TRAPIANTI E TESTAMENTO
BIOLOGICO...
TUTTO CHIARO?!?
(A cura di Claudio Prandini)
Prof. Umberto Veronesi
I business su testamento
biologico ed espianti
di Rita Pennarola–20 febbraio 2007
Mentre infuria il dibattito su temi come l’eutanasia ed avanzano le proposte
di legge sul testamento biologico,
14 ottobre 2006. Sui quotidiani
italiani appare per la prima volta un’inserzione a pagamento su pagina intera
contenente un fac-simile di testamento biologico con l’autorizzazione
all’espianto degli organi. “Scegliere in modo consapevole come affrontare le
incognite del futuro - si legge - è una forma di libertà”. A commissionare
l’annuncio è
Il nome dell’avvocato venne alla luce nel ‘92 fra le migliaia di iscritti alla Massoneria, Grande Oriente d’Italia, all’ombra del Vesuvio. Oggi De Tilla è coordinatore del comitato “Scienza e diritto” della Fondazione Veronesi, nonchè presidente nazionale della Cassa Forense. Quest’ultimo organismo ha recentemente «espresso parere favorevole alla redazione del testamento biologico in forma di scrittura privata raccolta - a titolo gratuito - dall’avvocato, dal medico o dal mandatario, anziché effettuata per atto di notaio». Veronesi spiega la ratio dell’iniziativa: «La maggior parte dei malati e una percentuale sempre più alta di popolazione sana è favorevole al principio dell’autodeterminazione ed è contraria all’accanimento terapeutico.
Di fronte ad una medicina che
estende sempre più le sue capacità tecniche, la gente sente il bisogno di
riappropriarsi delle scelte che riguardano la propria esistenza. Del resto
andiamo con grande naturalezza dal notaio quando, nel pieno della
consapevolezza, vogliamo decidere come destinare i nostri beni. Perché non
dovremmo poterlo fare anche per il futuro della nostra salute?». Ancora:
«Ricordo a questo proposito l’intervento del Comitato Nazionale per
L’iniziativa fa seguito,
probabilmente, allo stop imposto nell’estate 2005 alla proposta di legge su
“Disposizioni in materia di donazione del corpo post mortem a fini di studio e
di ricerca scientifica”, che era stata avanzata dai deputati diessini
Giuseppe Petrella (facoltoso oncologo partenopeo, bassoliniano di ferro),
Livia Turco (attuale ministro della Sanità), Marida Bolognesi e
Giorgio Bogi. A condurre un’autentica battaglia contro questa iniziativa era
stata
Del resto, la legge italiana prevede già il rilascio dei cadaveri a scopo di studio, insegnamento ed indagine scientifica. Perchè allora questa nuova proposta? Torna, insomma, la tanto contestata ambiguità delle norme sui trapianti-espianti, che usano il termine “cadavere” per indicare un ammalato in stato di cosiddetta “morte cerebrale”. «I malati in coma cosiddetto irreversibile (sotto ventilazione) - precisa la rianimatrice Maria Luisa Robbiati - che la proposta in esame vorrebbe usare come “manichini da esperimenti” per un anno, richiedono l'intervento attivo di anestesisti-rianimatori per mantenere le funzioni vitali somministrando farmaci, liquidi, trasfusioni, alimentazione enterale e parenterale, mentre per le esercitazioni chirurgiche dovranno usare invece farmaci curarizzanti per paralizzare i movimenti di reazione all'incisione chirurgica».
IL PARTITO DEL LASCITO
Su quell’istante che separa la
vita dalla morte torna ora in campo
Sì, vogliamo farlo subito. Ma come
si fa? Tranquilli: «Ognuno di noi - aggiungono gli esperti contabili alla
struttura di Veronesi - può scegliere di legare tutti o parte dei propri beni
allo sviluppo dei progetti della Fondazione, con la certezza che le sue volontà
verranno rispettate e che il suo lascito contribuirà a rendere migliore il
futuro di chi verrà dopo di lui». Se non è ancora abbastanza chiaro, si può
consultare il paragrafo “Che cosa lasciare alla Fondazione Umberto Veronesi”.
Ecco: «Una somma in denaro, azioni, titoli o altri valori. Anche i piccoli
contributi sono un gesto di generosità sempre utile». «Un bene mobile. Un
oggetto che vi è caro». «Un bene immobile. Un appartamento, una casa, un terreno
che
Chiaro? E sì che di denaro,
appartamenti, gioielli o auto di lusso, proprio
Un partito trasversale del lascito. Tutti premi Nobel o quasi, ovviamente, i componenti del comitato scientifico: Renato Dulbecco, Rita Levi Montalcini, Paul Nurse, Carlo Rubbia, Margherita Hack e Luc Montagnier. “Come fare testamento a favore della Fondazione Umberto Veronesi” è poi il link finale, con moduli precompilati ed istruzioni tecniche, per quanti non avessero ancora capito ed apprezzato i benefici della donazione di sè.
TESTAMENTO DI GALA
Per invogliare i più testardi,
comunque, le iniziative di promozione non mancano. Come la “Serata di Gala a
favore di Fondazione Umberto Veronesi, FAI Fondo per l’Ambiente Italiano ed
Association Jeune j’Ecoute”, che si è svolta a ottobre 2006 nella superba
cornice del Principato di Monaco. «Montecarlo - raccontano le cronache mondane -
è stata nuovamente teatro di una serata di beneficenza, organizzata presso
Del resto, al salotto buono dell’alta finanza italiana Umberto Veronesi è legato da sempre e in maniera assolutamente bipartisan. Benchè corteggiato tradizionalmente dal centrosinistra (è stato a capo del dicastero della Sanità durante il governo di Massimo D’Alema), il leader dell’oncologia italiana non fa mancare la sua presenza nel consiglio d’amministrazione della berlusconiana Arnoldo Mondadori spa o nell’appendice sicula della corazzata sanitaria San Raffaele (l’Istituto San Raffaele-Giglio di Cefalù) fondato da quello stesso sempresialodato don Luigi Verzè che nel 2002 definì Silvio Berlusconi «un dono di Dio agli italiani».
SIA FATTA LA VOLONTÀ DELL’IEO
Non guarda al colore politico,
Veronesi, quando si tratta della salute. E che salute! Il suo IEO - Istituto
Europeo di Oncologia, altra multinazionale fondata sulla cura del cancro, può
contare attualmente come capitale sociale sulla bellezza di quasi 80 milioni di
euro. Fra i titolari di tanto ben di dio troviamo nell’azionariato sigle
dell’uno e dell’altro schieramento. In area Polo, Mediolanum e
Costituita nel 2003 su iniziativa
di Francesco Micheli e della Fondazione Umberto Veronesi, a settembre
2005 Genextra entra nel campo delle nanotecnologie e acquisisce il controllo di
Tethis, leader mondiale del settore. L’operazione è stata realizzata attraverso
un aumento di capitale di circa un milione e mezzo di euro, «ma - precisa il
comunicato stampa diramato dall’azienda - Genextra si è impegnata a
sottoscrivere due ulteriori aumenti di capitale per complessivi euro 1,8 milioni
da eseguirsi nel corso del 2006 e del 2007».
Ce la faranno? Inutile stare col
fiato sospeso, anche perchè timoniere di Genextra è ancora oggi il
supercollaudato Micheli. «Negli anni Settanta - recita la sua biografia - era
stato uno degli assistenti dell’allora presidente di Montedison Eugenio Cefis.
In seguito fu al centro dell’avventura finanziaria che nel luglio del 1985
consentì a Mario Schimberni di impossessarsi di Foro Buonaparte».
Veronesi, insomma, gli amici se li sa scegliere. Come ha fatto proprio per
l’organigramma dell’Istituto Oncologico Europeo, che ai suoi vertici
amministrativi vede big come la figlia di Salvatore Ligresti, Giulia,
l’amministratore delegato di Telecom Carlo Buora (balzato alle cronache
per l’inchiesta sulle schedature illegali che ha travolto Giuliano Tavaroli),
e poi il presidente della Popolare di Milano Roberto Mazzotta, i big
della finanza nazionale Paolo Maria Grandi, Carlo Puri Negri, Matteo Arpe...
Insomma, quando c’è la salute c’è
tutto. E più che in salute è proprio l’IEO: la creatura targata Veronesi di via
Filodrammatici, a Milano, nel 2005 dichiara a bilancio un bel + 117 milioni e
mezzo di euro come “ricavi da vendite e da prestazioni”, un attivo circolante
pari a 63.560.169 euro e partecipazioni per 27.064.602. Piccolo particolare:
nell’oggetto sociale la cura degli ammalati risulta fanalino di coda. Si legge
infatti chiaramente: «Costruzione d'immobili per abitazione ed altri usi.
Costruzione fabbricati ad uso abitazione, per fini agricoli, industriali,
commerciali, etc. Ospedali e case di cura generali». Pazienza.
Ma torniamo al tesserino-vademecum
del donatore. L’idea di una “schedatura” di base per incentivare i trapianti,
riproposta tra fine 2006 e inizio
DONO UT DES
Perchè Veronesi è esponente di spicco di quella parte della comunità scientifica e politica che sostiene strenuamente la legge sul trapianto-espianto degli organi. Sempre nel 2001 e sempre in veste di ministro dell’esecutivo D’Alema, Veronesi polemizza con Adriano Celentano, che nella sua trasmissione in diretta Rai aveva avanzato pesanti dubbi sull’iniziativa di reperire donatori di organi in base al principio del “silenzio-assenso”, introdotta con un decreto del ministro della Sanità ad aprile del 2000. «Affermazioni superficiali - tuona Veronesi - dettate dalla non conoscenza della questione, che rischiano di mettere a repentaglio il lavoro fin qui svolto per dare a migliaia di malati una speranza di vita e di sollevare i loro familiari da una pesante angoscia quotidiana. Un vero schiaffo a quanti hanno in questi anni lavorato per promuovere in Italia la cultura della donazione». Convinti, naturalmente, che si tratti di donazione “da cadavere”. Un equivoco presente nella quasi totalità dei non addetti ai lavori. E costantemente alimentato, anche in tutto il materiale propagandistico destinato all’opinione pubblica.
CADAVERE SARA’ LEI...
Nella proposta di legge bipartisan
avanzata nel 1997 da parlamentari come Melchiorre Cirami ed Ersilia
Salvato, Renato Schifani ed Agazio Loiero, all’articolo 2 veniva
usata la parola “cadavere” per definire il paziente in stato di cosiddetta morte
cerebrale: «E' vietato il prelievo da cadavere a scopo di trapianto terapeutico
delle gonadi e di tessuti cerebrali. Salve le disposizioni dell'articolo 1, il
prelievo da cadavere di organi e tessuti a scopo di trapianto terapeutico è
consentito nei casi e secondo le modalità indicate dalla presente legge». Ed
ecco ad esempio cosa si legge testualmente quattro anni dopo nella “Nota sul
trapianto di fegato da donatore vivente” pubblicata nel 2001 all’interno di un
depliant a cura del CNT, il Centro Nazionale Trapianti annesso al ministero
della Sanità e diretto da Alessandro Nanni Costa. «Il Consiglio Superiore
di Sanità ha approvato l’autorizzazione al trapianto di fegato da donatore
vivente a partire dal 2 aprile 2001 per i 16 Centri già autorizzati al trapianto
da donatore cadavere; l’autorizzazione è valida per 1 anno e definisce garanzie
per il donatore e criteri valutativi di qualità del Centro autorizzato. La
conferma per i Centri è basata sui dati ottenuti e specifica che il trapianto da
donatore vivente non sostituisce quello tradizionale da donatore cadavere».
Chi è e dove sta mai, il donatore
cadavere? I corpi da cui vengono espiantati gli organi sono vivi, caldi e
pulsanti. Il dibattito è aperto sullo sfuggente concetto (morale, scientifico e
giuridico) di quella “morte cerebrale” peraltro mai nominata negli articoli di
legge che regolano la materia. E nessun esponente sanitario, nemmeno all’interno
del mondo trapiantista, utilizza il termine “cadavere”. Cui si fa ricorso solo
quando si tratta di sensibilizzare e convincere l’opinione pubblica. Una
strategia di comunicazione finora perfettamente riuscita.
TUTTI VIVI
A settembre del 2000, dopo le
controverse affermazioni di Giovanni Paolo II sulla liceità dell’espianto
di organi, 120 personalità del mondo scientifico hanno sottoscritto un documento
nel quale esprimono la loro ferma opposizione alla dichiarazione di “morte
cerebrale” così come è stata finora intesa per procedere agli espianti. Tra i
firmatari, non solo esponenti religiosi, ma anche medici e magistrati
provenienti da 19 Paesi. Fra gli altri, i ricercatori Paul Byrne, Cicero
Coimbra (Brasile), David W. Evans (Inghilterra), Josef Seifert
(Liechtenstein), Yoshio Wanatabe (Giappone). La raccolta delle firme è
stata effettuata negli Stati Uniti da Earl E.Appleby, direttore della
società Cure di Berkeley Springs.
Ecco alcuni brani fra i più
significativi. «Il papa dice che i prelievi di organi devono essere effettuati
da cadaveri; dai veri defunti possono essere prelevati solo alcuni tessuti, come
la cornea, mentre gli organi vivi, come il cuore, i polmoni, il fegato o i reni,
per essere trapiantabili devono essere tolti da persone dichiarate in "morte
cerebrale" che respirano ancora (anche se la respirazione è artificiale), che
hanno il cuore che pulsa, il cui sangue circola, che sono calde e rosee, i cui
arti per stimoli dolorosi possono muoversi e se sono donne possono condurre
avanti una gravidanza dando alla luce un figlio vivo e sano». E aggiungono: «E’
alquanto anomalo considerare queste persone defunte quando nessuno avrebbe il
coraggio di mettere in una bara qualcuno che respira, che ha il cuore e il polso
che battono». E' evidente perciò che «tali persone non sono cadaveri, e che da
veri cadaveri si possono prelevare solo organi che sono già in stato di
degenerazione e che non possono essere trapiantati».
Viene quindi specificato, con una
dettagliata serie di esempi, come la definizione di morte cerebrale - data per
scontata nelle legislazioni ed anzi, spesso, mistificata attraverso la parola
“cadavere” - sia tutt’altro che un dato certo o accertabile in maniera
definitiva. Argomento centrale: la necessità - universalmente riconosciuta - di
effettuare anestesia o "curarizzare" il paziente durante il prelievo degli
organi per frenare le sue reazioni: dalla sudorazione all'aumento tumultuoso del
battito cardiaco e della pressione sanguigna, fino al movimento inconsulto degli
arti, definito in medicina il "segno di Lazzaro". Dal 1985 si batte per
affermare il diritto di questi ammalati
Sala operatoria
Troppa frenesia
intorno
ai trapianti
Il prof. Massimo Bondì spiega le ragioni
per cui combatte la "predazione di organi"
Madri in affitto, clonazioni,
manipolazioni genetiche, interventi chirurgici al limite del miracoloso (quando
riescono ...) sono divenute espressioni di uso comune e che, forse proprio in
conseguenza della loro attualità, non possono che sollevare discussioni,
scontri, derivanti dalla difficoltà di conciliare la morale con la scienza,
soprattutto quando quest'ultima degenera a indiscriminata rincorsa verso un
progresso dai contorni poco definiti.
Si tratta di tematiche di grande
spessore che conseguono al costante tentativo di perseguire obiettivi meritevoli
di approvazione, quali il desiderio della maternità, il miglioramento o
l'allungamento della vita. Ciò che lascia perplessi non è, quindi, tanto lo
scopo ma, talvolta, il modo con cui questi obiettivi vengono perseguiti.
Anche il recente dibattito sul
tema del trapianto degli organi - derivante dalla richiesta di un pronunciamento
rivolto ai cittadini italiani - ha creato divisioni ed ha motivato numerose
riflessioni e prese di posizione sul punto. Da una parte rileva la legittima
istanza di salvare vite umane, dall'altra la necessità di non sacrificarne
prematuramente altre. E' apparsa evidente la contrapposizione tra chi, quasi
fideisticamente, ha sposato tout court una filosofia del trapianto, e chi
ha mostrato invece perplessità sottolineando la necessità di giungere ad un
giusto equilibrio tra etica e progresso scientifico.
Anche l'Assemblea dei Rabbini
d'Italia si è pronunciata pubblicamente approvando, in conformità alla posizione
espressa dal Rabbinato Centrale di Israele, un documento in cui è ritenuto
ebraicamente lecito un espianto di organi tutte le volte in cui venga accertata,
sulla base di precisi riscontri tecnici, la morte del soggetto donatore; morte
che sopraggiunge nel momento in cui avviene la morte respiratoria ovvero quella
delle cellule nervose che presiedono alla funzione respiratoria. Questa
posizione rabbinica, favorevole e rigorosa al contempo, deriva dalla
considerazione che, secondo l'halakhà, non è ammissibile né l'omicidio né
la violazione dell'integrità del corpo. Sul punto, in ogni caso, a conferma
della delicatezza dell'argomento, sono evidenziabili, pure all'interno del mondo
ebraico, posizioni differenti.
Tra le voci che interpretano restrittivamente la possibilità di procedere all'espianto degli organi (cuore e fegato, in particolar modo), oltre ad alcune autorità rabbiniche di riconosciuto prestigio (i "ghedolè Israel"), si deve segnalare la posizione del professor Massimo Bondì, libero docente di Patologia Chirurgica e Propedeutica Clinica presso l'Università La Sapienza di Roma e tra i promotori della "Lega contro la predazione degli organi" (www.antipredazione.org/).
SHALOM: Lei ha, in numerose
circostanze, mostrato perplessità di fronte al tema trapianto-espianto di
organi. Quali sono i motivi del suo dissenso?
BONDI:
Premetto che il trapianto degli organi, di per sé, rappresenta un significativo
punto d'arrivo per tutta l'umanità. Si tratta di un tema delicato che soddisfa
un'esigenza meritevole che non posso che condividere: quella di salvare vite
umane. Nonostante ciò, devo rilevare che, allo stato, sono evidenziabili
numerosi aspetti problematici. E dico questo sapendo di parlare di una questione
di grande attualità che, a oltre trent'anni dal primo trapianto di cuore, è
entrata nelle mentalità corrente, tanto del paziente che del medico.
SHALOM: Quali sono gli aspetti
più delicati?
BONDI:
I tempi della tecnica chirurgica, oggi, hanno superato quelli del
laboratorio. Avverto un'eccessiva attenzione al miglioramento delle
performances chiururgiche ed una sottovalutazione delle ricerche e degli
studi che potrebbero, in ultima istanza, permettere di guarire gli organi,
evitando, all'origine, il delicato problema degli espianti.
Basti riflettere su alcuni dati
storici: dopo il famoso trapianto di Barnard ne sono seguiti, quasi
immediatamente, oltre duecento anche perché, grazie al supporto farmacologico
sempre più perfezionato, sono stati superati abbastanza rapidamente i problemi
iniziali connessi al rigetto.
Un altro aspetto che lascia
perplessi è quello legato all'individuazione della morte del donatore. Già negli
anni '70, le Corti americane sono state, a più riprese, chiamate a pronunciarsi
su una domanda non casuale: quando è possibile stabilire che un uomo è
effettivamente morto? Devo dire che, sul punto, molti autori si sono inventati
il concetto di morte cerebrale e ciò proprio in concomitanza con il proliferare
della tecnica espiantologica cui mi riferivo prima.
SHALOM: Lei ritiene che il
richiamo alla morte cerebrale rappresenti una tesi priva di supporti
scientifici?
BONDI:
Esattamente. Non lo dico solo io, ma anche gli autorevoli
scienziati di Harvard che hanno redatto nel '92 un rapporto sul punto. Oggi, non
è possibile affermare con certezza quando un uomo sia realmente morto, o meglio
non è possibile - in mancanza di una riprova anatomica - comprendere se il
cervello sia definitivamente e irrimediabilmente distrutto.
SHALOM: La sua affermazione è
molto dura anche sotto il profilo della deontologia medica.
BONDI:
Io critico, anche deontologicamente, il medico che affermi la
morte cerebrale di un suo paziente, ai fini di un successivo espianto di organi.
Non condivido, in particolare, la frenesia verso il trapianto che porta a
trascurare, in nome della necessità di essere rapidi e di evitare che gli organi
si deteriorino, la tutela della salute del donatore. Quest'ultimo non è, quando
subisce l'espianto, un cadavere vero, rigido di frigorifero. Al contrario gli
organi vengono prelevati in camera operatoria col soggetto legato al tavolo
operatorio, sottoposto ad un vero intervento di chirurgia, in anestesia
generale, a cuore battente, circolazione in atto, respirazione controllata.
SHALOM: Lei critica, quindi, la
dilagante cultura del trapianto?
BONDI:
Senz'altro. Oggi c'è una richiesta in aumento di organi. Tutti
chiedono organi, potrebbe farlo anche un centenario. Si tratta di una strada
pericolosa che non dovrebbe essere percorsa.
Invece sarebbe bene intensificare
la ricerca, oltre che migliorare le terapie, cosa che permetterebbe di evitare
la drammatica decisione, cui il medico è chiamato e che è alla base di ogni
espianto, relativa all'accertamento della morte del paziente donatore. Credo che
si debba perseguire l'obiettivo di creare l'organo in provetta dato che,
almeno in ipotesi, ogni organo può essere, ad eccezione del cervello ovviamente,
creato artificialmente.
SHALOM: La sua contrarietà,
rispetto alla domanda pervenuta ad ogni elettore italiano di pronunciarsi in
ordine alla donazione dei proprio organi, è totale?
BONDI:
Si, e proprio perché ritengo che la richiesta sia stata mal posta
e non dica la verità. Il tesserino inviatoci, richiede un pronunciamento
rispetto ad una domanda non chiara. In particolare, è scritto: dichiaro di voler
donare i miei organi dopo la morte. E ciò, come ho già detto, non è possibile.
Avrebbero invece dovuto spiegare con dovizia di informazioni che, allo stato
attuale, non è certo che chi subisce un espianto, per esempio di cuore o fegato,
sia effettivamente morto. La domanda, quindi, trae in inganno e suggestiona il
cittadino che, inevitabilmente, non può conoscere tutte le problematiche che la
donazione di organi porta con sé.
Io, pertanto, a quella domanda rispondo no.
Raffigurazione medioevale delle ultime volontà
del morente con accanto un notaio
Il testamento di vita:
uno strumento inutile
Mario Palmaro - Facoltà di Bioetica di Roma
E’ giusto incoraggiare i pazienti a stilare, finchè sono ancora coscienti, un “testamento di vita” che indichi ai medici come comportarsi in caso di malattia grave? Il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) – organismo istituzionale della Presidenza del Consiglio - per iniziativa del suo presidente, il filosofo del diritto Francesco D’Agostino, ha messo a punto un Parere che dovrebbe delineare l’introduzione nel nostro Paese del Living will, o “testamento di vita”. Il CNB non promulga leggi, ma il suo Parere potrebbe fornire la piattaforma su cui il Parlamento discuterebbe il varo di una normativa in materia di direttive anticipate del paziente. Se il progetto delineato da D’Agostino dovesse andare in porto, ogni cittadino avrebbe la possibilità di mettere per iscritto le terapie che non intende ricevere in caso di sopravvenuta incoscienza per malattia. Allo scopo sarebbe già pronta una Biocard, una scheda dettagliata in cui inserire queste volontà cliniche. Il medico dovrebbe tenere in considerazione queste volontà anticipate, ma non sarebbe obbligato a osservarle. Se deciderà di disattenderle, dovrà però spiegare per iscritto i motivi della sua condotta. Il paziente potrà nominare un tutore con il compito di garantire il rispetto delle volontà anticipate e di interpretarle correttamente.
Quale può essere il giudizio complessivo dal punto di vista giuridico e morale dello strumento del living will? C’è il serio rischio che questo strumento – in sé stesso abbastanza asettico e ambivalente sul piano morale – venga utilizzato come cavallo di Troia per introdurre nell’ordinamento la prassi eutanasica. Per evitare questo rischio, il CNB ha subito stabilito che la richiesta del paziente non possa mai essere obbligante per il medico. Come a dire dire: le domande del malato non possono mai piegare la volontà del medico, chiamato a rispettare i principi fondamentali della deontologia. D’altra parte, non possiamo fingere di ignorare che i più strenui fautori del testamento di vita sono i bioeticisti e i circoli politoco-culturali che si battono per la legalizzazione dell’eutanasia: la Biocard è un’idea portata avanti dalla Consulta di Bioetica, che associa da anni studiosi tendenzialmente favorevoli all’aborto, alla fecondazione artificiale, all’eutanasia.
C’è poi un problema di sostanziale imprevedibilità delle reali circostanze che si verificano nella realtà, in un futuro solo immaginato ma mai vissuto; e soprattutto, un’incognita esistenziale intorno a quelle che possono essere le personali reazioni quando veramente ciascuno d noi si trovasse in un certo frangente.
Ma, paradossalmente, la vera domanda a proposito del living will è estremamente prosaica: il testamento di vita serve davvero a qualcosa? Perché, scendendo dall’atmosfera rarefatta dei massimi sistemi alla concreta e umanissima situazione dei singolo paziente, possiamo ricondurre l’infinita varietà dei casi clinici a tre categorie di casi emblematici. Il primo: il paziente chiede nel testamento di vita al medico di assumere una condotta che configura una vera e propria eutanasia, cioè una condotta attiva o passiva che contiene in sé l’intenzione di provocare la morte. In questo caso, il medico ha il diritto e soprattutto il dovere di ignorare le direttive anticipate. Il secondo caso: il paziente prescrive ai sanitari di insistere oltre ogni ragionevole limite nel somministrare cure e farmaci, mettendo in atto l’ipotesi dell’accanimento terapeutico. E’ probabile che in simili situazioni il medico ancora una volta si smarchi dalla richiesta del paziente, e applichi le terapie senza inutili insistenze. Terza ipotesi: il paziente chiede al medico di fare esattamente ciò che il medico stesso è chiamato a compiere in ossequio alla sua arte e alla sua retta coscienza.
Per cui, anche in assenza del living will, il buon medico avrebbe assicurato al paziente il medesimo trattamento. Mi pare che non siano pensabili altre situazioni. E che, dunque, le direttive anticipate rivelino, a una più attenta analisi, la loro sostanziale inutilità. Esse servono casomai a nascondere alcuni veri problemi della medicina moderna, tentando di risolverli con l’arma – sempre deleteria – del legalismo e del formalismo contrattuale. Che il medico e il paziente riprendano a dialogare fra loro; che il medico si sforzi di conoscere il malato nella sua complessità di persona, e non di insieme di organi da riparare; che il malato ritorni ad affidarsi al medico con la fiducia di chi si riconosce bisognose di salute, di quella salus che contiene in sé la radice della parola “salvezza”. La figura del “tutore” è, in tal senso, emblematica: si affida a un terzo rappresentante legale la cura degli interessi del malato, quasi che egli avesse necessità, davanti al “tribunale medico” di un avvocato che ne difenda gli interessi. Sottintendendo che gli interessi del medico e della medicina divergono da quelli del paziente e della sua famiglia.
Il nodo del problema sta qui, al livello del senso più profondo dell’arte medica, nella riscoperta dei contenuti essenziali del Giuramento di Ippocrate. Ritratta di decidere se è possibile una medicina che prescinda da quei precetti, o se invece – come dimostra l’esperienza clinica – non c’è medicina vera se non dentro questo misterioso “patto asimmetrico” che lega il paziente al medico. Il testamento di vita appartiene a una visione contrattualistica del rapporto medico-paziente, dove i pilastri della fiducia e della compassione sono stati rimpiazzati dalla volontà negoziale delle parti e dalla minaccia di salatissime richieste di risarcimento danni. Triste il giorno in cui la medicina avrà accettato di diventare una simile desolata landa senz’anima.
Molto spesso i mercanti di organi vanno nei paesi del
terzo mondo e là trovano tutto di quello di cui hanno
bisogno... I bambini sono le prime vittime!
PIAZZISTI DI ORGANI IN
GIRO PER IL MONDO
di Jack Folla alias Diego Cugia
A Roma, tempo fa, la polizia ha fermato .. un commesso viaggiatore americano, .. rappresentante di cuori, cornee, fegati, pancreas e reni. C'è un mucchio di gente in attesa di trapianto. Liste d'attesa interminabili. Pochi donatori, molti malati. Il costo di un rene è di 20.000 dollari più IVA. Trentacinque milioni circa. Per cuore e pancreas non c'è prezzo, si aggiudicano al miglior offerente. .. Senza un rene si può vivere, senza una cornea si può vedere ancora con l'altra, ma senza cuore - come dire? - o la borsa o la vita. Idem per il pancreas.
.. Così, i piazzisti di cuori girano il mondo come trottole. .. E partono sui jumbo, in "magnifica" o in "business". .. Destinazione: America Latina (Brasile e Argentina), India (New Delhi) o qualche villaggio di pescatori nelle isole dell'Arcipelago di Hong Kong.
Sapete come si fa? .. Si compra un bambino per pochi dollari da una famiglia così affamata che il cannibalismo è una speranza. Il nostro rappresentante sarà molto convincente, prometterà adozioni internazionali e pagherà poco ma cash. .. Girato l'angolo di casa, entrano in azione gli sgherri che prelevano il piccolo, mentre il piazzista sale in hotel a rinfrescarsi. Lo portano in una clinica degli orrori, l'ammazzano e congelano il pancreas e il cuore. ..
APPROFONDIMENTO
SITO FONDAZIONE UMBERTO VERONESI
Lega Nazionale Contro la Predazione di
Organi e la Morte a Cuore Battente