STATI UNITI E ARABIA SAUDITA:

DUE CUORI E TANTI AFFARI, A SCAPITO

DEI DIRITTI UMANI VIOLATI

 

IN ARABIA SAUDITA GIUSTIZIATO RECENTEMENTE

UN GIOVANE CONVERTITO AL CRISTIANESIMO

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

INTRODUZIONE

 

Con una mossa che lascia interdetti, l'amministrazione Bush sta cercando di vendere armi all'Arabia Saudita per un valore di 20 miliardi di dollari. Siamo fermamente convinti, infatti, che armare un regime che ha RIPETUTAMENTE dimostrato di non essere interessato in alcun modo ad un minimo di salvaguardia dei valori della carta dei diritti dell'uomo, compreso il diritto di professare una religione diversa da quella ufficiale, vuol dire semplicemente essere affetti da miopia ed ipocrisia. La verità è che l'Arabia Saudita ha usato la sua immensa ricchezza per esportare letteralmente nel mondo il fondamentalismo religioso (Bin Laden e la sua ricchissima famiglia provengono proprio dell'Arabia Saudita), la totale intolleranza verso le altre religioni e modi di pensare di altri popoli. Ma di tutto questo, come dei diritti umani, alla amministrazione americana, alle compagnie petrolifere e al Pentagono sembra contare ben poco.

"L’Arabia Saudita è una monarchia basata su principi tribali e su di una stretta interpretazione dell’islam. Le continue violazioni dei diritti umani, soprattutto i diritti della donna, che accadono giornalmente nel paese musulmano, raramente suscitano reazioni in occidente.

L’Arabia Saudita è direttamente o indirettamente responsabile di quasi tutti gli attentati terroristici di matrice islamica avvenuti nel mondo; vuoi perché materialmente compiuti dai propri cittadini (vedi l'11 Settembre 2001), vuoi perché opera di fondamentalisti educati nelle Madrasse di tutto il mondo che sono finanziate appunto dal governo Saudita.

Questi fatti sono più o meno noti ma il paese musulmano non sembra pagare alcuna conseguenza politica o economica per il proprio operato. Il motivo principale dell’impunità saudita è il fatto che sotto il sedere dei principini ci sono i più grandi giacimenti petroliferi al mondo. Ma a differenza dell’Iraq e dell’Iran che hanno usato petrodollari per fomentare guerre regionali, l’Arabia Saudita usa i propri ingenti capitali per comprare immunità dall'opinione pubblica internazionale.

La pubblicizzata amicizia tra la famiglia Bush ed i principi sauditi è solo la punta dell’iceberg delle relazioni politico-economiche della famiglia reale saudita che ha legami d'affari in tutto l'occidente..
Ma la cosa più interessante è che i “duri e puri” dell’Islam che utilizzano quasi un quarto del prodotto interno lordo per finanziare le scuole craniche e le moschee di tutto il mondo, sembrano avere uno forte interesse verso i diabolici media occidentali.

I principi sauditi sono il terzo azionista di ews Corporation, il conglomerato di Rupert Murdock che arriva nelle case di tutto il mondo con I suoi canali satellitari, film, ecc. Ma ha forti interessi anche in Walt Disney, che per la cronaca non pubblica solo favole per ragazzini ma gestisce canali televisivi dell’importanza di ABC, ESPN e produce film e show televisivi del calibro di Lost, Desperate Housewives, ecc…

Ecco spiegato come l’Arabia Saudita sia il vero motore della diffusione del fondamentalismo (e del terrorismo) islamico nel mondo; da un lato fa di tutto per diffondere nel mondo la visione più bigotta ed opprimente dell’Islam, dall’altro acquista i media e la protezione politico-economica occidentali per far si che il proprio giochino non venga scoperto"
(fonte web).

Questo è talmente vero che c'è anche un rapporto del 2005 di una agenzia americana indipendente che afferma che "L’Arabia Saudita esporta il jihad addirittura anche in America (leggere per credere)". Naturalmente questo non viene detto agli americani, i quali, continuano a credere ciò che  l'Amministrazione vuole, cioè che l'Arabia Saudita è un paese islamico moderato alleato dell'occidente. Il fatto è che anche noi, poveri europei supini ai voleri di Washington, ci crediamo...!

È la politica americana della doppiezza ipocrita e opportunistica: da una parte si dice di combattere il terrorismo e l'integralismo islamico, seminando guerre che non potranno mai essere vinte (vedi Iraq e Afghanistan), mentre dall'altro si fanno affari e si stringono accordi amichevoli e strategici con il paese più integralista del mondo in cui basta semplicemente essere accusati di apostasia o soltanto essere trovati in preghiera in una casa privata per rischiare la morte.

E tutto questo essenzialmente per il petrolio. Per il petrolio si massacrano popoli interi dicendo loro che questa è la guerra per la democrazia e intanto la chiesa cristiana irachena, che con Saddam era la più numerosa e fiorente del Medioriente, ora è ridotta ad un lumicino che fumiga rischiando di spegnersi da un momento all'altro. Nessuno però racconta che un gran numero di guerriglieri islamici stranieri che operano in Iraq provengono proprio dall'Arabia Saudita dove vige il Wahhabismo (la dottrina sunnita ultra integralista nata in era moderna proprio in Arabia), che è la dottrina ufficiale di quel paese.

Ecco alcune testimonianze...
 

 

 

 

Giustiziato a La Mecca perché cristiano

Fonte web - 26/3/2008

LA MECCA (Arabia Saudita) - Abdulrajman Mohamed Saleh è stato giustiziato lo scorso 18 marzo a La Mecca, capitale dell'Arabia Saudita, perché colpevole di essere diventato cristiano.

Abdulrajman Mohamed Saleh aveva ventitré anni; figlio di un tecnico petrolifero originario del Mali, aveva dieci fratelli e proprio tramite uno di essi il giovane si era avvicinato al cristianesimo. Suo fratello, a sua volta, aveva sentito parlare del vangelo da uno straniero; la sua conversione al cristianesimo gli costò due anni di carcere e, riuscito a scappare, si è rifugiato in un paese del Magreb.
Una sorte ben diversa ha toccato Abdulrajman, diventato cristiano poco più di due mesi fa, arrestato, sottoposto a un giudizio sommario senza possibilità di difesa e quindi giustiziato a causa della sua fede.

«Abdulrajman - precisa Federico Bertuzzi della acpress.net - era nato il 7 febbraio 1985 e il suo numero di carta d'identità saudita è AB 6.650.340. Ha passato il suo ultimo giorno nel carcere Riad Alhaier, nel quartiere Sharaia a La Mecca. I suoi familiari hanno ricevuto una telefonata che li informava dell'arresto e della prossima esecuzione, che è stata poi messa in atto».

Il giovane convertito al cristianesimo è solo uno dei molti cristiani che rischiano la morte, e spesso la trovano, perché hanno lasciato l'islam. L'apostasia è un reato nei paesi islamici.

La realtà è che «il più grande produttore di petrolio del mondo - prosegue Bertuzzi - considerato come il vero custode dell'islam, applica un'interpretazione letterale della legge coranica, il wahabismo, e disprezzando i più elementari diritti umani, destina al patibolo chi rinnega Maometto. E non lo fa al di fuori della legge, ma nel pieno rispetto di essa. L'Arabia Saudita opera con alcune delle più grandi multinazionali petrolifere del mondo, ma queste non si accorgono della tirannia e delle terribili atrocità commesse nel Paese? L'indifferenza e il cinismo dilagano, e Abdulrajman, solo un nome in una lista, ha pagato con il proprio sangue». Come un martire, ma del ventunesimo secolo. [sr]
 

 

Esecuzione pubblica della polizia religiosa la "muttawa"

 

 

 

 

Persecuzioni contro i

cristiani in Arabia Saudita

testimonianza di Oswaldo Magdangal

 Fonte web

Il mio nome completo è Oswaldo Magdangal ma fra i cristiani in Arabia Saudita sono più conosciuto come "pastore Wally". Insieme a mia moglie ho trascorso 10 anni in Arabia Saudita. Il 14 ottobre del 1992, la mutawa riuscì a rintracciarmi. Forse non tutti sanno cos'è la mutawa: è la polizia di sicurezza religiosa dei paesi islamici. I suoi ufficiali sono paragonabili ai farisei del tempo di Gesù: dovrebbero essere dottori della legge, esperti che applicano le prescrizioni religiose, ma Gesù li chiamava "ipocriti" e "sepolcri imbiancati". Ciò che valeva per i farisei di allora vale anche per la mutawa di oggi.

Nell'ottobre 1992, dunque, la mutawa venne a sapere dove mi trovavo, tramite un credente filippino; così almeno pensavo allora, ma ora dubito molto della sua esperienza cristiana. In ogni modo era stato per anni insieme a noi. Mi era molto vicino, lo consideravo più che un fratello. Qualche giorno prima del mio arresto lo vidi uscire da una moschea. Lo avvicinai e gli chiesi: "Non avrei mai immaginato che fossi musulmano". Mi disse: "Lo sono già da un po' di tempo". Qualche giorno dopo quell'incontro fui arrestato insieme ad un altro fratello, con l'accusa di bestemmia e di sovversione, i due capi d'imputazione con i quali potevano giustificare la nostra esecuzione per impiccagione. Per gli uomini in Arabia Saudita esistono due modi per essere messi a morte: decapitazione o impiccagione. La decapitazione è riservata ai criminali, stupratori, omicidi, trafficanti di droga ecc. La forca invece viene riservata ai bestemmiatori e ai sovversivi. Noi dunque dovevamo essere impiccati il 25 dicembre del 1992.

In quegli anni usavamo la massima prudenza. Prima dei culti i fratelli entravano in momenti prestabiliti durante il corso della riunione, ognuno aveva il suo preciso momento di arrivo. A volte eravamo molto rigidi: chi non arrivava al momento prestabilito non poteva più entrare e doveva ritornare la settimana successiva. Qualche volta facevamo entrare anche i ritardatari, ma mai se prima non avevano telefonato, scritto una lettera o avvertito per tempo che non sarebbero venuti in orario. Chi suonava doveva comporre un numero al citofono. Quando la mutawa entrò conosceva il nostro numero a causa della spia. Pochi giorni prima dell'irruzione il Signore ci aveva già dato una chiara indicazione che saremmo stati perseguitati. Venti agenti perquisirono la mia casa, misero tutto sottosopra. Infine mi portarono via; gli altri fratelli che erano con me furono rilasciati quella sera stessa. Alle tre di mattina fui rinchiuso, per la prima volta, in una cella di 3 metri per 5 dove avevano stipato 25 prigionieri che dormivano tutti per terra come sardine in scatola.

La cella era così piena che non potevano sdraiarsi sulla schiena ma solo sui fianchi. Per me non c'era spazio; perciò mi misi a sedere vicino al gabinetto. La mattina del mio arresto mia moglie si era recata all'ambasciata filippina. L'ambasciatore mi conosceva già; chiamò il suo assistente dando ordine di aiutare mia moglie a trovarmi. Più tardi, la sera dello stesso giorno, vennero a trovarmi. L'indomani, venerdì, fui incatenato ai piedi e ammanettato. Non c'era ancora nessuna accusa, nessun processo e già ero ammanettato. Mi portarono al piano di sopra, in una stanza dove tre uomini mi torturarono fisicamente per diverse ore. Non c'era stato processo né condanna, ma le torture precedettero l'interrogatorio ufficiale. Prima mi schiaffeggiarono, mi diedero dei pugni e dei calci. Ben peggiori furono le bastonate. Mi batterono sulla schiena, sulle palme delle mani e sotto la pianta dei piedi. I colpi sulla schiena sono dolorosi, anche quelle sulle mani, ma le percosse sotto le piante dei piedi lo sono molto più perché esse portano tutto il peso del corpo. Eppure potei sostenere quelle torture; tutta la gloria va a Dio, non è merito mio! Spiritualmente ero ben preparato e Dio era con me e mi permise di sopportare tutto, sostenendomi dall'inizio alla fine.

Fu un miracolo! Prima di condurmi nella mia cella, quella sera, mi chiesero se avessi ancora qualcosa da dire. Mi preoccupavo della loro salvezza eterna e perciò risposi che avevo chiesto al Signore di perdonare loro tutto. In seguito comunicai loro cose più importanti. So che Dio stava toccando il loro cuore. Potete interrogare qualsiasi filippino battuto in Arabia Saudita: dopo 5 minuti di torture li facevano stendere sulla pancia e curavano le loro ferite. Anche dopo la guarigione si vedevano ancora le cicatrici per diverse settimane. Nel mio caso però non c'erano più cicatrici o tagli dopo sette ore e mezzo! Fu un grande miracolo. Quando riconobbi di essere completamente guarito, mi misi a piangere. Dissi a Dio che era meraviglioso!

Fui portato in tribunale per ben due volte ma non c'era nessun avvocato, né alcun rappresentante del governo filippino. Il 9 novembre fui nuovamente interrogato dall'ufficiale della mutawa. Ad un certo punto l'ufficiale mi disse: "Raccontami cosa insegna il cristianesimo." Ringraziai il Signore per quest'opportunità e cominciai. Dopo un po' notai che l'espressione del suo volto era cambiata: stava sorridendo e mi accorsi che lo Spirito Santo stava operando. Tuttavia egli non accettò Gesù Cristo come Signore. Quando ebbi finito mi disse: "Ora capisco perché sei un cristiano." Prima che mi lasciasse quel giorno ebbi la convinzione che il Signore l'aveva davvero toccato perché mi disse cose che non mi poteva ufficialmente comunicare. Mi disse: "Wally, voglio che tu sappia che la tua situazione è estremamente seria. La tua sentenza sarà la condanna a morte per impiccagione."

In Arabia Saudita non è permesso dire ai prigionieri a quale pena saranno condannati, perché così non hanno più possibilità di ricorrere in appello, e la gente non saprà nulla in anticipo; lo si saprà non prima del giorno seguente, quando si leggerà la notizia del supplizio sui giornali. Il 15 dicembre un eminente generale andò a trovare mia moglie. Lo fece in gran segreto perché aiutarci costituiva un grave rischio. Mia moglie ed io siamo stati 10 anni in Arabia Saudita e ambedue lavoravamo per il governo. Dio mi aveva permesso di avere rapporti con molte persone importanti. Il giorno dopo il mio arresto mia moglie cominciò a telefonare loro uno per uno. Tutti quanti offrivano il loro aiuto ma non potevano realizzare le loro belle promesse. Il generale le spiegò che era rimasta solo una carta da giocare: dovevamo informare il governo filippino. E bisognava farlo in fretta. Mia moglie si inginocchiò e ne parlò con Dio, che le mostrò le due persone che doveva contattare nelle Filippine.

Il 21 dicembre i giornali di Manila pubblicarono la nostra storia. Il 23 dicembre alle 23:15 un alto funzionario della polizia ci comunicò che io e il fratello Renè eravamo finalmente liberi. Alle 16:30 del giorno seguente ci fecero salire su un'auto della polizia per condurci all'aeroporto. Entrammo in aeroporto da un accesso secondario; a un tratto vedemmo un rappresentante della famiglia reale; ci venne vicino e ci salutò chiedendoci come stavamo. Gli raccontammo tutto, anche dei maltrattamenti subiti. Si dimostrò meravigliato e in seguito guadagnammo la sua amicizia. Nonostante le proteste dei nostri custodi fummo portati al piano superiore dove tutta la comunità era presente per darci l'addio. Presentai i miei fratelli al dignitario, che in seguito mi chiese se avevo apprezzato la compagnia di mia moglie e dei miei amici nella sala della dogana. Per la prima volta in Arabia Saudita, i cristiani avevano potuto tenere un culto di 30 minuti in un luogo pubblico! Il 25 dicembre eravamo a Manila, sani e salvi.

 

 

 

 

 

 

 

Per la prima volta sotto processo agenti

 della polizia religiosa, accusati di omicidio

Fonte web

Due componenti della potentissima “Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio” sono accusati di aver ucciso a bastonate un uomo nella casa del quale, al termine di una perquisizione condotta “con stile di commando”, sarebbero stati trovati alcol e droghe.
 

Riyadh (AsiaNews) – E’ cominciato davanti all’Alta Corte di Riyadh il primo processo che vede sul banco degli imputati due componenti della potentissima “Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio”, denominazione ufficiale della polizia religiosa saudita, la muttawa. I due sono accusati di aver ucciso a bastonate Sulaiman Al-Huraisi, nella casa del quale la polizia aveva fatto irruzione pensando che ci fossero alcolici. I due sono imputati anche per aver arrestato delle donne senza che fossero presenti agenti femminili.

L’avvocato della famiglia, nel resoconto dell’ufficioso Arab News, ha specificato di essere un “privato”, che non rappresenta la Commissione, né alcun altro ente governativo.

La vicenda è accaduta nella capitale: sospettando che nella casa di Sulaiman Al-Huraisi ci fossero alcolici, 18 uomini della polizia religiosa vi hanno fatto irruzione “con stile di commando”. La perquisizione, secondo la muttawa, ha portato al rinvenimento di bottiglie di alcolici e di droga, il che ha provocato l’arresto di tutta la famiglia e di loro parenti che vivevano in altri appartamenti dello stesso edificio. Portato in carcere, Al-Huraisi, è morto a causa, secondo l’autopsia, delle bastonate ricevute.

Al termine della prima riunione, l’Alta Corte ha negato ai due la libertà su cauzione ed ha fissato al 6 novembre la prossimo seduta.

In una sua dichiarazione, il governatore di Riyadh ha ricordato che sulla vicenda di Al-Hurasi sono in corso tre procedimenti. Gli altri due riguardano “l’abuso di autorità” da parte della Commissione per le modalità con le quali si svolse la vicenda ed il possesso di alcol e droghe trovati durante la perquisizione, che vede imputati i familiari dell’ucciso.

Al di là delle conclusioni delle singole vicende, è decisamente nuovo il fatto che accuse e critiche vengano mosse all’interno dell’Arabia Saudita verso la potentissima Commissione. In passato la muttawa è stata accusata, tra l’altro, di arrestare e tenere in carcere senza processo, persone non musulmane con la sola colpa di pregare o essere in possesso di libri o immagini religiosi.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

ARABIA SAUDITA. Human Rights Watch: Riad

rispetti diritti d'imputati minorenni
 

Human Rights Watch ha espresso una dura critica nei confronti del sistema giudiziario dell'Arabia Saudita, chiedendo in particolare alle autorità di quel paese di mettere al riparo gli imputati minorenni da abusi nel corso di interrogatori e processi.

 

 

L’Arabia Saudita esporta il jihad anche

in America (leggere per credere)

 

E’ bello credere alle favole. Una di quelle che amiamo di più riguarda l’Arabia Saudita. Nell’illusione fabiesca, il regno dei Saud è "un paese arabo moderato", "un alleato dell’occidente", "un promotore di un piano di pace per il medio oriente". Negli anni della Guerra fredda i sauditi sono stati un baluardo all’espansione dell’impero sovietico, ma oggi sono soltanto i principali fomentatori dell’odio antioccidentale e del fondamentalismo islamico.
 

 

Antefatti agli attentati dell'11 settembre 2001

I rapporti economici privati tra la famiglia presidenziale americana e il clan saudita rientrano naturalmente in una sfera di considerazioni che riguardano la possibilità che l'attuale amministrazione USA non dica tutta la verità su quello che concerne le dinamiche legate al contesto delle guerre mediorientali e delle cause che le avrebbero determinate.

 

 

Diritti umani: Gli stati arabi

rivedano la loro legislazione

 

L'Istituto per lo Studio dei Diritti Umani al Cairo ha chiesto alla comunità internazionale di fare tutto il possibile per spingere i governi arabi a riconsiderare in maniera debita la loro legislazione, la loro politica e le loro pratiche che di fatto contravvengono ai loro obblighi internazionali di proteggere la libertà di riunione, la libertà di espressione e la libertà di costituire associazioni, incluse le organizzazioni non-governative.

 

 

RAPPORTO SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA NEL 2007

 

Le pagelle sulla libertà religiosa degli USA
 

 

COS'è IL Wahhabismo?
 

Wahhabismo è il nome del movimento islamico scaturito dalla "riforma" religiosa realizzata da Muhammad ibn Abd al-Wahhāb e attualmente in vigore in Arabia Saudita.