TRAPIANTI E TESTAMENTO

 BIOLOGICO...

TUTTO CHIARO?!?

(A cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

Prof. Umberto Veronesi

 

 

 

 

I business su testamento

 biologico ed espianti

 

di Rita Pennarola–20 febbraio 2007

 

Mentre infuria il dibattito su temi come l’eutanasia ed avanzano le proposte di legge sul testamento biologico, la Voce alza il velo sulle holding di trapianti e donazioni, ma anche su un colosso come la Fondazione messa su dal numero uno della medicina italiana, quel professor Umberto Veronesi che riunisce sotto l’ombrello di una sigla miliardaria big dell’economia e dell’alta finanza.

14 ottobre 2006. Sui quotidiani italiani appare per la prima volta un’inserzione a pagamento su pagina intera contenente un fac-simile di testamento biologico con l’autorizzazione all’espianto degli organi. “Scegliere in modo consapevole come affrontare le incognite del futuro - si legge - è una forma di libertà”. A commissionare l’annuncio è la Fondazione Umberto Veronesi per il progresso delle scienze. Bene in vista anche il numero telefonico di Milano per le informazioni. Lo stesso modulo è scaricabile dal sito della Fondazione, che propone anche l’acquisto di un volume dedicato proprio a testamento biologico e donazione degli organi, con prefazione dello stesso Umberto Veronesi ed introduzione del civilista napoletano Maurizio De Tilla, noto nella sua città per la rubrica sulle liti condominiali tenuta a lungo su un quotidiano locale.

Il nome dell’avvocato venne alla luce nel ‘92 fra le migliaia di iscritti alla Massoneria, Grande Oriente d’Italia, all’ombra del Vesuvio. Oggi De Tilla è coordinatore del comitato “Scienza e diritto” della Fondazione Veronesi, nonchè presidente nazionale della Cassa Forense. Quest’ultimo organismo ha recentemente «espresso parere favorevole alla redazione del testamento biologico in forma di scrittura privata raccolta - a titolo gratuito - dall’avvocato, dal medico o dal mandatario, anziché effettuata per atto di notaio». Veronesi spiega la ratio dell’iniziativa: «La maggior parte dei malati e una percentuale sempre più alta di popolazione sana è favorevole al principio dell’autodeterminazione ed è contraria all’accanimento terapeutico. 

Di fronte ad una medicina che estende sempre più le sue capacità tecniche, la gente sente il bisogno di riappropriarsi delle scelte che riguardano la propria esistenza. Del resto andiamo con grande naturalezza dal notaio quando, nel pieno della consapevolezza, vogliamo decidere come destinare i nostri beni. Perché non dovremmo poterlo fare anche per il futuro della nostra salute?». Ancora: «Ricordo a questo proposito l’intervento del Comitato Nazionale per la Bioetica del dicembre 2003, a favore delle “dichiarazioni anticipate di trattamento” e anche la posizione cattolica contenuta nell’Enciclica Evangelium Vitae del 1995, in cui non mancano affermazioni che attribuiscono al malato un’autonomia di decisione circa l’ostinazione terapeutica: “è lecito sospendere l’applicazione delle cure quando i risultati non rispondono all’aspettativa. In tale decisione bisogna tener conto del giusto desiderio del malato e dei suoi cari”. Rendere prioritario il rispetto della dignità dell’uomo in ogni fase della sua vita è il senso etico del Testamento Biologico».

L’iniziativa fa seguito, probabilmente, allo stop imposto nell’estate 2005 alla proposta di legge su “Disposizioni in materia di donazione del corpo post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica”, che era stata avanzata dai deputati diessini Giuseppe Petrella (facoltoso oncologo partenopeo, bassoliniano di ferro), Livia Turco (attuale ministro della Sanità), Marida Bolognesi e Giorgio Bogi. A condurre un’autentica battaglia contro questa iniziativa era stata la Lega nazionale contro la predazione di organi a cuore battente fondata a Bergamo nel 1985 da Nerina Negrello. Ricevuti il 14 luglio alla Commissione Affari Sociali presieduta da Giuseppe Palumbo di Forza Italia, rappresentanti e consulenti della Lega hanno sollevato il velo sull’ambiguità del termine “post mortem”, ricordando che invece la proposta di legge, all’articolo 1, introduce la “Donazione del corpo di soggetti dei quali è stata accertata la morte ai sensi della legge 29 dicembre 93 n. 578” . Vale a dire la tanto contestata “morte cerebrale” «che ora - è il senso della protesta - nonostante le reiterate condanne scientifiche internazionali, risulta funzionale anche alle mire lobbistiche della ricerca in vivo: si vorrebbe estendere su questi malati che hanno perso la coscienza la possibilità di effettuare esercitazioni di nuove tecniche chirurgiche, sperimentazioni chimiche e radiologiche».

Del resto, la legge italiana prevede già il rilascio dei cadaveri a scopo di studio, insegnamento ed indagine scientifica. Perchè allora questa nuova proposta? Torna, insomma, la tanto contestata ambiguità delle norme sui trapianti-espianti, che usano il termine “cadavere” per indicare un ammalato in stato di cosiddetta “morte cerebrale”. «I malati in coma cosiddetto irreversibile (sotto ventilazione) - precisa la rianimatrice Maria Luisa Robbiati - che la proposta in esame vorrebbe usare come “manichini da esperimenti” per un anno, richiedono l'intervento attivo di anestesisti-rianimatori per mantenere le funzioni vitali somministrando farmaci, liquidi, trasfusioni, alimentazione enterale e parenterale, mentre per le esercitazioni chirurgiche dovranno usare invece farmaci curarizzanti per paralizzare i movimenti di reazione all'incisione chirurgica».

 

IL PARTITO DEL LASCITO

 

Su quell’istante che separa la vita dalla morte torna ora in campo la Fondazione Veronesi con la proposta del testamento biologico. E già che ci siamo, oltre agli organi potremmo anche donare - alla Fondazione, s’intende - i nostri beni non biologici, ma altrettanto materiali. In un apposito link (clicca qui per leggere) viene infatti spiegato al lettore che questo sarebbe “Un modo concreto di Guardare al futuro”. Perchè «i progetti della Fondazione trovano sostentamento nella generosità di coloro che credono nel valore del progresso scientifico come bene comune dell’umanità e guardano al futuro con fiducia». E allora, «un lascito testamentario - prosegue Veronesi - piccolo o grande che sia, è non solo un atto di grande generosità, ma anche un modo di creare un legame tra di noi e ciò che verrà dopo, che ci consente di tramandare i valori in cui crediamo e testimoniare i sentimenti che ci sono stati cari nella vita».

Sì, vogliamo farlo subito. Ma come si fa? Tranquilli: «Ognuno di noi - aggiungono gli esperti contabili alla struttura di Veronesi - può scegliere di legare tutti o parte dei propri beni allo sviluppo dei progetti della Fondazione, con la certezza che le sue volontà verranno rispettate e che il suo lascito contribuirà a rendere migliore il futuro di chi verrà dopo di lui». Se non è ancora abbastanza chiaro, si può consultare il paragrafo “Che cosa lasciare alla Fondazione Umberto Veronesi”. Ecco: «Una somma in denaro, azioni, titoli o altri valori. Anche i piccoli contributi sono un gesto di generosità sempre utile». «Un bene mobile. Un oggetto che vi è caro». «Un bene immobile. Un appartamento, una casa, un terreno che la Fondazione possa vendere o affittare per ricavare risorse per portare avanti i suoi progetti». Ma attenzione, non è mica così semplice: «Prima di effettuare il testamento in cui vengano destinati beni mobili o immobili, è opportuno rivolgersi alla Fondazione per verificare che questa sia in grado di accettare i beni che si è deciso di lasciare. La Fondazione dovrà comunicare espressamente l’accettazione di tali beni».

Chiaro? E sì che di denaro, appartamenti, gioielli o auto di lusso, proprio la Fondazione Veronesi potrebbe farne tranquillamente a meno. Basta scorrere l’altisonante parterre del “Comitato di Sostegno”: si va dalla regina delle multinazionali del farmaco Diana Bracco al banchiere prodiano Giovanni Bazoli; dal vertice Mediaset Fedele Confalonieri al presidente di Confindustria e numero uno Fiat Luca Cordero di Montezemolo; dalla Rcs di Cesare Romiti alla Todd’s di Diego Della Valle; dal signor Telecom Marco Tronchetti Provera al potente banchiere torinese Maurizio Sella, fino al finanziere Francesco Micheli, a Gabriele Galateri di Genola in diretta da Mediobanca, o l’ex presidente del Banco di Sicilia Alfio Noto. Sicuramente non mancheranno di far sentire la loro generosità ad Umberto Veronesi, magari con lasciti testamentari anticipati a suo favore. Per la Fondazione , naturalmente. Così come non mancano di fargli sentire il loro sostegno emotivo intellettuali del calibro di Umberto Eco e Fernanda Pivano, Claudio Magris e Renzo Piano, senza contare la presenza - sempre nello stesso Comitato “de roi”, del filosofo e sindaco di Venezia Massimo Cacciari, dell’ex presidente del Senato Marcello Pera e dell’editorialista Sergio Romano.

Un partito trasversale del lascito. Tutti premi Nobel o quasi, ovviamente, i componenti del comitato scientifico: Renato Dulbecco, Rita Levi Montalcini, Paul Nurse, Carlo Rubbia, Margherita Hack e Luc Montagnier. “Come fare testamento a favore della Fondazione Umberto Veronesi” è poi il link finale, con moduli precompilati ed istruzioni tecniche, per quanti non avessero ancora capito ed apprezzato i benefici della donazione di sè.

 

TESTAMENTO DI GALA

 

Per invogliare i più testardi, comunque, le iniziative di promozione non mancano. Come la “Serata di Gala a favore di Fondazione Umberto Veronesi, FAI Fondo per l’Ambiente Italiano ed Association Jeune j’Ecoute”, che si è svolta a ottobre 2006 nella superba cornice del Principato di Monaco. «Montecarlo - raccontano le cronache mondane - è stata nuovamente teatro di una serata di beneficenza, organizzata presso la Salle des Etoiles du Sporting d’Etè, per sostenere l’operato di tre onlus che da tempo operano per migliorare la nostra qualità di vita, sia che riguardi il progresso scientifico, come la Fondazione Umberto Veronesi, sia che si occupi di preservare il nostro patrimonio ambientale, come il FAI, sia che aiuti i giovanissimi in difficoltà, come da 25 anni fa l’Association Jeune j’Ecoute». Dopo la cena di gala l’evento, avvenuto sotto l’alto patronato del principe Alberto II, è andato avanti con la «Sfilata di Moda della stilista Alberta Ferretti, un momento giocoso, con la lotteria benefica e naturalmente tanta musica dal vivo». A giugno, per celebrare i tre anni dalla nascita della Fondazione, Veronesi e i suoi sponsor avevano scelto l’Hotel Principe di Savoia di Milano. «Sostenitrice principale della serata - si legge nel comunicato stampa - la Banca Popolare di Milano».

Del resto, al salotto buono dell’alta finanza italiana Umberto Veronesi è legato da sempre e in maniera assolutamente bipartisan. Benchè corteggiato tradizionalmente dal centrosinistra (è stato a capo del dicastero della Sanità durante il governo di Massimo D’Alema), il leader dell’oncologia italiana non fa mancare la sua presenza nel consiglio d’amministrazione della berlusconiana Arnoldo Mondadori spa o nell’appendice sicula della corazzata sanitaria San Raffaele (l’Istituto San Raffaele-Giglio di Cefalù) fondato da quello stesso sempresialodato don Luigi Verzè che nel 2002 definì Silvio Berlusconi «un dono di Dio agli italiani».

 

SIA FATTA LA VOLONTÀ DELL’IEO

 

Non guarda al colore politico, Veronesi, quando si tratta della salute. E che salute! Il suo IEO - Istituto Europeo di Oncologia, altra multinazionale fondata sulla cura del cancro, può contare attualmente come capitale sociale sulla bellezza di quasi 80 milioni di euro. Fra i titolari di tanto ben di dio troviamo nell’azionariato sigle dell’uno e dell’altro schieramento. In area Polo, Mediolanum e la Popolare di Lodi. Sul versante Ulivo Fiat, Telecom, Rcs, Pirelli e Capitalia. E poi ancora le creature di Salvatore Ligresti Fondiaria e Ras, quindi Banca Intesa, Unicredit (qui il legame è doppio: lo stesso Veronesi è membro del Comitato etico della banca), Assicurazioni Generali, l’Italcementi di Giampiero Pesenti, Edison, Banca Popolare di Milano, Mediobanca, oltre al colosso finanziario della ricerca farmaceutica Sorin spa. Quest’ultima rientra nel vasto arcipelago di Genextra, «una holding che conduce attività di ricerca sulle patologie dell’invecchiamento, oncologiche, neurologiche e degenerative», come si autodefinisce la società.

Costituita nel 2003 su iniziativa di Francesco Micheli e della Fondazione Umberto Veronesi, a settembre 2005 Genextra entra nel campo delle nanotecnologie e acquisisce il controllo di Tethis, leader mondiale del settore. L’operazione è stata realizzata attraverso un aumento di capitale di circa un milione e mezzo di euro, «ma - precisa il comunicato stampa diramato dall’azienda - Genextra si è impegnata a sottoscrivere due ulteriori aumenti di capitale per complessivi euro 1,8 milioni da eseguirsi nel corso del 2006 e del 2007».

Ce la faranno? Inutile stare col fiato sospeso, anche perchè timoniere di Genextra è ancora oggi il supercollaudato Micheli. «Negli anni Settanta - recita la sua biografia - era stato uno degli assistenti dell’allora presidente di Montedison Eugenio Cefis. In seguito fu al centro dell’avventura finanziaria che nel luglio del 1985 consentì a Mario Schimberni di impossessarsi di Foro Buonaparte». Veronesi, insomma, gli amici se li sa scegliere. Come ha fatto proprio per l’organigramma dell’Istituto Oncologico Europeo, che ai suoi vertici amministrativi vede big come la figlia di Salvatore Ligresti, Giulia, l’amministratore delegato di Telecom Carlo Buora (balzato alle cronache per l’inchiesta sulle schedature illegali che ha travolto Giuliano Tavaroli), e poi il presidente della Popolare di Milano Roberto Mazzotta, i big della finanza nazionale Paolo Maria Grandi, Carlo Puri Negri, Matteo Arpe...

Insomma, quando c’è la salute c’è tutto. E più che in salute è proprio l’IEO: la creatura targata Veronesi di via Filodrammatici, a Milano, nel 2005 dichiara a bilancio un bel + 117 milioni e mezzo di euro come “ricavi da vendite e da prestazioni”, un attivo circolante pari a 63.560.169 euro e partecipazioni per 27.064.602. Piccolo particolare: nell’oggetto sociale la cura degli ammalati risulta fanalino di coda. Si legge infatti chiaramente: «Costruzione d'immobili per abitazione ed altri usi. Costruzione fabbricati ad uso abitazione, per fini agricoli, industriali, commerciali, etc. Ospedali e case di cura generali». Pazienza.

Ma torniamo al tesserino-vademecum del donatore. L’idea di una “schedatura” di base per incentivare i trapianti, riproposta tra fine 2006 e inizio 2007 in tutta evidenza sui quotidiani, Umberto Veronesi la coltivava in realtà da molto tempo. Nel 2001, in veste di ministro della Sanità, sottolineava con soddisfazione l’incremento nel numero degli espianti-trapianti fatto registrare in seguito alla spedizione postale nelle case degli italiani di milioni e milioni di “appositi tesserini”. «Non posso che offrire - scrive in una lettera aperta all’Aido, Associazione italiana donatori di organi - la massima collaborazione affinché aumenti, oltre al numero dei donatori volontari, l'indice dei trapianti effettuati».

 

DONO UT DES

 

Perchè Veronesi è esponente di spicco di quella parte della comunità scientifica e politica che sostiene strenuamente la legge sul trapianto-espianto degli organi. Sempre nel 2001 e sempre in veste di ministro dell’esecutivo D’Alema, Veronesi polemizza con Adriano Celentano, che nella sua trasmissione in diretta Rai aveva avanzato pesanti dubbi sull’iniziativa di reperire donatori di organi in base al principio del “silenzio-assenso”, introdotta con un decreto del ministro della Sanità ad aprile del 2000. «Affermazioni superficiali - tuona Veronesi - dettate dalla non conoscenza della questione, che rischiano di mettere a repentaglio il lavoro fin qui svolto per dare a migliaia di malati una speranza di vita e di sollevare i loro familiari da una pesante angoscia quotidiana. Un vero schiaffo a quanti hanno in questi anni lavorato per promuovere in Italia la cultura della donazione». Convinti, naturalmente, che si tratti di donazione “da cadavere”. Un equivoco presente nella quasi totalità dei non addetti ai lavori. E costantemente alimentato, anche in tutto il materiale propagandistico destinato all’opinione pubblica. 

 

CADAVERE SARA’ LEI...

 

Nella proposta di legge bipartisan avanzata nel 1997 da parlamentari come Melchiorre Cirami ed Ersilia Salvato, Renato Schifani ed Agazio Loiero, all’articolo 2 veniva usata la parola “cadavere” per definire il paziente in stato di cosiddetta morte cerebrale: «E' vietato il prelievo da cadavere a scopo di trapianto terapeutico delle gonadi e di tessuti cerebrali. Salve le disposizioni dell'articolo 1, il prelievo da cadavere di organi e tessuti a scopo di trapianto terapeutico è consentito nei casi e secondo le modalità indicate dalla presente legge». Ed ecco ad esempio cosa si legge testualmente quattro anni dopo nella “Nota sul trapianto di fegato da donatore vivente” pubblicata nel 2001 all’interno di un depliant a cura del CNT, il Centro Nazionale Trapianti annesso al ministero della Sanità e diretto da Alessandro Nanni Costa. «Il Consiglio Superiore di Sanità ha approvato l’autorizzazione al trapianto di fegato da donatore vivente a partire dal 2 aprile 2001 per i 16 Centri già autorizzati al trapianto da donatore cadavere; l’autorizzazione è valida per 1 anno e definisce garanzie per il donatore e criteri valutativi di qualità del Centro autorizzato. La conferma per i Centri è basata sui dati ottenuti e specifica che il trapianto da donatore vivente non sostituisce quello tradizionale da donatore cadavere».

Chi è e dove sta mai, il donatore cadavere? I corpi da cui vengono espiantati gli organi sono vivi, caldi e pulsanti. Il dibattito è aperto sullo sfuggente concetto (morale, scientifico e giuridico) di quella “morte cerebrale” peraltro mai nominata negli articoli di legge che regolano la materia. E nessun esponente sanitario, nemmeno all’interno del mondo trapiantista, utilizza il termine “cadavere”. Cui si fa ricorso solo quando si tratta di sensibilizzare e convincere l’opinione pubblica. Una strategia di comunicazione finora perfettamente riuscita.

 

TUTTI VIVI

 

A settembre del 2000, dopo le controverse affermazioni di Giovanni Paolo II sulla liceità dell’espianto di organi, 120 personalità del mondo scientifico hanno sottoscritto un documento nel quale esprimono la loro ferma opposizione alla dichiarazione di “morte cerebrale” così come è stata finora intesa per procedere agli espianti. Tra i firmatari, non solo esponenti religiosi, ma anche medici e magistrati provenienti da 19 Paesi. Fra gli altri, i ricercatori Paul Byrne, Cicero Coimbra (Brasile), David W. Evans (Inghilterra), Josef Seifert (Liechtenstein), Yoshio Wanatabe (Giappone). La raccolta delle firme è stata effettuata negli Stati Uniti da Earl E.Appleby, direttore della società Cure di Berkeley Springs.

Ecco alcuni brani fra i più significativi. «Il papa dice che i prelievi di organi devono essere effettuati da cadaveri; dai veri defunti possono essere prelevati solo alcuni tessuti, come la cornea, mentre gli organi vivi, come il cuore, i polmoni, il fegato o i reni, per essere trapiantabili devono essere tolti da persone dichiarate in "morte cerebrale" che respirano ancora (anche se la respirazione è artificiale), che hanno il cuore che pulsa, il cui sangue circola, che sono calde e rosee, i cui arti per stimoli dolorosi possono muoversi e se sono donne possono condurre avanti una gravidanza dando alla luce un figlio vivo e sano». E aggiungono: «E’ alquanto anomalo considerare queste persone defunte quando nessuno avrebbe il coraggio di mettere in una bara qualcuno che respira, che ha il cuore e il polso che battono». E' evidente perciò che «tali persone non sono cadaveri, e che da veri cadaveri si possono prelevare solo organi che sono già in stato di degenerazione e che non possono essere trapiantati».

Viene quindi specificato, con una dettagliata serie di esempi, come la definizione di morte cerebrale - data per scontata nelle legislazioni ed anzi, spesso, mistificata attraverso la parola “cadavere” - sia tutt’altro che un dato certo o accertabile in maniera definitiva. Argomento centrale: la necessità - universalmente riconosciuta - di effettuare anestesia o "curarizzare" il paziente durante il prelievo degli organi per frenare le sue reazioni: dalla sudorazione all'aumento tumultuoso del battito cardiaco e della pressione sanguigna, fino al movimento inconsulto degli arti, definito in medicina il "segno di Lazzaro". Dal 1985 si batte per affermare il diritto di questi ammalati la Lega Antipredazione degli organi a cuore battente, fondata a Bergamo da Nerina Negrello e sostenuta da numerosi medici rianimatori. Tutti in prima fila con audizioni parlamentari per cercare, in primo luogo, di ripristinare verità e giustizia: non “cadaveri”, ma ammalati gravi. Per i quali, in molti casi, ci sarebbe ancora tanto da tentare

 

 

Sala operatoria

 

 

 

 

Troppa frenesia

intorno ai trapianti

 Il prof. Massimo Bondì spiega le ragioni

 per cui combatte la "predazione di organi"

 Fonte web

Non vi è dubbio che quest'epoca sia caratterizzata, tra le altre cose, da un impressionante progresso scientifico che pone spesso evidenti problemi di natura etica, anche in un'ottica ebraica e strettamente halakhica.

Madri in affitto, clonazioni, manipolazioni genetiche, interventi chirurgici al limite del miracoloso (quando riescono ...) sono divenute espressioni di uso comune e che, forse proprio in conseguenza della loro attualità, non possono che sollevare discussioni, scontri, derivanti dalla difficoltà di conciliare la morale con la scienza, soprattutto quando quest'ultima degenera a indiscriminata rincorsa verso un progresso dai contorni poco definiti.

Si tratta di tematiche di grande spessore che conseguono al costante tentativo di perseguire obiettivi meritevoli di approvazione, quali il desiderio della maternità, il miglioramento o l'allungamento della vita. Ciò che lascia perplessi non è, quindi, tanto lo scopo ma, talvolta, il modo con cui questi obiettivi vengono perseguiti.

Anche il recente dibattito sul tema del trapianto degli organi - derivante dalla richiesta di un pronunciamento rivolto ai cittadini italiani - ha creato divisioni ed ha motivato numerose riflessioni e prese di posizione sul punto. Da una parte rileva la legittima istanza di salvare vite umane, dall'altra la necessità di non sacrificarne prematuramente altre. E' apparsa evidente la contrapposizione tra chi, quasi fideisticamente, ha sposato tout court una filosofia del trapianto, e chi ha mostrato invece perplessità sottolineando la necessità di giungere ad un giusto equilibrio tra etica e progresso scientifico.

Anche l'Assemblea dei Rabbini d'Italia si è pronunciata pubblicamente approvando, in conformità alla posizione espressa dal Rabbinato Centrale di Israele, un documento in cui è ritenuto ebraicamente lecito un espianto di organi tutte le volte in cui venga accertata, sulla base di precisi riscontri tecnici, la morte del soggetto donatore; morte che sopraggiunge nel momento in cui avviene la morte respiratoria ovvero quella delle cellule nervose che presiedono alla funzione respiratoria. Questa posizione rabbinica, favorevole e rigorosa al contempo, deriva dalla considerazione che, secondo l'halakhà, non è ammissibile né l'omicidio né la violazione dell'integrità del corpo. Sul punto, in ogni caso, a conferma della delicatezza dell'argomento, sono evidenziabili, pure all'interno del mondo ebraico, posizioni differenti.

Tra le voci che interpretano restrittivamente la possibilità di procedere all'espianto degli organi (cuore e fegato, in particolar modo), oltre ad alcune autorità rabbiniche di riconosciuto prestigio (i "ghedolè Israel"), si deve segnalare la posizione del professor Massimo Bondì, libero docente di Patologia Chirurgica e Propedeutica Clinica presso l'Università La Sapienza di Roma e tra i promotori della "Lega contro la predazione degli organi" (www.antipredazione.org/).

 

SHALOM: Lei ha, in numerose circostanze, mostrato perplessità di fronte al tema trapianto-espianto di organi. Quali sono i motivi del suo dissenso?

BONDI: Premetto che il trapianto degli organi, di per sé, rappresenta un significativo punto d'arrivo per tutta l'umanità. Si tratta di un tema delicato che soddisfa un'esigenza meritevole che non posso che condividere: quella di salvare vite umane. Nonostante ciò, devo rilevare che, allo stato, sono evidenziabili numerosi aspetti problematici. E dico questo sapendo di parlare di una questione di grande attualità che, a oltre trent'anni dal primo trapianto di cuore, è entrata nelle mentalità corrente, tanto del paziente che del medico.

SHALOM: Quali sono gli aspetti più delicati?

BONDI: I tempi della tecnica chirurgica, oggi, hanno superato quelli del laboratorio. Avverto un'eccessiva attenzione al miglioramento delle performances chiururgiche ed una sottovalutazione delle ricerche e degli studi che potrebbero, in ultima istanza, permettere di guarire gli organi, evitando, all'origine, il delicato problema degli espianti.

Basti riflettere su alcuni dati storici: dopo il famoso trapianto di Barnard ne sono seguiti, quasi immediatamente, oltre duecento anche perché, grazie al supporto farmacologico sempre più perfezionato, sono stati superati abbastanza rapidamente i problemi iniziali connessi al rigetto.

Un altro aspetto che lascia perplessi è quello legato all'individuazione della morte del donatore. Già negli anni '70, le Corti americane sono state, a più riprese, chiamate a pronunciarsi su una domanda non casuale: quando è possibile stabilire che un uomo è effettivamente morto? Devo dire che, sul punto, molti autori si sono inventati il concetto di morte cerebrale e ciò proprio in concomitanza con il proliferare della tecnica espiantologica cui mi riferivo prima.

SHALOM: Lei ritiene che il richiamo alla morte cerebrale rappresenti una tesi priva di supporti scientifici?

BONDI: Esattamente. Non lo dico solo io, ma anche gli autorevoli scienziati di Harvard che hanno redatto nel '92 un rapporto sul punto. Oggi, non è possibile affermare con certezza quando un uomo sia realmente morto, o meglio non è possibile - in mancanza di una riprova anatomica - comprendere se il cervello sia definitivamente e irrimediabilmente distrutto.

SHALOM: La sua affermazione è molto dura anche sotto il profilo della deontologia medica.

BONDI: Io critico, anche deontologicamente, il medico che affermi la morte cerebrale di un suo paziente, ai fini di un successivo espianto di organi. Non condivido, in particolare, la frenesia verso il trapianto che porta a trascurare, in nome della necessità di essere rapidi e di evitare che gli organi si deteriorino, la tutela della salute del donatore. Quest'ultimo non è, quando subisce l'espianto, un cadavere vero, rigido di frigorifero. Al contrario gli organi vengono prelevati in camera operatoria col soggetto legato al tavolo operatorio, sottoposto ad un vero intervento di chirurgia, in anestesia generale, a cuore battente, circolazione in atto, respirazione controllata.

SHALOM: Lei critica, quindi, la dilagante cultura del trapianto?

BONDI: Senz'altro. Oggi c'è una richiesta in aumento di organi. Tutti chiedono organi, potrebbe farlo anche un centenario. Si tratta di una strada pericolosa che non dovrebbe essere percorsa.

Invece sarebbe bene intensificare la ricerca, oltre che migliorare le terapie, cosa che permetterebbe di evitare la drammatica decisione, cui il medico è chiamato e che è alla base di ogni espianto, relativa all'accertamento della morte del paziente donatore. Credo che si debba perseguire l'obiettivo di creare l'organo in provetta dato che, almeno in ipotesi, ogni organo può essere, ad eccezione del cervello ovviamente, creato artificialmente.

SHALOM: La sua contrarietà, rispetto alla domanda pervenuta ad ogni elettore italiano di pronunciarsi in ordine alla donazione dei proprio organi, è totale?

BONDI: Si, e proprio perché ritengo che la richiesta sia stata mal posta e non dica la verità. Il tesserino inviatoci, richiede un pronunciamento rispetto ad una domanda non chiara. In particolare, è scritto: dichiaro di voler donare i miei organi dopo la morte. E ciò, come ho già detto, non è possibile. Avrebbero invece dovuto spiegare con dovizia di informazioni che, allo stato attuale, non è certo che chi subisce un espianto, per esempio di cuore o fegato, sia effettivamente morto. La domanda, quindi, trae in inganno e suggestiona il cittadino che, inevitabilmente, non può conoscere tutte le problematiche che la donazione di organi porta con sé.
Io, pertanto, a quella domanda rispondo no.

 

 

 

Raffigurazione medioevale delle ultime volontà

del morente con accanto un notaio

 

 

 

 

Il testamento di vita:

uno strumento inutile

Mario Palmaro - Facoltà di Bioetica di Roma

E’ giusto incoraggiare i pazienti a stilare, finchè sono ancora coscienti, un “testamento di vita” che indichi ai medici come comportarsi in caso di malattia grave? Il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) – organismo istituzionale della Presidenza del Consiglio - per iniziativa del suo presidente, il filosofo del diritto  Francesco D’Agostino, ha messo a punto un Parere che dovrebbe delineare l’introduzione nel nostro Paese del Living will, o “testamento di vita”. Il CNB non promulga leggi, ma il suo Parere potrebbe fornire la piattaforma su cui il Parlamento discuterebbe il varo di una normativa in materia di direttive anticipate del paziente. Se il progetto delineato da D’Agostino dovesse andare in porto, ogni cittadino avrebbe la possibilità di mettere per iscritto le terapie che non intende ricevere in caso di sopravvenuta incoscienza per malattia. Allo scopo sarebbe già pronta una Biocard, una scheda dettagliata in cui inserire queste volontà cliniche. Il medico dovrebbe tenere in considerazione queste volontà anticipate, ma non sarebbe obbligato a osservarle. Se deciderà di disattenderle, dovrà però spiegare per iscritto i motivi della sua condotta. Il paziente potrà nominare un tutore con il compito di garantire il rispetto delle volontà anticipate e di interpretarle correttamente.

Quale può essere il giudizio complessivo dal punto di vista giuridico e morale dello strumento del living will? C’è il serio rischio che questo strumento – in sé stesso abbastanza asettico e ambivalente sul piano morale – venga utilizzato come cavallo di Troia per introdurre nell’ordinamento la prassi eutanasica. Per evitare questo rischio, il CNB ha subito stabilito che la richiesta del paziente non possa mai essere obbligante per il medico. Come a dire dire: le domande del malato non possono mai piegare la volontà del medico, chiamato a rispettare i principi fondamentali della deontologia. D’altra parte, non possiamo fingere di ignorare che i più strenui fautori del testamento di vita sono i bioeticisti e i circoli politoco-culturali che si battono per la legalizzazione dell’eutanasia: la Biocard è un’idea portata avanti dalla Consulta di Bioetica, che associa da anni studiosi tendenzialmente favorevoli all’aborto, alla fecondazione artificiale, all’eutanasia.

C’è poi un problema di sostanziale imprevedibilità delle reali circostanze che si verificano nella realtà, in un futuro solo immaginato ma mai vissuto; e soprattutto, un’incognita esistenziale intorno a quelle che possono essere le personali reazioni quando veramente ciascuno d noi si trovasse in un certo frangente.

Ma, paradossalmente, la vera domanda a proposito del living will è estremamente prosaica: il testamento di vita serve davvero a qualcosa? Perché, scendendo dall’atmosfera rarefatta dei massimi sistemi alla concreta e umanissima situazione dei singolo paziente, possiamo ricondurre l’infinita varietà dei casi clinici a tre categorie di casi emblematici. Il primo: il paziente chiede nel testamento di vita al medico di assumere una condotta che configura una vera e propria eutanasia, cioè una condotta attiva o passiva che contiene in sé l’intenzione di provocare la morte. In questo caso, il medico ha il diritto e soprattutto il dovere di ignorare le direttive anticipate. Il secondo caso: il paziente prescrive ai sanitari di insistere oltre ogni ragionevole limite nel somministrare cure e farmaci, mettendo in atto l’ipotesi dell’accanimento terapeutico. E’ probabile che in simili situazioni il medico ancora una volta si smarchi dalla richiesta del paziente, e applichi le terapie senza inutili insistenze. Terza ipotesi: il paziente chiede al medico di fare esattamente ciò che il medico stesso è chiamato a compiere in ossequio alla sua arte e alla sua retta coscienza.

Per cui, anche in assenza del living will, il buon medico avrebbe assicurato al paziente il medesimo trattamento. Mi pare che non siano pensabili altre situazioni. E che, dunque, le direttive anticipate rivelino, a una più attenta analisi, la loro sostanziale inutilità. Esse servono casomai a nascondere alcuni veri problemi della medicina moderna, tentando di risolverli con l’arma – sempre deleteria – del legalismo e del formalismo contrattuale. Che il medico e il paziente riprendano a dialogare fra loro; che il medico si sforzi di conoscere il malato nella sua complessità di persona, e non di insieme di organi da riparare; che il malato ritorni ad affidarsi al medico con la fiducia di chi si riconosce bisognose di salute, di quella salus che contiene in sé la radice della parola “salvezza”. La figura del “tutore” è, in tal senso, emblematica: si affida a un terzo rappresentante legale la cura degli interessi del malato, quasi che egli avesse necessità, davanti al “tribunale medico” di un avvocato che ne difenda gli interessi. Sottintendendo che gli interessi del medico e della medicina divergono da quelli del paziente e della sua famiglia.

Il nodo del problema sta qui, al livello del senso più profondo dell’arte medica, nella riscoperta dei contenuti essenziali del Giuramento di Ippocrate. Ritratta di decidere se è possibile una medicina che prescinda da quei precetti, o se invece – come dimostra l’esperienza clinica – non c’è medicina vera se non dentro questo misterioso “patto asimmetrico” che lega il paziente al medico. Il testamento di vita appartiene a una visione contrattualistica del rapporto medico-paziente, dove i pilastri della fiducia e della compassione sono stati rimpiazzati dalla volontà negoziale delle parti e dalla minaccia di salatissime richieste di risarcimento danni. Triste il giorno in cui la medicina avrà accettato di diventare una simile desolata landa senz’anima.

 

Molto spesso i mercanti di organi vanno nei paesi del

terzo mondo e là trovano tutto di quello di cui hanno

bisogno... I bambini sono le prime vittime!

 

 

 

 

PIAZZISTI DI ORGANI IN

 GIRO PER IL MONDO

 

di Jack Folla alias Diego Cugia

A Roma, tempo fa, la polizia ha fermato .. un commesso viaggiatore americano, .. rappresentante di cuori, cornee, fegati, pancreas e reni. C'è un mucchio di gente in attesa di trapianto. Liste d'attesa interminabili. Pochi donatori, molti malati. Il costo di un rene è di 20.000 dollari più IVA. Trentacinque milioni circa. Per cuore e pancreas non c'è prezzo, si aggiudicano al miglior offerente. .. Senza un rene si può vivere, senza una cornea si può vedere ancora con l'altra, ma senza cuore - come dire? - o la borsa o la vita. Idem per il pancreas.

.. Così, i piazzisti di cuori girano il mondo come trottole. .. E partono sui jumbo, in "magnifica" o in "business". .. Destinazione: America Latina (Brasile e Argentina), India (New Delhi) o qualche villaggio di pescatori nelle isole dell'Arcipelago di Hong Kong.

Sapete come si fa? .. Si compra un bambino per pochi dollari da una famiglia così affamata che il cannibalismo è una speranza. Il nostro rappresentante sarà molto convincente, prometterà adozioni internazionali e pagherà poco ma cash. .. Girato l'angolo di casa, entrano in azione gli sgherri che prelevano il piccolo, mentre il piazzista sale in hotel a rinfrescarsi. Lo portano in una clinica degli orrori, l'ammazzano e congelano il pancreas e il cuore. ..

 

 

APPROFONDIMENTO

 

SITO FONDAZIONE UMBERTO VERONESI

 

 

PORTALE ITALIANO DI BIOETICA

 

 

Il mercato del corpo
 

 

Lega Nazionale Contro la Predazione di

Organi e la Morte a Cuore Battente