LA TELEVISIONE È FORSE

UN MODERNO VASO

DI PANDORA?

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

Chi dai 40-45 anni in su non ricorda Carosello?

Forse il miglior programma pubblicitario della nostra

storia televisiva. E dopo i bambini tutti a letto!

 

 

INTRODUZIONE

Fonte web

... Tempo fa, intervistando don Gabriele Amorth, chiesi se secondo lui in questi ultimi tempi si è accentuato da parte dei mass media il desiderio di corrompere i giovani. Riporto integralmente la sua risposta: “Non c’è dubbio. La ricerca di pervertire i ragazzi, anche i ragazzini, si è molto accentuata. Uno dei mezzi usati sono i giornali per ragazzi. I genitori pensano che siano buoni e invece sono pessimi. Il desiderio di corrompere i bambini è un male grande che si sta spingendo in tutto il mondo. Sì, si cerca di corromperli fin da bambini e questo è diventato un male generalizzato. Penso a quando una volta passando per le strade di campagna a certe ore di sera, si sentiva dalle varie finestre il Rosario che veniva recitato. Non c’è dubbio che la televisione ha sostituito il Rosario. Quando è stata inventata la televisione, padre Pio era furioso; chi gli diceva “è un’invenzione meravigliosa”, rispondeva - sì, lo so, lo so, è un’invenzione meravigliosa, ma vedrete che uso se ne farà - e io credo che la televisione sia quella che ha corrotto preti, suore… perché se la vedono per conto loro”.
La prima virtù ad essere attaccata è la purezza, tolta questa, se non interviene la Grazia di Dio, per l’anima è una continua discesa all’inferno. Questo il demonio lo sa perfettamente, ecco perché televisione, internet, riviste per adolescenti, videogiochi traboccano di riferimenti sessuali.

 

 

Il filosofo Karl Popper (1902-1994)

 

 

 

 

 

Karl Popper:

"Contro la televisione"

Fonte web - Londra 13/04/1993

Domanda 1: Sir Karl Popper, Lei ha affermato che la televisione ha, specialmente per i ragazzi, il valore di un'autorità morale e che svolge quindi un ruolo educativo. Alcuni sostengono che questa tesi sia in contrasto con l'idea liberale, secondo cui non bisogna educare le persone, ma informarle. Lei pensa dunque che la televisione dovrebbe avere una funzione educativa?

Risposta: Penso proprio di sì. Credo che distinguere in questo caso tra educare e informare non è soltanto falso, ma decisamente disonesto. Mi dispiace doverlo dire. Non ci può essere informazione che non esprima una certa tendenza. E ciò si vede già nella scelta dei contenuti, quando si deve scegliere su che cosa la gente dovrà essere informata. Per fare questo bisogna aver già stabilito in anticipo che cosa si pensa dei fatti, decidere circa il loro interesse e il loro significato. Questo basta a dimostrare che non esiste informazione che non sia "di tendenza". Bisogna scegliere, e il nostro intendimento determina la nostra scelta. 
    Così, per esempio, Lei può chiedere a qualsiasi professionista della televisione di far parlare una persona frontalmente o di farla parlare di profilo: c'è una bella differenza! Tutto è il risultato di una scelta. Dire che esiste della pura informazione, come semplice trasmissione di fatti, è falso. Voi tentate continuamente di imporre il vostro punto di vista al telespettatore e non potete impedirvi di farlo. Perciò la distinzione tra educare ed informare non regge. Ma questa distinzione non è semplicemente falsa, essa risponde piuttosto ad un preciso obiettivo, perché permette di dire: "Noi siamo obiettivi, vi comunichiamo soltanto i fatti, i fatti come sono e non i fatti come vorremmo che voi li vedeste: i fatti semplicemente come sono". 
    Questo è falso! D'altronde si parla dell'educazione come di una imposizione necessaria. L'insegnante impone il suo punto di vista all'allievo, al ragazzo che deve essere educato. L'educatore è gravato da una grande responsabilità, mentre colui che informa, il "puro informatore", pare che non ne abbia alcuna. Ma questa differenza non esiste. Se voi siete informatori responsabili, siete anche educatori. Ma se siete educatori irresponsabili, voi state trasgredendo le regole del gioco. Lei non può sottrarsi all'obbligo di educare. Lei come educatore ha una grande responsabilità e così pure la televisione ha una grande responsabilità. Io credo che la maggioranza dei professionisti della televisione non si rendano conto appieno della loro responsabilità. 
    Credo che non siano capaci di valutare l'ampiezza del loro potere. La televisione ha un immenso potere educativo e questo potere può far pendere la bilancia dal lato della vita o da quello della morte, dal lato della legge o da quello della violenza. E' evidente che si tratta di cose terribili! Lei mi dice che io difendo, contro l'ideale liberale, il fatto che le persone debbano essere educate e non informate. Questo ideale sedicente liberale è stato inventato "ad hoc" per non dover rivedere e trasformare il mondo dell'informazione. E' stato inventato proprio e soltanto per questo. Non è stato mai veramente un ideale liberale. Il liberalismo classico sotto tutte le sue forme ha sempre accordato una grande importanza all'educazione e un'importanza ancora più grande alla responsabilità. 
    D'altronde tutte le correnti del liberalismo classico hanno insistito sulla necessità di controllare il potere. Il miglior mezzo è quello dell'autocontrollo. Un certo autocontrollo ci deve essere in ogni caso. Ogni potere, e soprattutto un potere gigantesco come quello della televisione, deve essere controllato. La televisione può distruggere la civiltà. Che cos'è la civiltà? E' la lotta contro la violenza. C'è progresso civile, se c'è lotta alla violenza in nome della pace tra le nazioni, all'interno delle nazioni e, prima di tutto, all'interno delle nostre case. La televisione costituisce una minaccia per tutto questo. La minaccia, beninteso, sarebbe peggiore sotto una dittatura poiché in questo caso ci sarebbe una vera manipolazione allo scopo di far accettare ai cittadini la dittatura. E come ha mostrato Orwell ciò può avvenire senza che la gente si renda conto di ciò che sta succedendo. In ogni caso non ha senso discutere sui pericoli potenziali della televisione. 
    E' sul suo potere attuale che bisogna riflettere e chiedersi se non sia male impiegato. Bisogna piuttosto domandarsi, in rapporto al potere attuale della televisione, se non sia mal impiegato. Io credo che questo avvenga spesso La mia esperienza dell'ambiente televisivo mi insegna infatti che i suoi professionisti non sanno quello che fanno. Si pongono scopi del tipo "essere realisti", "essere avvincenti", "interessare", "eccitare". Questi sono gli obiettivi che si pongono esplicitamente. Ciò che misura l'arte, la tecnica di un uomo di televisione è realizzare tali obiettivi. Non ha coscienza della sua funzione educativa, non ha coscienza del potere enorme che esercita. Lei mi aveva posto la domanda: "Secondo la dottrina liberale l'individuo deve avere le sue responsabilità?", le rispondo: tutto va bene finché si assume delle responsabilità e vi conforma i suoi comportamenti. Ma se diventa violento e aggredisce i suoi vicini deve essere punito. 
    C'è una bella battuta sulla libertà, nata in un tribunale americano. Un uomo dice: "Sono un uomo libero e quindi posso dirigere il mio pugno in qualsiasi direzione". Al che il giudice gli risponde: "E' vero che lei è un uomo libero, ma il limite al movimento del suo pugno è il naso del suo vicino!" In due parole se vogliamo una società da cui, nei limiti del possibile, la violenza sia esclusa e punita solo in caso di necessità, il limite del vostro movimento è il naso del vostro vicino. Questo è il fondamento di una società civile. E' una cosa semplice da definire. Ci sono due tipi di società: il primo è quello dove regna la legge, in cui la legge è introdotta e perfezionata gradualmente in funzione dei seguenti scopi: limitare, solo quando è necessario, la libertà individuale ed evitare per quanto possibile la violenza. Ecco il principio razionale che deve ispirare la legge. Il contenuto della legge deve essere semplicemente, come dicevo prima, che il naso del mio vicino segni un limite al libero movimento dei miei pugni, o meglio che quel limite sia stabilito a una distanza, diciamo di 8 centimetri , dal naso del mio vicino. 
    Questo deve dire una buona legge. La seconda possibilità è il regno del terrore, il regno della violenza e della paura. Ne abbiamo vista troppa, in particolare sotto i regimi nazista e comunista. Milioni e milioni di persone hanno sofferto nei modi più orribili sotto il regno della violenza. Noi dobbiamo lavorare attivamente per contrastarlo. Perciò bisogna formare gli individui alla civiltà, influendo sulle loro aspettative. Questo è il mio progetto educativo.

Domanda 2: Sir Karl, che cosa pensa della violenza mostrata dalla informazione televisiva in occasione della guerra in Jugoslavia?

Risposta: Certo, bisogna mostrarla, ma la si mostra un po' troppo! Non c'è solo violenza nel mondo. La televisione ha fatto per anni dei bei programmi e ancora ne fa di tanto in tanto. Ma il problema che si pone è quello della selezione. C'è già abbastanza violenza nel mondo. Non c'è affatto bisogno di aggiungere a quella violenza delle violenze inventate: in tal modo la gente diviene gradatamente insensibile a qualsiasi tipo di violenza che non sia quella fatta a loro stessi. Quando ero giovane ho lavorato per parecchi anni come educatore di bambini difficili. 
    I più difficili erano quelli che avevano patito violenze nelle loro famiglie. Ho una certa esperienza in merito. A volte portavo quei bambini al cinema - a quel tempo la televisione non esisteva - e lì mi accorgevo che i bambini hanno paura della violenza. Un bambino normale chiude gli occhi per non vederla. Il fatto che la gente si abitui a vedere scene di violenza, che questa diventi il suo pane quotidiano, ciò distrugge la civiltà. Questa è la mia tesi. E' una tesi assai semplice. Coloro che lavorano per la televisione non hanno sufficiente coscienza di ciò che fanno. Vogliono mostrare cose che impressionino, vogliono "essere realisti" e non si rendono conto dei guasti che provocano. La maggior parte di loro non se ne rende conto.

Domanda 3: Lei pensa che i principi di cui abbiamo parlato dovrebbero valere non solo per i lavoratori della televisione, ma anche per quelli del cinema e della radio?

Risposta: No. Bisogna cominciare innanzi tutto dal gruppo più influente, e quello che ha maggior potere è quello dei professionisti della televisione. La mia proposta è questa: fondare una istituzione come quella che esiste per i medici. I medici si controllano attraverso un Ordine. La cosa non riesce sempre perfettamente. Ci sono medici che fanno gravi errori e medici che commettono dei crimini. 
    Ma ci sono pur sempre le regole elaborate dall'Ordine. Beninteso, il Parlamento ha un potere legislativo superiore a quello dell'Ordine dei medici. In Germania e in Inghilterra questa istituzione si chiama "Camera dei medici". Sul loro modello si potrebbe creare un "Istituto per la televisione". La mia proposta è che tutti voi, tutti voi che siete qui, siate registrati provvisoriamente come membri dell'"Istituto per la televisione". In seguito dovreste partecipare a una serie di corsi per sensibilizzarvi ai pericoli a cui la televisione espone i bambini, gli adulti e l'insieme della nostra civiltà. Così molti di voi scoprirebbero degli aspetti ignorati della professione e sarebbero indotti a considerare in modo nuovo la società e il loro ruolo.
    Ritengo inoltre che in un secondo tempo dovreste sostenere un esame per vedere se vi siete impadroniti dei principi fondamentali. Superato l'esame dovreste prestare giuramento, come i medici: dovreste promettere di tenere sempre presenti quei pericoli e di agire di conseguenza in modo responsabile. E' soltanto allora che potreste entrare come membro permanente nell'"Istituto per la televisione". Non mantenendo quella promessa perdereste la vostra licenza. Per avere la licenza che permette di lavorare in televisione, bisognerebbe aver superato con successo l'esame e aver prestato giuramento, nello stesso modo in cui i medici ottengono una licenza per lavorare in ospedale. Non rispettando il giuramento potreste perdere la vostra licenza. 
    Naturalmente vi dovrebbe essere possibile fare appello a una istanza di giudizio superiore, ma se questa confermasse che avete agito irresponsabilmente, perdereste il diritto a lavorare in televisione. Beninteso, queste istituzioni dovrebbero essere elette a maggioranza da voi stessi. E la misura disciplinare che potrebbe togliervi la licenza dovrebbe provenire da una corte in cui fossero dei professionisti come voi a detenere il più alto potere. Bisogna stabilire delle regole. Quanto poi al modo in cui quelle regole devono essere formulate e modificate, dovrebbe essere oggetto di discussione.

Domanda 4: Sir Karl, sono state mosse delle obiezioni contro le Sue proposte di regolamentazione dell'informazione televisiva. Molti, per esempio, giudicano paradossale che un liberale come Lei affermi la necessità di limitare la libertà di espressione. Lei che cosa ne pensa?

Risposta: Devo confessare che faccio fatica a capire queste obiezioni. Potrei aver voglia di esprimermi colpendovi con un pugno, ma è chiaro che non posso, non devo farlo. E' forse antiliberale impedirmi di colpirvi? Qui è in gioco lo stesso principio. Perché dovrebbe essere antiliberale o paradossale per un liberale come me affermare la necessità di limitare la libertà?
    Ogni libertà deve essere limitata. Non esiste libertà che non abbia bisogno di essere limitata. Dovunque ci sia libertà, la miglior forma di limitazione è quella che risulta dalla responsabilità dell'uomo che agisce. Se egli è un irresponsabile subirà le sanzioni previste dalla legge. La sua libertà sarà limitata, se necessario, anche per tutta la durata della sua vita. Certo noi speriamo che una tale necessità sparisca, un giorno. E' questo che definisce lo sviluppo della civiltà: aumentare il grado di incivilimento e ridurre la necessità di imprigionare delle persone per tutta la vita. In ciò si vede lo sviluppo di una civiltà. Ma ciò non vuol dire affatto che sia paradossale per un liberale come me affermare che bisogna limitare la libertà di espressione! 
    Un uomo può essere felice per la sua nuova automobile, e può avere il sentimento che solo guidando molto veloce può esprimere la sua felicità e la passione per la sua automobile; vorrebbe traversare Roma a 200 all'ora per esprimerle a pieno. Qual è la differenza tra questo modo di esprimersi e quello che rivendicano certi artisti o professionisti della televisione? C'è una vera differenza? Bisogna vedere se col vostro modo di esprimervi mettete o no gli altri in pericolo. In altri termini si tratta sempre dello stesso principio. La vostra libertà, che sia quella di agitare i pugni, quella di parlare o di diffondere l'informazione o qualsiasi altra, è limitata dal naso del vostro vicino. E' sempre lo stesso principio, è il principio più semplice che si possa immaginare. 
    E tutti quelli che invocano la libertà, l'indipendenza o il liberalismo per dire che non si possono porre delle limitazioni ad un potere pericoloso come quello della televisione, sono degli idioti. E se non sono degli idioti, sono dei porci che vogliono arricchirsi con lo spettacolo della violenza, educando alla violenza. Si tratta quindi di un principio assolutamente semplice. Se a scuola un professore vi insegna quello che bisogna fare per introdursi illecitamente in una banca o per avvelenare un genitore, se vi dà tutte le informazioni utili per diventare un buon criminale, voi direte che quel professore deve essere rimosso; questo non vuol dire che debba essere messo in prigione, ma che comunque dovrebbe essere rimosso. La stessa cosa dovrebbe valere per i professionisti della televisione. Io posso qui soltanto presentare la cosa nella sua generalità. 
    Mi è impossibile dire quali regole precise dovrebbe avere l'"Istituto per la televisione" dato che è quell'Istituto stesso che dovrebbe elaborarle. Io ho certamente delle idee su che cosa dovrebbero essere, ma per entrare nei particolari ci vorrebbe un regolamento di almeno una ventina di pagine ed io non posso farlo qui, ora. L'essenziale è capire ciò che deve stare alla base di questo regolamento, quale deve essere l'atteggiamento da adottare rispetto alla situazione generale. La gente deve capire, per ora, che la civiltà è messa in pericolo dalla televisione. Ammetto che delle regole simili potrebbero diventare necessarie per i giornali e per altri settori dell'informazione, ma non è questo il soggetto della nostra conversazione. Nel caso della televisione è facile mettere in opera una istituzione per prevenire il cattivo uso di un potere sociale pressochè illimitato.

Domanda 5: Un'ultima domanda: non c'è il rischio che la regolamentazione possa produrre involontariamente una televisione simile al "Grande Fratello" di Orwell?

Risposta: Certo un rischio del genere bisogna metterlo in conto! Simili pericoli esistono sempre. L'esistenza di una società civile comporta tali pericoli. In Italia la mafia rappresenta un pericolo di questo genere. La corruzione è sempre possibile. Bisogna continuamente lottare contro simili eventualità. Ma per ora, allo stato delle cose, mi sembra che sia più vicina al "Grande Fratello" di Orwell una televisione come la nostra, non regolamentata, che non quella che noi vogliamo promuovere. Bisogna fare qualcosa per promuovere la civiltà.

Domanda 6: Sir Karl, ma così, coloro a cui piace guardare la violenza alla televisione ne sarebbero privati?

Risposta: Lei fa una giusta osservazione. Un argomento contro la mia posizione è che io limito non solo i produttori di televisione, ma anche i consumatori. Bisogna privare il consumatore del suo piacere? Si tratta dello stesso principio: bisogna privare di una quota di piacere l'uomo che ha comprato un'automobile che corre a 300 all'ora? Sì, se il suo piacere costituisce un pericolo per gli altri. Lo stesso si può dire per la violenza in televisione. Certi guidatori potrebbero non avere incidenti a 300 all'ora anche attraversando una città. 
    Si potrebbe dire che essi, a differenza di altri, non costituiscono pericolo. Ma la legge deve avere una certa universalità. Non si possono fare dei test alla gente e dire all'uno: "La tua velocità massima deve essere di 70 Km all'ora" e all'altro "per te invece è di 200 Km all'ora". E' impossibile. Certe persone con il loro atteggiamento di rifiuto della violenza non diventerebbero pericolose anche se vedessero le peggiori cose alla televisione, mentre altri possono esserne influenzati. 
    Non si può negare che in molte vicende criminali, l'assassino è in grado di citare con precisione il film o il telefilm che gli ha fornito l'idea del suo delitto. E' un fenomeno abbastanza frequente, benché non succeda sempre. Ma è spesso possibile identificare il momento in cui l'idea di un delitto o della violenza è stata suggerita al suo autore.

Domanda 7: Sir Karl, il cinema non dovrebbe avere anch'esso una licenza, dal momento che come Lei sa, la maggior parte dei film che si vedono in televisione provengono dal cinema?

Risposta: E' proprio quello che io vorrei. Ma c'è una grande differenza. I bambini passano una parte considerevole del loro tempo davanti al video. Per loro la televisione è una parte importante della realtà. Non sono più in grado di distinguere tra ciò che vedono e la realtà. Ma c'è di più! Non ricordo più bene le statistiche relative, ma in America esse stabiliscono che parecchi ragazzi passano in media più di sei ore al giorno davanti al loro apparecchio televisivo. 
    E, se si considera che probabilmente restano in piedi per il doppio di questo tempo, se non si contano i pasti eccetera, questo equivale più o meno alla metà della loro vita. Io penso che il caso del cinema sia molto diverso, perché innanzi tutto bisogna prendersi la briga di andarci, e comunque ci si resta solo due ore o due ore e mezzo. Il problema della televisione è quindi più urgente.

Domanda 8: Perché lo ritiene più urgente?

Risposta: C'è una escalation nel modo di fare televisione. Le cose devono essere rappresentate sempre più forti, sempre più realistiche e orribili. Questa escalation è cominciata qualche anno fa. E dopo di allora le cose sono peggiorate continuamente. E' dunque estremamente urgente intervenire. E non vedo perché lo stesso argomento non dovrebbe valere per il cinema, i libri e i giornali. Secondo me esiste un solo metodo valido: quello della autoregolamentazione, dell'autocensura, non della censura. Gli irresponsabili devono essere ricusati dai loro colleghi. E' un metodo perfettamente liberale in una società retta dal diritto e non dal terrore. Ed è una cosa semplice, non ci trovo niente di complicato.

 

 

Pier Paolo Pasolini (1922-1975)

 

 

 

 

 

PASOLINI, CONTRO LA TELEVISIONE

Pierpaolo Pasolini, "Corriere della Sera", 9 dicembre 1973

Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l'adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L'abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la "tolleranza" della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all'organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d'informazioni.

Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d'informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l'intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè - come dicevo - i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L'antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l'unico fenomeno culturale che "omologava" gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale "omologatore" che è l'edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo.

Non c'è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s'intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?

No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d'animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i "figli di papà", i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l'hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l'analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari - umiliati - cancellano nella loro carta d'identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di "studente". Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell'adeguarsi al modello "televisivo" - che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale - diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati.

La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio "uomo" che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto "mezzo tecnico", ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre.

 

 

Tobia Jones

 

 

 

 

 

IO PERFIDO CRITICO DEI

MALI DELLA VOSTRA TV

di Tobias Jones - Autore di "The Dark Heart of ltaly" una serie di saggi sull'Italia contemporanea

Ovviamente ogni scrittore del mondo aspetta, accetta- addirittura è grato - per le critiche. Però quando uno scrittore viene demonizzato da persone che non lo hanno mai letto giustamente
lo scrittore si arrabbia. È come se ci fosse un giornalista che critica un calciatore senza mai darsi la briga di andare a vederlo giocare. Due settimane fa ho pubblicato un lungo saggio sulla televisione italiana per il Financial Times. NON mi aspettavo neanche che 1'articolo interessasse agli italiani. Era per i lettori inglesi ed americani. II risultato, però, è stato affascinante. Nel giro di una settimana, ho ricevuto più di 500 lettere ed e-mail di lettori italiani, ringraziandomi per aver raccontato una verità palese. Dall'altra parte, la risposta era agghiacciante. Sono stato sfidato sgarbatamente in tv, denunciato come "Trotzkista", il Financial Times veniva paragonato a il manifesto da qualcuno che aveva "sentito dei brani".

Allora, cosa ho scritto per suscitare una polemica tale? Scrissi, primo, che la televisione italiana è basata purtroppo sulla quantità invece della qualità, L'indice d'ascolto è diventato più importante del prodotto. Ciò va benissimo in un supermercato, dove esiste una vera scelta tra prodotti. Però per la televisione, in cui quasi tutti i canali si assomigliano, noi - gli spettatori italiani - non abbiamo una scelta. C'e pochissima diversità perché tutti sono alla caccia dello share d'ascolto e usano i mezzi più volgari per vincere "la battaglia dell'audience".
La conseguenza è che la tv non è un mezzo per istruire o dibattere. II suo unico dovere è vendere: vendere spazi pubblicitari che poi vendono prodotti, Così personaggi televisivi diventano commesse insistenti. Esortano i loro "cari amici"- noi spettatori - a comprare dei prodotti in innumerevoli "messaggi promozionali". Poi ci sono le pubblicità che - nonostante il referendum di qualche anno fa e nonostante il canone Rai appaiono ogni quarto d'ora su ogni canale. Difficile far una tv di qualità se la vera intenzione è soltanto attrarre spettatori per alzare i prezzi dei "consigli consumistici".

Poi, ho sottolineato che esiste un legame poco salutare tra la televisione e la politica. Come negarlo? Nei vecchi tempi, scrissi, la politica tentava di colonizzare la tv. Adesso, secondo me, vediamo il contrario. Non lo dicevo per fare allarmismo sullo stato della democrazia, ma per sottolineare le conseguenze deleterie sui nostri schermi. Faccio un solo esempio: Emilio Fede è un politico straordinario, geniale. Ma fare finta che sia un giornalista mi fa ridere. C'erano altre critiche (il maschilismo puro, la spinta sempre a "Karaoke-tv" e cabaret), ma anche molti comp1imenti. Ho nominato le emittenti locali (quelle di Parma in primo piano) come bastioni di qualità; il pubblico italiano l'ho descritto come meno supino dl quello britannico. Enrico Ghezzi -ho detto- Gad Lerner, Sveva Sagramola, Licia Colò sono tutti abilissimi.

Perché allora tante critiche? Sicuramente perché sono straniero e quelli che non mi hanno letto (e sono tanti) credono che l'articolo sia stato suggerito da una sorta di malinteso patriottismo britannico. Forse, anche, critiche perché ho detto le cose in un modo, diciamo, molto chiaro. Alla fine, però non ho scoperto l'acqua calda. Non avevo nessuno scoop. Ho semplicemente ripetuto la frase della moglie del presidente della Repubblica: "Tv deficiente".
Delle tantissime lettere che ho ricevuto, centinaia erano di persone che mi ringraziavano. I gruppi cattolici, gli intellettuali, i genitori con bambini, soprattutto le donne: tutti sono stufi di una televisione volgare, basata sul peggio del modello americano: celebrità, nudità, pubblicità. Il nocciolo della questione è proprio questo. Scrissi che la tragedia della tv italiana è che non è proprio "italiana". A me, 1'aggettivo suggerisce intelligenza, generosità, creatività. La televisione, però, rispecchia ben poco di un popolo di altissima cultura. È cabaret, karaoke e importazioni americane.

Capisco soltanto adesso, dopo settimane di polemiche, che la tv è una vacca sacra. Noi, gli spettatori, dobbiamo inchinarci ad adorarla. È intoccabile, indiscutibile. Perché dietro c'e palesemente più di quello che appare. La televisione italiana è 1'epicentro del potere del capo, e criticarlo è vietato.
La conseguenza? Certe persone nel governo adesso vorrebbero una protesta ufficiale sul livello diplomatico, una condanna all'ambasciata britannica a Roma per le parole pubblicate sul Financial Times. Tentiamo di immaginare la scena:
Sottosegretario agli Esteri: "Ambasciatore, vorrei fare una protesta ufficiale al governo di sua maestà", Ambasciatore: "Mi dica". "C'e stato un insulto gravissimo. Un vostro giornalista ha detto che ci sono troppi bikini in televisione". "Accipicchia non lo sapevo". "E non solo. Dice che Costanzo è sempre in tv, tranne il sabato, quando ci va sua moglie". "Vergognose queste accuse". "Poi ambasciatore, il giovane ha osato dire che non è normale avere un premier con tre reti televisive". "Veramente una polemica internazionale".
Pirandello 1'avrebbe scritto meglio, ma capite l'assurdità?

II punto più divertente è che il dibattito è stato condotto su un livello personale. Invece di rispondere alle mie idee, alcuni personaggi se la sono presa con me. Benissimo se avessero letto l'articolo, o il corrispondente capitolo ("I Mezzi di Seduzione") del mio libro. Però no. Bastava smontare il "giovanotto" dargli del "comunista", insinuare che si trattasse di una femminuccia inglese in parrucca, Altri sono andati all'attacco con il solito appello all'ascolto. Divertente questo, perché non negherei mai gli ascolti altissimi; scrissi semplicemente che c'è troppa quantità e pochissima qualità.
Ho iniziato 1'articolo blasfemo citando Karl Popper. "La democrazia", disse, "non può esistere se non ha sotto controllo la sua televisione". Secondo me, adesso in Italia sta succedendo precisamente il contrario. C'è un pericolo che lo studio televisivo diventi più potente del senato. Forse lo è già. Per me non è un bene, ne per la televisione ne per la politica. Ed e quello che ho scritto. Se ho offeso qualcuno chiedo scusa, ma credo che in questo caso a essere offensiva sia la nuda verità dei fatti.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Cercare la verità per condividerla

I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. Messaggio del Papa per la 42ª giornata mondiale delle comunicazioni sociali 24 gennaio 2008.

 

CRITICA EBRAICA ALLA TELEVISIONE

Molti dei messaggi che la televisione cerca di far filtrare sono spesso in aperto contrasto con la Torà e con il tipo di società verso cui l'uomo dovrebbe tendere: l'incitamento al consumismo che viene non solo dalla pubblicità, ma personaggi e televisivi; il pettegolezzo, la calunnia, le accuse gratuite ecc.,

 

CINEMA ISLAMICO E TELEVISIONE

"Noi non ci opponiamo al cinema, alla radio o alla televisione [...] Il cinema è un'invenzione moderna che bisognerebbe usare per educare il popolo ma, come ben sapete, esso è stato utilizzato invece per corrompere i nostri giovani. È il cattivo uso del cinema che noi condanniamo, un uso scorretto causato dalla politica sleale dei nostri governanti".

 

I pericoli della televisione

La televisione è STRUMENTO DEL POTERE, potere sui sentimenti, sui pensieri, sui desideri, sulla volontà e sulla mente di tutti. Ma quali sono le POTENZE che detengono questo POTERE? A questa domanda dobbiamo trovare una risposta

 

La tivù somministrata ai bambini è  strettamente

collegata a malattie come il cancro,

 l’autismo e la demenza

Affermazione del dott. Aric Sigman «E’' il numero di ore e l'età in cui un bimbo inizia a guardare la televisione che incidono biologicamente sull'individuo. E' principalmente a causa del mezzo stesso, non del messaggio trasmesso, che si ottengono questi effetti devastanti».

 

Un pugno di corporation ha in mano

l'intera informazione americana
 

Un pugno di corporation ha in mano l'intera informazione americana. Cioè tutto ciò che gli Stati uniti vedono, sentono e leggono. Uno dei nostri segreti meglio conservati è il livello con il quale un pugno di corporation controlla l'intero flusso di informazioni negli Stati uniti. Che si tratti di televisione, radio, quotidiani, magazine, libri o internet, poche gigantesche conglomerate determinano ciò che vediamo, sentiamo e leggiamo.