ITALIA:

USCIRE DALL'EURO KILLER?

FORSE SAREBBE MEGLIO LA DOCCIA FREDDA DEL RITORNO

ALLA LIRA, CHE MORIRE LENTAMENTE D'AUSTERITÀ!

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

“Italia fuori dall’euro: 5/10%

di possibilità”, stima Bridgewater

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 “Italia fuori dall’euro: 5/10% di possibilità”, stima Bridgewater. ”La situazione politica in Italia inizia a suggerirci che il poco plausibile sia una possibilità (probabile al 5-10%) che in Italia emerga un governo che non intende cooperare o restare nell’euro”. Da questo, discende che “la possibilità del 5-10% che l’euro salti richiede attenta considerazione”. Lo scrivono gli analisti di Bridgewater, più grande hedge fund del mondo, un colosso che gestisce un portafoglio di 130 miliardi di dollari di partenza. A carpire questa indicazione ad uso interno per gli investitori di Bridgewater, è Federico Fubini con la sua coprrispondenza da Honk Kong per conto del Corriere della Sera (5 aprile). Lo stallo politico italiano è uno dei problemi maggiori che rischiano di scompaginare la stabilità finanziaria europea: il titolo del rapporto è chiaro, “Può l’Italia far saltare l’euro?”

La risposta, 5/10% di possibilità, non è affatto rassicurante. La percentuale sembra trascurabile, ma che direste se messi di fronte a una possibilità su 10 che un ordigno nucleare esploda? “Atomic bomb”, così viene definito la potenziale minaccia costituita dalla conclamata ingovernabilità italiana sul mercato finanziario globale. Il quadro dipinto dagli analisti è horror:

“La situazione economica in Italia non è mai stata così depressa dalla fine della Seconda guerra mondiale, il Prodotto interno lordo è ancora in caduta, le banche sono in condizioni terribili, i prestiti al settore privato sono in grande tensione e la Banca centrale europea non fornisce il giusto grado di sostegno monetario”.

 

 

FUORI DA QUESTA EUROPA - Intervista a Bruno Poggi

 

Dobbiamo uscire dall'euro adesso - Intervista a Paolo Becchi

 

 

La finanza Usa sogna l’Italia fuori dall’euro

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Lo spread tra i Btp italiani decennali e i Bund tedeschi è sceso ieri a 320 punti. La situazione catastrofica dei conti pubblici e la recessione che sta causando un autentico tracollo economico con una disoccupazione record non sembrano preoccupare più di tanto gli investitori internazionali e gli speculatori. Nemmeno l’assenza di un nuovo governo che sia espressione del nuovo Parlamento sembra colpire più di tanto, in base forse al principio che se non c’è un governo, quello attuale gestisce l’esistente, non si possono provocare troppi danni. La presenza a tempo di Mario Monti a Palazzo Chigi, uomo di cultura e di legami anglofoni, come attestano le sue consulenze a Moody’s e Goldman Sachs, rassicura Wall Street e la City londinese che la barca Italia dovrebbe continuare nella navigazione da lui stesso avviata.
Finora la finanza anglo-americana ci ha assicurato un periodo di relativa tregua che male si concilia con il peggioramento dei conti pubblici e con la recessione sempre più pesante. Un livello così basso dello spread è infatti una anomalia se si tiene conto che il debito pubblico ha raggiunto il 127% rispetto al Pil. Nel novembre 2011, quando cadde Berlusconi, proprio per la situazione dei conti pubblici, il debito era al 120,1% e lo spread a 570 punti. C’è quindi qualcosa che non va. E l’attuale esecutivo non se la può cavare sostenendo che al contrario il disavanzo, in soldoni la differenza tra uscite ed entrate, è passato dal 4,2% al 3%, visto che tale risultato è stato ottenuto con un massiccio aumento delle tasse, tra Iva ed Imu.

Oltretutto tale fase di calma è anomala in considerazione del fatto che il titolo pubblico preso in considerazione per valutare la salute dell’Italia è il Btp decennale ed il suo rapporto con il Bund tedesco, considerato il più affidabile dell’area dell’euro. Quando aumenta il debito pubblico si generano seri dubbi sulla credibilità di un Paese come l’Italia e sulla sua capacità nel lungo termine di pagare gli interessi e di restituire il capitale alla scadenza. Invece niente. Sembra quindi che la finanza anglofona che aveva in passato preso di mira l’Italia si sia presa un momento di pausa e che l’attuale bonaccia ne sia una conseguenza.

Ma l’attuale stasi sembra più che altro il preludio a nuove e più pesanti tempeste finanziarie. A quanti nell’Unione europea e nell’Eurozona pronosticano una futura bancarotta dell’Italia ed una sua uscita dalla moneta unica, si è aggiunto infatti il più importante fondo di investimento del mondo, ossia lo statunitense Bridgewater, che da solo gestisce ben 130 miliardi di dollari e che gode della reputazione, gratificata da guadagni miliardari negli ultimi anni, di saper leggere meglio di altri le dinamiche e le tendenze dei mercati. Si tratta quindi di un’analisi, quella sull’Italia, che rischia di provocare un effetto domino. Molti investitori potrebbero infatti leggervi l’intenzione di ambienti importanti della finanza Usa di smobilizzare gli investimenti in titoli italiani e sarebbero portati a comportarsi di conseguenza. In tal modo il valore di mercato dei Btp crollerebbe, interessi e rendimenti sulle prossime emissioni aumenterebbero e con essi lo spread con i Bund. Ed in tal modo non solo gli impegni finanziari futuri dello Stato crescerebbero ma addirittura si rischierebbe che i Btp non trovassero più compratori. Non converrebbe più comprare titoli decennali, sia pure con interessi altissimi, se poi non ci fosse la certezza di recuperare alla data della scadenza i soldi che si sono imprestati.

Il fondo Usa attribuisce una probabilità di appena il 10% all’ipotesi di una uscita dell’Italia dall’euro e basa le sue previsioni sulla instabilità politica e sulla presenza di un movimento anti-euro e anti-globalizzazione come quello di Grillo che riscuote un crescente favore da parte dei cittadini sempre più impoveriti e che potrebbe arrivare pure a governare l’Italia e destabilizzare l’intera Eurozona. Certo l’Italia non è la Grecia e la forza della sua economia fa presumere che Francia e Spagna faranno gioco di sponda per impedire che ciò accada. Ma se la situazione economica dovesse peggiorare tutto potrebbe succedere. Oltretutto, pure le banche italiane non sono messe bene e il Tesoro non può contare in eterno che siano esse a comprare i titoli di Stato.

 

 

Edward Nicolae Luttwak intervistato da Giuseppe Cruciani

 

COME SI ESCE DALL'EURO? Intervista a Claudio Borghi

 

 

Italia fuori dall’Euro? 5 scenari possibili

sul nostro futuro: uscire o rimanere?

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L’Italia, senza governo dalla metà di dicembre, è "de facto fuori dall’Euro", ha detto Beppe Grillo in un’intervista al giornale tedesco Handlesblatt, perché molto presto verrà scaricata dai membri più ricchi; non appena questi abbiano recuperato il denaro investito e poi, ha detto il comico ormai politico genovese, "ci butteranno via come una patata bollente".

Si può essere d’accordo o meno con la posizione di Grillo, ma la verità è che in questo momento la situazione in Italia non è affatto semplice.

Italia: la situazione in questo momento

Lo scorso venerdì, l’agenzia di rating Fitch ha apportato un downgrade sul debito italiano e da allora i tassi di interesse sui titoli di stato hanno ripreso la via della salita. Le ultime figure sul PIL, riportate per la fine del 2012, mostrano una contrazione trimestrale dello 0.9%: l’Italia continua ad indietreggiare.

In tutto questo, tra un governo che non c’è e un’economia sempre più dilaniata, aleggia la possibilità di un referendum sull’Euro: uscire, rimanere? Forse, mai come in questo momento, il futuro dell’Italia e dell’Eurozona sembra essere messo in discussione, sebbene i mercati finanziari (almeno per il momento) continuino a vedere il bicchiere mezzo pieno.

Ma cosa accadrebbe se l’Italia lasciasse l’Euro? E altrimenti, quali potrebbero essere gli scenari possibili per il futuro dell’Italia e dell’Eurozona?

1. Italia fuori dall’Euro: si torna alla Lira?

Ritornare alla Lira significherebbe dover convertire tutti i risparmi e tutti i depositi nella nuova valuta che sarebbe necessariamente svalutata rispetto alle altre e di valore naturalmente inferiore all’Euro. In termini reali, perdendo potere d’acquisto, saremmo tecnicamente tutti più poveri. Con il ritorno alla Lira, il potere monetario tornerebbe in Italia dove la svalutazione competitiva sarebbe necessaria alla sopravvivenza, oltre che pratica già nota con la vecchia Lira.

Il problema maggiore, tuttavia, nasce da una domanda: a quel punto, chi "manterrebbe" il nostro debito, anch’esso convertito in Lire? Dal punto di vista degli investitori si tratterebbe di una perdita in termini reali e le conseguenze di avere un debito che dall’Euro viene convertito in Lire sembrano piuttosto facili da immaginare.

2. Ristrutturare il debito: non prima del default

La ristrutturazione del debito è in genere la naturale conseguenza del default. Lasciare che l’Italia arrivi a tanto, rappresenterebbe senza ombra di dubbio un azzardo pericoloso per gli altri Stati Europei. Ma un taglio ai tassi di interesse sulle obbligazioni già accordate sarebbe un duro colpo per le banche italiane, e per le imprese, visto che il 63% del debito è detenuto a livello nazionale.

La conseguenza è che l’Italia vivrebbe periodi davvero difficili nel tentativo di finanziare nuovo debito, dopo aver prosciugato le tasche dei cittadini; specie se tutto ciò accadesse poco dopo aver lasciato l’Euro e aver perso dunque il supporto della Banca Centrale Europea.

3. Tra austerità e crescita: si fa quel che si può

Se l’Italia dovesse rimanere nella zona Euro, evitando così la ristrutturazione del debito, sembra inevitabile il proseguimento del percorso sulla via dell’austerità. L’Italia potrebbe continuare a finanziare il proprio debito, eventualmente con l’aiuto della BCE, sempre seguendo le condizioni di austerità e crescita.

Non è questa la sede per discutere se e come "austerità" e "crescita" possano stare bene insieme nella stessa frase. Certo è che in questa situazione in cui l’Italia "tenta di cavarsela" non mancheranno nuovi dibattiti sulla possibilità di lasciare la moneta unica o di ristrutturare il debito.

Tuttavia, se l’Eurozona non riuscisse a trovare una soluzione concreta ai profondi e radicati problemi dell’Italia, l’inevitabile conseguenza sarebbe la scelta, da parte dell’elettorato forse, di lasciare definitivamente l’Euro, con annesse perdite di creditori e investitori.

4. Italia: addio indipendenza

Si dice che "a mali estremi, estremi rimedi", dunque è impossibile escludere l’eventualità che l’Italia perda la propria indipendenza nazionale e venga sottoposta alla "gestione" (diciamo così) di un’amministrazione controllata da parte delle autorità europee. Nel bene o nel male, nel novembre del 2011 quando l’Italia era nel baratro, la nomina di un Governo Tecnico è stata in parte una perdita di sovranità nazionale.

Ma questo fa parte della vita comunitaria: fin dove ci si può spingere per evitare il "contagio"? L’ultimo risultato elettorale, così confuso e ancora troppo incerto, espone potenzialmente l’Italia a che ciò si ripeta; con 16 dei partner dell’Eurozona che spingono per ottenere la loro vittoria.

5. Gli Stati Uniti d’Europa

In questo quinto scenario, si ripete la perdita d’indipendenza dell’Italia, ma in un quadro più ampio in cui l’unione monetaria ed economica si estende a quella fiscale e politica.

Questo finale era sicuramente parte del disegno più ampio dell’Unione Europea, ma allo stesso tempo non sarà certo facile che avvenga nel breve termine. A prescindere dalla Germania, dove quest’idea non piace affatto, i leader europei ritengono che questo sia uno scenario più che plausibile, sebbene è certo che non saranno più in carica se e quando, questo si dovesse concretizzare.

"Mettiamo fine a questo Euro"

In questo momento fatto di forti incertezze, intensifica la corsa all’oro, il bene considerato rifugio di ogni sempre. Svincolato da questioni nazionali e politiche, l’oro non può essere svalutato a comando, neanche con un referendum. Tradizionalmente, quando le crisi peggiorano, la corsa all’oro si fa più affannata perché garantisce maggiore autonomia, indipendenza e libertà d’azione.

Ma è altrettanto innegabile che "l’antipatia per l’Euro" sembra in rapida diffusione tra i paesi della zona Euro. In Germania, la patria dell’Austerity, nasce in questi giorni Alternative für Deutschland (AFD), il nuovo partito euro-scettico che inneggia: "Mettiamo fine a questo Euro".

Ma a settembre si terranno le elezioni in Germania, con un governo euro-scettico alla guida del paese "motore" della zona Euro, che ne sarebbe della moneta unica?

 

 

1998 Prodi da lezione di economia...e di Euro...la moneta che darà grande prosperità

 

Alberto Bagnai ad Uno Mattina, uscita dall'EURO subito 03.04.2013

 

 

"Italia, rigore o fuori dall'euro".
Il pensiero dei liberali tedeschi

A prospettare l’eventualità che Roma lasci la moneta unica se non rispetterà i trattati, il Patto di stabilità e i dettami della Bce è Rainer Bruederle, capogruppo parlamentare del partito liberale (Fpd), la forza politica junior partner della CduCsu di Merkel

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Rainer BruederleUn’uscita dell’Italia dall’euro è uno scenario possibile, visto dalla Germania. Lo ha detto per la prima volta in assoluto un esponente politico della coalizione di centrodestra guidata dalla cancelliera Angela Merkel al potere a Berlino. E non si tratta nemmeno d’un esponente di secondo piano. A prospettare l’eventuale opportunità che Roma lasci la moneta unica se non si adatterà alle esigenze di rigore poste dai Trattati di Maastricht, dal Patto di stabilità, dai dettami della Banca centrale europea, è stato Rainer Bruederle, capogruppo parlamentare del partito liberale (Fdp), cioè la forza politica junior partner della CduCsu di Merkel. Il partito cui appartengono personaggi-chiave come i ministri degli Esteri, Gyido Westerwelle, e dell’Economia, Philipp Roesler. Partito di cui Bruederle è da anni personaggio decisivo ed eminenza grigia.

Un’uscita dell’Italia dall’Eurozona, ha spiegato Bruderle, non è un auspicio ma potrebbe diventare inevitabile o poco meno. L’Italia, egli ha detto, deve decidersi se vuole o no trarre le conseguenze dell’appartenenza alla moneta unica, e se non vuole, allora le conseguenze che deve trarre sono altre. L’uscita, appunto. L’euro, ha spiegato Bruederle, è uno strumento importantissimo per lo sviluppo dell’Europa, ma non devono per forza parteciparvi tutti i paesi che sono oggi nell’Eurozona. L’alternativa a un’uscita dell’euro per

l’Italia, egli ha continuato, sono drastiche misure. L’Italia manca di competitività, è indietro di anni con le riforme, e il governo non è capace di agire, e per questo la spesa pubblica non è stata significativamente ridotta, né il mercato del lavoro è stato reso più flessibile.

Anche la Germania, ha ammonito l’alto esponente liberale, ha alle sue spalle momenti duri e difficili, un duro processo, quello delle riforme di welfare e mercato del lavoro (condotte peraltro dal governo socialdemocratici-verdi dell’allora cancelliere Spd Gerhard Schroeder al potere dal 1998 al 2005). “Ma non fare nulla e limitarsi ad accusare e lamentarsi è troppo comodo”. Bruederle ha detto ancora che l’eurocrisi non è finita, ma il limite massimo delle spese e contributi tedeschi al salvataggio della moneta unica è stato già toccato, “non è ammissibile che i lavoratori finanzino pagando le tasse gli errori di altri paesi, e il bilancio tedesco non può diventare il self service di tutta l’Europa”.

 

 

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