ITALIA

BREVE STORIA DELL'ABORTO

"uccidi, purché sia tuo figlio"

a cura di Claudio Prandini

 

"Prima ci fu Erode, che fece massacrare i bimbi di Betlemme, poi sono venuti tra gli altri Hitler e Stalin, che hanno fatto massacrare milioni di persone, mentre oggi nella nostra epoca vengono uccisi milioni di bambini non ancora nati" (Cardinale di Colonia, Joachim Meisner)

 

Tutti all'arrembaggio della vita...!

 

AVVERTENZA:

Dato il contenuto piuttosto forte di alcune immagini, se ne consiglia la visione ad un pubblico adulto!

Perché queste immagini? Perché esse esprimono, più di mille parole, la realtà della morte causata dalla volontà umana, aborto compreso!

 

Fonte web

Il 1978, ben dopo gli altri Stati, è l'anno della legalizzazione dell'aborto in Italia, con la cosiddetta legge 194. Negli anni Settanta la sinistra (PCI, PSI, PSDI), insieme ai partiti liberal-capitalisti (PRI, PLI), e al Partito Radicale di Pannella, Bonino e Rutelli, con l'appoggio di tutta la grande stampa (specie la Repubblica di Scalfari, L'Unità, Espresso, Panorama e Corriere della Sera) sostiene l'introduzione in Italia dell'aborto libero, gratuito, a spese dello Stato. L'argomento principale a favore di tale legge è l'esistenza di centri di aborti clandestini, che causerebbero lo sfruttamento e talora la morte delle madri: si arriva, con una falsità straordinaria, ad indicare, con cifre altissime, il numero "preciso" degli aborti clandestini, come se fosse possibile conoscerlo, come se non fossero, appunto, "clandestini".

Si assiste ad un terrorismo dei numeri che tende a gonfiare se stesso nell'euforia della quantità e nel progredire dei giorni: "Tre milioni di aborti clandestini nella penisola, 25.000 donne morte ogni anno in seguito ad aborto clandestino…". La storia si incaricherà di smentire queste fole, ma l'emozione del momento e il tam tam dei giornali convinceranno molta gente. L'altro argomento, sostenuto con campagne miliardarie dalla famiglia Rockefeller, dall'ONU e per certi aspetti anche dal WWF e dal Club di Roma legato agli Agnelli, è la sovrappopolazione del pianeta. Il parlamentare socialista Loris Fortuna scrive: "7 miliardi gli individui che nel 2000 popoleranno la terra… ipotizzabile, come evento futuro, ma non incerto, la catastrofe". Chi glielo dice oggi, al Fortuna, che siamo il Paese più vecchio e ansimante d'Europa, che la nostra popolazione diminuisce drasticamente ogni anno? Accanto a queste cifre roboanti, indimostrate e indimostrabili, oggi lo sappiamo, sicuramente false e confutate, si cerca di tappare la bocca agli oppositori anche con l'utilizzo di un linguaggio mascherato.

La falsità è lo sfondo su cui si svolge tutto il dibattito, depistato da affermazioni di questo tipo: “La soluzione di fondo non è quella … di discutere astrattamente sul concetto di inizio della vita”; “il problema dell'aborto dovrebbe essere discusso in ambito squisitamente etico-morale e non attraverso considerazioni di natura biologica” (L'Unità, giornale del partito comunista, 2/3/1977 e 25/2/1977). Traducendo: discutiamo pure, purché non ci si chieda di accertare di che cosa (un minerale? un vivente?) si stia discutendo. Così si lotta in ogni modo per riconoscere la legge del più forte, per occultare la spaventosa realtà dell'omicidio con espressioni ingannevoli: quel bimbo che si muove nell'utero materno come un astronauta nella capsula spaziale, che scalcia se la mamma è seduta male o se compie un movimento brusco, che si succhia il dito e percepisce suoni e rumori esterni, diventa, nella terminologia degli abortisti e delle femministe, un "feto", un "grumo di sangue", un "brufolo", un "parassita", un "clandestino a bordo" e la sua uccisione, semplicemente, "interruzione volontaria di gravidanza" (grazie alla "diplomazia" degli pseudo-cattolici del PCI, i catto-comunisti Gozzini, La Valle, Pratesi…).

Eppure l'aborto è un delitto orribile, perché colpisce l'innocente, colui che non può difendersi, e perché non rimane senza conseguenze sulla madre, anche se spesso nessuno la avvisa di ciò: anche lei rischia, perché può andare incontro alla perforazione dell'utero e dell' intestino, ad emorragie, alla sterilità, e ad un ossessionante senso di colpa che le può impedire di diventare madre per tutta la vita. Un medico abortista racconta infatti che dopo il primo aborto alcune mamme vanno incontro ad "aborti ripetuti", non perché non vogliano figli del tutto, ma "per autopunizione. Il meccanismo psicologico è: non potrò più essere madre perché ho abortito" (La Repubblica delle donne, 24 maggio 2003; per vedere cosa sia veramente l'aborto, anche attraverso l'ausilio fotografico, si consiglia il libro Aborto: il genocidio del XX secolo, Effedieffe, largo V.alpini 9, 20145 Milano; oppure il sito internet www.amicivita.it). Nel 1978, dunque, passa in parlamento la 194, che introduce in Italia l'aborto legalizzato, libero, finanziato e organizzato. I voti determinanti sono offerti dalle forze di cui abbiamo già parlato.

Il mondo cattolico, invece, appare diviso. Come ai tempi del referendum sul divorzio, non mancano le associazioni cattoliche favorevoli alla nuova legge, e neppure gli ecclesiastici. Fra questi molti sono vacillanti, timidi, spaventosamente indifferenti. Lo hanno ricordato a più riprese Pietro Scoppola, Giulio Andreotti, Ettore Bernabei ed altri. Il partito di riferimento dei cattolici, la DC, che dovrebbe gestire l'opposizione alla legge, essendo il maggior partito ed essendo al governo da solo, abdica brutalmente, specie per quanto riguarda i vertici (clamorose le numerose e determinanti assenze di deputati democristiani nelle Commissioni ed in Parlamento, nei momenti cruciali, dal 1975 - allorché il governo Moro dichiarava la sua neutralità sull'argomento -, in poi). Sono tutti democristiani i membri del governo che controfirmano la legge presentata dal Parlamento: soprattutto ricordiamo Andreotti, capo del Governo, Anselmi, ministro della Sanità, Bonifacio, ministro di Giustizia, e Leone, presidente della Repubblica, che avrebbe potuto rimandare la legge alle Camere. Nessuno di loro si dimette, preferendo la stabilità del governo alla coerenza personale (eppure il governo cadrà quasi subito e Leone sarà costretto ignominiosamente a dimettersi per altri motivi).

Nessuno fa ostruzione, nessuno si dissocia di fronte ad una delle leggi abortiste più permissive al mondo, che considera l'aborto, secondo l'aspettativa dei comunisti, “una operazione qualsiasi, alla stregua di tutte le altre, e che, come tale, sia pagata dalla mutua…” ("Aborto: una battaglia di civiltà", 1975; in questo opuscolo si legge anche: "E' importante infine che l'aborto possa essere praticato su minorenni senza il consenso dei genitori". Giunto al governo, nel novembre 1998, il leader dei DS, Massimo D'Alema, ripeterà che l'aborto è un "elemento di civiltà"). Addirittura, passata la legge, Andreotti, tramite l'Avvocatura di Stato, se ne assume la difesa, chiedendo alla Corte Costituzionale di rigettare le numerose eccezioni di incostituzionalità presentate dopo l'entrata in vigore della 194.

La 194 stabilisce, all'articolo 4, che la donna che vuole interrompere la gravidanza nei primi tre mesi deve rivolgere la sua richiesta ad un pubblico consultorio o ad un medico generico, cioè anche ad un dermatologo, un dentista, un ortopedico o simili. L'articolo 6 disciplina l'aborto dopo i tre mesi in casi particolari. L'articolo 9 riconosce l'obiezione di coscienza a medici ed infermieri che siano contrari a collaborare a quello che ritengono un omicidio, ma li esclude dalla possibilità di far parte dei consultori, le strutture pubbliche in cui la gestante può rivolgersi per un consiglio prima di interrompere la gravidanza. "Secondo lo spirito della legge la gestante deve incontrare sulla sua strada solo personale abortista": il rischio è che personale contrario consigli alla donna di portare a termine la gravidanza, le spieghi cosa l'aborto è veramente, oppure, solo, la inviti a partorire il figlio, invece che ucciderlo, senza riconoscerlo, come è possibile fare secondo la legge italiana. Un figlio non voluto può infatti venir non riconosciuto dalla madre ed essere successivamente adottato da una mamma sterile o comunque desiderosa di una nuova creatura.

La possibilità dell'obiezione di coscienza ha provocato e provoca tuttora le ire funeste dei giacobini: per fare un solo esempio i verdi Cento e Corleone sono i depositari di un disegno di legge che impedirebbe a ginecologi obiettori l'assunzione dell'incarico di responsabile di reparto; Flores D'Arcais, direttore di Micromega e leader arrabbiato dei girotondini, propone sul numero 4 del 2000 di impedire l'assunzione negli ospedali pubblici di ginecologi che abbiano riserve a praticare l'aborto (vedi anche il sito della rivista "L'ateo"). E' la famosa e puntualissima intolleranza dei sedicenti tolleranti! Il problema, come ha spiegato recentemente la dottoressa Elisabetta Canitano, ginecologa e responsabile DS per la "sanità" a Roma, che pratica dall'inizio della sua carriera l'aborto con "spirito militante", quasi fosse una missione umanitaria, è che ben il 67,4% dei ginecologi italiani, cioè di coloro che sanno benissimo cosa l'aborto è veramente, si rifiutano di praticarlo (vedi La Repubblica delle donne, citato): "i tre colleghi che cominciarono con me hanno smesso". Infine, agli articoli 17-22, si stabiliscono le pene e le multe da applicare a chi pratica aborti clandestini: da una legge nata con la scusa di legalizzare l'aborto per limitare l'opera delle mammane e delle praticone, ci si potrebbero spettare pene severe, che invece non vi sono, in quanto vengono addirittura diminuite rispetto alla legislazione precedente.

Infine la 194, che è nella attuazione pratica ancora peggiore che nella sua ipocrita formulazione, rifiuta in teoria ogni criterio eugenetico; in realtà, il professor Claudio Giorlandino, celebre ginecologo, racconta di aver visto "coppie scegliere l'aborto solo perché il feto aveva sei dita ai piedi (operabilissime, come è ovvio)", e addirittura procedere in questo modo con "aborti a ripetizione" (vedi ancora la Repubblica delle donne, citato; si badi che si tratta nel complesso di un articolo fortemente filo-abortista, e non viceversa). E' evidente che lo stesso criterio potrebbe essere adottato da genitori che avessero scelto a priori di avere un maschio e non una femmina o viceversa... Scrive Emilio Bonicelli nel suo interessantissimo studio “Gli anni di Erode”: "Gli articoli della legge ne esprimono così chiaramente lo spirito: l'interruzione di gravidanza è resa libera e gratuita, ma viene in ogni modo favorita. Il parere contrario del medico, del padre del concepito, dei genitori, ovunque emerga, viene neutralizzato. Di fronte alla gestante dubbiosa ogni porta si apre perché la sua scelta sia quella del rifiuto della vita, ma nessun serio aiuto viene predisposto perché quella vita possa trovare accoglienza". (E' interessante notare che il numero assoluto degli aborti è stabile negli ultimi anni, attorno ai 130,000 all'anno. A queste cifre bisogna aggiungere altre forme di aborto come la pillola del giorno dopo, la spirale - IUD, dispositivo intra-uterino - ndr)

 

L'ABORTO COME LA SHOAH!

 

 

"Fu un parlamento legalmente eletto - scrive il Papa - a permettere l'elezione di Hitler in Germania negli anni '30. Lo stesso Reichstag diede a Hitler il potere che spianò la strada per l'invasione politica dell'Europa, la creazione di campi di concentramento, l'introduzione della cosiddetta "soluzione finale" della questione ebraica che portò allo sterminio di milioni di figli e figlie di Israele". Aggiunge il Papa, arrivando ai tempi presenti, che bisogna mettere in questione la legislazione dei parlamenti delle democrazie contemporanee. "La più immediata associazione di idee che viene in mente - sottolinea - sono le leggi sull'aborto. I parlamenti che creano e promulgano tali leggi devono essere coscienti che essi stanno abusando dei loro poteri e rimangono in aperto conflitto con la legge di Dio".
Parole forti, che equiparano alla Shoah le leggi sull'interruzione di gravidanza... (Giovanni Paolo II, "Memoria e identità")

 

 

DOV'E' LA DIFFERENZA?

 

 

 Bambini abortiti come rifiuti da smaltire

Cadaveri in un campo di sterminio nazista

 

 

LA FINE DI QUEI CORPICINI

 

I resti dei bimbi uccisi con l'aborto subiscono le fini più assurde. Buttati nelle immondizie, nel lavandino tritatutto, scaricati nel Tevere a Roma (dove ogni anno gli amici dell'associazione Militia Christi fanno una cerimonia di riparazione, gettando nel fiume una corona di fiori), utilizzati per la cosmesi e gli scopi più impensabili… (Secondo le norme vigenti In Italia i "prodotti abortivi" devono essere trattati come "rifiuti speciali", e finiscono soprattutto negli inceneritori..., ndr).

Il Corriere della Sera del 31 marzo e primo aprile 1994 racconta che l'Istituto cosmetico Merieux di Lione, in Francia, "lavora" 17 tonnellate di materiale umano ogni giorno, di cui una tonnellata viene importata dalla Russia. Avvenire del 5 maggio 1995 invece riferisce che i dottori degli ospedali della metropoli cinese di Shenzhen vendono i feti o se ne nutrono per garantirsi un corpo più forte e più bello.

Vi sono associazioni che si battono per dare ai bimbi abortiti una degna sepoltura, ma questa iniziativa è solitamente ostacolata in ogni modo (anche in ambienti ecclesiastici, ndr). Il sito degli atei uaar.it, sotto il titolo "Per la laicità dello Stato", idolo ateo a cui si sacrifica ogni vero valore, e "Il pericoloso estremismo cattolico antiabortista", segnala ad esempio che il movimento aquilano Armata Bianca, guidato da Padre Andrea D'Ascanio, con una "scena folkloristica" ha osato erigere nel cimitero della città un monumento ai "bambini mai nati", e che lo stesso movimento organizza a Novara "un macabro funerale di feti, ogni fine mese".

Macabro sarebbe dunque il funerale, non l'uccisione! Eppure su uno dei giornali più schiettamente abortisti, la Repubblica del 27/2/1999, l'inviato nella cittadina piemontese, Maurizio Crosetti, descrivendo uno di questi "macabri funerali", fa notare come le creature "che qualcuno chiama 'bimbi', qualcun altro 'rifiuti speciali ospedalieri', oppure 'residui di sala operatoria', o ancora 'prodotti abortivi'", a Novara, invece di finire nei soliti "sacchetti di plastica o nei secchi dove radunano gli embrioni", hanno "piccole bare di dieci centimetri che un artigiano dell'Aquila prepara per questi funerali senza nome e senza memoria". Tanta è l'avversione del potere ad una simile opera che il D'Ascanio è poi finito in un incredibile processo in cui veniva accusato addirittura di pedofilia!

 

L'ABORTO, ANCHE CON LA RU486,

E' UNA BANDIERA IDEOLOGICA
 

 

Fonte web

La piaga dell’aborto uccide almeno 46 milioni di persone nel mondo ogni anno: è un dato reperibile in siti istituzionali internazionali come quello dell’OMS. Lo rammentano su “Il Foglio” di qualche giorno fa Assuntina Morresi e Eugenia Roccella, che riassumono un po’ di dati e presentano un bilancio inquietante (A. Morresi e E. Roccella, Gli insospettabili paradossi del legame tra contraccezione e aborto, “Il Foglio”; 26 ottobre 2005). È un bilancio che conferma quello che molti, la Chiesa Cattolica in primo luogo, da tempo sostenevano – e anzi avevano previsto con decenni di anticipo: l’aborto “terapeutico”, quello clandestino, quello “d’urgenza”, quello dei “casi pietosi”, costituiscono la minoranza delle “interruzioni” di gravidanza, mentre nella stragrande maggioranza dei casi la soppressione di esseri umani non ancora nati è divenuto un mezzo di controllo delle nascite.

Onestà intellettuale e sensibilità hanno portato non pochi nel mondo laico a ripensare esperienze e dogmi ideologici, denunciando la banalizzazione che ha subito l’aborto nel corso degli anni, e a proporre restrizioni, controlli, revisioni, o almeno un dibattito franco che appare invece ancora arduo. Non è più possibile negare che l’aborto “facile”, in particolare il più recente aborto farmacologico, non promuove il benessere delle donne e non è una “conquista di civiltà”, ma anzi rende più vasto il danno – miriadi di morti silenziose – e più crudele la beffa: la donna è di nuovo e ancor più abbandonata ai “suoi” drammi da una società che guarda alla vita nascente, e a tutto ciò che nel corpo femminile è considerato altro dalla sessualità, come a una seccatura, un ostacolo per le “magnifiche sorti e progressive”.

Che l’aborto ci sia sempre stato, anche prima delle leggi in materia, è un fatto risaputo. D’altra parte, tutti i crimini che la coscienza dell’uomo e le leggi positive condannano sono (o sono stati) tristi realtà, non ipotesi sociologiche. Sono conseguenze dolorose della lacerazione che l’uomo ha subito con l’ingresso del male nella storia, con un uso fallace del libero arbitrio.

Il problema del nostro tempo, nel dramma dell’aborto come in quasi tutte le questioni bioetiche, è l’incapacità di affrontare il male chiamandolo con il suo nome, nell’illusione che, addomesticato, diventi meno dannoso, addirittura innocuo. Senza dimenticare che, spesso, gli specchietti per le allodole sul perché si renda “necessario” fare una cosa, non fanno vedere a chila si stia facendo.

Così, si parte dalla considerazione, indubitabile e meramente descrittiva, che l’aborto è un male presente, per arrivare a dire che è inevitabile , e che l’unica possibile “soluzione” è la “riduzione del danno” attraverso una sua parziale autorizzazione, ovvero una depenalizzazione che sfocia inevitabilmente nella totale liberalizzazione – se non di diritto, di fatto – perché rotolando su un piano inclinato non ci si ferma a mezza via. Appunto questa è la via scelta in molti Paesi non soltanto per l’aborto, ma anche per l’eutanasia, per le tecnologie riproduttive, per la sperimentazione sull’embrione umano, per il riconoscimento delle unioni omosessuali. Salvo poi rendersi conto che la depenalizzazione di comportamenti contrari alla difesa della vita e della famiglia aggrava i problemi personali che dice di voler risolvere e favorisce una mentalità profondamente anti-sociale.

L’apparenza di un “miglioramento” è la chiave di lettura più sponsorizzata in questi mesi per promuovere la RU486. Si dice che dal momento che l’aborto legale c’è già è preferibile ridurne il danno attraverso il metodo farmacologico, più tempestivo e comodo di quello chirurgico. Da più parti si sono levate voci – fra cui quella di chi scrive – volte a smascherare l’inconsistenza clinica, psicologica ed etica di un simile approccio (cfr. C. Navarini, L’aspirina di Erode: anche in Italia l’aborto chimico e “facile” della RU-486 , ZENIT, 18 settembre 2005).

La sperimentazione della RU486 all’ospedale Sant’Anna di Torino sta affondando il nostro Paese in una palude da cui sarà difficile uscire: non solo la sua introduzione porterebbe ad un uso routinario dell’aborto chimico con tutti i rischi che comporta sul piano etico, sanitario ed esistenziale, ma diverrebbe un’insidiosa fonte di guadagno. E i guadagni legati alla produzione e alla commercializzazione del farmaco – si sa – già altrove hanno ostacolato una valutazione serena del funzionamento del prodotto, inducendo la tentazione di minimizzare i pesanti eventi avversi.

Mentre in Piemonte la sperimentazione procede, in Toscana si percorre una “via breve”, ovvero l’importazione del prodotto dalla Francia. La scorciatoia è stata resa possibile grazie ad una libera interpretazione del Decreto del Ministero della Salute del 20/04/2005, che autorizza l'adozione di farmaci non commercializzati in Italia in casi di assoluta necessità, quando cioè mancano reali alternative terapeutiche. All’ospedale Lotti di Pontedera un medico ha fatto richiesta del prodotto, e l’Assessore Regionale alla Sanità Enrico Rossi ha tranquillamente ritenuto legittima la richiesta. Come se si trattasse di un nuovo farmaco salva-vita.

Ma come può la pillola abortiva essere considerata una “terapia necessaria”? A parte il fatto che, come ogni aborto, non è mai una terapia , e che certamente non salva vite ma le distrugge, come può essere più efficace, in un contesto di necessità e dunque di urgenza, una procedura che richiede dieci giorni per essere completata, di contro ai pochi minuti dell’aborto chirurgico? Le intenzioni con cui si persegue la via dell’importazione dalla RU486 appaiono dunque opache, e le scuse addotte ingannevoli, specie nei confronti del vasto pubblico che affidandosi ai medici e alle istituzioni chiede soprattutto sicurezza e promozione della salute.

Il Comitato “Scienza e Vita” di Pisa, dopo la notizia, ha protestato vivamente, rilasciando una dichiarazione chiara e articolata, e invocando la mobilitazione dei difensori della vita. Vi si legge: “a quanti, senza alcun supporto scientifico, accusano coloro che sono contrari all’introduzione della RU486 di voler privare le donne di uno strumento utile per abortire con minore sofferenza e maggiore sicurezza, rispondiamo che tali affermazioni non possono che derivare da ignoranza scientifica, o da malafede ideologica, entrambe qualità che non servono la verità, né possono recare beneficio alle donne. Comunque si cerchi di ammantare di naturalezza un aborto, valgono le parole della dottoressa abortista francese Béatrice Fougeyrollas, secondo cui l’aborto è un atto di insubordinazione all’ordine naturale ”.

Non si poteva tradurre meglio in linguaggio corrente quel “ nolumus hunc regnare super nos ” (Lc 19,14) e far capire cosa ci sia dietro le reazioni scandalizzate, le grida di allarme dei farisei del culto relativista scioccati dal coraggio civile e morale di quei laici che osano porsi domande laceranti e così necessarie: nessuna vera “emancipazione della donna” o di chicchessia, ma emancipazione dalla realtà, costi quel che costi.

 

UNA CULTURA DA RIFONDARE

 

Fonte web

“En passant” si può concludere affermando che la cultura dell'aborto è andata di pari passo con la tendenza a concepire anche gli affetti in modo consumistico e materialista, e ad annullare il desiderio della vita famigliare e della genitorialità. La tendenza è quella a consumare l'amore senza impegni, senza prospettive, chiusi nella dimensione dell'attimo presente e della soddisfazione personale. Il sentire comune, il sentire dei benpensanti, invita i giovani alla carriera, al divertimento fine a se stesso, all'importanza del lavoro al di sopra di ogni altra cosa…

Scrive Francesca Corbella su La Padania: "Troppo raziocinio ha privato la nascita della meravigliosa spontaneità e naturalezza dell'evento, caricandolo di elementi che devono quadrare ad ogni costo: prima di mettere al mondo un figlio bisogna testare la coppia in susseguenti anni di weekend e vacanze, aver terminato gli studi a oltranza, compresi due o tre master all'estero, godere di una posizione sicura, lui e lei, disporre del denaro per 'dargli il massimo', comperare l'auto e la casa più grandi per essere all'altezza dello status sociale…".

Tante attenzioni, tante prudenze, ma quando un bimbo, imprevisto, si affaccia alla vita, diviene un incidente ed un accidente da eliminare, senza troppe preoccupazioni. Al contrario, continua la Corbella, occorrerebbe dire, far capire, ripetere, insegnare, in famiglia ed a scuola, "l'unicità e incredibile bellezza di un bimbo che arriva, ma non solo, in prospettiva futura, anche di un figlio grande cui stare vicino, cui dare amore, per ricevere amore" e per vivere quella carica di freschezza e di novità che ogni bimbo porta in una famiglia. Adattando una poesia di Saba, infatti, si potrebbe dire che ogni figlio permette di rivivere l'infanzia e la giovinezza e ogni genitore potrebbe dirgli: "a me, che mi sentiva ed era vecchio, annunciavi un'altra primavera". Oppure, come dice la Bibbia: "Ecco, l'eredità del Signore sono i figlioli: la sua ricompensa il frutto del seno. Quali frecce nella mano dell'eroe, tali sono i figli della giovinezza".