IL PENTAGONO E

LA NUOVA STRATEGIA DI OBAMA:

IN ARRIVO NUOVE GUERRE PER

 ACCERCHIARE L'IRAN

 

CHI È VERAMENTE UMAR FAROUK ABDUL MUTATALLAB,

 IL GIOVANE CHE HA FATTO TREMARE L'AMERICA?

 

(a cura Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Le tensioni separatiste del sud e la presenza di al-Qaeda in Yemen non sono una novità, anzi sono note da anni a Washington. Possibile che solo il fallito attentato di Natale abbia riportato al centro dell'agenda Usa la questione? Difficile crederlo, almeno se si ritiene di non dover cavalcare l'onda dei media mainstream. L'aspetto più importante della vicenda, che vede coinvolti gli Usa e l'Arabia Saudita in prima linea, è la ribellione sciita nel nord del Paese. E' molto più facile usare il logo di al-Qaeda per spiegare a congressisti, contribuenti e giornalisti che bisogna intensificare la presenza statunitense nella regione che spiegare come il vero obiettivo sia invece l'Iran.

 

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Tarpley a Russia Today: l’attentato fallito

di Detroit era un’operazione “false flag”

 

Fonte web - Webster Tarpley

 

Tarpley a Russia Today: Il terrorista psicolabile Nigeriano è l’ennesima operazione della CIA per la promozione propagandistica dei loro protetti di al-Qaeda nella guerra civile in Yemen

Russia Today, 29 Dicembre 2009 — Tarpley rivela a Russia Today che il caso di Umar Farouk Abdulmutallab non è una questione isolata, ma si tratta piuttosto di uno psicolabile protetto o di un utile idiota usato in modo sistematico dalla comunità d’intelligence USA per una provocazione natalizia progettata per facilitare l’ingerenza degli USA nella guerra civile in Yemen, luogo dove a quanto si dice Umar Farouk è stato addestrato e dove gli è stato dato l’ordigno PETN.

Ad Umar Farouk, figlio di un banchiere, venne negato l’accesso in Gran Gretagna, e venne denunciato a metà Novembre all’Ambasciata USA in Lagos, Nigeria, come probabile terrorista dal suo stesso padre.

Il suo biglietto di sola andata per Detroit è stato acquistato in contanti nel Ghana, e da lì pare sia entrato in Nigeria illegalmente. Ad Amsterdam era assistito all’entrata della Northwest Airlines da un “Indiano ben vestito” che ha spiegato che Umar Farouk era sprovvisto di passaporto. Farouk era in possesso del PETN, la stessa sostanza usata a quanto pare dal ritardato mentale “terrorista delle scarpe”, Richard Reid, nel suo attentato fallito circa otto anni fa.

Nonostante tutto questo, il permesso d’entrata negli USA di Umar Farouk non è mai stato revocato, il suo nome non è mai stato inserito nella lista di chi non può volare, e non è mai stato perquisito per bene. Questi errori straordinari nella normale procedura mostrano che Umar Farouk faceva parte di un’operazione sponsorizzata dalla CIA, che è fruttata ora ben 4 giorni di isteria nei mass media. Obama ha enunciato la sua nuova versione dell’Asse del Male, composta da Afghanistan-Pakistan, Somalia e Yemen. Nello Yemen è in corso una guerra civile fra il governo centrale sostenuto dai Sauditi e i ribelli Sciiti Houthi sostenuti dall’Iran, e questi ultimi son stati bombardati almeno due volte dagli USA in questo mese.

L’obiettivo qui è di far scontrare l’Iran con l’Arabia Saudita, per indebolire sia il governo Iraniano di Achmadinejad, che è filo-Russo, e sia quelle forze Saudite che si sono stancate del loro status di protettorato USA. Gli USA stanno ora sponsorizzando apertamente la riorganizzazione di “al Qaeda” (la legione Musulmana della CIA) nello Yemen, e ciò include il mandare combattenti direttamente da Guantanamo. La nuova entità sintetica promossa dalla CIA è “al Qaeda nella Penisola Araba”, detta anche AQAP, un gruppo di pazzoidi USA, di utili idioti e fanatici che stanno rivendicando il fallito attentato di Umar Farouk.

 

Gli USA sperano di dominare ancor di più lo sbocco del Mar Rosso e del Canale di Suez, e nel frattempo alleggerire la pressione del distrutto dollaro USA facendo alzare il prezzo del petrolio in un’atmosfera di tensione nella penisola Araba. Il Segretario della Sicurezza Nazionale, Janet Napolitano, ora è diventata Totalitaria a sinistra, e Incompetente a destra. Invece di molestare i viaggiatori, dovrebbe dare le dimissioni o venir licenziata assieme agli altri ufficiali corrotti, balordi o complici dell’amministrazione Obama in questa provocazione “false flag” [Ndr. a "falsa bandiera"].

 

 

 

 

 

 

Webster Tarpley, famoso giornalista investigativo americano, intervistato da Kristine Frazao

 per Russia Today, svela i retroscena del finto attentato contro il volo Delta 253 con cui

 l'intelligence americana ha creato un comodo pretesto per l'intervento degli  USA

nella guerra civile dello Yemen.

 

 

 

 

 

YEMEN: LA GUERRA DEL PENTAGONO

NELLA PENISOLA ARABA

Fonte web

Il 14 dicembre la BBC News ha riferito che 70 civili erano rimasti uccisi nel corso di un bombardamento aereo effettuato sul mercato del villaggio di Bani Maan, nel nord dello Yemen.
Le forze armate nazionali si sono assunte la responsabilità dell’attacco, ma un sito web dei ribelli Houthi, contro i quali l’attacco era presumibilmente diretto, ha affermato che “aerei sauditi hanno compiuto un massacro contro gli innocenti abitanti di Bani Maan”. [1]

Il regime saudita si è inserito, ai primi di novembre, nel conflitto armato tra i suddetti Houthi e il governo dello Yemen, a sostegno di quest’ultimo, e da allora è accusato di aver condotto attacchi all’interno dello Yemen con carri armati e aerei da guerra. Anche prima di quest’ultimo bombardamento, moltissimi yemeniti erano già stati uccisi e altre migliaia erano stati costretti alla fuga dai combattimenti. L’Arabia Saudita è anche accusata di aver utilizzato bombe al fosforo. Inoltre, il gruppo ribelle noto come Giovani Credenti, con base nella comunità musulmana sciita dello Yemen che comprende il 30% dei 23 milioni di abitanti del paese, ha dichiarato il 14 dicembre che “jet da combattimento americani hanno attaccato la provincia di Sa’ada nello Yemen” e che “jet statunitensi hanno compiuto 28 attacchi contro la provincia nordoccidentale di Sa’ada”. [2] L’edizione del britannico Daily Telegraph uscita il giorno precedente riferiva di colloqui con funzionari militari statunitensi, affermando: “Nel timore che lo Yemen non riesca a fronteggiare la situazione, l’America ha inviato un piccolo numero di gruppi di forze speciali per addestrare l’esercito yemenita contro questa minaccia”. Veniva citato un anonimo funzionario del Pentagono, il quale avrebbe affermato: “Lo Yemen sta diventando una base di riserva di Al Qaeda per le sue attività in Pakistan e Afghanistan”. [3]

L’evocazione del babau di Al Qaeda è comunque uno specchietto per le allodole. I ribelli del nord dello Yemen, infatti, sono sciiti e non sunniti, tantomeno sunniti wahabiti della varietà saudita, e pertanto non solo non possono essere ricollegati a nessun gruppo definibile come Al Qaeda, ma ne costituirebbero eventualmente un probabile bersaglio.
In ossequio ai progetti statunitensi sulla regione, la stampa americana e britannica ha di recente iniziato a parlare dello Yemen come della “patria ancestrale” di Osama Bin Laden. Certo, Bin Laden viene da una ben nota famiglia di miliardari dell’Arabia Saudita, ma poiché suo padre era nato più di un secolo fa in quella che è oggi la Repubblica dello Yemen, i media occidentali hanno iniziato a sfruttare questo irrilevante accidente storico per suggerire che Osama Bin Laden avrebbe un ruolo attivo all’interno della nazione e per creare un sottile legame tra le guerre in Afghanistan e Pakistan e l’intervento americano e saudita nella guerra civile dello Yemen.

Nel 2002 il Pentagono aveva inviato circa 100 soldati - secondo alcune fonti, forze speciali dei Berretti Verdi – nello Yemen, allo scopo di addestrare le forze militari del paese. In quell’occasione, verificatasi due anni dopo l’attacco suicida – attribuito ad Al Qaeda - contro la nave USS Cole di stanza nel porto di Aden, nello Yemen meridionale, e accompagnata da attacchi missilistici contro leader della stessa organizzazione, Washington giustificò le proprie azioni come ritorsione contro quell’incidente e contro gli attacchi a New York e Washington dell’anno precedente.

Il contesto attuale è assai diverso e una guerra antirivoluzionaria nello Yemen, sostenuta dagli USA, non avrebbe nulla a che fare con le presunte minacce di Al Qaeda, ma sarebbe parte integrante di una strategia per estendere la guerra afgana in cerchi concentrici sempre più vasti che comprendano l’Asia meridionale e centrale, il Caucaso e il Golfo Persico, il Sud-Est Asiatico e il Golfo di Aden, il Corno d’Africa e la Penisola Araba. La tanto attesa dipartita del presidente George W. Bush avrà anche portato la fine della guerra al terrorismo ufficiale, ora definita “operazioni del contingente oltremare”, ma nulla è cambiato, a parte il nome.
Il 13 dicembre il Gen. David Petraeus, ufficiale supremo del Comando Centrale del Pentagono, a capo delle operazioni belliche in Afghanistan, Iraq e Pakistan, ha dichiarato alla TV Al–Arabiya che “gli Stati Uniti sostengono la sicurezza interna dello Yemen nell’ambito della cooperazione militare fornita dall’America ai suoi alleati nella regione” e ha sottolineato che “le navi americane che navigano nelle acque territoriali dello Yemen, [sono lì] non solo per svolgere funzioni di controllo, ma per impedire i rifornimenti di armi ai ribelli Houthi”. [4]
Ricordiamocelo la prossima volta che la panzana di Al Qaeda/Bin Laden verrà usata per giustificare l’estensione del coinvolgimento militare americano nella Penisola Araba.
Lo Yemen Post del 13 dicembre riferiva che l’ufficio centrale dei ribelli Houthi aveva “accusato gli Stati Uniti di partecipare alla guerra contro gli Houthi” e aveva rilasciato fotografie di aerei militari americani “impegnati in operazioni di bombardamento contro la provincia di Sa’ada, nel nord dello Yemen”. La fonte stimava che vi fossero stati almeno venti raid americani coordinati attraverso la sorveglianza satellitare. [5]

La stampa occidentale sta partendo di nuovo alla carica nel collegare gli Houthi, il cui background religioso di sciismo zaidita è molto diverso da quello iraniano, con le sinistre macchinazioni attribuite a Teheran. Nemmeno i funzionari del governo americano sono riusciti finora a raccogliere alcuna prova che l’Iran stia appoggiando, o addirittura armando, i ribelli dello Yemen. Questo cambierà se la sceneggiatura andrà avanti secondo i canoni consueti, come indicato dal commento di Petraeus riportato più sopra, e se Washington farà conveniente eco ai proclami del governo yemenita, secondo il quale l’Iran starebbe rifornendo di armi i suoi confratelli sciiti dello Yemen, così com’è accusato di fare in Libano.

Lo Yemen diventerà il campo di battaglia di una guerra per interposta persona tra Stati Uniti e Arabia Saudita da una parte – le cui relazioni politiche sono tra le più forti e durevoli dell’epoca successiva alla II Guerra Mondiale – e l’Iran dall’altra. In un editoriale di cinque giorni fa, il Tehran Times accusava tutti i soggetti in conflitto nello Yemen – il governo, i ribelli e l’Arabia Saudita – di avventatezza e lanciava un avvertimento: “La storia ci fornisce un buon esempio. L’Arabia Saudita ha finanziato i gruppi estremisti in Afghanistan e ancora oggi, due decenni dopo il ritiro dell’armata sovietica dal paese, le fiamme della guerra in Afghanistan stanno devastando gli alleati dell’Arabia Saudita. Uno scenario simile sta ora emergendo nello Yemen”. [6]

Il paragone tra lo Yemen e l’Afghanistan si riferiva soprattutto a Riyadh, nel secondo caso alleata di ferro degli Stati Uniti, e al suo tentativo di esportare il wahabismo di matrice saudita per espandere la propria influenza politica. L’Arabia Saudita sta cercando di promuovere una propria versione dell’estremismo nello Yemen, come ha già fatto in Afghanistan e Pakistan e come sta attualmente facendo in Iraq. Senza che né gli Stati Uniti né i loro alleati occidentali esprimano la minima obiezione, i sauditi e le monarchie loro alleate del Golfo Persico si troveranno al centro, nei prossimi cinque anni, di un commercio di armamenti, stimato per un valore di circa 100 miliardi di dollari, dai paesi occidentali verso il Medio Oriente. “Il fulcro di questo commercio di armamenti sarà senza dubbio il pacchetto di sistemi militari da 20 miliardi di dollari che gli Stati Uniti hanno offerto nei prossimi 10 anni ai sei stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar e Bahrain”. [7] L’Arabia Saudita dispone anche di aerei da guerra francesi e britannici di ultima generazione, nonché di sistemi di difesa antimissile forniti dagli americani.

L’avvertimento sulle “fiamme della guerra” in Afghanistan, contenuto nel commento iraniano citato più sopra, è stato confermato alla lettera nella Valutazione Iniziale del Comando del 30 agosto 2009, rilasciata dal Generale Stanley McChrystal, comandante in capo delle forze americane e NATO in Afghanistan e pubblicato dal Washington Post il 21 settembre con le correzioni richieste dal Pentagono. Questo documento di 66 pagine è servito da punto di riferimento per l’annuncio fatto il 1° dicembre dal presidente Barack Obama, con cui si destinavano all’Afghanistan altri 33.000 soldati americani. Nel suo rapporto McChrystal affermava: “I gruppi ribelli più rilevanti in relazione al rischio che rappresentano per la missione sono: i talebani Quetta Shura (05T), la rete di Haqqani (HQN) e lo Hezb-e Islami Gulbuddin (HiG).”
Gli ultimi due prendono il nome dai loro fondatori e attuali leader, Jalaluddin Haqqanni and Gulbuddin Hekmatyar, i mujaheddin coccolati dalla CIA americana negli anni ’80, quando il direttore dell’Agenzia (dal 1986 al 1989) era Robert Gates, oggi Segretario della Difesa USA, incaricato di proseguire la guerra in Afghanistan. E nello Yemen.

Nel suo libro del 1996, “From the Shadows”, Gates si vantava del fatto che “la CIA ha ottenuto importanti successi nelle covert actions. Forse la più efficace di tutte è stata quella in Afghanistan, dove la CIA, attraverso i suoi funzionari, ha destinato miliardi di dollari ai rifornimenti di materiale e di armi per i mujaheddin…”.  [8] Nel 2008, il New York Times rendeva noti i seguenti dettagli:
“Negli anni ’80, Jalaluddin Haqqani venne coltivato come un patrimonio “unilaterale” della CIA e ricevette decine di migliaia di dollari in contanti per il suo impegno nella lotta contro l’Esercito Sovietico in Afghanistan, stando a quanto riportato in “The Bin Ladens”, un recente libro di Steve Coll. A quel tempo, Haqqani aveva aiutato e protetto Osama Bin Laden, che stava mettendo insieme una propria milizia per combattere le forze sovietiche, scrive Coll. [9] Coll è anche autore del volume Ghost Wars: The Secret History of the CIA, Afghanistan, and Bin Laden, from the Soviet Invasion to September 10, 2001.
Hekmatyar, collega di Haqqani, “ricevette milioni di dollari dalla CIA, attraverso l’ISI [il Servizio d’Intelligence Pakistano]. Hezb-e-Islami Gulbuddin ricevette alcuni dei più sostanziosi aiuti da parte di Pakistan e Arabia Saudita e lavorò con migliaia di mujaheddin stranieri arrivati in Afghanistan”. [10]
Nel maggio scorso il (ferventemente) filo-americano presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, aveva detto alla NBC americana che “i talebani sono parte del nostro e del vostro passato, l’ISI e la CIA li hanno creati insieme. (I talebani) sono un mostro creato da tutti noi…” [11]

L’11 settembre 2001 c’erano solo tre nazioni del mondo che riconoscevano il governo dei talebani in Afghanistan: Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Subito dopo gli attacchi, il presidente George W. Bush identificò immediatamente sette dei cosiddetti “Stati fiancheggiatori del terrorismo” per potenziali ritorsioni:  Cuba, Iran, Iraq, Libia, Corea del Nord, Sudan e Siria. Già il solo Sudan, che aveva espulso Osama Bin Laden nel 1996, aveva ogni possibile connessione col terrorismo. Dei 19 dirottatori accusati di aver condotto gli attacchi dell’11 settembre, 15 erano dell’Arabia Saudita, 2 degli Emirati Arabi Uniti, uno dell’Egitto e uno del Libano. Pakistan e Arabia Saudita restano alleati politici e militari di grande valore per l’America e gli Emirati Arabi hanno truppe che servono in Afghanistan sotto il comando della NATO.
E’ forse impossibile stabilire il momento esatto in cui un sedicente combattente della guerra santa, appoggiato dagli USA, addestrato per compiere azioni di terrorismo urbano e per abbattere aerei civili, cessa di essere un combattente per la libertà e diventa un terrorista. Ma si può presumere con una certa sicurezza che ciò avviene quando egli non è più utile a Washington. Un terrorista che serve gli interessi americani è un combattente per la libertà; un combattente per la libertà che si rifiuta di farlo, è un terrorista.

Per decenni l’African National Congress di Nelson Mandela e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat sono stati in cima alla lista dei gruppi terroristici compilata dal Dipartimento di Stato. Ma la Guerra Fredda era appena finita che già tanto Mandela quanto Arafat (come pure Gerry Adams del Sinn Fein) venivano invitati alla Casa Bianca. Il primo ricevette il Nobel per la pace nel 1993, il secondo nel 1994.

Se negli anni ’80 un ipotetico militante jihadista fosse partito dall’Arabia Saudita o dall’Egitto per andare in Pakistan a combattere contro il governo dell’Afghanistan e i suoi alleati sovietici, agli occhi degli Stati Uniti egli sarebbe stato un combattente per la libertà. Se invece fosse andato in Libano, sarebbe stato un terrorista. Se fosse arrivato in Bosnia nei primi anni ’90, sarebbe stato ancora un combattente per la libertà, ma se si fosse fatto vedere nella Striscia di Gaza o nella West Bank sarebbe stato un terrorista. Nel nord del Caucaso russo sarebbe rinato come combattente per la libertà, ma se fosse tornato in Afghanistan dopo il 2001 sarebbe stato un terrorista.

A seconda di come tira il vento dal Fondo Nebbioso, insomma, un separatista pakistano del Belucistan o un separatista indiano del Kashmir può diventare combattente per la libertà o terrorista.  
E viceversa: nel 1998 l’inviato speciale degli USA nei Balcani, Robert Gelbard, descrisse l’Esercito di Liberazione del Kosovo (KLA), che combatteva contro il governo jugoslavo, come un’organizzazione terroristica: “So riconoscere un terrorista quando ne vedo uno, e questi uomini sono terroristi”. [12]
Ma nel febbraio seguente, il Segretario di Stato americano Madeleine Albright portò cinque uomini del KLA, compreso il suo capo, Hashim Thaci, a Rambouillet, in Francia, per lanciare alla Jugoslavia un ultimatum che sapeva sarebbe stato rifiutato e avrebbe condotto alla guerra. L’anno successivo fu la stessa Albright a scortare Thaci in un tour personale del QG delle Nazioni Unite e del Dipartimento di Stato, invitandolo poi come ospite alla convention per le nomine presidenziali del Partito Democratico, a Los Angeles.

Lo scorso 1° novembre, Thaci, adesso primo ministro di uno pseudo-stato riconosciuto solo da 63 delle 192 nazioni del mondo, ha ospitato l’ex presidente USA Bill Clinton per l’inaugurazione di un monumento eretto in onore dei crimini di quest’ultimo. E della sua vanità.
Washington ha sostenuto i separatisti armati dell’Eritrea dalla metà degli anni ’70 fino al 1991 nella loro guerra contro il governo dell’Etiopia.
Attualmente gli Stati Uniti forniscono armi alla Somalia e al Gibuti per la loro guerra contro l’Eritrea indipendente. Il Pentagono possiede nel Gibuti la più importante delle sue basi militari permanenti, la quale ospita 2.000 soldati e dalla quale viene gestita la sorveglianza tramite aerei spia sulla Somalia. E sullo Yemen.
Per dirla con le parole di Vautrin, il personaggio di Balzac: “Non esistono i principi, ma solo gli eventi; non ci sono leggi, ci sono solo circostanze…”.Gli yemeniti sono gli ultimi ad apprendere la legge della giungla voluta dal Pentagono e dalla Casa Bianca. Insieme a Iran e Afghanistan, che lo specialista di contro-insorgenza Stanley McChrystal ha usato per perfezionare le proprie tecniche, lo Yemen sta per unirsi ai ranghi di tutte quelle nazioni in cui l’esercito degli Stati Uniti è impegnato in varie tipologie di azioni di guerra, ricche di massacri di civili e di altre forme di cosiddetti “danni collaterali”: Colombia, Mali, Pakistan, Filippine, Somalia e Uganda.

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1) BBC News, December 14, 2009
2) Press TV, December 14, 2009
3) Daily Telegraph, December 13, 2009
4) Yemen Post, December 13, 2009
5) Ibid.
6) Tehran Times, December 10, 2009
7) United Press International, August 25, 2009
8) BBC News, December 1, 2008
9) New York Times, September 9, 2008
10) Wikipedia
11) Press Trust of India, May 11, 2009
12) BBC News, June 28, 1998

 

 

Umar Farouk Abdul Mutallab, 23 anni

e pericoloso anti-amaricano...

 

 

Le false piste terroristiche

e le nuove guerre

Fonte web

Sono tanti gli elementi che non quadrano, in occasione della vicenda del nigeriano che voleva far saltare l’aereo sopra l’Atlantico. Le autorità politiche e gli alti papaveri del giornalismo hanno risposte pronte. Ma noi dovremo porre le domande che loro non vogliono fare. L’attentato si è svolto nel modo che dicono? Esiste davvero una nuova minaccia di al-Qa'ida?

È sempre forte la presenza mediatica del fantasma al-Qa'ida. Alimenta così un perenne senso d’attesa per un qualche evento che richiami la grande rappresentazione dell’11/9. La spinta originaria di quel trauma si fa bastare eventi di per sé modestissimi, ma subito pompati fino all'isteria.

Un giovane nigeriano 23enne di buona famiglia, Umar Farouk Abdul Mutallab, cerca di far saltare l’aereo sulla rotta Amsterdam-Detroit grazie a un ordigno tenuto a ridosso del suo perineo. L'attentato non va e lui si ustiona. Una volta catturato, dichiara di appartenere ad al-Qa'ida e di essere stato addestrato in Yemen. Fin qui i media di tutto il mondo.

Impossibile ignorare però le dichiarazioni di due passeggeri – gli avvocati Kurt e Lori Haskell, marito e moglie – che si fanno testimoni di un racconto sbalorditivo per la testata di Detroit MLive.com. Anche la CNN e altri media a questo punto si svegliano e vanno a intervistarli.

I nostri giornali e telegiornali continuano invece a dormire il loro sonno comandato.

Kurt Haskell riferisce di aver notato Mutallab approssimarsi al cancello d’imbarco assieme un uomo non identificato. Mentre Mutallab era malvestito, l’altro, un indiano sui cinquanta, era elegante in un completo costoso. Haskell lo ha sentito distintamente mentre chiedeva agli agenti che raccoglievano le carte d’imbarco se Mutallab poteva imbarcarsi senza passaporto. «Il tizio ha detto loro: “È del Sudan e noi lo facciamo ogni volta”». Noi chi?

Gli Haskell suppongono che l’elegantone cercasse di guadagnare clemenza per il viaggiatore senza passaporto dipingendolo come un rifugiato sudanese.

A nessuno dei lettori sarà capitato di poter fare un viaggio intercontinentale senza avere il passaporto in ordine. Ricordate quando Alberto Tomba venne denunciato perché – di fronte al rifiuto di farlo partire, nonostante la fama di campione sportivo – aveva goffamente cercato di falsificare i dati del suo passaporto scaduto?

Qui, invece, un presunto sudanese sconosciuto, proveniente da un paese inserito fra i “rogue states”, gli stati-canaglia, un paese da sempre accusato di ospitare fantomatiche basi di al-Qa'ida, riesce a imbarcarsi senza documenti. La storia ha un tanfo ben più mefitico di una generica “falla nei sistemi di sicurezza”.

I coniugi Haskell riferiscono che gli addetti indirizzano Mutallab e il suo angelo custode incravattato verso il loro superiore, in fondo alla sala. Kurt Haskell perde di vista Mutallab e lo rivede solo «dopo che si presume che abbia cercato di detonare dell’esplosivo a bordo dell’aereo» pochi minuti prima di atterrare a Detroit.

Cosa è successo nel frattempo? Non aspettatevi la risposta da Vittorio Zucconi su «Repubblica». Avrà da occuparsi dei diari che raccontano la depressione del terrorista africano.

Non potendo contare sui media italiani, dobbiamo andarcene fino a Milwakee per sapere di altri testimoni oculari, Patricia “Scotty” Keepman e sua figlia, le quali raccontano al notiziario della radio 620 WTMJ un fatto davvero singolare. Riferiscono che davanti a loro «c'era un uomo che ha ripreso con una videocamera l'intero volo, compresa la tentata detonazione.» Perfino in quel momento concitato, l'imperturbabile cameraman «si è messo seduto e ha videoripreso tutto quanto, calmissimo», racconta Patricia.

Oltre a Mutallab, abbiamo dunque già due soggetti extra che si interessano alle sue azioni, il distinto persuasore indiano e l'impassibile stakanov del videotape. Chi sono costoro?

Sappiamo che Mutallab è passato anche per l’aeroporto di Lagos, prima di volare per Amsterdam. Sulle caratteristiche di quell’aeroporto – pure localizzato in un paese con focolai di guerra civile su base religiosa - ci arriva una sorprendente rivelazione del quotidiano britannico «Telegraph»: «L’aeroporto di Lagos ha ottenuto di recente la certificazione “all clear” da parte della US Transportation Security Administration, un’agenzia creata in seguito agli attentati dell’11 settembre per migliorare la sicurezza dei voli di linea americani». Quali altri aeroporti sono “all clear” e quali no? Su quali basi?

«Da un lato, pare che Mutallab fosse nella lista antiterrorismo ma non su quella delle persone che non potevano volare,» ricorda Magnus Ranstorp, del Centro studi svedese sulle Minacce Asimmetriche. «Tutto questo non quadra perché il Dipartimento USA per la Sicurezza Interna ha dei mezzi stringenti di data-mining. Non capisco come potesse avere un visto valido essendo ben noto alla lista antiterrorismo» dichiara Ranstorp al britannico «Independent». Tralasciamo pure il fatto che Mutallab fosse nelle liste antiterrorismo e che persino suo padre lo segnalasse alle autorità come un soggetto pericoloso. Ci sarà sempre qualcuno che dirà che le falle nella sicurezza non derivano da scelte di apparati deviati, ma da casi di incompetenza, e che il terrorista, ancorché psicolabile, sa infilarsi negli interstizi dell’incompetenza.

Sarà, ma di certo si sono scomodati in tanti, a partire dal Nobel per la pace Barack Obama, per minacciare fuoco e fiamme e ingigantire l’episodio come espressione di una minaccia letale per gli USA, meritevole di risposte drastiche.

Il senatore trasversale-neocon Joe Lieberman – nel 2000 candidato alla vicepresidenza in tandem con Al Gore – ha dichiarato a Fox News che gli USA hanno necessità di bombardare lo Yemen senza indugio. «L’Iraq era la Guerra di ieri, l’Afghanistan è la guerra di oggi. Se non agiamo preventivamente, lo Yemen sarà la Guerra di domani». La sua tesi secondo cui “lo Yemen è la nuova casa di al-Qa'ida” è istantaneamente diventata il mantra dei grandi media. E al mantra del mainstream anglosassone è andato a rimorchio senza eccezioni anche il mainstream italiano. Perché lo Yemen? Interessante la tesi che l’analista politico Webster Tarpley illustra a Russia Today. 

Cosa dice Tarpley? Obama ha aggiornato l’Asse del Male, in direzione dell'entità Afghanistan-Pakistan (AfPak), nonché della Somalia e dello Yemen. In Yemen c’è una guerra civile che contrappone il governo centrale filosaudita e la guerriglia sciita filoiraniana degli Houthi, da poco bombardata a più riprese dagli USA. L’obiettivo di fondo è alimentare la già forte tensione fra Iran e Arabia Saudita, per indebolire entrambi.

Tarpley segnala che gli Stati Uniti stanno riorganizzando la “legione araba” di al-Qa'ida (l'entità che ha da sempre addosso il fiato e le leve della CIA) proprio nello Yemen. È uno dei modi di svuotare il gulag caraibico di Guantanamo. La nuova agenzia di terrorismo sintetico è “al-Qa'ida nella Penisola Araba”, alias AQAP, un'entità composta da capri espiatori, pazzoidi e fanatici che prontamente rivendicano l'operazione di Umar Farouk Abdul Mutallab. L'obiettivo ravvicinato è molteplice: dominare gli sbocchi del Mar Rosso e del Canale di Suez, dare fiato al dollaro tuttora sull'orlo del crollo tramite il solito stimolo del rialzo del prezzo del petrolio. Da ciò il primo passo: va incrementata la tensione nella penisola Araba.

In questo quadro, secondo Tarpley, Mutallab è solo un pupazzo in mano alla comunità dell'intelligence che ha ordito una provocazione che doveva avere il massimo impatto con il minimo sforzo. Il tutto è facilitato dal “senso comune” sull'entità al-Qa'ida, che nessun redattore né alcun politico in vista osa sfidare in Occidente. Pena riaprire la questione del vero 11/9.

Se al-Qa‘ida non è un’organizzazione, allora cos’è davvero? Viene detto che è un’etichetta, una sorta di logo, una specie di franchising del terrorismo internazionale. Fa comodo a chi la utilizza, ma fa più spesso comodo a chi – in teoria – la combatte. Al-Qa'ida per i governi che sostengono di essere in guerra con il terrorismo è un nemico conveniente da additare all’opinione pubblica, un puntuale alibi da strumentalizzare per scopi interni (leggi di emergenza sempre più restrittive, libertà individuali sempre più circoscritte). Al-Qa'ida appare così funzionale a molti governi occidentali. Se non ci fosse, con un po’ di pelo sullo stomaco avrebbero l’interesse a inventarla ed evocarla.

 

 

La signora Rita Katz

 

 

La nuova guerra della signora Katz

Fonte web

Obama, sotto accusa per essere stato «troppo morbido contro il terrorismo», ha annunciato una «offensiva accelerata» contro Al Qaeda in Yemen. Un’altra invasione, un’altra guerra americana.

Mai un’offensiva è stata sferrata con un pretesto più vacuo. Il «terrorista» Umar Farouk Abdulmutallab, lo psicolabile con la bombetta rettale, è un nigeriano; perchè non attaccare «Al Qaeda in Nigeria»? E’ stato fatto imbarcare ad Amsterdan senza bisogno di esibire il passaporto da un indiano molto elegantemente vestito: esiste dunque una «Al Qaeda in Olanda», o una «Al Qaeda yemen_terror_1.jpgin India» da debellare? Il padre stesso del «terrorista» con la bombetta, banchiere ed ex ministro del Niger, aveva segnalato il figlio all’ambasciata USA, e nonostante la segnalazione il giovanotto è stato fatto volare in America: il che fa sospettare una potente centrale di «Al Qaeda al Dipartimento di Stato». Tanto più che una testimone, una signora Patricia Keepman che era a bordo del volo per Detroit con sua figlia, ha dichiarato ad una radio di Milwakee: «C’era un uomo sull’aereo, che ha ripreso con una telecamera l’intero volo, compreso il tentativo di detonazione. Ha ripreso tutto l’evento, con molta calma».

Evidentemente per documentare il «terrorismo islamico» in corso, di cui il cameraman ignoto sapeva tutto prima: Al Qaeda in Hollywood? (Oconomowoc Family Survives Terrorist Attempt / Man Videotaped Underwear Bomber On Flight 253)

Invece no. Bisogna portare la guerra nello Yemen. Perchè? Perchè il terrorista mancato ha detto che proprio nello Yemen un tizio, che si è detto un addestratore di Al Qaeda, lo ha preparato a fare il terrorista suicida. Ma da dove vengono le informazioni che puntano sullo Yemen come ultimo covo di Al Qaeda? Lo dice la UPI, ossia una delle agenzie d’informazione USA più ufficiali:

«... Ma queste accuse provengono da IntelCenter, un contractor privato che secondo (il sito) Antiwar.com ha dubbia reputazione ed è in affari con la comunità d’intelligence». (After bomb plot, Yemen in U.S. cross hairs)

yemen_terror_2.jpgIntelCenter è dunque la fonte: come sanno i nostri lettori, è il sito della ben nota Rita Katz, che scopre terroristi e videotapes di Al Qaeda a ripetizione. Dunque è sulla parola della Katz che Obama ordina l’ennesima invasione. Non solo. Anche il ben noto Joe Lieberman, il senatore ultra-sionista del Connecticut, che oggi guida per la ben nota comunità la Commissione di Sicurezza della Patria (Homeland Security) ha annunciato che «L’Iraq è la guerra di ieri, l’Afghanistan è la guerra di oggi, e lo Yemen sarà la guerra di domani se non prendiamo azioni preventive»: La guerra preventiva per evitare la guerra.

Del resto anche il governo dello Yemen ha pubblicamente annunciato che nel Paese ci sono «centinaia di militanti di Al Qaeda pronti a lanciare attentati dallo Yemen». Il che è un po’ strano, dal momento che, come ha raccontato il New York Times, da più di un anno la CIA e vari contractors americani sono nello Yemen a condurre azioni clandestine e ad addestrare gli agenti del governo yemenita; e che già prima del presunto attentato rettale, Washington aveva stanziato 70 milioni di dollari, da spendere nei prossimi 18 mesi, per finanziare lo spiegamento di forze speciali USA in Yemen ed equipaggiare le forze armate del presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, alle prese con una rivolta della minoranza sciita nel Nord, che allarma anche i sauditi wahabiti, giustamente atterriti da una possibile egemonia sciita, cioè iraniana: un raddoppio degli stanziamenti rispetto all’anno scorso.

Sicchè sembra che, nello Yemen, la sunnita Al Qaeda – che in Iraq ha ammazzato soltanto sciiti in stragi orrende, e nemmeno un americano – sia diventata sciita: Al Qaeda in Katz. A meno che Al Qaeda non stia appoggiamdo il movimento secessionista del sud Yemen, altro grave grattacapo per il «governo» yemenita.

Eppure, i «contractors» che sono da oltre un anno in Yemen non dormono mica. Il 18 dicembre (dunque prima dell’attentato rettale), un giorno dopo aver negato con sdegno che forze americane stavano colpendo delle località nel Nord Yemen, ha ordinato attacchi con droni nelle stesse località: gli attacchi sono avvenuti «con successo» (120 civili massacrati) e con l’appoggio dell’aviazione saudita. E il 24 dicembre (sempre prima del mancato attentato rettale) il regime yemenita ha spiegato che un bombardamento, che ha avuto luogo quel giorno stesso, mirava ad uccidere il giovane imam Anwar Al-Awlaki, nato in USA, e che secondo voci riportate ampiamente dai media (dei Katz), mentre gestiva un paio di moschee in America, aveva avuto contatti con il maggiore Hasan, lo psichiatra militare che – secondo le versioni ufficiali – aveva compiuto la sparatoria nella base militare di Forth Hood: Al Qaeda fra i Marines in Texas, il cerchio si chiude. E la BBC già il 24 dicembre profetizzava che lo Yemen sarebbe diventato «il prossimo fronte USA  nella guerra al terrore».

Dunque tutto era già pianificato, occorreva solo un attentatino piccolo piccolo. Anche mal riuscito, anche condotto da un povero psicolabile che (secondo gli altri passeggeri) «fissava nel vuoto» e «pareva in trance», e che scriveva su Facebook (1) «di non avere veri amici musulmani» (tipico atteggiamento di un qaedista). (I diari online di Faruk «non avevo amici»)

Ma perchè lo Yemen? Ebbene, basta guardare una carta: lo Yemen sorveglia lo stretto di Bab El Mandeb, la porta sud del Mar Rosso verso l’Oceano Indiano; sull’altra costa dello stretto giace la Somalia, dove da anni gli USA combattono «Al Qaeda in Somalia».

Chi controlla Bab El Mandeb controlla il canale di Suez, ossia la via marittima alternativa dei traffici petroliferi se il golfo Persico rimane bloccato, poniamo, in caso di attacco all’Iran. In ogni caso, è una posizione geo-strategica di prima grandezza da occupare in vista dei futuri conflitti: alla lunga, da Bab El Mandeb si controllano i traffici della Cina, e degli emergenti asiatici, verso l’Europa.

Così, si può valutare in tutto il suo peso l’affermazione di Christopher Boucek, specialista dello Yemen per il Carnegie Endowment for Internazional Peace (uno degli enti di Washington che si occupano di «diffondere la democrazia» e le rivoluzioni colorate): «I problemi di sicurezza dello Yemen non sono solo affare dello Yemen... sono problemi regionali e toccano anche gli interessi occidentali».

Varrà la pena di ricordare che nel 2008, in aprile e poi ancora il 17 settembre, due gravi attentati furono messi a segno contro l’ambasciata USA a Sanah, in Yemen. Nel secondo caso, i morti furono 18 (fra i passanti). E l’attentato fu rivendicato da un gruppo autonominatosi «Jihad Islamica» (stesso nome del gruppo che da Gaza tira i razzi, contro gli ordini di Hamas) e che proclamava la sua filiazione ad Al Qaeda.

Le indagini portarono a numerosi arresti. Il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh annunciò pubblicamente, durante una riunione di membri della Shura (il parlamento, se così si può dire) e altre personalità, che la cellula terroristica smantellata era collegata ad Israele. Si trattava di «quaranta persone di diverse nazionalità arabe che lavoravano per il Mossad», disse il presidente, «entrate nello Yemen col pretesto di affari, di turismo e persino per predicare nelle moschee. Erano in possesso di mappe dettagliate di siti sensibili, apparati di telecomunicazione d’intelligence e di apparecchi di tracciamento (tracking devices) avanzati».

L’agenzia ufficiale yemenita «Saba», citando fonti non identificate, precisò che un computer sequestrato a Bassam Abdullah Fadhel al-Aidari, vice-capo della «Jihad Islamica», aveva rivelato una corrispondenza fra quest’ultimo e «una agenzia di spionaggio israeliana». Fra questa corrispondenza c’era una richiesta israeliana di compiere attentati terroristi in Yemen.

Il ministero degli Esteri israeliano rigettò la dichiarazione di Saba come «totalmente ridicola, un’altra vittoria degli inventori di complottismi». (“Islamic Jihad” arrested cell links to Israeli intelligence)

Come dar torto al ministero? Era una notizia del Katz, e infatti non è mai comparsa nei media nostrani. Ora il regime dello Yemen, debole, manipolabile e strategicamente fin troppo ben posizionato, deve chiedere aiuto al bellicismo americano per i problemi creati da «al Qaeda» e dalla «Jihad Islamica»; e l’America, colpita in casa dal nigeriano di Al Qaeda in Yemen, è oggi pronta a dare tutto l’aiuto necessario per debellare i terrorismo islamico globale.

Ovviamente, i nostri migliori editorialisti sono già tutti lì a suonare il piffero delle guerra. Al Qaeda, «quella minaccia dimenticata», si sconsola Massimo Gaggi sul Corriere. «La sfida al terrore si gioca in Africa», assicura il ben informato dagli USA ex-generale Carlo Jean, che scrive: «la frammentazione di Al-Qaeda era uno degli obiettivi fondamentali della “guerra al terrore” già nella National Strategy for Combating the Terrorism, del 2002. Gruppi locali non dispongono della capacità strategica necessaria ad effettuare maxi-attentati negli USA ed in Europa. Sotto questo profilo, USA ed Europa hanno conseguito un successo. Lo dimostra anche la recente distruzione dello Stato Maggiore di Aqap (Al-Qaeda in Arabian Peninsula), effettuata il 24 dicembre dalle forze yemenite, con l’aiuto di quelle saudite ed americane. Essa indica che cosa si deve fare per contrastare un gruppo come Aqim».

«Aqim» è ovviamente la sigla di «al Qaeda in Mauritania», quella che ha rivendicato il rapimento della coppia italiana appunto in Mauritania. Scrive Jean: «I successi sull’Aqap suggeriscono di fare lo stesso per eliminare l’Aqim e la minaccia che presenta per l’Europa. Occorre aumentare la collaborazione con i governi del Maghreb, sia nell’intelligence che nella fornitura di equipaggiamenti. Essa già esiste. Va però intensificata da parte degli Stati europei che l’hanno finora limitata, nel timore di attirare l’attenzione dei terroristi sui loro territori. L’Italia non è tra questi. Anzi, la nostra politica al riguardo è stata esemplare».

Siamo stati esemplari, e ci meritiamo le lodi di Jean, e di coloro per i quali fa il ventriloquo. Alla guerra! Alla guerra contro l’enesimo Paese poverissimo, instabile, dove basta pagare e minacciare i dirigenti per averli dalla propria parte. Il tipo di guerre che gli USA preferiscono. In Yemen oggi, in Mauritania domani, o forse già ci siamo. Perchè chissà, possiamo attirare i terroristi nei nostri territori...

Jihad islamiche che corrispondono con agenzie israeliane. O Aqap (Al Qaeda in Arabian Peninsula), Aqip, (Al Qaeda in Maghreb), Aqironb (Al Qaeda in the Rectum of the Nigerian Boy): siamo circondati da terroristi in sigla, pronti ad avventarcisi contro.

E pensare che anni fa Pierre Henry Bunel, già capo dell’intelligence militare francese, ebbe il coraggio di dire: «La verità è che non esiste un esercito islamico o un gruppo terroristico chiamato Al Qaeda, ed ogni funzionario dell’intelligence lo sa. Esiste una campagna di propaganda per far credere al pubblico l’esistenza di una entità identificata, che rappresenta “il diavolo” solo per indurre i telespettatori ad accettare una leadership unificata internazionale per una guerra contro il terrorismo».

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1) Il 12 febbraio 2009 il quotidiano siriano Tishrin definì Facebook «un sito dell’intelligence sionista» che «serve a reclutare agenti per la CIA e il Mossad.». Sicuramente è una piazza, che qualcuno ha preparato, dove si mettono in mostra e «cercano amici» milioni di piccoli vanitosi, psicolabili, semplicemente stupidi o «gente che si sente sola» come il nigeriano vulnerabile, che danno miriadi di informazioni sul loro ambiente, sulle loro opinioni politiche e no, e sul proprio profilo psicologico: lì, chi ha interesse, può creare in questa umanità frenesie collettive a comando, o contattare singoli vulnerabili, ingenui o sciocchi a cui proporre di diventare membri di Al Qaeda, o anche solo «solitary assassins» come ne abbiamo visti in queste ultime settimane in Italia. Il profilo manipolabile del giovanotto nigeriano risulta evidente dall’articolo del Corriere: «Un ragazzo ‘solo’, senza amici e ‘senza un vero amico islamico’ e ‘senza nessuno con cui parlare’. E’ questo il ritratto che emerge di Umar Farouk Abdulmutallab, il 23enne nigeriano che il giorno di Natale ha tentato di farsi esplodere a bordo di un aereo che stava atterrando a Detroit, dai messaggi inviati, tra il 2005 ed il 2007, ai social network firmandosi come ‘Farouk 1986’. In tutto 300 messaggi che il Washington Post ha rintracciato attraverso Facebook ed una chat islamica, entrambi frequentati con l’obiettivo esplicito di trovare amici. ‘Il mio nome è Umar ma puoi chiamarmi Farouk’ si legge in un post, ed in un altro ‘possa Allah ringraziarti per leggere i miei messaggi e premiarti per il tuo aiuto’. Insistenti sono le richieste di contatto e di sentire dall’esterno ‘il vostro parere’ sui pensieri messi in rete. Pensieri che vanno dalle normali preoccupazioni di uno studente universitario, i progetti per il futuro e la paura per i test, a qualcosa di più profondo e, con il senno di poi, preoccupante come ‘il dilemma tra liberalismo e l’estremismo’ come musulmano. ‘Il profeta ha detto che la religione è facile e chiunque cercherà di caricarsi di un peso eccessivo non potrà continuare - scriveva nel 2005, quando aveva 19 anni - così ogni volta che mi rilasso, mi trovo a deviare ed allora devo tornare ad impegnarmi ma poi mi stanco di quello che sto facendo, per esempio memorizzare il Corano, come posso trovare un giusto equilibrio?’. Sicuramente qualcuno l’ha contattato promettendogli  di gli il giusto equilibrio. Si intuisce dal seguito: «La ragione principale della sua solitudine, spiega Farouk, è la mancanza di amici musulmani. ‘Io cerco di socializzare con tutti, non creo conflitti, rido e scherzo senza eccedere - scrive in un altro post - mi descriverei come ambizioso e determinato, soprattutto per quanto riguarda la religione: mi impegno a vivere la mia vita quotidiana secondo il Corano e la Sunna al meglio della mia possibilitá’. Una devozione che spinge i compagni di scuola a soprannominarlo ‘Alfa’, termine locale per identificare i religiosi islamici. Ma al contempo Farouk ci tiene a descriversi come un ragazzo ‘che fa sport, legge libri e guarda la TV, sempre però nei limiti concessi dalla religione’ ». Si può immaginare la telefonata: «Alfa, vuoi impegnarti davvero a vivere la tua vita quotidiana secondo il Corano e la Sunna? Qui parla Al Katz, voglio dire Al Qaeda». Facebook è stato creato da un certo Mark Zuckerberg.
 

 

APPENDICE

Il mistero del volo 253 Amsterdam-Detroit1

Fonte web

Un passeggero del Volo 253 racconta: un uomo ben vestito ha aiutato il sospetto terrorista Omar Farouk Abdul Mutallab a salire sull’aereo senza passaporto (esclusiva MLive.com)

Un uomo del Michigan, che era a bordo del Volo 253 (Northwest Airlines), dice di aver visto Omar Farouk Abdul Mutallab ad Amsterdam che cercava di salire a bordo dell’aereo senza passaporto. Kurt Haskell di Newport, Michigan, che ha postato un commento in precedenza a proposito della sua esperienza, ha parlato con MLive.com in esclusiva e ha confermato che era sul volo 253 e ci ha inviato una foto della sua carta d’imbarco. Lui e sua moglie Lori erano di ritorno da un safari in Uganda ed attendevano di salire a bordo del volo NWA di Venerdì.
Haskell afferma che lui e sua moglie sedevano a terra accanto al gate per l’imbarco dell’aeroporto di Amsterdam, quando videro Mutallab avvicinarsi al gate in compagnia di un altro uomo non identificato.

Kurt e Lori Haskell (nella foto) sono avvocati presso lo studio legale Haskell di Taylor (Michigan, USA). La loro competenza comprende il diritto fallimentare, il diritto di famiglia e le pianificazioni successorie.

Haskell ha detto: “Mentre Mutallab era piuttosto malvestito, l’uomo in sua compagnia indossava un costoso completo”. Haskell afferma anche che l’uomo con il costoso completo ha chiesto agli addetti al controllo delle carte d’imbarco se Mutallab potesse salire a bordo dell’aereo senza il passaporto. Il tipo disse “E’ del Sudan, e lo facciamo sempre”. Ma Mutallab è nigeriano. Haskell crede che l’uomo stesse tentando di guadagnare il favore dei controllori per la mancanza di documenti facendolo passare per un rifugiato politico sudanese.”

“L’agente al controllo disse a Mutallab ed al suo accompagnatore di rivolgersi al loro capo, in fondo alla hall e da allora Haskell dice di non aver più visto Mutallab fino al suo presunto tentativo di far detonare, sull’aereo in volo, l’esplosivo”.

Haskell ha detto che per gran parte del volo non è successo nulla di rilevante. Questo fino a quando ha sentito un assistente di volo parlare di odore di fumo, e subito dopo il pilota ha annunciato che l’aereo sarebbe atterrato a Detroit in 10 minuti. Haskell è uscito dal suo posto per vedere a cosa fosse dovuta quell’agitazione. “Mi sono alzato e ho fatto un paio di passi avanti per avere una visione più chiara ed è in quel momento che ho visto le fiamme”, ha detto Haskell, che sedeva sette posti dietro Mutallab. “E’ iniziato a diffondersi piuttosto rapidamente. E’ andato su per il muro fino al soffitto.”

Haskell, che ha descritto Mutallab come un uomo piccolo che sembrava un adolescente, ha detto che sono trascorsi circa 30 secondi tra la prima menzione di fumo fino a quando Mutallab è stato bloccato da alcuni compagni di viaggio. “Lui non ha reagito affatto. Questa non è stata una grande rissa”, ha detto Haskell. “Una coppia di ragazzi è saltata su di lui e lo hanno trascinato via.”

Questa faccenda ha scosso un po’ Haskell e sua moglie. Gli assistenti di volo hanno urlato durante l’incendio e il pilota sembrava particolarmente nervoso quando ha dovuto atterrare. “Immediatamente, il pilota è venuto su e ha detto due parole: atterraggio d’emergenza”, ha detto Haskell. “E questo è tutto. L’aereo ha accelerato invece di rallentare.”

Nel momento in cui Mutallab veniva portato fuori in manette, Haskell si è reso conto che era lo stesso uomo che vide cercare di salire sull’aereo ad Amsterdam.
I passeggeri hanno dovuto attendere circa 20 minuti prima di avere il permesso di uscire. Haskell ha detto che lui e gli altri passeggeri hanno aspettato circa sei ore prima di avere un colloquio con l’FBI.
Circa un’ora dopo l’atterraggio, Haskell ha detto di aver visto un altro uomo che veniva preso in custodia. Ma un portavoce dell’FBI di Detroit ha detto che Mutallab è stata l’unica persona presa in custodia.
 

 

APPROFONDIMENTO

Terrorismo a orologeria?

Il fallito attentato al volo Northwest-Delta 253 partito da Amsterdam e diretto a Detroit il giorno di Natale ha suscitato una valanga di reazioni per le falle ad un sistema di sicurezza che ha permesso l’imbarco per gli USA di un passeggero nigeriano il cui nome era da tempo su un database di presunti terroristi. La vicenda del 23enne Umar Farouk Abdulmutallab, a ben guardare, solleva però alcuni inquietanti interrogativi di diversa natura e suggerisce una sconcertante coincidenza con l’espansione dello sforzo miliare americano contro il terrorismo sullo scacchiere mediorientale.

 

Yemen nuovo fronte, ma della lotta all'Iran

 

Le tensioni separatiste del sud e la presenza di al-Qaeda in Yemen non sono una novità, anzi sono note da anni a Washington. Possibile che solo il fallito attentato di Natale abbia riportato al centro dell'agenda Usa la questione? Difficile crederlo, almeno se si ritiene di non dover cavalcare l'onda dei media mainstream. L'aspetto più importante della vicenda, che vede coinvolti gli Usa e l'Arabia Saudita in prima linea, è la ribellione sciita nel nord del Paese. E' molto più facile usare il logo di al-Qaeda per spiegare a congressisti, contribuenti e giornalisti che bisogna intensificare la presenza statunitense nella regione che spiegare come il vero obiettivo sia invece l'Iran.

 

 

Chi ci protegge dal terrorismo

 

Secondo la gloriosa Wikipedia, il SITE Intelligence Group è una organizzazione che si occupa di monitorare le attività del terrorismo islamico nel mondo. Inizialmente nato come SITE Institute (Search for International Terrorist Entities), era una organizzazione “non a fini di lucro” che si è disciolta, ricomponendosi nel SITE Intel Group, che svolge la stessa attività, ma “a fini di lucro”. Già che tocca immolarsi per fare la guardia al mondo, tanto vale farsi pagare. Fondatrice e direttrice del SITE è Rita Katz, una ebrea nata in Iraq che vive negli Stati Uniti. Dopo che suo padre fu pubblicamente giustiziato in Iraq, la madre fuggì con i figli in Israele. Rita – che parla l’arabo come l’ebraico - entrò nell’esercito (IDF), si laureò in Studi Mediorientali a Tel Aviv, e poi si trasferì in America.

 

 

AMANDA SIMPSON, LA CRIMINALE DI GUERRA

POLITICAMENTE CORRETTA

Come probabilmente saprete, il presidente degli Stati Uniti ha nominato una certa Amanda Simpson come consigliere del Dipartimento del Commercio. Amanda Simpson (nella foto), ci raccontano sovreccitati i media, è la prima transessuale ad assumere un incarico governativo negli Stati Uniti, e già vediamo le opposte tifoserie animarsi a proposito. Come dice Notizie Gay: L’annuncio ha spaccato in due l’America. Da una parte c'è la gioia dei progressisti, già mobilitati in tutto il paese per far approvare le nozze tra persone dello stesso sesso. Dall’altra l'ira dei conservatori, scandalizzati da ciò che definiscono “La nuova Sodoma e Gomorra Obamiana”.
Noi la pensiamo diversamente dai tifosi di entrambi gli schieramenti. A nostro modesto avviso, la signora Simpson dovrebbe godere di tutti i diritti attinenti alle sue scelte personali. Ma in galera, come criminale di guerra.


 

Come liberare gli americani dai loro oppressori?

Verrà in giorno in cui il mondo dovrà liberare gli americani dai tiranni che li opprimono. La cosa è semplicemente impensabile, visto che lo Stato canaglia è anche la prima superpotenza atomica mondiale. Nessuno lo vuole fare, contando i sacrifici, le perdite e le rovine che l’impensabile produrrebbe; ma sono proprio le guerre che nessuno vuol fare quelle necessarie. Oggi domina il mondo un potere assolutamente criminale, onnipotente in armamenti, che si è preparato proprio per la Terza Guerra Mondiale. Dove trovare un liberatore?
 

TERRORISMO: EX PRESIDENTE YEMEN, NESSUN

 LEGAME AL QAEDA-RIBELLI SCIITI

Damasco, 31 dic. - (Adnkronos/Aki) - "Esiste un'incompatibilita' ideologica tra l'organizzazione di al-Qaeda e i ribelli yemeniti sciiti di al-Hawthi", nonostante le autorita' di Sanaa affermino il contrario. E' l'analisi dell'ex presidente yemenita Ali Naser Muhammad, che in un'intervista ad AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL afferma che le guerre in corso nello Yemen "aggraveranno la crisi nel paese, spianando la strada a qualunque scenario". Senza contare "le gravi perdite umane e materiali" subite dalla popolazione, che rendono necessario, dice, un "ritorno al linguaggio della ragione e del dialogo".