SIRIA:

LA MICCIA DI UN CONFLITTO

TRA SUPER POTENZE

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

Obama, il Gangster... Dopo la Libia ora tocca alla Siria.

 

 

INTRODUZIONE

Obama si predispone la “pistola fumante”

per l’intervento in Siria

La decisione presa dall’amministrazione Obama (premio nobel per la pace) di fornire altre armi ed equipaggiamenti ai miliziani dell’ELS (esercito libero siriano), conferma (se ve ne fosse ancora bisogno) il coinvolgimento degli Stati Uniti nel bagno di sangue che si sta svolgendo attualmente in Siria.

Tale decisione ha suscitato la reazione diretta dell’incaricato delle relazioni estere del governo russo, il vice ministro Mikhail Bogdanov, il quale ha dichiarato che la decisione dell’amministrazione USA costituisce un fattore negativo che frustra qualsiasi tentativo di pace nella regione. Che le accuse dell’uso di armi chimiche da parte dell’esercito siriano sono totalmente false e prive di fondamento reale e sono diffuse sull’onda della distorsione e falsificazione dei fatti.

Nel frattempo gli USA spingono il Regno Unito e la Francia ad unirsi nelle forniture di armi ai ribelli siriani mentre crescono le preoccupazioni per un crescente coinvolgimento britannico nel conflitto.

La decisione di Washington di armare i ribelli mussulmani Sunniti ha di fatto ufficialmente coinvolto gli USA dentro al gigantesco conflitto mediorientale islamico della Shia sunnita: le problematiche a cui vanno ora incontro gli Stati Uniti fanno impallidire la situazione scaturita da quelle rivoluzioni arabe che hanno portato alla deposizione di vari dittatori nella regione.

Per la prima volta, gli amici dell’America nell’area sono solo Mussulmani Sunniti, mentre tutti i nemici sono sciiti. Rompendo con ogni regola di sana politica internazionale Obama, e con lui gran parte dell'Occidente, si accingono a dar fuoco al già complicato ginepraio mediorientale. Questi signori che si impastano la bocca di parole di pace ad ogni pié sospinto, in realtà spargono guerre ovunque abbiano un qualche interesse e dove anche i media fanno sostanzialmente il loro gioco, come cagnolini docili alle loro menzogne. Quelli che erano i nemici giurati di un tempo (al-Qaeda, Salafiti, ecc.) oggi sono tollerati da un Occidente che li arma facendo finta di non sapere di star foraggiando coloro che un domani potrebbero essere i nostri carnefici!

Più stupidi di così non si potrebbe essere.... 

 

 

La Siria non si inginocchia

 

La vera storia della Siria

 

 

La vittoria di Quseir e il vaso islamista di Pandora 

Catturati insieme ai terroristi  molti ufficiali

belgi, olandesi, francesi, britannici…

Fonte web

Obama rovescia il tavolo di gioco e con il pretesto delle armi chimiche promette il blocco aereo  e il sostegno diretto e pesante ai terroristi. In pratica gli Usa entrano in guerra  a fianco dei terroristi, E’ il preludio di una drammatica escalation in stile libico. Intanto in Italia la stampa unita e la ministra degli esteri, con l’aiuto della presidente del parlamento,  garantirà l’italica obbedienza ed il nostro contributo bellico. Ndr

Avevamo già parlato nel precedente articolo[1] dei cittadini Belgi che parlavano in fiammingo durante una decapitazione di un anziano sciita e del video sequestrato dalla procura Belga nel quadro dell’inchiesta sul gruppo Sharia4 Belgium.

Vi propongo quindi una parte di questo interessante articolo di LUC MICHEL di cui ho tagliato la prima parte per non essere ripetitiva, (questo perché essenzialmente riportava l’argomento già trattato), ma di cui ho tradotto il resto, perché ci fornisce una fondata spiegazione, sia del perché della presenza di cellule jihadiste sul territorio europeo e la loro manipolazione da parte dei servizi e della Nato ( di cui i nostri governi sono complici cornuti e contenti ), che un quadro esaustivo alla luce di importanti elementi emersi in conseguenza della vittoria dell’esercito siriano affiancato da Hezbollah a Quseir, le cui conclusioni sono lucide e aderenti, anche se per qualcuno ( non per me ) possono sembrare sconvolgenti. Buona lettura…

“A Quseir,  sono stati catturati ufficiali belgi, olandesi, francesi, britannici” – ce lo rivela il deputato libanese Assem Qanso (su Al Nachra) (…)

Ebbene oggi si scopre che questo non è altro che l’ultimo episodio del feuilleton dei “Jiadisti Belgi” che sta sconquassando il regno. L’episodio infatti fa parte di un enorme dossier sui Jiadisti europei partiti per la Siria, per combattere nei ranghi dell’ASL. Sono circa un centinaio di cittadini belgi, molti di questi giovani, e una parte di loro fiamminghi e Bruxellois D.O.C. convertiti all’Islam, secondo Bruxelles, e meno di un migliaio di cittadini dell’Unione europea secondo la NATO. In realtà sono tra i 6000 o 7000 – tra cui sicuramente 800 sono belgi – secondo le nostre fonti siriane e libanesi.

Ma il vero scandalo dietro questa dichiarazione della stampa è che a Quseir, sono stati catturati molti ufficiali belgi, olandesi, francesi e inglesi

Ma il vero scandalo, quello a cui nessuno accenna a Parigi o a Bruxelles non sono i jihadisti, salafiti e altri spostati di Sharia4Belgium partiti per la Siria. Ma che questi bei tomi erano lì sotto la supervisione di ufficiali delle forze speciali della la NATO, tra cui per l’appunto proprio gli ufficiali belgi e olandesi arrestati. Secondo il quotidiano libanese Al Nachra, (in un articolo della fine maggio 2013), titolato: - INFORMAZIONI SCIOCCANTI  ACCURATAMENTE OCCULTATE DAI MEDIA DELLA NATO – che cita un membro del parlamento libanese: “Ufficiali francesi, inglesi, belgi, olandesi e qatarioti sono stati arrestati durante gli scontri a Quseir mentre la morsa dell’esercito continua a stringersi attorno ai terroristi di Al Nosra “.

Assem Qanso[2], un membro del Partito Socialista Ba’aths libanese[3] che fece allora questa confidenza a Al Nachra, aggiunse che “il numero di ufficiali stranieri ammontano ad alcune decine. Il leader di Al Nosra Abu al Walid è stato ucciso mentre combatteva assieme e a braccetto con questi ufficiali stranieri … 36 villaggi della periferia di Quseir sono stati liberati e l’esercito arabo siriano è riuscito in due giorni di combattimenti a pulire la zona a nord ovest della città, il che significa che le linee di approvvigionamento di Al Nosra che partono da Arsal e Homs sono completamente fuori gioco “. Secondo questo deputato libanese di spicco, alcune migliaia di terroristi si sono arresi e tra questi figurano circa 18 libanesi, tutti i sostenitori dello sceicco Salem Al Rafaï, il religioso salafita libanese, che sono stati arrestati. In questo resoconto sono compresi anche i salafiti libanesi uccisi o arrestati. “Ogni famiglia libanese che ha mandato suo figlio al fronte per la lotta contro la Siria ha ricevuto 50.000 dollari in compenso.” Il deputato  dichiarò anche preoccupato del rientro di decine di combattenti salafiti in Libano. “Il Libano non può tollerare per sempre questi elementi sul suo territorio, soprattutto quando questi sono uomini equipaggiati con armi e munizioni”.

Ma che fanno tutti questi belgi e olandesi in Siria?

Perché proprio dei belgi e degli olandesi? La risposta è facile ed è proprio perché il grande contingente di jihadisti provenienti dall’UE proviene dal Belgio e soprattutto dalle Fiandre. E questi giovani senza educazione scolastica che non parlano neanche l’arabo, si esprimono solo in olandese.

Si capisce meglio quindi anche  l’improvvisa moderazione in termini di interventismo belga durante l’ultima riunione dell’UE a Bruxelles a fine maggio. A Bruxelles, il 27 maggio, in cui le 27 nazioni dell’UE hanno esaminato effettivamente la questione della revoca dell’embargo sulle armi da destinare alla “pseudo opposizione siriana”. Stabilito due anni fa, l’embargo europeo, che comprendeva anche le armi, è scaduto a fine maggio. Londra, il cavallo di Troia degli Stati Uniti in Europa, ha sostenuto il diritto di agire autonomamente per aiutare l’opposizione siriana. Parigi ha appoggiato questo ricatto. E i moderati hanno accettato.

Sorprendente no? O meglio forse affatto, a questo punto, Il Belgio passa dalla barricata dei bellicisti  a paese moderato. Mentre il ministro belga degli Esteri Reynders che era uno dei cani rabbiosi dell’asse UE-NATO pronto con la bava alla bocca a scagliarsi alla bisogna contro Damasco, ecco che improvvisamente diventa molto moderato. Sarà forse perché in effetti, d’ora in poi sarà costretto a negoziare con Damasco per il rientro dei suoi ufficiali??? …

Quseir nido di Barbouzes

Quseir, che era la base principale sia del sedicente ESL e del Fronte al-Nosra (al-Qaeda in Siria), città strategica tra Damasco, la parte del paese Alawita ed il nord del Libano, è stato anche un “nido di spie”. A parte le forze speciali della NATO arrivate per istruire ed inquadrare strategicamente i jihadisti della coalizione Nord-Atlantica, vi erano anche fianco a fianco i “barbouzes” (termine gergale per indicare gli agenti dei servizi speciali francesi, in questo caso agenti segreti), dell’IDF e del Mossad.

“Le forze speciali dell’esercito sionista sono entrati a Al Quseir non appena i terroristi di al Nosra e dell’ESL sono stati circondati da soldati dell’esercito nazionale”, scrive ancora il giornale Al Khabar . “Le forze speciali israeliane che arrivano espressamente a sostegno dei terroristi di Al Nosra hanno attraversato il confine dal lato libanese e cercano di impedire l’avanzata delle truppe dell’esercito siriano “.

È stato davvero questo un tentativo palese di ingerenza straniera sul campo per evitare la vittoria dei lealisti a Quseir, (liberata poi dai ratti e dai loro supporters della Nato ed israeliani il 6 giugno), e prosegue il giornale: “Al Quseir è la base principale dei terroristi che operano contro lo Stato e l’esercito siriano. È una città che entra nella sua quinta settimana di assedio da parte delle forze dell’esercito nazionale. E se l’esercito siriano è riuscito a entrare nella città, una delle principali arterie di rifornimento di armi e uomini dei terroristi sarà tagliata fuori, con il conseguente rischio, per loro, di mettere completamente fuori gioco tutto il fronte terrorista Al-Nosra “.

Il gioco vizioso della NATO con gli islamisti radicali

Ma torniamo ai nostri jihadisti fiamminghi del Belgio.

Per capire, dobbiamo addentrarci in un dossier, che puzza di marcio, che illustra tragicamente la politica schizofrenica della NATO verso gli islamisti radicali, che si rivela completamente incoerente … Questi ultimi sono denunciati a Bruxelles o Parigi per attività terroristiche. Combattuti invece in Afghanistan. Tuttavia gli stessi sono finanziati e armati come alleati da fanteria  coloniale della NATO in Libia, in Siria, in Mali, o anche nel Caucaso contro la Russia.

Di tutto questo papocchio si stanno già pagando le conseguenze in Afghanistan e in Mali con il sangue versato di giovani europei, consegnati al Moloch Yankee per combattere una guerra neo-coloniale, che è essenzialmente una guerra contro la Gran Europa!

Il fatto stesso che il gruppo salafita e criminale “Sharia4Belgium” sia solo un ramo di una serie di filiali di una rete islamista – con sede a Londra, “Sharia4UK” – che è diffusa capillarmente in tutta l’UE, ci illustra quanto questo gioco sia perverso!

A lungo tollerato dalla polizia politica belga e della NATO …

E nel caos  generato dalle “notizie che hanno avuto origine dalle sommosse islamiche a Bruxelles della primavera del 2012,  leggiamo che “Durante la stessa serata del 31 maggio, c’è stata una rivolta che ha avuto luogo davanti il commissariato della polizia di Molenbeek (uno dei 19 comuni di Bruxelles) di rue du Facteur dopo che Shariah4Belgium, un movimento radicale islamico (…) ha fatto appello ad atti protesta. Nei giorni successivi a questi due eventi, le vie del comune Bruxelles erano teatro di agitazioni islamiste. Un estremista musulmano parigino ha anche accoltellato due agenti di polizia nella stazione della metropolitana Beekant “scriveva  allora “La Libre Belgique”.

Ma la cosa più abominevole è che dopo aver ricevuto una pubblicità a dir poco indecente su tutti i media belgi/yankees, TV incluse, Sharia4Belgium si è successivamente rivelata uno dei principali canali di reclutamento jihadisti in Siria …

“La magistratura”- afferma La Libre Belgique – “che sapeva che i membri attivi di Sharia4Belgium erano in Siria, sin dallo scorso agosto, ha a lungo sospettato che alcuni di loro avessero preso parte a esecuzioni, la Procura federale aveva detto che dopo l’arresto di Fouad Belkacem (il leader del gruppo scissionista islamico) del 16 aprile: “Queste reclute sarebbero arrivate in Siria per aggiungersi ai gruppi di combattenti di matrice jihadista salafita ispirati da Al Qaeda” – aggiungendo che – “Era a loro noto che gli stessi partecipassero attivamente a combattimenti,  e persino al rapimento e all’esecuzione di coloro che questi ultimi chiamano “infedeli”. E che questa convinzione si basava sui riscontri ottenuti da intercettazioni telefoniche (…) che indicavano che il gruppo aveva decapitato un uomo che era stato inizialmente rapito per ottenere un riscatto”.

Come nel Sahel, l’onda jihadista della dell’UE risponde al perfido segnale di USA e della NATO.

Il grilletto dell’attivismo terroristico jihadista nel Sahel e nel Maghreb così come in l’Europa è infatti la risposta ad un segnale forte, ed estremamente irresponsabile, dato da più di due anni da parte degli USA e della NATO: la collaborazione dei servizi speciali della NATO, ed in particolare la CIA, dei francesi e gli inglesi, con i leader di al Qaeda e dell’AQMI, il ramo nordafricano, in Libia, Siria ed Algeria dell’estremismo islamico.

Non si enfatizzerà mai troppo il nostro discorso ricordando che la visione, ad esempio emblematica un ex detenuto di Guantanamo, tal Abdelhakim Belhadj, fregiato da generali della NATO, con i francesi in testa , del titolo di “governatore militare di Tripoli” nel mese di agosto 2011, sia uno più dei perfidi segnali dato a tutti i jihadisti. A questo proposito sarebbero da rileggere le dichiarazioni deliranti dei generali della NATO francesi ai tempi della presa di Tripoli nell’agosto del 2011 …

Lo stesso Abdelhakim Belhadj è stato poi incaricato della missione contro Damasco nel novembre del 2011, e messo a capo di una brigata in Siria, con sede in Turchia, e i cui campi di formazione sono stati organizzati specificatamente in Libia con la benedizione del CNT dei suoi protettori della NATO.

Lo scenario del diavolo

Gli Stati Uniti, la NATO e in particolare la Francia pagano in contanti il prezzo intero dello scotto di questa politica irresponsabile ed avventurista.

E questo è solo l’inizio. I jihadisti hanno il vento in poppa, ora hanno staffette forti e governi solidali in Libia, Egitto, Tunisia e Marocco. Paesi in cui i salafiti e i Fratelli Musulmani ormai dominano la politica interna. Sempre sotto la protezione dei generali “arabi” protetti degli Stati Uniti e dalla NATO.

A questo si aggiungono il saccheggio degli arsenali libici da parte dei “katibas” jihadisti del CNT e la vendita da parte dei leader corrotti del Cnt libico di un impressionante arsenale all’AQMI, avvenuta proprio all’inizio del colpo di stato in Libia del Marzo-Maggio 2011, ( compresa la vendita di missili, come esposto all’epoca, dall’inchiesta le canard enchaîné, a Parigi).

Senza dimenticare anche l’episodio della Repubblica Centrafricana, dove gli  occidentali, apparentemente affatto turbati dai disastri libico e del Mali hanno riprodotto lo stesso scenario maledetto, lo scenario del diavolo, istallando al potere Seleka e i suoi fondamentalisti islamici, attraverso la costituzione di un neo CNT[4].

Si capisce dunque meglio il termine di potere di “transizione” installato in Centrafrica – che Parigi avrebbe potuto spazzare via senza problemi – perché questo neo CNT è ispirato al CNT libico di Bengasi …

Dietro questo scenario del diavolo, c’è il progetto geopolitico americano, quello del neocon di Bush riattivato da Obama, detto del  “Grande Medio Oriente”. Che diventa sempre più grande e di cui l’Africa, dopo i disastri della ingerenza politica della Nato è diventata il cortile di casa. E in questo “Grande Medio Oriente”, rimodellato che è il suo obiettivo geo-strategico, sta lo scopo non celato del controllo dell’Eurasia, la chiave principale per un “XXI secolo di colonialismo d’America.” In questo progetto, la tattica è semplice ed è sempre la stessa: combinare in uno stato debole o anche frammentato il potere militare con le forze islamiste, entrambi acquisti proficui per una politica di economia liberale, (la prima caratteristica infatti, dei Fratelli Musulmani, ad esempio, è la loro ostilità assoluta al socialismo).

Ma per raggiungere questo obiettivo, è ovviamente necessario anche allearsi con il diavolo jihadista!!!

La schizofrenia criminale degli USA e della NATO a Bruxelles

La politica americana e dalla NATO, di cui la Francia di Sarkozy e Hollande – che hanno seppellito in pochi anni la politica del generale De Gaulle, sia livello europeo, che arabo – reintegrati nell’alveo della NATO è quella dell’allievo buono e servile, che può essere descritto come uno schizofrenico. Ogni giorno dei giovani soldati vengono uccisi in Afghanistan, in Iraq e in in Mali per combattere i jihadisti.

Che per altro sono anche stati in precedenza armati e organizzati come il loro principale alleato, in Libia o la Siria. Non si tratta solo di incoerenza, questo è cinismo …

Questa stessa schizofrenia, riguarda anche i servizi speciali della NATO. Cosìcome  le filiali di Sicurezza Interna dei Servizi francesi, britannici, e belgi, che devono seguire i jihadisti ed altri salafiti in Europa, e che devono farlo guardando stralunati i loro colleghi delle filiali dei Servizi Segreti all’estero e  del Servizio Operativo che hanno addestrato ed armato gli stessi islamisti in in Libia, oppure che continuano ancora a farlo contro la Siria. In particolare ricordo gli gli agenti segreti francesi che hanno organizzato le forniture di armi alle brigate Zintan e di Tripoli nel giugno 2011, prima di restituire la capitale libica al loro leader Abdelhakim Belhadj.

Dall’analisi di tutto questo inghippo si capisce perché proprio ufficiali belgi, olandesi, francesi, britannici, sono stati catturati a Quseir …

Questa la schizofrenia riguarda anche l’intera classe politica belga-fiamminga (con l’eccezione di repubblicani fiamminghi). Ma anche i giudici, e le élite della polizia. Che cosa possiamo aspettarci quando il portavoce del procuratore federale belga, responsabile della lotta al terrorismo, osa dichiarare che (16 aprile 2013): “Il procuratore federale ha sottolineato l’importanza di combattere le strutture di reclutamento e i gruppi che permettono ai giovani belgi di recarsi a combattere in Siria. Ma che tuttavia, precisa che non si deve fare di tutta l’erba un fascio di  tutti i giovani partiti in Siria , e lo fa, sottolineando che alcuni cercano di proteggere la popolazione civile (sic) e  di rovesciare il regime e sostituirlo con uno stato democratico (resic) ” ?

-------------------------

[1]http://andreacarancini.blogspot.it/2013/06/erminia-scaglione-cittadini-belgi.html

[2] Assem Qanso (anche scritto Assam Ghansou) (nato a Baalbek nel 1937) è un politico musulmano libanese, leader del partito Baath in Libano. Ha completato gli studi di ingegneria in Jugoslavia (1963, mineralogia e geologia) e poi in Romania (petrolchimica e  geologia).Si è unito al Ba’ath libanese nel 1953. Durante la guerra in Libano, il ramo libanese del partito si è diviso in due gruppi ostili tra loro: il siriano Baath e  il Ba’ath iracheno. Qanso è risolutamente un baathista pro-Siria. Qanso è stato un fiero oppositore della pseudo “Rivoluzione dei Cedri”. Non verrà rieletto al parlamento libanese, nel 2005. Non deve essere confuso con Ali Qanso, capo del PartitoNazional-Socialista Siriano (SSNP). 

[3] Il partito socialista Baath Arabo, fondato nel 1956, è il ramo del partito Baath siriano in Libano. Fayez Chkor, capo del partito socialista arabo Baath in Libano, e  Assem Qanso sono i due leader di partito.Si segnala inoltre il fronte elettorale e politico che unisce anche gli Hezbollah in Libano, al ramo libanese del partito socialista arabo Baath e ai loro alleati musulmani cristiani progressisti e nazionalisti. C’è anche un partito Ba’ath iracheno, con un ramo libanese, eredità della rivalità  suicidaria tra le due  capitali baathiste  Damasco e Bagdhad.

[4] Cfr. Luc MICHEL, SELEKA ET CRISE EN CENTRAFRIQUE: LE DESSOUS DES CARTES  http://www.palestine-solidarite.org/analyses.Luc_Michel.150413.htm

 

 

SIRIA ~ REGALO DI FINE ANNO (2012/2013)

DA PARTE DEL SYRIAN ARAB ARMY

 

 

Siria: finale di partita

Fonte web

SIRIA: FINALE DI PARTITA«Time for reform». Così dichiara il Presidente siriano Bashar al-Assad al Wall Street Journal (1). E’ il 31 gennaio 2011. La “rivolta” in Libia contro il regime di Gheddafi scoppia qualche settimana dopo (il 17 febbraio). A marzo, la Giamahiria dà inizio ad una controffensiva che induce le potenze occidentali, forti della Risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ad intervenire direttamente nel conflitto. Ancora una volta, infischiandosene del diritto internazionale, gli Stati Uniti, insieme con il Qatar, la Gran Bretagna e la Francia, hanno appoggiato, se non organizzato, una insurrezione armata contro un regime considerato un ostacolo per quella ridefinizione in chiave filo-atlantista della carta geopolitica dell’area mediterranea che i media mainstream definiscono come “primavera araba”. (2) Passeranno però mesi prima che le potenze occidentali abbiano ragione della resistenza di Gheddafi. Una resistenza piegata solo dal lancio di un centinaio di missili da crociera e dall’aviazione della Nato, che effettuerà migliaia di missioni di combattimento. Ma all’inizio del 2011, ben pochi in Occidente pensano che la guerra contro la Giamahiria sarà così lunga e difficile. Tanto che gli occhi dell’Occidente sono già da tempo puntati su un “ostacolo” ben maggiore della Libia, la Siria di Bashar al-Assad appunto. Il motivo non è difficile comprenderlo. Negli ultimi anni, la Siria ha saputo creare un polo geopolitico regionale insieme con l’Iran ed Hezbollah. Una alleanza di cui doveva far parte pure la Turchia di Erdogan.

In effetti, dopo l’incidente della Mavi Marmara, sono parecchi gli analisti occidentali che ritengono che la tradizionale politica filoatlantista e filosionista di Ankara stia per volgere al tramonto. Ma è ovvio che né gli Stati Uniti né Israele possono rassegnarsi al ruolo di semplici spettatori. E il cosiddetto “neoottomanesimo” del governo turco viene sfruttato abilmente dai circoli filoatlantisti, che riescono a convincere Ankara a voltare le spalle a Damasco, facendo leva sul fatto che la Turchia può acquisire un’importanza fondamentale nel “gioco strategico” delle potenze occidentali. Del resto, gli avvenimenti che sconvolgono l’Africa Settentrionale, dalla Libia all’Egitto, sono una “ghiotta opportunità” per l’ambizioso Erdogan, convinto che il nuovo corso della politica mediterranea porterà pure ad un rapido crollo del regime di Assad e assicurerà alla Turchia tutti i benefici derivanti dall’essere l’ago della bilancia nel Medio e Vicino Oriente.

E’ evidente allora che, quando Assad dichiara di essere disposto ad “aprire” il proprio Paese, la macchina da guerra allestita dalle petromonarchie del Golfo, certamente con l’appoggio degli Stati Uniti, è pronta ad entrare in funzione anche in Siria. Di conseguenza, si può supporre che il Presidente Assad, consapevole di quello che stava bollendo in pentola, abbia voluto “giocare d’anticipo”. In Siria però il fuoco cova sotto la cenere da parecchi anni, fin dalla rivolta (a Hama, nel 1982) contro il regime del padre di Bashar (Hafez al-Assad) da parte dei Fratelli Musulmani. Questi ultimi sono una “galassia” complessa, ma indubbiamente sono nemici giurati del regime di Damasco e in passato si sono perfino opposti a Nasser. Sì che sembra che quel che i Fratelli Musulmani vogliono combattere sia, in realtà, ogni “autorità” che non goda del sostegno degli Stati Uniti o che non agisca negli interessi di Israele. Ma dietro i Fratelli Musulmani vi è soprattutto il Qatar, una “entità  politica” che sarebbe del tutto trascurabile in condizioni geopolitiche di “normale equilibrio”, e che invece è un attore geopolitico di primo piano nel quadro di un mutamento di strategia che vede gli Stati Uniti appoggiare apertamente delle forze islamiste, il cui compito è quello di difendere gli interessi statunitensi, senza che sia necessario un intervento diretto degli Stati Uniti. (3)

Non a caso, nel maggio del 2011, qualche mese dopo l’inizio dell’attacco alla Siria, gli statunitensi uccidono Osama Bin Laden (che pare conducesse una vita da pensionato in Pakistan), il cui cadavere viene gettato in mare, di modo che sia chiaro a tutti (sebbene non tutti lo comprendano) che, con la nuova amministrazione di Obama, i “nemici dell’Occidente” ormai non sono più i musulmani fondamentalisti, ma, oltre ai Russi e ai socialisti di tutte le “specie”, solo gli sciiti o comunque i musulmani (arabi o no) che non siano alle dipendenze della Casa Bianca. Washington ha preso atto sia dell’insostenibilità dell’enorme costo della guerra contro l’Afghanistan e di quella contro l’Iraq, entrambe rivelatesi fallimentari sotto il profilo politico-militare (lo scopo di queste azioni belliche essendo, fuor di dubbio, il controllo del “cuore” dell’Eurasia), sia del fatto che gli Stati Uniti possono impedire che si formi un nuovo equilibrio multipolare solo ricorrendo ad un “approccio indiretto”, tale cioè da destabilizzare/distruggere “dall’interno” ogni centro di potere dell’area mediterranea allargata (comprendente quindi pure la regione del Mar Nero e quella del Golfo Persico, nonché buona parte dell’Africa settentrionale ed orientale) che sia o si ritenga essere (potenzialmente) ostile nei confronti dell’Occidente. D’altra parte, il pericolo di essere un apprendista stregone lo deve pur correre Obama, e con lui i gruppi subdominanti europei, dacché è in gioco la supremazia stessa degli Stati Uniti, che non possono più sperare di evitare di confrontarsi con le (nuove) potenze dell’Eurasia su basi ben diverse da quelle su cui si reggeva la politica degli Stati Uniti da Bush senior a Bush junior.

Perciò non può nemmeno sorprendere che nel mese di marzo 2011, in concomitanza con la controffensiva di Gheddafi e l’entrata in guerra della Nato contro la Libia, le prime manifestazioni contro il governo di Damasco si rivelino essere in buona misura eterodirette e tutt’altro che pacifiche. A nulla però valgono le notizie che confermano che tra i manifestanti vi sono gruppi  armati che cercano di gettare benzina sul fuoco per arrivare ad uno scontro con il regime (4). E a niente serve che Assad, che ormai è certo informato delle infiltrazioni nel Paese di diversi gruppi armati, nonché dei legami tra questi gruppi e le frange più radicali dell’opposizione, sia ancora disposto a fare notevoli “aperture”, compresa la concessione della cittadinanza ai curdi.

Si tratta di passi importanti e non facili, se, a differenza di quanto fanno i media mainstream, si tiene conto che la Siria non solo si trova, di fatto, in guerra contro Israele dal 1948, ovvero fin dalla nascita dello Stato sionista, ma che dopo la guerra del Kippur nel 1973 e la pace tra l’Egitto e Israele essa sostiene il peso maggiore della lotta contro gli israeliani (una lotta che porterà il regime baathista di Assad a dare il maggior contributo alla causa palestinese). In queste condizioni, la Siria sa benissimo che “aprendosi” rischia di essere aggredita dal “nemico alle porte”. Eppure Bashar Assad, i cui servizi non sono all’oscuro della terribile minaccia che incombe sulla Siria, non esita ad annullare lo “stato d’emergenza” in vigore dal 1963 e a sciogliere il governo. Una qualsiasi altra opposizione non si lascerebbe sfuggire una tale occasione, ma le forze che sono scese in campo contro Assad hanno scopi del tutto differenti da quelli dei manifestanti pacifici.

Al riguardo, la sequenza degli eventi non lascia dubbi. Mentre si susseguono manifestazioni più o meno violente e compaiono “misteriosi” cecchini che sparano sulla folla, si moltiplica la pressione della “comunità internazionale” (ossia “Usa e soci”) su Damasco, affinché Assad getti la spugna. A maggio gli Stati Uniti annunciano sanzioni economiche contro la Siria, subito seguiti dalla Unione Europea (e questo mentre i “mercati occidentali” massacrano i ceti popolari e medio-bassi dell’Europa Meridionale – Italia compresa, con il consenso di quella che si potrebbe definire la “finanzsinistra” – , al punto da rendere problematico per un buon numero di cittadini di Eurolandia garantire le cure mediche o un pasto decente ai propri familiari). Ma è nel mese di giugno che dovrebbe essere chiaro a chiunque che cosa veramente accade in Siria, allorché il governo di Damasco comunica che a Jisr al-Shughour ben 120  membri delle forze dell’ordine sono stati uccisi da una banda armata. Nondimeno, a luglio Assad fa ancora un tentativo per risparmiare al proprio Paese gli orrori di una guerra civile, rimuovendo il governatore della provincia di Hama. E il Presidente siriano annuncia pure di essere pronto ad avviare un “dialogo nazionale” sulle riforme, esattamente come aveva già dichiarato il 31 gennaio al Wall Street Journal. Assad dunque ha intenzione di mantenere le proprie promesse. A questo punto però Obama getta la maschera, dichiarando che Assad deve abbandonare la carica di Capo dello Stato, mentre parallelamente i rappresentanti dei “ribelli”, riuniti a Istanbul, danno vita al cosiddetto “esercito siriano libero”. Nulla può più fermare la macchina da guerra che muove contro la Siria baathista.

In sostanza, in Siria si è ripetuto il noto copione che porta all’aggressione di un Paese ostile all’Occidente: prima si creano, agendo su quelle “fratture interne” presenti in ogni Stato, le condizioni per una insurrezione armata e si provocano incidenti e scontri attribuendo alle forze governative ogni sorta di crimini e misfatti, in particolare proprio quelli commessi dai “ribelli”; poi scatta la condanna della “comunità internazionale” con sanzioni e la richiesta di cambio di regime. Nel frattempo gli episodi di violenza si moltiplicano, si infiltrano nel Paese numerosi gruppi armati, nonché membri delle forze speciali occidentali, e nelle mani dei “ribelli” appaiono, di punto in bianco, armi potenti e sofisticate. Le tensioni sociali naturalmente non spiegano affatto quel che in realtà succede, ma vengono strumentalizzate dai media mainstream al fine di giustificare l’aggressione. (Peraltro, non è difficile immaginare quel che accadrebbe anche nel nostro Paese, se si desse vita ad una “operazione colorata” di questo genere, facendo leva, con larga disponibilità di mezzi e risorse, su organizzazioni criminali e/o gruppi estremisti”).

Tuttavia, gli strateghi (filo)occidentali anche questa volta hanno commesso un errore, non tenendo conto della storia politico-militare della Siria o interpretandola, come al solito, secondo schemi concettuali basati su pregiudizi “etnocentrici”. L’esercito siriano in tutte le guerre combattute contro Israele si è sempre distinto per tenacia e capacità di “resistere al fuoco nemico”. Quel che i siriani non potevano fare era colmare il divario tecnologico tra i sistemi d’arma degli israeliani (in particolare aerei, missili e radar) e quelli prodotti dall’Unione Sovietica in dotazione alle Forze Armate di Damasco. Eppure, nonostante i rovesci subiti dall’aviazione e dalla difesa aerea, nel giugno del 1982, l’esercito siriano riuscì a frustrare l’azione di un intero corpo d’armata israeliano comandato dal generale Ben-Gal. Quando si iniziò il “cessate il fuoco”, a mezzogiorno dell’11 giugno, infatti l’autostrada Beirut-Damasco, obiettivo principale di Ben Gal, era ancora saldamente controllata dalla prima divisone e da elementi della terza divisione corazzata siriane. E questo nonostante che l’attacco di Ben-Gal fosse cominciato dopo che pressoché tutte le batterie Sam siriane erano state distrutte o gravemente danneggiate. (5)

Il parziale scacco dell’esercito israeliano (solo parziale, in quanto in seguito gli israeliani, grazie al completo dominio dell’aria, riuscirono a controllare una sezione dell’autostrada Beirut-Damasco) non solo non venne ben valutato dalla maggior parte degli analisti israeliani, che nella seconda invasione del Libano andarono incontro ad una più severa sconfitta contro Hezbollah, ma nemmeno dalla maggior parte degli analisti statunitensi od occidentali, abituati a confondere la superiorità tecnologica e la maggiore potenza di fuoco con la capacità e il valore dei combattenti (nonostante le durissime lezioni della Guerra d’Indocina, d’Algeria, di Corea e del Vietnam). Ma, al di là della prestazione dell’esercito siriano contro l’esercito israeliano, quel che in questa sede rileva, come si sarà capito, è il fatto che era stato questo esercito, profondamente radicato nella società siriana, a reprimere la rivolta di Hama, scatenata dai Fratelli Musulmani, nel febbraio del 1982, proprio alcuni mesi prima degli scontri tra siriani ed israeliani nel Libano, ossia quando la tensione tra Siria e Israele era già altissima. Conta poco qui anche il giudizio che si può esprimere sulla durezza della repressione da parte di Hafez Assad, molto di più conta invece, per capire la forza del regime baathista, che è l’esercito (e, si badi, un esercito di leva) il pilastro cardine dello Stato baathista, anziché, come favoleggiano i gazzettieri occidentali, gli “sgherri” di Assad.

Inoltre, i politici e gli analisti occidentali hanno trascurato il ruolo della Cina e (specialmente) della Russia, decise questa volta a non ripetere l’errore compiuto nel non mettere il veto alla Risoluzione 1973 dell’Onu. E se l’appoggio della Russia si è rivelato essenziale per la Siria, decisiva si è rivelata anche l’alleanza, solida e sicura, della Siria con l’Iran ed Hezbollah. Nulla di strano pertanto che, sebbene in questi lunghissimi due anni di guerra più volte l’Occidente abbia dato per finito il regime di Assad, l’esercito siriano abbia sempre saputo reagire, replicando “colpo su colpo” ad una aggressione condotta da una miriade di bande armate e di gruppi terroristici che possono contare su un finanziamento pressoché illimitato e su un continuo flusso di armi, munizioni ed equipaggiamento, oltre che su un costante flusso di informazioni fornito dai più sofisticati apparati di intelligence occidentali. Inevitabile però anche che i delitti sempre più efferati e orribili dei gruppi islamisti più estremisti, soprattutto stranieri, abbiano spinto gli elementi più moderati dell’opposizione a prendere le distanze dalla “rivolta” e reso invece ancora più coesa e determinata a combattere i “ribelli” gran parte della società siriana.

Si sono venuti così a creare i presupposti per una grande controffensiva dell’esercito siriano, coadiuvato dalle milizie di Hezbollah, che ha portato in questi ultimi giorni alla liberazione di Al-Qusayr, un nodo strategico tra Damasco, le coste, Homs, Hama e Aleppo. E l’esercito siriano adesso è pronto a muovere all’assalto per liberare la più grande città della Siria, dopo Damasco, diventata in questi ultimi mesi la roccaforte dei “ribelli”. Tutto lascia pensare quindi che la guerra civile siriana sia giunta al punto di svolta. Se i soldati di Damasco dovessero vincere la battaglia di Aleppo infliggerebbero un colpo letale ai “ribelli”. E tuttavia Damasco non può non tener conto anche delle “forze occidentali” che temono il contraccolpo di una vittoria di Assad, in quanto una totale vittoria di Damasco avrebbe un significato politico eccezionale, anche perché inevitabilmente emergerebbero le malefatte, le menzogne e i crimini compiuti dagli islamisti con il sostegno e la complicità delle potenze occidentali e dei circoli filo-atlantisti (mediamainstream compresi).

Di conseguenza, vi è da temere che gli Stati Uniti e i loro alleati accusino l’esercito siriano di aver usato armi chimiche (mentre vi sono numerosi indizi che siano stati i “ribelli” a farne uso), per giustificare un intervento della Nato o comunque una serie di azioni a sostegno dei “ribelli”, tali da poter rovesciare una situazione nettamente favorevole alle forze governative, o perlomeno tali da evitare una totale vittoria dell’esercito siriano che sta guadagnando rapidamente terreno. (6) D’altronde, è pur vero che la particolare e delicata situazione geopolitica della regione rende un intervento militare della Nato assai rischioso sotto ogni punto di vista. E si deve anche tenere presente che la fortissima reazione dell’esercito siriano, dopo che quest’inverno tutto pareva perduto per chi difendeva la causa della Siria baathista, ha colto di sorpresa anche molti analisti e politici europei che sulla Siria e su chi la difende, con le armi o con le parole, hanno detto e scritto una marea di sciocchezze vergognose, allo scopo di mostrarsi, per così dire, perfino “più realisti del re”.

Ovviamente il regime di Assad non è affatto privo di difetti, anche gravi, ma non è nemmeno lontanamente paragonabile al regime dell’Arabia Saudita o a quello del Qatar. (Ma in quale Paese non vi sono tensioni sociali e gravi contraddizioni? Va bene la questione dei “diritti umani”, ma almeno si considerino innanzitutto quelli fondamentali, come il diritto ad una alimentazione adeguata, alla salute, al lavoro e così via; ossia quei diritti sociali ed economici che la Siria cerca almeno di garantire, pur tra mille difficoltà, a differenza di quanto succede in molti Paesi occidentali – benché siano più ricchi della Siria – in cui dettano legge una decina di banche, società finanziarie e agenzie di rating angloamericane, cioè quei “mercati” che, dopo aver rapinato i risparmi delle famiglie e dei lavoratori, accumulati nel corso d’intere generazioni, si apprestano a “fagocitare” interi Stati per porre rimedio ai disastri causati da loro stessi). E se è facile rendersi conto di quello che può essere accaduto in quasi trenta mesi di guerra civile (resa ancor più terribile dalla presenza di mercenari e terroristi arrivati da ogni angolo della terra), è lecito e doveroso sostenere, pur sapendo che è impossibile che il “bene” sia tutto da una parte, che la principale responsabilità di quanto è accaduto (e accade) in Siria è, senza alcun dubbio, di quelle forze straniere e di quei siriani che non hanno esitato a ricorrere alla violenza e al terrorismo allo scopo di rovesciare il regime di Assad e distruggere la Siria baathista.

Una barbarie che ha già causato quasi 100.000 morti (ma la cifra potrebbe essere pure maggiore), oltre un milione di profughi e immensi dolori, sofferenze e rovine. Epperò, se Assad non si fosse opposto al disegno criminale dell’oligarchia occidentale e del grottesco petrodittatore del Qatar, sarebbe stata una catastrofe per tutto il Vicino e Medio Oriente (e non solo), indebolendo gravemente pure quel legame tra Hezbollah e Iran, che è ormai di vitale importanza per la causa del popolo palestinese (la cui classe dirigente, che presenta non pochi tratti simili a quelli della classe dirigente italiana, sembra essersi specializzata nella “svendita” della propria terra e dei sacrosanti diritti degli stessi palestinesi al miglior offerente). Perciò è logico che oggi, in Europa, coloro che ritengono che la politica di potenza degli statunitensi e dei loro alleati non sia destinata a durare in eterno, purché ci si impegni a contrastare ovunque e “senza se e senza ma” la “volontà di potenza” dei centri di potere atlantisti, non possono non augurarsi una completa vittoria delle forze fedeli al regime baathista di Bashar al-Assad, contro il terrorismo e le aberrazioni di quella caricatura dell’Islam che l’Imam Khomeyni definiva sprezzantemente, ma correttamente, “Islam made in Usa”.

 

 

WAR MAP SIRIA USA SERVIZI SEGRETI FRANCESI PUTIN E STORIA

 

 

No Fly Zone in Siria:

la risposta della Russia (Scenario)

Fonte web

No Fly ZoneCosa accadrebbe se gli Stati Uniti imponessero, senza la legittimazione del Consiglio si Sicurezza delle Nazioni Unite, una No Fly Zone in Siria? In particolare quale sarebbe la reazione della Federazione Russa e della milizia libanese Hezbollah?
La più prevedibile è la reazione della milizia libanese.

L’istituzione della No Fly Zone minaccerebbe direttamente i miliziani che combattono al fianco di Al Assad. I miliziani libanesi potrebbero tentare di attaccare obiettivi strategici in Giordania, paese dal quale verrebbe gestita operativamente la No Fly Zone. Barrage di razzi non guidati e tiri di artiglieria potrebbero minacciare la basi aeree poste presso il confine, e ancor più minacciate potrebbero essere le batterie missilistiche patriot che si trovano più vicino al confine. Per questi motivi una eventuale No Fly Zone non sarebbe solo un’area di interdizione al volo, ma si trasformerebbe in una zona nella quale gli aerei americani e degli alleati avrebbero il compito di neutralizzare le unità nemiche che operano sul terreno della No Fly Zone, così come avvenuto in Libia. Più complessa è la valutazione della risposta russa all’impostazione unilaterale Usa di una No Fly Zone.

Dopo un iniziale silenzio il governo russo nella giornata di sabato, per bocca del ministro degli esteri Lavrov, ha definito una No Fly Zone in Siria anche su una piccola parte del territorio del paese mediorientale, una violazione del diritto internazionale. Una frase del ministro degli esteri russo che evidenzia una volta di più come la Federazione Russa si opporrà con tutti i mezzi disponibili alla caduta di Al Assad.
Poniamo, per ipotesi, che gli Stati Uniti impongano comunque una No Fly Zone nel sud della Siria, e che per aumentare le capacità di comando e controllo, nonché per avere a disposizione un’ampia gamma di opzioni da fornire al presidente americano, il pentagono disponga l’invio di una portaerei nucleare, ed il suo gruppo di attacco, nel mediterraneo orientale.

Se ciò avvenisse come prima mossa la Russia probabilmente farebbe sbarcare in Siria tutto il contingente di fanti di marina a bordo della Task Force ora nel mediterraneo, e cioè circa 1700 uomini. Al fianco dei fanti di marina, la federazione russa potrebbe inviare la 106ª Divisione Guardie Aviotrasportata di stanza a Tula, forte di 5000 uomini e che potrebbe essere rapidamente trasportata nella regione di Latakia.

Contestualmente, ufficialmente a copertura della truppa e delle navi russe nel mediterraneo, Mosca potrebbe disporre la presenza di un contingente di caccia nel mediterraneo orientale. Le possibilità per avere un certo numero di caccia russi in zona sono sostanzialmente due:

•Dispegare la portaerei Kuznestov, dal mare del Nord
•Rischierare un paio di squadroni di Su-27/Su-35 e MIG-29/MIG-35 sul suolo siriano

Ognuna di queste opzioni determina differenti condizioni operative.

Nel caso fosse dispiegata la portaerei Kuznestov la Russia non potrebbe essere accusata di essere direttamente coinvolta nella guerra in Siria. Ma la Kuznestov è una portaerei di piccole dimensioni, in confronto ad una portaerei americana, e può ospitare solo 40 aeromobili. Il caccia imbarcato è il Su-33, un derivato del SU-27, fabbricato specificamente per l’impiego a bordo delle portaerei russe (erano previste 4 unità simili alla Kuznestov,) sulla Kuznestov sono imbarcati 14/16 SU-33. Tuttavia i 14/16 SU-33 non possono garantire efficacemente la copertura delle truppe e della flotta.

La seconda opzione sarebbe quella di rischierare circa 40 caccia in territorio siriano. Questa opzione garantirebbe ampio margine di manovra agli strateghi russi ma segnerebbe l’entrata in guerra “de facto” della Russia contro gli Stati Uniti.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Siria, la disfatta dei ribelli

 

La serie di sconfitte sofferte nelle ultime settimane dai “ribelli” siriani per mano delle forze del regime e di un limitato contingente di uomini di Hezbollah provenienti dal Libano sta spingendo i governi occidentali a cercare disperatamente qualche soluzione per invertire le sorti del conflitto. Svariati fattori, tuttavia, impediscono agli Stati Uniti e ai loro alleati di mettere in atto un processo sufficientemente condiviso per portare a termine la crisi, così che l’unico percorso teoricamente praticabile rimane il rovesciamento con la forza del regime alauita di Damasco.