ANNI SETTANTA:

QUANDO GLI INGLESI PENSARONO

AD UN COLPO DI STATO IN ITALIA

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CHI UCCISE REALMENTE ALDO MORO?

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

Chi era il “terzo giocatore” di cui parla il leader BR Senzani, cioè il servizio segreto straniero che ad un certo punto del rapimento prese le redini del gioco? - “Mi avevano promesso che l'avrebbero salvato”, disse Cossiga sbiancando in volto, all'annuncio del ritrovamento del cadavere di Moro, il 9 maggio 1978. In seguito, Cossiga ha rivelato al sen. Pellegrino che il servizio segreto in questione era il Mossad.

 

 

 

 

 

 

Introduzione

 

 

Chi negli anni 70 viveva la sua giovinezza, come il sottoscritto, si ricorda bene quel periodo. Era l'Italia dei due maggiori partiti politici, la  Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, del compromesso storico di Aldo Moro e della crisi petrolifera. L'Italia delle stragi di destra e di sinistra, il paese delle Brigate rosse e dell'uccisione di Aldo Moro. L'Italia della legge sul divorzio e della legge sull'aborto. Tragico sotto molti punti di vista quel decennio, ma che qualcuno all'estero avesse pensato di regalarci anche un colpo di stato militare, con relativa guerra civile, no a questo non ero proprio preparato. Anzi, più  ci penso e più mi sembra inverosimile e pesante anche solo a pensare a quali orrori "cambogiani" qualcuno ci stava preparando a nostra insaputa. Qualcuno voleva trasformare i nostri sogni e le nostre speranze di ventenni in veri e propri incubi! E, ironia della storia, ciò che scoraggiò il governo inglese, spalleggiato dal Segretario di Stato americano Kissinger, dal mettere in atto il suo losco piano eversivo - con l'aiuto di apparati dello Stato e dell'esercito italiano - non fu tanto la presenza della Democrazia Cristiana, di cui gli alleati avevano poca stima, come neppure della presenza del Vaticano, ma fu la forza e il radicamento che l'allora Partito Comunista di Berlinguer aveva nel paese.

 

Di sicuro qualcuno dal cielo ha protetto il paese in quel tragico frangente...

 

Anche questa era la guerra fredda di allora, ma forse bisogna anche andare oltre questo facile binomio di democrazia e comunismo perché gli attori di questa vicenda sono molti di più e trasversali tra loro. Forse già allora esisteva la "guerra sintetica", fatta di oligarchie internazionali e poteri più o meno occulti che agiscono secondo i loro interessi e travalicano i confini delle ideologie e della politica. Poi, con la morte di Moro e il sorgere di quel nuovo astro nascente che fu Bettino Craxi, il compromesso storico fu presto archiviato e i nostri alleati atlantici poterono finalmente dormire sonni tranquilli. In pratica chi salvò il paese, sia pure indirettamente, da un golpe militare e da una probabile feroce guerra civile - soprattutto al centro nord - furono Berlinguer e l'avvento di Craxi.

 

Questa non è la mia tesi ma quello che si può leggere negli Atti desecretati del Foreign Office (cioè le carte del Ministero degli esteri del governo inglese) di quegli anni e pubblicati in Italia dal quotidiano La Repubblica, di cui qui riportiamo i punti principali. Ciò che balza subito agli occhi, in tutta questa vicenda, è l'estrema vulnerabilità del nostro paese a tutte le possibili trame provenienti dall'estero. Noi siamo il paese dove ogni servizio segreto, degno di questo nome, può fare in pratica quello che vuole. Un esempio eclatante è il caso del rapimento di Emanuela Orlandi di cui ci siamo recentemente occupati in questa rubrica (vedere qui).

 

Questo fatto ci riporta purtroppo ai nostri giorni nel senso che un paese che "vive un momento di diffuso malessere e incertezza, dove la corruzione aumenta sempre di più" - sono parole della Corte dei Conti di oggi 5 febbraio 2008 - un paese che è sempre più sfilacciato, sfiduciato e deluso della sua classe politica, un paese che ha davanti a sé due mesi di campagna elettorale guerreggiata e che non  riesce ad avere delle riforme istituzionali dignitose, è un paese letteralmente alla mercè di qualsiasi strategia destabilizzante proveniente dall'estero. Tanto che «l'unica reazione seria alle rivelazioni da Londra proviene dal giornalista Giovanni Fasanella, che nel suo blog, parlando di “prove tecniche di strategia della tensione”, ha riferito di come i vertici delle forze dell'ordine temano che i disordini sociali in corso (dalle rivolte dei tifosi a quelle della monnezza), siano manipolati da forze esterne per “indirizzarli verso uno sbocco violento”. “Chi ha interesse a spezzare l'Italia? Forse un giorno lo leggeremo nei rapporti segreti della diplomazia di qualche potenza straniera,” si chiede Fasanella alludendo alle carte del Foreign Office»

 

Ma chi uccise veramente Aldo Moro? A trent'anni da quella tragica vicenda, che segno anche il progressivo declino della Democrazia Cristiana, molte domande rimangono ancora senza risposte...

 

Claudio Prandini

 

 

 

 

 

 

 

1976: quando SUA MAESTÀ FACEVA

 PIANI PER UN Golpe in Italia

 

I documenti degli archivi britannici, appena

desecretati gettano una luce cruda sul

 backstage della Guerra Fredda
 

 

 

 

Repubblica ha trovato e può rendere noti testi elaborati nel 1976 in cui s’ipotizzava il “Coup d’Etat”, poi scartato perché “irrealistico”. Documenti britannici di cui Repubblica è venuta in possesso grazie alla norma che libera dal segreto le carte di Stato dopo trent’anni. (Vedere qui)

Fonte web

( per comodità l’ho diviso in capitoli)

Era il 1976, l’anno delle elezioni più drammatiche dopo quelle del 1948. Ebbene: dinanzi al male assoluto che un governo con il Pci avrebbe arrecato al sistema di sicurezza dell’Alleanza atlantica, nel novero degli estremi e possibili rimedi il fronte occidentale, le potenze alleate e in qualche misura la Nato presero in considerazione anche l’ipotesi di un colpo di Stato. Un “coup d’Etat”, letteralmente: alla francese. Eventualità scartata in quanto “irrealistica” e temeraria.

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La Paura delle Conseguenze:

“Italy and the communists: options for the West”. All’inizio di pagina 14, tra le varie opzioni, si legge in maiuscolo: “Action in support of a coup d’Etat or other subversive action”. Il tono del testo è distaccato e didattico: “Per sua natura un colpo di Stato può condurre a sviluppi imprevedibili. Tuttavia, in linea teorica, lo si potrebbe promuovere. In un modo o nell’altro potrebbe presumibilmente arrivare dalle forze della destra, con l’appoggio dell’esercito e della polizia. Per una serie di motivi - continua il documento - l’idea di un colpo di Stato asettico e chirurgico, in grado di rimuovere il Pci o di prevenirne l’ascesa al potere, potrebbe risultare attraente. Ma è una idea irrealistica”. Seguono altre impegnative valutazioni che ne sconsiglierebbero l’attuazione: la forza del Pci nel movimento sindacale, la possibilità di una “lunga e sanguinosa” guerra civile, l’Urss che potrebbe intervenire, i contraccolpi nell’opinione pubblica dei vari paesi occidentali. E dunque: “Un regime autoritario in Italia - concludono gli analisti del Western European Department del Foreign and Commonwealth Office (Fco) - risulterebbe difficilmente più accettabile di un governo a partecipazione comunista”.

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Kissinger
Dei vari protagonisti Kissinger è senz’altro il più caparbio e intransigente. Mentre i vertici della Nato sono fin dall’inizio i più irrequieti

Henry Kissinger con il premier

 inglese James Callaghan

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Il PCI, secondo gli Occidentali, avrebbe potuto diffondere

il riformismo nell’est, arrecando danno all’Urss

“L’arrivo al potere dei comunisti - si legge in un documento interno del Fco - costituirebbe un forte colpo psicologico per l’Occidente. L’impegno Usa verso l’Europa finirebbe per indebolirsi, potrebbero così sorgere tensioni gravi fra gli americani e i membri europei della Nato su come trattare gli italiani”. Ma al tempo stesso c’è il rischio che un governo con Berlinguer sconvolga gli equilibri consolidati da trent’anni di guerra fredda creando problemi anche all’Urss, e qui i diplomatici inglesi sottolineano il pericolo che “le idee riformiste si diffondano in Russia e nell’Europa dell’Est”. Il Pci di Berlinguer, e più in generale quello che allora andava sotto il nome di “eurocomunismo”, costituisce a loro giudizio una vera e propria “eresia revisionista” e il suo sbocco governativo porterebbe il dibattito teorico della chiesa marxista sul terreno della politica reale. Il Pcus ha tutte le ragioni per temere il “contagio” di un “comunismo alternativo” al potere in occidente. E tuttavia, secondo altre analisi, su un piano più immediatamente geopolitico e militare per l’Urss “i vantaggi supererebbero di gran lunga gli svantaggi, specie in relazione all’indebolimento della Nato”.

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La paura che il PCI si infiltri nelle basi Nato

La questione vitale riguarda la sicurezza nucleare, quindi la dislocazione e la custodia delle bombe atomiche: anche senza ministri comunisti alla Difesa e agli Esteri, un’Italia governata dal Pci va comunque esclusa dal Nuclear Planning Group: “Per dirla con parole crude - chiarisce il Ministero della Difesa - il rischio è che i documenti sensibili finiscano a Mosca”. Altri problemi hanno a che fare con le basi militari e navali della Nato nella penisola: “Considerata l’alta percentuale degli italiani che votano Pci, è quasi certo che alcuni simpatizzanti di questo partito hanno già penetrato il quartier generale della Nato a Napoli (Afsouth). Sul lungo termine il Pci potrebbe accentuare lo spionaggio oppure spingere per rimpiazzare gradualmente i funzionari nei posti chiave dell’Alleanza con elementi comunisti”. A parte gli scioperi, i blocchi e le manifestazioni che potrebbero essere organizzate attorno alle installazioni militari. In caso di guerra, possono nascere problemi seri: “La perdita del quartier generale di Napoli, ad esempio, avrebbe un effetto negativo sulle operazioni della Sesta Flotta nel Mediterraneo Orientale”.

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Berlinguer “attraente”, la poca stima nella Dc

ENRICO BERLINGUERL’ambasciatore britannico a Roma, Sir Guy Millard, è un uomo molto sottile e per giunta dotato di una buona penna. “Berlinguer - scrive a Londra, al Segretario di Stato - è una figura attraente, ispira fiducia con la sua oratoria. Ciò che dice è credibile e lui lo afferma in modo convincente”. Ma proprio per questo non c’è da fidarsi. “Il suo ingresso nel governo porrebbe la Nato e la Comunità europea dinanzi a un problema serio e potrebbe rivelarsi un evento dalle conseguenze catastrofiche”. Quali Millard lo spiega in modo incalzante: la “disintegrazione” della Dc, innanzi tutto, poi il calo degli investimenti, la fuga dei capitali, la caduta di fiducia nelle imprese, l’intervento drastico del governo nello Stato e di conseguenza “la rapida fine del sistema di libero mercato”. Cosa fare per tenere il Pci alla larga dal governo? “Non molto, temo”. E aggiunge: “È un peccato che la difesa dell’Italia dal comunismo sia nelle mani di un partito così carente come la Dc”.

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5 scenari nel caso il PCi fosse andato al Governo

A questo punto gli scenari sono cinque, e cinque di conseguenza le options, ciascuna esaminata a seconda dei vantaggi e degli svantaggi. La linea più morbida è definita “Business as usual” e prevede di “continuare le relazioni come se nulla fosse cambiato”. Seguono, in ordine di gravità, “misure di ordine pratico-amministrativo” per “salvaguardare i segreti e i processi decisionali dell’Alleanza atlantica”. Come ulteriore scelta, sempre rispetto all’Italia, gli inglesi si riservano di mettere in atto una “persuasione di tipo economico” che si traduce in una serie di pressioni anche sul piano della Comunità europea e del Fondo monetario internazionale. Entrerebbero in gioco, in quel caso, posti di potere in tali organismi, benefici, prestiti. “Occorre comunque precisare - si legge - che tali misure cesserebbero se il Pci abbandonasse il governo”.

La option number four ha un titolo che, anche in lingua inglese, non è che suoni proprio tranquillizzante: “Subversive or military intervention against the Pci”. Ecco come comincia: “Questa opzione copre una serie di possibilità: dalle operazioni di basso profilo al supporto attivo delle forze democratiche (finanziario o di altro tipo) con l’obiettivo di dirigere un intervento a sostegno di un colpo di Stato incoraggiato dall’esterno

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L’ultima opzione prevede, seccamente,

 “l’espulsione dell’Italia dalla Nato”.

Le Forze Armate e la reazione ad un governo con il PCI

Titolo: “La reazione delle forze armate italiane alla partecipazione comunista al governo e l’effetto che essa può avere sul contributo dell’Italia alla Nato”. Sono undici pagine fitte e dettagliatissime, dai piani di ristrutturazione appoggiati dal Pci al movimento dei “proletari in divisa” organizzato da Lotta continua. E di nuovo le conclusioni dell’indagine vanno a parare sul colpo di Stato: “Gli ufficiali delle Forze armate sono per la maggior parte di destra o di estrema destra. Tuttavia i soldati di leva riflettono le inclinazioni politiche tipiche dell’Italia attuale. In teoria, se non in pratica, il Pci potrebbe contare sul sostegno di un terzo delle Forze armate. Una eccezione importante è costituita dai Carabinieri, ottantaseimila uomini tra i quali il Pci non ha appoggi. Ma i Carabinieri sono tradizionalmente leali al governo, qualunque sia il suo colore politico”.

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Le riserve dei laburisti inglesi e la fuga di notizie del “piano inglese”

Fotocopia del documento dei servizi inglesi sul golpeIl segretario di Stato si preoccupa delle “implicazioni politiche” di una linea così rigida. Nell’ambito dell’amministrazione britannica, che è pur sempre costituita da laburisti, ci sono delle diverse valutazioni. Quelle che pone all’attenzione del Segretario di Stato il suo consigliere politico David Lipsey suonano ad esempio più moderate e molto meno interventiste: “Se diamo troppa corda ai comunisti potrebbero dichiararsi innocenti oppure impiccarsi da soli. Se invece ci imbarchiamo in un’operazione di linciaggio - è la conclusione - sarà la nostra credibilità democratica ad essere danneggiata, non la loro”.

Anche per questo il governo inglese è preoccupato che studi, indagini e relazioni restino al sicuro. “La loro esistenza non deve essere rivelata - è la raccomandazione - La Gran Bretagna non deve essere vista come un governo che interferisce negli affari interni dell’Italia”. Ma il 18 maggio, in vista di un vertice Nato a Oslo, qualcosa trapela: un articolo del Financial Times dal titolo “I timori del Foreign Office sull’Italia”. Il giornalista rivela che l’atteggiamento degli alleati è stato riassunto in un documento ad hoc. Dalla Farnesina, a questo punto, chiedono spiegazioni, ma a Londra fanno i vaghi, ridimensionano: il caso Italia non è nell’agenda ufficiale di Oslo, non c’è nessun paper, del Pci si parlerà al massimo “nei corridoi”.

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L’Italia umiliata nel G7

Una settimana dopo, al vertice di Puertorico, riservato alle sette potenze più industrializzate del mondo, l’Italia si presenta senza un governo. Ci sono Moro e Rumor, ma solo per salvare le forme. Gerald Ford, Callaghan, Schmidt e Giscard d’Estaing si incontrano alle 12,45 di domenica 27 giugno al Dorado Beach Hotel per un pranzo di lavoro e qui si verifica un pietoso incidente. Lo descrive brutalmente Campbell, futuro ambasciatore britannico a Roma: “Quando arrivano per il lunch, ai due sfortunati ministri italiani viene impedito di entrare”. È il massimo dell’umiliazione.

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Appena chiuse le porte, si affronta il “problema Italia”.

La Riunione dei Grandi ed i loro desideri sull’Italia
Quella riunione si tiene effettivamente a Parigi, all’Eliseo, l’8 luglio del 1976. Il padrone di casa è il Segretario generale aggiunto della Presidenza della Repubblica francese Yves Cannac. Per gli Usa c’è Helmut Sonnenfeldt, consigliere del Dipartimento di Stato e braccio destro di Kissinger; per i tedeschi arriva Gunther Van Well, alto funzionario del ministero degli Esteri di Bonn; e infine, per la Gran Bretagna, il sottosegretario del Foreign Office, Reginald Hibbert.

È a quest’ultimo che si deve il resoconto, a tratti anche abbastanza scanzonato, di un incontro in cui “ognuno ha i suoi buoni motivi per mantenere il Pci fuori dal governo”. Giscard vorrebbe un “centrodestra riformista” in Italia perché teme la spinta che a casa sua favorirebbe Mitterrand. Il rappresentante di Schmidt, d’altra parte, punta sulla rinascita del centrosinistra perché un successo di Berlinguer potrebbe spaventare il suo elettorato e aprire le porte a una vittoria dei democristiani nelle imminenti elezioni tedesche. E poi ci sono gli americani che appoggiano decisamente una Dc rinnovata. Insomma, un po’ di confusione.

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Forti critiche alla DC

Ma soprattutto si fa notare, sotto un paragrafo dal titolo “The Christian democratic party”, un appello che di nuovo suona come un atto di sottomissione richiesto alla classe di governo del “partito che ha esercitato il potere per trent’anni e rimane il più forte dopo le elezioni”. Per battere il Pci, la Dc dovrebbe (should) ripulire la sua immagine di partito tollerante della “prevaricazione e del sotterfugio”, ha il dovere di “liberarsi delle pecore nere”, la necessità di “mettere ordine a casa sua”, di svecchiarsi e arruolare giovani, assicurare maggiore spazio alle donne, ai lavoratori e ai sindacati. Suo compito è anche quello di contestare al Pci l’egemonia culturale “riconquistando l’intellighenzia, le università e i media”.

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Craxi, Berlinguer, e la fine della storia

Il Pci che rimane sulla soglia del potere. I democristiani che continuano a traccheggiare inventando formule quasi intraducibili, per cui l’andreottianissima “non sfiducia” diventa “non no-confidence”. C’è anche un nuovo segretario socialista, il quarantenne milanese Bettino Craxi. L’ambasciatore Millard, che ha l’occhio lungo, lo segnala subito come una luce in fondo al tunnel del caos italiano. Si stabilisce che una sua visita a Londra “sarebbe auspicabile”. Arriva l’autunno e a Bruxelles, davanti a Kissinger, il Segretario di Stato britannico Crosland parla “warmly”, con calore, del “Signor Craxi”.

A Roma il successore di Millard è Alan Hugh Campbell. A fine anno l’ambasciatore scrive la tradizionale Christmas letter al Foreign Office: “Pur immersi nella tristezza, frustrazione, incompetenza, corruzione, gli italiani continuano a essere un popolo duttile e molto operoso. Ma condivido l’idea che non siano maturi per la rivoluzione”. E c’è quasi un salto poetico: “Forse, questo spiega la sofferenza che ho osservato sul volto di Berlinguer, l’altro giorno, quando me lo sono trovato seduto vicino durante una cerimonia”.

 

 

Manifesto del 1978 in cui si denunciava la presenza

di un'intelligence straniera nella morte di A. Moro,

cioè dell'intelligence britannica di Sua Maestà.

 

 

 

il Foreign Office considerò la possibilità

di un golpe militare in Italia

 

“Chi ha ucciso Aldo Moro”, i sevizi britannici?

 

Fonte web

 

21 gennaio 2008 – I documenti desecretati dal Foreign Office in Inghilterra e pubblicati da La Repubblica, riferiscono che nel 1976 l'Inghilterra considerò il colpo di stato in Italia per impedire l'entrata dei comunisti al governo. L'opzione fu respinta, ma due anni più tardi, l'architetto della partecipazione del PCI al Governo, Aldo Moro, fu rapito e successivamente ucciso dalle Brigate Rosse. Le carte confermano a trent'anni di distanza le denunce del movimento di LaRouche, a partire da un dossier pubblicato nel settembre 1978, intitolato “Chi ha ucciso Aldo Moro”, che mostrava una bandiera britannica al posto della bandiera con la stella delle BR.
All'inizio degli anni Settanta il leader democristiano Aldo Moro comprese che il rimedio alla vulnerabilità italiana alle interferenze straniere, in materia di sovranità nazionale, stava nel trasformare il PCI in un partito democratico di stampo occidentale. Una volta completata tale trasformazione non vi sarebbero stati altri ostacoli ad una normale alternanza del potere politico, come nelle altre democrazie occidentali, e dunque nessun pretesto per mantenere l'Italia sotto la politica imperiale anglo-americana con la scusa dell'anti-comunismo.
ALDO MOROBenché il PCI si evolvesse nella direzione auspicata da Moro, a Londra, Washington e in altre capitali si complottava per affossare questa politica con tutti i mezzi, non ultimo il colpo di stato. Questo emerge dai documenti ottenuti negli archivi di Londra da Mario J. Cereghino e pubblicati da La Repubblica il 13 gennaio.
Ad esempio, un documento dello staff di pianificazione del Foreign Office del 6 maggio 1976 era intitolato “Iniziative a sostegno di un colpo di stato o di altre azioni sovversive”. Nel testo si legge: "Per sua natura un colpo di Stato può condurre a sviluppi imprevedibili. Tuttavia, in linea teorica, lo si potrebbe promuovere. In un modo o nell'altro potrebbe presumibilmente arrivare dalle forze della destra, con l'appoggio dell'esercito e della polizia. Per una serie di motivi - continua il documento - l'idea di un colpo di Stato asettico e chirurgico, in grado di rimuovere il Pci o di prevenirne l'ascesa al potere, potrebbe risultare attraente. Ma è una idea irrealistica". E' irrealistica a motivo della forza del Pci nel movimento sindacale, la possibilità di una guerra civile “protratta e sanguinosa”, un possibile intervento dell'URSS, reazioni dell'opinione pubblica degli altri paesi occidentali.
Nondimeno, impedire l'entrata del PCI al governo rimase un punto fermo della politica britannica, pienamente condivisa dal Dipartimento di Stato di Henry Kissinger e dalla NATO. Il 25 marzo 1976 il ministro della Difesa britannico scrisse ai colleghi del Foreign Office di ritenere un governo con il PCI in Italia un avvenimento “catastrofico”. L'ambasciatore britannico presso la NATO John Killick scrisse che “La presenza di ministri comunisti nel governo italiano porterebbe a un immediato problema di sicurezza nell'Alleanza. ... . Dunque, è preferibile una netta amputazione (dell'Italia, ndr) piuttosto che una paralisi interna".
Motivi di altra natura, e più credibili, furono riferiti da sir Guy Millard, ambasciatore britannico a Roma, secondo il quale la partecipazione del PCI al governo avrebbe significato "la rapida fine del sistema di libero mercato". Millard era ostile ad Aldo Moro perché "qualche volta sembra piuttosto ambiguo sul Compromesso storico".
Incontrando il nuovo ministro degli Esteri Antony Crosland a Londra, Henry Kissinger affermò che Berlinguer “è più pericoloso del portoghese Cunhal”.
La cosa più strana però è che nelle carte ufficiali del Foreign Office non c'è alcuna menzione del fenomeno del terrorismo che stava esplodendo in Italia; eppure, a giugno di quell'anno le Brigate Rosse uccisero la prima vittima, il giudice Coco.
Tre dei quattro funzionari britannici nominati nelle carte, Hibbert Campbell e Killick, sono stati agenti del SOE britannico. Guy Millard, ambasciatore in Italia fino al 1976, ha oggi novant'anni e dichiara una memoria labile. Egli fu segretario del Primo ministro britannico Anthony Eden durante la crisi di Suez e partecipò alle riunioni segrete con i membri del governo francese che preparono la guerra contro l'Egitto. Eden gli impartì precise istruzioni di non prendere appunti. Quando la guerra fallì, a causa dell'opposizione americana, Eden diede le dimissioni e Millard iniziò la carriera diplomatica. E' attualmente patrono del Fondo "Venice in Peril", chiamato anche Comitato Britannico per salvare Venezia, il cui presidente è il visconte di Norwick.
A chi faceva riferimento il "partito britannico" in Italia? Ce lo dice uno dei protagonisti, l'ambasciatore Campbell, che prese il posto di Millard nel 1976. Secondo un obituario pubblicato dal Telegraph del 10 settembre 2007, Campbell disse una volta che tra tutti i ministri italiani che aveva incontrato, considerava Francesco Cossiga "uno dei pochi politici italiani che abbiano una profonda conoscenza della civiltà e della cultura inglesi".
E' allora singolare, ma anche inquietante, che l'unico che abbia reagito alle rivelazioni inglesi sia proprio Cossiga. Anzi, ha reagito un gruppetto che potremmo forse definire l'attuale "ufficio politico" del partito inglese: Cossiga ha scritto una lettera al Corriere della Sera, giornale diretto da Paolo Mieli (figlio di un ufficiale del SOE britannico), e gli ha risposto l'ex ambasciatore Sergio Romano, colui che nel 1993 fece la difesa d'ufficio della famosa riunione sulle privatizzazioni a bordo del Britannia. Tra i due, perfetta intesa a sottolineare che i documenti mostrano che il golpe fu considerato ma alla fine scartato, a riprova che gli inglesi sono democratici.
L'unica reazione seria alle rivelazioni da Londra proviene dal giornalista Giovanni Fasanella, che nel suo blog, parlando di “prove tecniche di strategia della tensione”, ha riferito di come i vertici delle forze dell'ordine temano che i disordini sociali in corso (dalle rivolte dei tifosi a quelle della monnezza), sono manipolati da forze esterne per “indirizzarli verso uno sbocco violento”. “Chi ha interesse a spezzare l'Italia? Forse un giorno lo leggeremo nei rapporti segreti della diplomazia di qualche potenza straniera,” si chiede Fasanella alludendo alle carte del Foreign Office.

 

 

 

 

1978 - Moro trovato morto dopo 55 giorni dal rapimento

 

 

 

 

 

Gli esperti concordano: Moro fu

ucciso da un'intelligence straniera

 

Fonte web

 

20 maggio 2006 – Il 9 maggio scorso si è tenuta un'importante conferenza sul caso Moro a Oriolo Romano, indetta dall'”Archivio Flamigni”, un centro di documentazione sponsorizzato dall'amministrazione provinciale di Viterbo. L'Archivio contiene i documenti raccolti negli anni dall'ex senatore Sergio Flamigni, il massimo esperto sulla vicenda Moro. Oltre allo stesso Flamigni, i relatori erano il giudice Rosario Priore e lo storico Giuseppe De Lutiis. L'Archivio Flamigni organizzerà ogni anno due conferenze, negli anniversari del rapimento e della morte dello statista democristiano. Lo scopo dell'iniziativa è quello di tenere vivo il ricordo del più grave attacco terroristico contro lo stato italiano e esercitare pressione perché la verità venga a galla.

Come il sen. Flamigni ha sottolineato, nonostante tutti i processi finora celebratisi sul caso Moro, numerosi sono i misteri ancora da chiarire. Alla luce del lavoro compiuto dalla Commissione Stragi, presieduta dal sen. Giovanni Pellegrino, gli esperti sono convinti che negli ultimi giorni del rapimento, un “servizio segreto straniero” prese in mano la faccenda, allo scopo di trattare con le Brigate Rosse il rilascio di Moro e la consegna delle carte, con il memoriale e i documenti probabilmente trafugati dallo studio di Moro e dal ministero della Difesa. Ma poi, all'ultimo momento, fu presa la decisione di uccidere Moro. “Mi avevano promesso che l'avrebbero salvato”, disse Cossiga sbiancando in volto, all'annuncio del ritrovamento del cadavere di Moro, il 9 maggio. In seguito, Cossiga ha rivelato al sen. Pellegrino che il servizio segreto in questione era il Mossad.

Il dott. Priore, che condusse diverse inchieste sul caso Moro, oltre a quelle famose su Ali Agca e su Ustica, ha smesso le vesti del magistrato per suggerire l'adozione di un “approccio storico-politico”. In primo piano, ha sottolineato Priore, c'è certamente la “conventio ad excludendum” che Moro intendeva sciogliere, nei confronti di una partecipazione del PCI ad un governo democratico. Nel contesto della divisione del mondo nei due blocchi, le potenze occidentali vedevano con “terrore” l'idea che qualche ministro comunista potesse consegnare segreti militari a Mosca. Allo stesso tempo, sarebbe infantile continuare a sostenere un approccio manicheo, secondo cui “è stata la CIA” o “è stato il KGB”. Ad esempio, persino un leader delle BR come Senzani aveva indicato l'esistenza di “un terzo giocatore” nel terrorismo italiano, e cioè la Francia di Mitterrand. E la politica filoaraba di Moro aveva trovato nemici in Israele, il che spiega perché una fazione del Mossad fosse ostile a Moro. “Se vi faccio l'elenco di tutti i i tentativi degli israeliani di compiere attentati sul nostro territorio, voi restate sconcertati”, ha affermato Priore, sottolineando la continuità della politica estera e di intelligence perseguita dalle potenze europee nei secoli XIX e XX.

Il terzo relatore, il prof. De Lutiis, ha esplorato altri aspetti oscuri del caso Moro, riguardanti le complicità tra le BR, la criminalità organizzata e i servizi segreti. Egli ha collocato l'assassinio di Moro nel contesto di una lunga catena di omicidi politici: a partire dalla morte di Enrico Mattei nel 1962, “che oggi sappiamo con esattezza trattarsi di un assassinio”, seguita da quella di Kennedy, di Lumumba, Martin Luther King e Robert Kennedy. “Tutte queste persone avevano raggiunto un livello di governo o di influenza che avrebbe potuto cambiare la politica di grandi maesi nella direzione di autonomia nazionale e a favore dei diritti dei paesi più poveri”, ha detto De Lutiis.

Due ospiti tra il pubblico, il regista Giuseppe Ferrara, che ha girato il famoso film con Gian Maria Volontè, e l'ammiraglio ed ex parlamentare Falco Accame, hanno consegnato all'Archivio Flamigni la loro documentazione. L'archivio contiene anche le pubblicazioni dell'EIR e il famoso dossier del POE del 1978, intitolato “Chi ha ucciso Aldo Moro”.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Dalle carte segrete del Foreign Office

l'idea di un colpo di Stato in Italia

 

I documenti degli archivi britannici, appena desecretati

gettano una luce cruda sul backstage della Guerra Fredda

 

 

 

Caso Moro: Verità e giustizia

per riscattare il paese

il dossier del movimento di LaRouche indicò i mandanti del crimine ed i

loro motivi, in cui denunciò la dimensione strategica internazionale dietro

il conflitto sintetico tra "destra e sinistra"

 

 

 

Fonti attuali sul Caso Aldo Moro
 

Il caso Aldo Moro. Fonti attuali (o quasi) e fonti testuali

su quotidiani e settimanali degli anni novanta