere nel futuro”.

Churkin ha fatto rilevare la contraddizione nelle posizioni di alcuni membri del Consiglio di sicurezza nei confronti del Mali e della Siria: mentre essi sottolineano la necessità di condurre, in Mali, le elezioni necessarie per istituire organismi legittimi a garantire l’autorità, stanno invece purtroppo e per qualche altro motivo seguendo un percorso differente per quanto riguarda la crisi in Siria, cosa che sarebbe letale per le relazioni internazionali”.

 

 

La guerra dell'Occidente alla Siria - Massimo Fini

 

 

La guerra sporca in Siria ed il piano degli USA in M.O.

Fonte web

La cronaca di questi giorni fa registrare un nuovo attacco terroristico realizzato all’università di  Damasco, con relativo massacro di alcuni  studenti inermi che si trovavano nella facoltà di Agraria.  Questo è soltanto l’ultimo dei tanti attacchi terroristici che si stanno verificando nel paese, quello precedente era stato fatto mediante razzi e colpi di mortaio fatti esplodere nel centro di Damasco mietendo parecchie vittime civili.

Il fronte dei ribelli siriani la “coalizione nazionale siriana “ sta intensificando gli attacchi contro il regime di Al Assad  senza alcuna remora di colpire obiettivi civili  ma anzi con la precisa strategia di seminare il panico e la sfiducia tra la popolazione ed incrinare la resistenza e la compattezza dei questa a favore del governo legittimo.

Bisogna capire che quello che avviene attualmente in Siria è occultato da un’ opera di massiccia disinformazione e di manipolazione mediatica che non ha paragoni con altre situazioni recenti se non con la guerra in Irak e con l’operazione fatta a suo tempo in Libia.

Nonostante questa intensa campagna di propaganda svolta da giornali e TV in Occidente  (anche con l’apporto di televisioni come di Al Jatzera e Al Arabiya finanziate dagli emiri del Golfo),  quella che  in un primo tempo si è cercato di far apparire  come una “rivolta popolare” contro il regime di Assad, risultata ormai evidente che trattasi di una macchinazione delle grandi potenze USA, GB, Francia ed Israele, per destabilizzare la Siria e favorire gli interessi geo strategici ed energetici delle potenze occidentali.

Si sapeva già da diversi anni che il Pentagono aveva i piani nel cassetto che prevedevano la destabilizzazione della Siria fin dai tempi del secondo intervento in Iraq ( anche quello mascherato dal pretesto delle “armi di distruzione di massa”). L’azione contro la Siria è parte di una “roadmap militare“, una sequenza di operazioni militari. Secondo quanto rivelato da l’ex comandante generale della NATO, Wesley Clark, il Pentagono aveva chiaramente individuato a suo tempo, oltre all’Iraq, ed alla Libia, anche Siria e Libano come paesi bersaglio di un intervento USA-NATO. Si tratta di una strategia ad ampio raggio che prevede il controllo della regione coinvolgendo anche altri paesi quali Sudan e Somalia. http://epineo.blogspot.it/2012/06/il-generale-wesley-clark-gioca-fare-il.html

Vedi:Testimonianza scioccante di un siriano alla radio francese: http://www.youtube.com/watch?v=myKCs_90jKs

L’intervento in Siria era iniziato più di un anno fa  con l’infiltrazione nel territorio siriano, attraverso Giordania e Turchia, di gruppi di miliziani con il preciso compito di effettuare azioni di guerriglia contro i militari e forze di polizia siriane e massacri di civili per gettane poi la responsabilità sull’esercito lealista attraverso la falsificazione della propaganda. Il piano però ha funzionato soltanto in parte e le forze ribelli, distintesi per crudeltà ed efferatezza (dei veri “tagliagole”) sono state respinte.

Ultimamente gli americani hanno ammesso apertamente di aver organizzato l’invio massiccio di armamenti al fronte dei ribelli siriani con la complicità di Arabia Saudita, Qatar ed altre monarchie del Golfo, armi e rifornimenti che arrivano attraverso un ponte aereo e successivamente vengono inviate, attraverso la Giordania, il Libano e la Turchia, in territorio Siriano.

Erano stati espliciti gli avvertimenti  lanciati l’anno scorso dalla Clinton ad Al Assad perché rassegnasse le dimissioni e favorisse un avvicendamento alla presidenza della repubblica Siriana con un personaggio “gradito” agli USA, minacciando un attacco catastrofico contro la Siria in caso non ottemperanza agli “ordini” del gendarme USA. http://www.lastampa.it/2012/07/08/esteri/hillary-clinton-avviso-ad-assad-rischia-un-attacco-catastrofico-RGjKEqzYRf9Jg2yWzlKTGN/pagina.html

Neanche a voler nascondere la pesante ingerenza del dipartimento di stato USA nella “guerra sporca” pianificata in Siria per deporre Assad e destabilizzare il paese.

Ed in effetti, visto che le forze ribelli sono state sbaragliate sul campo dall’esercito lealista Siriano e rimaste isolate, anche per l’appoggio dato dalla popolazione al presidente Assad, negli USA si è deciso un cambio di strategia con l’invio diretto di armamenti e rifornimenti alla guerriglia.

Gli USA negli ultimi mesi hanno organizzato e diretto un ponte aereo, mediante il quale sono state trasportate, secondo un calcolo approssimato,  più di 3500 tonnellate di armi. I primi voli sono stati effettuati, con aerei militari da trasporto C-130, dal Qatar in Turchia.  Successivamente sono stati utilizzati i giganteschi aerei cargo C-17, forniti dagli Usa al Qatar, che hanno fatto la spola tra la base di Al Udeid e quella turca di Esenboga. Particolare non secondario: la base aerea qatariana di Al Udeid è la stessa ove trovasi  il quartier generale avanzato del Comando centrale Usa, con un organico di almeno 10mila militari,  funzionando  da base pilota  per tutte le operazioni in Medio Oriente.

In Turchia e Giordania sono presenti campi di addestramento delle milizie affluite da altri paesi, in particolare da Libia, Tunisia, Algeria e Giordania con la presenza di istruttori militari e supervisione di istruttori militari della CIA e Britannici. I “volontari”, che sono in realtà mercenari finanziati dalla monarchia  Saudita, non provengono soltanto da paesi arabi ma anche da paesi occidentali e perfino dalla Cecenia . Vedasi l’episodio dell’uccisione del figlio del capo della guerriglia cecena per opera dell’esercito siriano a dimostrare la provenienza internazionale dei miliziani. http://www.adnkronos.com/IGN/Aki/Italiano/Sicurezza/Siria-figlio-capo-guerriglia-cecena-combatteva-con-ribelli-morto-in-battaglia_313620813472.html

I volontari sono miliziani, quasi tutti fanatici integralisti di fede salafita, la più oscurantista delle sette islamiche, fortemente rivale degli alawiti e degli sciiti (questi ultimi visti come infedeli) che sono le confessioni di appartenenza rispettivamente del presidente Assad e dell’Iran. Non si perdona alla Siria di essere un regime laico, multi confessionale e tollerante verso tutte le confessioni e dove esiste anche una numerosa comunità cristiana.

Questo spiega quindi anche la preoccupazione dell’Iran che, alleato e sostenitore della Siria, in caso di una caduta del regime di Assad si vedrebbe circondato alla sue frontiere da ovest e da est da paesi ostili.

Le “finte” rivolte organizzate inizialmente in Siria, in particolare a Daraa ( città di confine a 10 Km dalla Turchia) non hanno avuto il successo sperato e si sono risolte con incendi e saccheggi e scontri a fuoco con le forze di polizia. Quello che è emerso da questi rapporti iniziali, è che molti dei manifestanti non erano manifestanti, ma terroristi coinvolti in atti premeditati di assassinio e di incendi dolosi. Dal titolo della notizia di fonte  israeliana si evidenzia quello che è successo: Siria: sette poliziotti uccisi, Edifici incendiati nelle Proteste.

(Si veda Michel Chossudovsky, SYRIA: Who is Behind The Protest Movement? Fabricating a Pretext for a US-NATO “Humanitarian Intervention“, http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=24591 Global Research, 3 maggio 2011)

Lo stesso è accaduto quando l’azione delle milizie integraliste si è spostato nella piccola città di Jisr al-Shughour sempre nelle vicinanze del confine turco.  I miliziani si sono scontrati con le forze di polizia e dell’esercito ma non c’è stata alcuna manifestazione di massa se non nelle false notizie inviate dai media occidentali e da Al Jazeera. La popolazione presa nel fuoco incrociato si è riversata fuggendo al confine, ingrossando il numero dei rifugiati nei campi profughi.

Al contrario nella capitale a Damasco l’azione dei miliziani è sempre rimasta isolata con attentati a colpi di mortaio ed auto bomba mentre  si sono svolte manifestazioni di massa, mai viste prima,  (del tutto oscurate dai media occidentali) a sostegno del presidente Assad.

Questo non toglie che  il regime siriano non si può certo considerare un sistema  democratico (che non esiste in Medio Oriente), tuttavia è chiaro che l’obiettivo dell’azione di sostegno degli USA-NATO al fronte dei ribelli siriani,  in accordo con Israele, non è “promuovere la democrazia”. Un pretesto risibile vista la connotazione fanatica ed integralista  del fronte dei ribelli.

Il vero obiettivo di Washington è quello d’installare alla fine in Siria un regime fantoccio che sia confacente ai propri interessi. Questi consistono essenzialmente nell’accerchiare ed isolare l’Iran e preparare un possibile intervento militare contro la nascente “potenza nucleare” persiana.

In secondo piano non si può escludere anche l’ottenere il controllo dei giacimenti di gas naturale  nel Mediterraneo prospicienti  alle coste della Siria da poco scoperti.

La strategia  della disinformazione mediatica è quella di demonizzare il presidente al-Assad, e più in generale, destabilizzare la Siria quale stato laico.

Esiste però un fronte antagonista agli interessi degli USA e di Israele ed è rappresentato (oltre all’Iran) essenzialmente dalla Russia di Putin, alleata di ferro del regime siriano, considerando anche che la Russia mantiene una importante base nel Mediterraneo sulle coste siriane e Putin ha manifestato chiaramente un altolà alle possibili ingerenze militari dirette degli USA e della Nato  sulla Siria, in particolare l’avviso è stato dato ad Erdogan, il premier Turco, in occasione di alcuni incidenti avvenuti al confine Turco Siriano.

Putin ha avvisato il “turco” che , se anche un solo soldato Nato dovesse entrare nei confini siriani, Mosca valuterebbe questo come un atto ostile contro la Russia e questa reagirebbe con tutta la sua forza con “orribili effetti” per un intervento in Siria. http://internacional.elpais.com/internacional/2012/02/08/actualidad/1328696203_037940.html

Questa volta gli USA e la Nato non avranno la partita facile come avvenuto in Libia e Obama (nobel per la pace) è avvisato che in Siria gli USA ed i loro alleati stanno “scherzando con il fuoco.”

 

 

SIRIA: La verità è come il sole...

 

 

Siria: comincia l’ultimo atto

Fonte web

Un fittissimo intrecciarsi di voli militari è in corso mentre il lettore sta scorrendo queste righe. Si tratta di aerei di varia nazionalità, con sigle diverse dipinte sulle loro carlinghe, con equipaggi internazionali, in partenza da aeroporti che spaziano dalla Croazia, alla Turchia, dal Qatar, all'Arabia Saudita, dalla Giordania e da diversi altre basi della Nato. Il New York Times dello scorso 24 marzo parlava di voli che "fanno pensare ad un'operazione militare clandestina ben pianificata e coordinata". È in atto la preparazione di quella che è l'ultima fase, che potrebbe precedere l'attacco militare della Nato contro la Siria e produrre la caduta, con relativa uccisione, del "sanguinario dittatore" di turno. Si tratta di un'operazione che comporta grosse spese, per migliaia di tonnellate di armamenti e munizioni, i cui destinatari sono i ribelli del cosiddetto Esercito Libero Siriano.

L'organizzatore fu l'«ex» David Petraeus, il che ci dice che Barack Obama non ce la raccontava giusta quando voleva far credere all'opinione pubblica occidentale che gli Stati Uniti non erano poi davvero molto interessati alla caduta di Bashar al-Assad. Anzi, quando affermava di essere preoccupato dell'eventualità che il crollo del regime di Damasco avrebbe potuto provocare l'inizio della frantumazione della Siria in una piccola galassia di faide sanguinose tra etnie, religioni, nazionalità già in ebollizione e pronte a vendicare i torti subiti negli ultimi quarant'anni.

Ma, a Washington, si ritiene ormai che sia meglio avere dei sunniti al governo di Damasco, piuttosto che degli sciiti alauiti. Ci sarà qualche sgozzamento di troppo, è vero, ma poiché l'obiettivo è quello di creare disordine e non di portare ordine, probabilmente sarà più funzionale questa soluzione. La quale creerà problemi anche per Israele, che si troverà ai confini un altro stato guidato da fanatici jihadisti. Ma Israele può essere accontentata in altro modo: con il via libera contro l'Iran. Anche i turchi potranno avere qualche problema dai curdi siriani, che vorranno unirsi ai curdi iracheni. Ma Recep Tayyip Erdoğan saprà come metterli a posto come meritano, gli uni e gli altri. Insomma la faccenda è stata infiocchettata a dovere. Resta solo da consegnarla al destinatario, che è il popolo siriano.

Siamo stati, negli ultimi mesi, spettatori di una commedia, il cui copione era di far credere che Washington fosse il moderatore dello scontro. Un po' come accadde alla Libia di Gheddafi: martirizzata da Francia e Gran Bretagna, con – certo – il supporto logistico della flotta e dell'aviazione degli Stati Uniti, ma di malavoglia, con ritrosia, solo per ossequio verso alleati fin troppo aggressivi.

Ora è tutto chiaro. E' in corso l'inizio dell'ultima fase. Che prevede una tattica lenta, non un blitzkrieg a breve scadenza. I comandi americani e Nato, in piena sintonia, hanno già calcolato che Bashar non è in condizione di resistere indefinitamente. Lo lasciano cuocere nel suo brodo, sempre più bollente. Circondato da ogni lato, con il solo afflusso (ma difficoltoso) di armi e uomini dall'Iran, sotto un embargo asfissiante. Con Israele anch'essa in posizione di apparente basso profilo, ma incaricato di controllare ogni movimento di mezzi e di uomini dal territorio libanese. La Giordania punto logistico cruciale assieme alla Turchia; l'Arabia Saudita e il Qatar in veste di emissari e finanziatori locali; basi Nato di transito e di stoccaggio nei diversi aeroporti turchi, ultima tappa prima della distribuzione alle formazioni armate che agiscono in territorio siriano.

E tutto questo mentre, in parallelo, i servizi segreti americani, britannici, francesi, turchi, sauditi, israeliani già agiscono con squadre di commandos, con specialisti in azioni terroristiche, nelle città siriane non ancora raggiunte dall'esercito di mercenari jihadisti.

False erano anche le notizie che lasciavano intendere la riluttanza americana a concedere armamenti più sofisticati e potenti. Adesso – riferisce esplicitamente il citato New York Times– si sta passando alla distribuzione di armi che permetteranno un corso "più letale" alla guerra civile.

Senza fretta, naturalmente. Poiché bisogna costruire, nel frattempo, le tappe politiche che serviranno ai giornalisti embedded di tutto l'Occidente a descrivere l'aggressione militare in termini di restaurazione della democrazia in Siria.

Nei giorni scorsi è stato insediato a Istanbul un governo siriano in esilio, composto di emigrati siriani in America e in Occidente. Immediatamente proclamato come "unico governo legittimo", in attesa di essere trasferito nei nuovi uffici di Gaziantep, nelle immediate vicinanze della frontiera turco-siriana. Vi resterà fino a che le squadre armate della Nato avranno ricavato qualche nicchia relativamente sicura in territorio siriano, affinché i Quisling possano trasferirvisi e, da lì, cominciare a lanciare i proclami di vittoria.

A quanto si sa, questo progetto è stato illustrato recentemente a Roma in una conferenza per specialisti intitolata "United States, Europe, and the case of Syria". Il luogo è stato il Centro di Studi Americani, il presidente del panel era Giuliano Amato, l'oratore principale era Frederic Hof, ambasciatore statunitense e fino a pochi mesi fa capo del team del Dipartimento di Stato impegnato sul "caso Siriano".

Se Bashar al-Assad dovesse interporsi – ha spiegato Hof – il fatto stesso sarebbe considerato occasione per intervenire in difesa del "legittimo governo siriano". Se non vorrà o potrà intervenire, allora si estenderà gradualmente la sua area fino ad arrivare a Damasco. A quel punto o Bashar scappa (sempre che riesca a farlo tra un attentato e l'altro; sempre che riesca a sfuggire ai generali felloni che, nel frattempo, saranno stati comprati a peso d'oro, o impauriti a morte per la sorte dei loro figli e parenti) e il governo degli occidentali viene installato a Damasco, oppure ci sarà la carneficina finale, operata dai tagliagole jihadisti dopo che i missili Cruise e i droni della Nato avranno raso al suolo le ultime infrastrutture difensive, i comandi militari e i sistemi di comunicazione.

Mosca, Pechino e Teheran, ciascuna per conto proprio, non potranno che prendere atto. Putin sta facendo i suoi conti e Xi Jinping non sarà da meno. Ma entrambi non potranno fare molto di più che protestare al Consiglio di Sicurezza per la violazione delle norme della Carta dell'Onu. E' una questione di tattica, poiché strategicamente la battaglia è stata perduta. Teheran ha qualche preoccupazione in più. La sparizione di Bashar da Damasco sarà un altro segnale che la pressione sull'Iran è in crescendo. Il viaggio di Obama a Gerusalemme ha lasciato Netanyahu piuttosto soddisfatto. Conoscendo i suoi piani non c'è da stare tranquilli. L'ayatollah Khamenei, la Guida Suprema, nel suo ultimo discorso ha fatto l'elenco dei peggiori nemici dell'Iran, stabilendo un ordine molto chiaro e preciso: al primo posto gli Stati Uniti, poi la Gran Bretagna e la Francia. Israele è finito solo al quarto posto. Un downgrading che indica come a Teheran Barack Obama non sia tenuto in grande conto come premio Nobel per la Pace.

Quanto tempo ci vorrà per cancellare l'ultimo "stato canaglia" del Mediterraneo? Frederic Hof non lo ha rivelato. Forse non lo sa ancora nemmeno lui. Queste cose richiedono pazienza. Nel frattempo continua quella che un alto ufficiale Usa, che ha mantenuto l'anonimato, ha definito una "cascata di armamenti". Un vero e proprio ponte aereo di preparazione alla guerra.

Con ogni probabilità toccherà al prossimo ministro degli Esteri il compito di portare in guerra anche l'Italia in questa ultima avventura "democratizzatrice".

 

 

Siria, uno dei tanti documentari indipendenti che non trovano spazio nelle emittenti

 

 

Siria, il rompicapo USA

Fonte web

Una serie di rivelazioni e iniziative diplomatiche messe in atto negli ultimi giorni sta segnalando una chiara accelerazione dei piani occidentali e dei governi sunniti del Medio Oriente per dare la spallata finale al regime siriano di Bashar al-Assad. Parallelamente, negli Stati Uniti, in Europa e in Israele appare sempre più evidente la preoccupazione per una situazione che potrebbe facilmente sfuggire di mano nella Siria del dopo Assad, dove a prevalere potrebbero essere i gruppi integralisti che stanno svolgendo un ruolo di primo piano nel conflitto in corso.

Al nervosismo diffuso a Washington per una situazione esplosiva che, d’altra parte, lo stesso governo americano ha contribuito in maniera decisiva a creare, ha dato voce qualche giorno fa il presidente Obama nell’ultima tappa della sua trasferta mediorientale. In una conferenza stampa a fianco del sovrano di Giordania, Abdullah II, l’inquilino della Casa Bianca si è detto “molto preoccupato per il fatto che la Siria possa diventare un rifugio per l’estremismo, poiché gli estremisti prosperano nel caos”.

Questi ultimi, ha aggiunto Obama, “non hanno molto da offrire quando si tratta di costruire qualcosa ma sono estremamente abili a riempire il vuoto” quando l’autorità di un governo viene meno. Per questo, il presidente democratico ha annunciato l’inizio di un processo per la formazione di un’opposizione coesa, così da modellare l’esito della crisi secondo gli obiettivi statunitensi.

Il conseguente rafforzamento degli elementi secolari e “democratici” all’interno dell’opposizione siriana non si traduce però, nella strategia americana, in un sforzo per spingere i “ribelli” filo-occidentali a trattare una soluzione pacifica del conflitto con gli esponenti del regime di Damasco. Bensì, l’amministrazione Obama e i suoi alleati in Medio Oriente si stanno adoperando esattamente per l’esito contrario, emarginando le fazioni più disponibili al dialogo e raddoppiando l’impegno in operazioni clandestine per garantire un numero sempre maggiore di armi ai guerriglieri sul campo in Siria.

In questo scenario, nel fine settimana appena trascorso le dimissioni del presidente della cosiddetta Coalizione Nazionale siriana, Moaz al-Khatib, rappresentano probabilmente un colpo mortale alle già esili speranze di poter aprire un confronto tra le due parti in causa. Khatib aveva infatti mostrato la propria disponibilità a parlare con i rappresentati del regime di Assad, ma la sua presa di posizione era stata da subito criticata da molti all’interno dell’organizzazione di cui era a capo. Il suo addio, così, è giunto pochi giorni dopo l’elezione a primo ministro del governo di transizione in esilio di Ghassan Hitto, cittadino naturalizzato americano ben visto dalla monarchia del Qatar e dai Fratelli Musulmani, nonché fermo oppositore di qualsiasi ipotesi di dialogo con Damasco.

Khatib, inoltre, ha sempre difeso strenuamente i gruppi fondamentalisti legati ad Al-Qaeda operanti in Siria, come il Fronte al-Nusra, incluso nella lista delle organizzazioni terroriste dal Dipartimento di Stato. Il suo passo indietro, dunque, potrebbe essere scaturito dalla decisione degli Stati Uniti di promuovere personaggi all’interno dell’opposizione con un’inclinazione secolare, anche se le azioni degli estremisti islamici sunniti sono ampiamente tollerate perché considerate determinanti nella lotta per rovesciare il regime.

Formazioni come il Fronte al-Nusra continuano a mettere in atto sanguinosi attentati in Siria, come quello di giovedì scorso contro una moschea nella capitale che ha ucciso 49 persone, tra cui il noto predicatore sunnita sostenitore di Assad, Mohammad Said Ramadan al-Buti.

In ogni caso, la necessità di rafforzare l’opposizione secolare e disponibile ad entrare a far parte di un futuro governo-fantoccio dell’Occidente e degli altri sponsor arabi è la giustificazione ufficiale per la creazione di operazioni clandestine che gli Stati Uniti conducono da qualche tempo e che sono state descritte nel fine settimana da due articoli apparsi sul giornali americani.

Il primo, pubblicato dal New York Times, ha confermato come la CIA negli ultimi mesi stia coordinando un intensificarsi di trasferimenti di armi all’opposizione in Siria. Secondo il quotidiano newyorchese, la principale agenzia di intelligence d’oltreoceano continua a favorire l’acquisto e il trasporto aereo di equipaggiamenti militari destinati ai ribelli da parte di paesi come Turchia, Qatar, Arabia Saudita e Giordania. Il quadro che ne esce è quello di un traffico sostenuto di aeromobili militari diretti all’aeroporto Esenboga di Ankara e ad altri aeroporti turchi e giordani, da dove le armi vengono poi inviate in Siria sotto la supervisione della CIA.

A quella che un anonimo funzionario del governo USA ha descritto come una “cascata di armi” è stato dato il via libera da parte di Washington ufficialmente per il timore che le formazioni secolari vengano sopraffatte dalle fazioni estremiste ribelli, tra le quali molte sono finanziate ed armate dal Qatar. Quest’ultimo paese è però tra i principali protagonisti del programma di fornitura di armi all’opposizione con il beneplacito americano e, oltretutto, le testimonianze raccolte dal New York Times tra i beneficiari delle armi provenienti dall’estero non lasciano dubbi sulla prevalenza di guerriglieri appartenenti a brigate islamiste.

Inoltre, l’amministrazione Obama sostiene che, pur essendo contraria al trasferimento diretto di armi ai ribelli, le forniture da parte dei suoi alleati in Medio Oriente avrebbero luogo ugualmente con o senza il proprio consenso. Ciò è però smentito ancora una volta dalle interviste ad alcuni leader ribelli, i quali sostengono chiaramente come l’invio di armi e la loro natura (“letali o non letali”) dipenda interamente da quanto viene deciso a Washington.

A sottolineare la consueta doppiezza del governo americano, il quale a livello ufficiale si oppone alla fornitura di armi ai ribelli pur facilitandola attivamente, è stato poi l’invito fatto domenica scorsa dal segretario di Stato, John Kerry, al primo ministro iracheno, Nuri Kamal al-Maliki, di prendere provvedimenti per impedire il transito nello spazio aereo del suo paese di aerei iraniani che trasporterebbero anch’essi armi ma destinate al regime alleato di Assad. Nel corso di un visita a Baghdad, Kerry ha avuto un colloquio da lui stesso definito “animato” con il primo ministro iracheno, al quale ha chiesto ancora una volta di fermare e ispezionare i cargo provenienti da Teheran.

L’invito fatto a Maliki rientra nel tentativo diplomatico di isolare Damasco, come dimostra la promessa di Kerry di assegnare un qualche ruolo all’Iraq nelle manovre sul futuro della Siria dopo la rimozione di Assad, ma solo nel caso in cui Baghdad prenda provvedimenti per porre fine ai voli iraniani. Il governo di Maliki a maggioranza sciita, tuttavia, oltre a mantenere stretti legami con la Repubblica Islamica, vede con preoccupazione l’instaurazione a Damasco di un governo sunnita che potrebbe alimentare le inquietudini di questa minoranza in Iraq e trasformarsi in una seria minaccia per il suo stesso governo.

L’altra iniziativa della CIA per sostenere l’opposizione secolare è stata invece riportata sabato dal Wall Street Journal e consiste nell’offrire a gruppi ribelli selezionati preziose informazioni relative alle forze del regime, così da facilitare le operazioni sul campo. Questo ulteriore passo avanti della collaborazione tra l’intelligence USA e i ribelli si aggiunge ai programmi di addestramento dei guerriglieri siriani in corso da tempo in territorio turco e giordano.

Nel quadro dell’offensiva diplomatica americana in vista della stretta finale attorno ad Assad rientra anche la recente pacificazione tra Israele e Turchia, mediata settimana scorsa proprio da Obama poco prima della partenza da Tel Aviv in direzione Amman. Le scuse di Netanyahu a Erdogan per la strage compiuta dalle forze di sicurezza israeliane tra l’equipaggio della nave turca Mavi Marmara nel maggio del 2010 mentre cercava di portare un carico di aiuti umanitari a Gaza, infatti, vanno viste precisamente nell’ottica dello sforzo nel serrare i ranghi tra gli alleati americani, così da poter preparare un’eventuale offensiva coordinata ai confini settentrionale e meridionale della Siria.

Tutte queste manovre degli Stati Uniti e dei loro alleati per sostituire il regime di Assad con un governo meglio disposto verso i loro interessi rischiano però di gettare ancora più nel caos l’intera regione mediorientale.

Un ulteriore segnale allarmante del deteriorarsi della situazione a causa del conflitto siriano è giunto venerdì scorso con la crisi del governo filo-siriano del Libano in seguito alle dimissioni del primo ministro Najib Mikati. Il premier sunnita vicino a Damasco ha fatto riferimento proprio agli effetti destabilizzanti sul Libano del conflitto in Siria, lanciando un appello ad un governo di unità nazionale per evitare lo scivolamento nel baratro di un paese che ha già vissuto una lunga e sanguinosa guerra civile tra il 1975 e il 1990.

 

 

La verità negata dai media occidentali sulla guerra in Siria

 

 

I piani segreti della guerra alla Siria

Le relazioni russo-statunitensi si deteriorano mentre un rivelatore quwaitiano svela i piani segreti della guerra alla Siria

Fonte web

Il portavoce del ministero degli Esteri russo Aleksandr Lukashevich ha criticato gli Stati Uniti per la loro interpretazione di parte del comunicato di Ginevra sulla Siria, e per la dichiarazione della portavoce del dipartimento di Stato Victoria Nuland, secondo cui gli Stati Uniti continueranno a favorire la Coalizione Nazionale rivoluzionaria e le forze di opposizione siriane. Le relazioni tra USA e Russia sono state congelate dal segretario di Stato USA John Kerry, che ha concesso ulteriori 60 milioni di dollari alla sovversione. La recente rivelazione, di un membro del Segretariato generale del Partito Nazionale del Kuwait, secondo cui Stati Uniti e Qatar hanno in programma di dividere la Siria in piccoli Stati, è probabile che raffreddi ulteriormente i rapporti Est-Ovest.

Nelle interviste ai media internazionali, Lukashevich ha detto: “Le dichiarazioni pubbliche dei rappresentanti del governo degli Stati Uniti a sostegno della Coalizione Nazionale rivoluzionaria e alle forze di opposizione siriane, sono infatti una interpretazione unilaterale del Comunicato Ginevra“. Lukashevich ha continuato, “Questo complica ovviamente la ricerca dei modi per porre fine al confronto armato in Siria e di spostarsi dal conflitto al dialogo pan-Siriano“. Lukashevich ha affermato la posizione della Russia dichiarando: “Il consenso di Ginevra non lascia spazio a una qualsiasi interpretazione“. La portavoce del dipartimento di Stato USA, Victoria Nuland, d’altra parte ha dichiarato che gli Stati Uniti rimangono impegnati nel cercare di supportare sia la coalizione dell’opposizione siriana che coloro che in Siria credono a Ginevra e cercano di attuarla ora, aggiungendo che gli Stati Uniti pensano che sia il modo migliore per porre fine alle violenze. Continuando il discorso statunitense del “cambiamento di regime”, Nuland ha dichiarato: “Dal nostro punto di vista, non c’è modo che un consenso sia mai fornito ad Assad o ai membri del regime dalle mani insanguinate“. Nuland ha criticato la Russia per non far valere la sua influenza sul governo siriano e il Presidente Assad, per spingerli a dimettersi, accusando implicitamente la Russia per il fatto che già più di 70.000 persone siano morte nel conflitto. La Russia d’altra parte ribadisce che non ha particolare interesse a vedere il Presidente Assad rimanere al governo, ma che la Russia è preoccupata per un eventuale vuoto di potere nel caso in cui dovesse dimettersi, e la Russia si oppone alla politica degli Stati Uniti del cambio di regime e alla loro abitudine d’interferire negli affari sovrani delle nazioni a vantaggio della propria agenda.

I tentativi russi, della scorsa settimana, per disinnescare la situazione prendendo parte a un dialogo con gli “Amici della Siria”, non sembrano aver avuto successo. Una recente dichiarazione di un membro della Segreteria generale del Partito Nazionale del Kuwait, Faisal al-Hamad, afferma che accordi segreti sono stati fatti a margine della conferenza degli Amici della Siria in Qatar, la settimana scorsa, difatti aggravando ulteriormente la situazione, anche se la geo-strategia politica dietro il presunto “accordo segreto”, è nota dal 1990. Faisal al-Hamad, secondo il media indipendente tedesco Die Evidenz, ha dichiarato che un accordo separato e segreto è stato firmato a margine della riunione degli Amici della Siria a Doha. In alcuni blog e social media, come Die Evidenz, al-Hamad ha dichiarato che un accordo separato è stato firmato tra il ministro degli Esteri del Qatar, Hamad bin Jassim al-Thani, il ministro degli Esteri turco Ahmad Dauvutoglu, Abdullah bin Zayid al-Nahyan, l’ambasciatore statunitense Robert Ford, il membro dell’opposizione Riyad Saif e il rappresentante del consiglio di Istanbul dell’organizzazione dei Fratelli musulmani Mohammed Riad Shaqfeh. L’accordo, secondo al-Hamad, contiene diversi punti, come ad esempio la spartizione della Siria in diversi piccoli stati governati dai cosiddetti moderati islamici, l’annessione permanente della contestata regione di Hatay da parte della Turchia, la riduzione delle forze militari siriane a un massimo di 50.000 soldati e altro, coincidendo con la recente analisi del Dottor Perencik e del Maggiore Agha H. Amin. (1)

Finora Nsnbc non è stata in grado di confermare in modo indipendente le dichiarazioni di al-Hamad. I dettagli del presunto accordo segreto separato, però, coincidono con una valutazione del consulente per la sicurezza del Pakistan ed ex Maggiore delle Forze Armate del Pakistan, Agha H. Amin, secondo le cui analisi la guerra in Siria è parte di un grande piano degli Stati Uniti e della NATO per realizzazione un corridoio curdo e della NATO dal Mediterraneo all’India, commentato in una recente intervista con l’autore. Secondo il Maggiore Agha H. Amin, la Turchia sarà inizialmente utilizzata come base per dividere la Siria, dopo di che la Turchia stessa verrà divisa in Stati più piccoli, per creare un corridoio curdo. La fase successiva, secondo Amin, sarà l’instaurazione di un corridoio della NATO lungo il sottosuolo ricco di petrolio della Russia e della Cina, dal Mediterraneo al Baluchistan, Pakistan. (2) Le dichiarazioni di al-Hamad sono inoltre coerenti con il progetto del Grande Medio Oriente, sviluppato dalla RAND Corporation per il dipartimento della Difesa statunitense nel 1996. Il Presidente del Partito dei Lavoratori di Turchia e avvocato, Dr. Dogun Perencik, in diversi articoli e dichiarazioni ha sottolineato che la guerra alla Siria mira a dividere la Siria in Staterelli, in primo luogo, e poi dividere la Turchia in Stati più piccoli. (3

Anche se le dichiarazioni del membro del Segretariato generale del Partito Nazionale del Kuwait, Faisal al-Hamad, non rivelano che i dettagli di strategie conosciute da anni, ci sono due punti che le rendono degni di nota e che possono ulteriormente aggravare la controversia tra gli Stati Uniti e la Russia. Se le dichiarazioni di al-Hamad saranno confermate, costituiranno la prova diretta che il ruolo della Siria nel piano degli Stati Uniti sul Grande Medio Oriente è in corso di attuazione, precisamente da chi e in base a quali obiettivi. Inoltre, se le affermazioni di al-Hamad saranno confermate, cosa non improbabile, vi sarà anche la prova diretta che gli Stati Uniti sono impegnati a condurre una serie di conflitti a bassa intensità lungo il ventre molle, ricco di petrolio, di Russia e Cina, dal Mediterraneo al Baluchistan, in preparazione di una guerra finale contro la Russia e la Cina.

Le recenti dichiarazioni del governo degli Stati Uniti, di ridurre significativamente il numero di truppe schierate all’estero e la spesa per la difesa, sono inoltre coerenti con il piano di guerra che si basa sulla conduzione di conflitti a bassa intensità impiegando truppe irregolari e mercenarie, e delegata ad organizzazioni terroristiche sponsorizzate dagli Stati sotto l’egida dello scudo missilistico USA/NATO, dal Nord Europa all’India. Da questo punto di vista, le dichiarazioni di al-Hamad non sono solo un coraggioso atto di informazione, ma sono anche equivalenti alla divulgazione di una segreta e implicita dichiarazione di guerra alla Russia, esplicitando il continuo deterioramento delle relazioni tra Russia e Stati Uniti.

Note:
1) Geheinabmachung regelt die Ausrüstung der Arme und ….. (Die Evidenz)
2) The volatility of Gas, Geo-Politics and the Greater Middle East. An Interview with Major Agha H. Amin
3) A ‘Kurdish Corridor’ to be set up by the US & Israel

 

 

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